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PD, CIRCOLO TRASTEVERE: “È QUESTO UN PARTITO DEMOCRATICO?”

Novembre 4th, 2015 Riccardo Fucile

RABBIA E SMARRIMENTO TRA GLI ISCRITTI: SOTTO ACCUSA ORFINI E RENZI… L’INVIATO SPECIALE BARCA NON CONVINCE NESSUNO

“I nostri consiglieri sono stati costretti ad andare dal notaio e a dimettersi, è vergognoso!”. Scatta l’applauso.
Al circolo di Trastevere va in scena il processo del Pd a se stesso.
Sul banco degli imputati i vertici del partito, in primis il commissario del Pd romano Matteo Orfini e il segretario nazionale Renzi.
La parte dell’accusa invece la svolgono i militanti, la base.
Sono smarriti, e arrabbiati: “C’è democrazia nel nostro partito? No, non credo”. Nella storica sede del Municipio di Roma si respira un’aria densa e pesante. Pochi sorridono, molti i musi lunghi.
A Fabrizio Barca il compito apparentemente insormontabile di spiegare le ragioni della cacciata di Ignazio Marino dal Campidoglio, proprio mentre l’ex sindaco attaccava via Facebook il premier Renzi: “E’ bulimico di potere, voleva Roma e se l’è presa”.
Una “defenestrazione” difficile da comprendere per il popolo dem, che non nasconde il suo malessere profondo.
I militanti sono accorsi in tanti all’assemblea sul futuro del Pd romano. Le persone si sono accalcate fin sulla porta d’ingresso per sentire quello che ha da dire Barca, nel non facile ruolo di dirigente di partito che ha da rispondere a un bel po’ di domande rimaste a lungo inevase.
“Quello che è successo è squallido: la gente mi chiede perchè Marino è stato cacciato mentre il Pd non ha fatto nulla per mandare a casa Alemanno nei cinque anni precedenti. A questa domanda non so rispondere, e me ne vergogno”, dice Sandra.
“La scelta di cacciare Marino è stata politica ma a noi militanti nessuno è venuto a spiegarla”, aggiunge Marzia. Che attacca: “Non possiamo nasconderci: il sospetto che il governo non abbia voluto aiutare il sindaco c’è. E i soldi per il Giubileo che arrivano solo dopo le dimissioni… questo è grave! è grave!”, ripete. Scatta un altro applauso
Sembra che si sia spezzato un filo tra i vertici e la base romana.
L’uscita di scena forzata dell’ex sindaco ha scavato segni profondi nella pelle del partito. Ma Barca, che ha passato al setaccio i circoli romani e stilato la relazione di cui Orfini si è servito per chiudere 35 circoli su 110, prova a ricucire.
“E’ vero, parte del Pd si è apertamente schierato contro Marino, fin dall’inizio. Però più sono dure le battaglie che fai e più forti sono quelli che ti attaccano, tanto più i tuoi comportamenti devono essere impeccabili. E’ una questione di opportunità  e su quello Marino è scivolato”.
Ma perchè non sfiduciarlo in assemblea capitolina, perchè cacciarlo con un’operazione extra-consiliare, dettata dai vertici del partito, senza nessuna consultazione con la base? Perchè ricorrere a un atto d’imperio?, si chiedono i militanti.
“E’ stato un atto di correttezza umana – risponde Barca – perchè portarlo in aula per poi sfiduciarlo? A che serve? Ci sono dei momenti in cui bisogna prendere atto che un’esperienza è finita. E’ stato un atto di autotutela umana nei confronti del sindaco, ho anche litigato con chi incoraggiava inutilmente Marino ad andare avanti”.
L’ex ministro del governo Monti prova a mettere in fila le cause che hanno portato alla situazione attuale.
Dopo lo scoppio del bubbone di Mafia Capitale “il Pd ha percorso due strate: da un lato ha commissariato il partito chiudendo alcuni circoli sulla base del lavoro svolto da me e dal mio team nella mappatura; dall’altro ha ridato fiducia alla giunta Marino rafforzandola con gli ingressi di Causi, Rossi Doria, Esposito”.
Due processi avviati, ma non conclusi. Perchè la brusca accelerazione che ha portato all’uscita di scena di Marino li ha stoppati.
“Sul fronte del partito io ho dato via alla pars destruens, poi spero che arrivi la part costruens, la riorganizzazione del partito sul territorio. Anche sul fronte amministrativo alcuni risultati ottenuti dalla giunta sono dovuti ai nuovi ingressi, al rafforzamento e quindi al lavoro di commissariamento del Pd. Ma poi la giunta non è riuscita più a lavorare e ad andare avanti”.
Una squadra che è riuscita a portare a casa alcuni risultati positivi, riconosce Barca nel ruolo di difensore del Pd davanti a una platea scoraggiata e incredula.
“Con Marino c’è stata un’intenzionale discontinuità  con il sistema precedente”, dice l’ex ministro. “Il tuo linguaggio mi piace, Fabrizio – risponde Nino – ma non è lo stesso linguaggio che usa il partito. E’ stata interrotta un’esperienza coraggiosa, si guardi ai Fori, a Malagrotta e ai varchi aperti sul lungomare di Ostia. C’era del buono ma perchè è stata messa la parola fine?”, si chiede.
“Non abbiamo spiegazioni del fallimento”.
Poi alza il tono della voce: “Non ci nascondiamo e diciamoci la verità : vengano qui e ci spieghino, anzi ci dimostrino che Marino è un incapace. Ce lo devono dimostrare! E’ vergognoso quello che hanno fatto”. E, ancora, applausi.
“C’è democrazia nel Pd? Non credo. E poi il segreatario Renzi che deride Chiamparino…. sono cose che può fare Maurizio Crozza, non il segretario del Pd”.
Orfini e Renzi sono sotto accusa, e non solo per le vicende romane: “Verso quale partito stiamo andando?”, chiede Marco.
“Io ho dei dubbi quando Renzi fa una legge sul falso in bilancio ma esclude le valutazioni dal perimetro del reato”. La dimostrazione che non è solo il caso Roma a tenere in fibrillazione il partito.
Quel partito che manca di “un piano strategico che dia un’anima alla città , quel partito che ha un problema di fiducia”, sottolinea Barca, ” a prescindere dalle persone che sceglierà  di appoggiare in futuro”. Perchè prima delle persone devono venire “i contenuti”.
Eppure a proposito di persone, proprio il nome di Barca è circolato per il dopo-Marino. Nicola, un altro militante, nel suo intervento prova a sollecitare la sua candidatura: “Noi ora ci aspettiamo che dopo tutto questo, tanti dirigenti del Pd si propongano per raccogliere l’eredità  lasciata a Roma dal Pd, anche da te ce lo aspettiamo Fabrizio”.
Il messaggio è chiaro, ma Barca con un gesto della mano come per dire ‘siete pazzi’ non lascia spazio a molte speranze. Risposta esaustiva.
A Trastevere, come ha detto il segretario del circolo Bitonti in apertura dell’assemblea, “il senso di smarrimento è tanto”.

(da “Huffingtonpost”)

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POLITICA SENZA SOLDI: C’ERA UNA VOLTA LA “CASA” DEL PARTITO

Novembre 4th, 2015 Riccardo Fucile

DA PIAZZA DEL GESU’ A BOTTEGHE OSCURE, DA PIAZZA IN LUCINA A VIA BELLERIO: TUTTO FINITO

Il nome di Forza Italia sarà  comunque per sempre legato a un altro indirizzo, via dell’Umiltà  36, sede degli anni d’oro. Cinque piani più magazzini nel sotterraneo.
Il partito azzurro vi si trasferì nel ’98 (da un altro civico nella stessa via), Scajola coordinatore.
Il palazzo sprizzava berlusconismo perfino nella sala d’aspetto, dove c’era una vetrinetta con tutti i gadget.
Nel 2005, in pieno slancio cristianodemocratico, Berlusconi volle commemorare con una targa quel luogo, dove pare che nel 1918 Don Luigi Sturzo concepì il Manifesto ai Liberi e Forti.
Quel palazzone dietro Fontana di Trevi è tappa irrinunciabile per un ideale tour nei luoghi della politica sepolta.
Che non può non toccare via del Corso 476. Oggi vi campeggia il logo Nike, che ha aperto uno store.
Fino ai primissimi anni ’90, invece, si affacciava dai muri un altro brand – perchè lo era in popolarità  e attrattiva – quello del garofano.
Lì c’era il cuore pulsante del Psi di Craxi, e quelle stanze furono espressione accesa della rivoluzione anche estetica da lui impressa. Specchi, ascensori «parlanti», icone di partito sotto plexiglas.
Lo studio di Craxi all’ultimo piano. Tutto edonisticamente figlio degli anni ’80 della Milano da bere e della Roma conquistata.
Poi arrivò Tangentopoli e spazzò via tutto, financo il progetto di fare in quel luogo l’appoggio romano del leader, al posto dell’abituale hotel Raphael.
E arrivò, per i pontentissimi socialisti, lo sfratto da parte dell’Inps.
Oggi in parte di quelle stanze c’è l’Aran.
Altro polo del tour è Piazza del Gesù, a Palazzo Cenci Bolognetti dove fino al ’94 ebbe la sede la Dc.
Poi, quelle stanze furono oggetto di guerre giudiziarie ed economiche tra i cespugli generati dalla deflagrazione. Piano piano, uno dopo l’altro trovarono altre sistemazioni. Tuttavia si hanno notizie di una trattativa, a fine 2014, di Angelo Sandri, leader di uno dei tanti revival Dc, con la fondazione Cenci Bolognetti per riconquistare la posizione.
Leggenda vuole che a Piazza del Gesù si scontrino il Vento e il Diavolo. Difficile capire chi abbia vinto, con la fine della Dc.
L’altro «polo» della prima Repubblica è a via delle Botteghe Oscure, numero 4. Stanze dove, come in ogni epopea politica, si intrecciarono leggenda e realtà .
L’amore tra Togliatti e la Iotti; Berlinguer, che, curvo, scriveva i discorsi solitario, tra libri e sigarette. Rubli moscoviti e nostrane valigie piene di milioni.
Compromesso storico e questione morale. Finì tutto ai tempi del Pds.
Oggi c’è una sede dell’Associazione Bancaria Italiana.
Perchè, alla fine, la nemesi vince sempre.

Pietro De Leo
(da “il Tempo”)

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INTERVISTA AL DIRETTORE DEL SAN CAMILLO: “OSPEDALI AL LIMITE, DIFFICILE GARANTIRE I SERVIZI”

Novembre 4th, 2015 Riccardo Fucile

LA DENUNCIA SUI TAGLI ALLA MANOVRA

Da uno dei più grandi ospedali di Roma, il “San Camillo”, il direttore generale Antonio D’Urso pima prova a tranquillizzare: «Siamo al limite ma reggiamo. La salute dei nostri pazienti non è peggiorata, nonostante i tagli».
Poi, di fronte all’equazione “meno risorse più prestazioni da erogare” ammette: «Questa volta rischiamo di non farcela».
Nota un peggioramento della salute degli italiani dopo oltre 30 miliardi di tagli alla sanità  in 5 anni?
«Siamo al limite. Questo è vero. Ma ancora reggiamo. In Italia la quota di popolazione che dichiara di soffrire di una qualche patologia è la più bassa d’Europa e nel mio ospedale devo dire che in questi ultimi anni non abbiamo osservato un peggioramento dello stato di salute dei nostri utenti».
Medici e infermieri però si lamentano di non farcela più a furia di turni massacranti per carenza di personale. Da voi come vanno le cose?
«Paghiamo come tutti gli effetti del prolungato blocco del turnover, che per di più è generalizzato. Noi qui abbiamo carenze di anestesisti, cardiologi, medici dell’emergenza e magari in altre specialità  siamo in sovrannumero. Qui nel Lazio ogni 10 professionisti che vanno in pensione se ne sostituiscono meno di due. E questo genera anche un innalzamento dell’età  media di medici e infermieri».
Con che risvolti sull’assistenza?
«Negativi, perchè a una certa età  c’è meno disponibilità  a sacrificarsi in turni e guardie mediche. Così è difficile garantire una buona funzionalità  dell’ospedale».
Vi si accusa di continuare a sprecare, soprattutto nell’acquisto di beni e servizi…
«Per quelli non sanitari, come mense, pulizia, riscaldamento abbiamo recuperato molto grazie alle gare centralizzate. Anche per i beni sanitari, come protesi, stent, farmaci procediamo con le gare. Ma con quello che c’è…».
Nel senso?
«Che come risulta dal rapporto Crea-sanità  molti farmaci innovativi non arrivano proprio sul nostro mercato. E mi risulta che la stessa cosa valga per diversi dispositivi medici».
Le risorse diminuiscono ma ci sono da pagare i nuovi e costosi medicinali e da garantire più prestazioni con i nuovi Lea. Ce la farete?
«Siamo in difficoltà . Questa volta rischiamo di non farcela. Le Regioni dicono che il sistema rischia di saltare e dalla prima linea di un grande ospedale devo purtroppo confermare».

Paolo Russo
(da “La Stampa”)

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MAFIA CAPITALE, CONSOCIATIVISMO ALLA SBARRA

Novembre 4th, 2015 Riccardo Fucile

CLASSE DIRIGENTE CORROTTA SENZA POSSIBILITA’ DI RICAMBIO

Lo spettacolo farà  epoca. Dovessero o meno essere convocati tutti i testimoni citati dalla difesa di Salvatore Buzzi per il processo Mafia capitale che sta per aprirsi.
Nomi celebri e pesanti, praticamente una carrellata della classe dirigente che negli ultimi anni ha governato Roma facendo il bello e cattivo tempo.
Farà  epoca lo spettacolo perchè raramente in un processo di mafia si sono visti, oltre che sul banco degli imputati, anche su quello dei testimoni tanti rappresentanti delle istituzioni: ministri, sottosegretari, prefetti, sindaci, assessori e magistrati. Naturalmente, qualcuno come semplice teste, qualcun altro, tanti, troppi, per la verità , come persone direttamente coinvolte nella gestione, anzi nella malagestione del comune di Roma ( e non solo).
Certo, si dirà  che l’associazione a delinquere inchiodata dalla procura della capitale tira in ballo soprattutto le vecchie consiliature.
Con una spiccata tendenza a gettare la colpa sull’epoca Alemanno, quella dello strapotere del centrodestra. Certo, ammettono anche nel Pd, ci sono responsabilità  pure della classe dirigente democratica. Ma per carità , dice il commissario Matteo Orfini, il Pd ha fatto pulizia e sarà  in grado di assicurare un futuro tranquillo ai romani attraverso suoi nuovi dirigenti, un nuovo sindaco e tanti assessori specchiati.
Che così possano andare le cose non ne siamo proprio sicuri.
Dalla lista degli imputati e quella dei testimoni esce uno spaccato raccapricciante sui metodi di gestioni del potere a Roma.
Una gestione consociativa che vede legati in un asfissiante abbraccio ciminalità  e politica, anzitutto.
E, per quanto riguarda quest’ultima, una gestione consociativa del potere che vede accumunate destra, sinistra e centro, in una grande ammucchiata nella quale il colore politico sparisce, offuscato da quello dei soldi e del malaffare.
Ebbene, che cosa accadrà  su questo fronte? Per spazzare via le classi dirigenti inadeguate e corrotte, per mandare a casa politici e amministratori dediti al malaffare, in democrazia esiste solo una medicina oltre le manette dei magistrati.
Quella del voto, magari utilizzando un sistema elettorale in grado di garantire l’alternanza. Chi sbaglia a casa, tutti e senza sconti, e   via libera ad amministratori e politici nuovi e non compromessi.
Questo ci vorrebbe, ma così non sarà . Almeno pare.
Le forze politiche a Roma tutto sembrano orientate a fare meno che mettersi in competizione per favorire questo indispensabile processo di ricambio.
Ma quale alternanza?, già  ci dicono. Per Roma ci vuole una largo accordo politico per portare in Campidoglio un nome che sia una garanzia per tutti.
Magari Alfio Marchini, magari qualcun altro, in fondo fa poca differenza.
Quello che conta è la grande ammucchiata, sempre e solo unanimemente consonsociativa, in grado di assicurare “a ciascuno il suo” senza mettere a rischio le posizioni guadagnate dai grandi potentati economico-politici e affaristici.
Significativa in questo andazzo la proposta lanciata da Fabrizio Cicchitto, ex forzista ora nel Nuovo centrodestra: un grande listone civico capitanato proprio da Marchini con i partiti fuori, chiamati solo a sponsorizzarlo questo listone e a portare voti.
Una boutade? Solo una proposta destinata al fallimento? Può darsi.
Ma il semplice fatto che sia stata avanzata la dice già  lunga sul come quei grandi potentati potrebbero stare muovendosi per garantirsi lo status-quo e comunque la difesa degli interessi acquisiti.
Nemmeno le idee che circolano nel Pd (non solo capitolino) commissariato da Orfini e Renzi sembrano per la verità  offrire grandi possibilità  di ricambio in tema di classe dirigente.
Da Palazzo Chigi fanno sapere anzi che a Roma   sarebbe meglio cancellare persino le primarie. In modo che, insomma, sindaco e giunta (almeno se vincerà  il Pd) possano sceglierseli direttamente, esclusivamente loro. Cioè Renzi.
E i cittadini? E la loro volontà  di vedere cambiare le cose dopo la brutta pagina segnata dall’esperienza Marino?
Beh, i cittadini possono attendere, perchè loro, tra primarie cancellate e liste bloccate dell’Italicum, sono d’altra parte già  destinati a contare sempre meno.
Se non già  ridotti al silenzio.

Primo Di Nicola
(da “il Fatto Quotidiano”)

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RICICLAGGIO, ITALIA TERZO “PARADISO” IN EUROPA PER I SOLDI SPORCHI

Novembre 4th, 2015 Riccardo Fucile

SOTTO ACCUSA IL FISCO DI RENZI

L’Italia è al terzo posto nella classifica dei Paesi europei che più facilitano i riciclatori. Sul podio si trova in compagnia del Lussemburgo, da sempre porto franco per criminali della finanza, e, a sorpresa, della Germania.
È quanto racconta il report Cinquanta sfumature di fisco creativo, curato da Eurodad, un network internazionale di 46 ong internazionali (tra cui big come Action Aid e Oxfam) che si occupano di lotta all’evasione e riciclaggio. Il capitolo italiano è stato curato dall’ong Re:Common.
Il rapporto si concentra su 15 Paesi e analizza come hanno recepito la direttiva europea antiriciclaggio della fine del 2014 e come si sono attrezzati per combattere l’evasione fiscale.
Germania e Lussemburgo, ai primi due posti del ranking, durante il dibattito in Europa su come fermare chi ricicla denaro sporco, non si sono mai dichiarati a favore delle costruzione di registri pubblici dei beneficiari ultimi delle aziende e delle fiduciarie, passo fondamentale per la lotta al riciclaggio.
L’Italia a parole ci ha provato, ma non nei fatti, come afferma il rapporto.
La segretezza è pericolosa: shell company, trust, fiduciarie, holding anonime sono il nascondiglio per tutti, dagli elusori fiscali fino ai riciclatori di denaro sporco o dittatori, ricorda il rapporto, tanto che la direttiva prevede entro il 2015 che tutti gli Stati membri creino registri con gli effettivi proprietari dei trust. Un miraggio.
Lo scandalo di Swissleaks, l’inchiesta giornalistica condotta proprio un anno fa da una squadra di giornalisti dell’International Consortium for Investigative Journalism, e il precedente Offshoreleaks svelarono i nomi dei beneficiari di oltre 130mila holding anonime in cui figuravano, tra gli altri, l’ex dittatore delle filippine Ferdinand Marcos e Ilham Aliyev, rampollo della famiglia che ha costruito e governato da sempre in Azerbaijan.
Uno studio della Banca Mondiale su oltre 150 scandali finanziari nei Paesi in via di sviluppo ha mostrato come nel 70% dei casi si utilizzassero società  schermo, anonime, con sede in Paesi sviluppati.
La storia recente, come il caso della Lista Falciani, con i nomi dei risparmiatori europei della banca Hsbc che hanno portato offshore i loro risparmi, insegna che spesso sono gli stessi istituti di credito d’Europa a suggerire di schermarsi dietro società  anonime.
Per disinnescare questo meccanismo un passo fondamentale è il registro pubblico dei beneficiari ultimi, che cancellerebbe la possibilità  per le aziende di avere dei prestanome: l’Italia, come la Francia, si è sempre detta disponibile alla sua realizzazione.
Ma nei fatti, ricorda il rapporto, si è accontentata di una pubblicazione previo “legittimo interesse” di chi chiede i dati: una formula per tenerne nascosta la maggior parte.
A questo si aggiungono le preoccupazioni della Banca d’Italia, che a metà  2015 ha segnalato le transazioni sospette dei 12 mesi precedenti: 71.500, un numero in costante ascesa (nel 2013 le segnalazioni erano state 7mila in meno). Un segno tangibile del rischio riciclaggio.
L’altro grande fronte delle nuove direttive europee, la cui ricezione è caldeggiata da tutti i più importanti osservatori internazionali (vedi l’Osce, ad esempio) è quello della lotta all’evasione.
Il giudizio del report sulla politica di Matteo Renzi, riportato in un’analisi del Paese disponibile solo nella versione inglese del rapporto, è molto duro: la direzione presa dal nostro premier “solleva grossi dubbi sull’impegno a combattere effettivamente l’evasione fiscale”.
Il motivo? Il presidente del consiglio a parole ha detto che non avrebbe fatto sconti a nessuno (nel novembre 2014 diceva alla Guardia di Finanza: “Sono finiti i tempi dei furbi”), nei fatti ha creato un sistema fiscale a misura di multinazionale, fatto di accordi ad personam per scontare qualcosa sul totale delle tasse che si dovrebbero pagare. Il primo anello debole è proprio il tax ruling, l’accordo fiscale tra grande azienda e Paese.
Lo strumento è sempre più utilizzato, nonostante l’Antitrust della Commissione europea il 21 ottobre abbia considerato illeciti i vantaggi fiscali ottenuti in questo modo da aziende come la Fiat in Lussemburgo.
Secondo un advisor fiscale anonimo intervistato nel rapporto, il regolamento potrebbe diventare “un modo molto interessante per migliorare l’attrattività  degli investimenti in Italia”.
Ma a quale prezzo? Dover pagare multe salatissime come ha fatto poi il Lussemburgo dopo la condanna? Il secondo anello debole sono i “patent box”, accordi per una detassazione anche di oltre il 50% dei proventi per i big proprietari di brevetti intellettuali.
Lo strumento è sotto indagine in tutti i Paesi che già  l’hanno adottato, come Gran Bretagna e Irlanda. E l’Italia è l’ultimo Stato dell’Ue ad avere introdotto questo strumento, anche qui nella speranza di attrarre investimenti, anche forzando le regole comunitarie.
L’ultima nota dolente in materia fiscale è per gli accordi siglati con i Paesi in via di sviluppo.
Si tratta di misure che il rapporto giudica spesso inique, in cui si usano gli investimenti dei Paesi occidentali come ricatto per ottenere un regime fiscale vantaggioso nei Paesi più poveri.
Anche in questo settore, comunque, Berlino è peggio di Roma: i tedeschi in media ottengono accordi per le loro aziende che vanno a investire all’estero che prevedono sconti delle aliquote di ritenuta alla fonte di oltre 3,5 punti percentuali, “cifra ben oltre la media degli altri paesi oggetto del presente studio”, si legge nel rapporto.
In Italia la cabina di regia di questi accordi è l’Eni: i trattati si stilano a seconda dei desideri dell’azienda del cane a sei zampe.
Un esempio? A metà  2014 la società  annuncia l’allargamento dei propri interessi nella Repubblica del Congo Brazzaville, Paese dove opera dal 1968.
Poco dopo, Renzi sigla un trattato fiscale con il presidente Denis Sassou N’Guesso. I contenuti di quell’accordo, al momento, non sono ancora stati resi pubblici.

Lorenzo Bagnoli
(da “il Fatto Quotidiano”)

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