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MALI: ASSALTO JIHADISTA NELL’HOTEL DEGLI STRANIERI, DIVERSI MORTI

Novembre 20th, 2015 Riccardo Fucile

BLITZ DELLE FORZE SPECIALI, GIA’ LIBERATI 80 OSTAGGI, NE RIMARREBBERO 30 PRIGIONIERI

Un attentato jihadista è in corso all’hotel Radisson Blu di Bamako, albergo di lusso considerato il più sicuro della capitale del Mali, frequentato dagli stranieri.
170 persone, fra cui 140 ospiti e 30 dipendenti, sono stati presi in ostaggio questa mattina da un gruppo di uomini armati. 80 quelli poi rilasciati.
Almeno quattro, tra cui due maliani e un francese, sarebbero state uccise.
Le forze dell’ordine hanno stabilito nella zona un perimetro di sicurezza. L’attacco, con armi da fuoco e granate, è cominciato stamane, quando un gruppo di attentatori, a bordo di un veicolo con targa diplomatica, si sono è avvicinato all’albergo e ha cominciato a sparare contro le guardie, causando vari feriti.
Fra gli ostaggi stranieri non ci sarebbero italiani.
Molti i francesi, dipendenti di Air France e delegati di un convegno.
I terroristi stanno rilasciando chi è in grado di «proclamare in arabo la grandezza di Dio», ovvero di pronunciare la formula «Allahu Akbar».
Lo ha riferito all’agenzia di stampa Dpa una fonte della polizia maliana. Gli ostaggi messi in libertà , sono stati trasferiti in una stazione di polizia. «Ho visto dei cadaveri. È orribile», ha detto uno di loro.
Sono una trentina i cittadini francesi tenuti in ostaggio dai terroristi. Fra loro dipendenti di Air France e di una multinazionale.arebbero almeno quattro gli ostaggi uccisi dai jihadisti nell’attacco terroristico

(da agenzie)

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GUERRA ALL’ISIS: SETTE COSE PRAGMATICHE

Novembre 20th, 2015 Riccardo Fucile

PER SCONFIGGERE IL TERRORISMO NON BISOGNA FARE IL SUO GIOCO

1. Tutti gli esperti di Daesh convengono sul fatto che il Califfato ha compiuto questi attentati con l’obiettivo di scatenare un’ondata anti islamica in Europa per radicalizzare “lo scontro di civiltà ” e portare tutti i musulmani del mondo dalla propria parte.
Se ne deduce che se si cade nel tranello (quindi ci si lascia andare all’ondata emotiva anti islamica e si accetta la radicalizzazione dello scontro) si fa esattamente il gioco dei nostri nemici.
Trattasi di considerazione lineare, intuitiva, pragmatica e semplice.
2. Tutti gli esperti di Daesh spiegano che come obiettivo secondario di questi attentati lo Stato islamico aveva la speranza che l’Occidente intervenisse direttamente in Siria e Iraq per trasformare una guerra locale interislamica in una guerra totale contro gli infedeli. Anche questo quindi è un ragionamento intuitivo, facile e non ideologico: a intervenire direttamente in una guerra locale trasformandola in guerra globale si fa esattamente il gioco dei nostri nemici.
3. Le esperienze dell’Afghanistan ma soprattutto di Iraq e Libia hanno mostrato a tutti che intraprendere una guerra senza avere già  un progetto sugli assetti futuri condiviso con almeno una parte delle forze locali (e una parte che possa poi gestire la stabilità ) è una prassi che peggiora le cose, non le migliora.
Le peggiora proprio per la nostra sicurezza in Europa (l’intervento in Iraq ci ha dato lo Stato islamico, quello in Libia un casino in cui comandano i clan che gestiscono gli scafisti).
Se ne deduce che chiunque decida di mandare anche un solo drone dovrebbe prima sapere a cosa sta portando, dopo, ciò che sta facendo.
Questo è un post pragmatico, quindi non si sta dicendo che la guerra non si deve fare mai e a nessun costo: si sta dicendo che finora, nell’area, le abbiamo fatte a capocchia; e se per forza deve morire qualcuno in un conflitto, che serva rigorosamente a fare star meglio (non peggio) i popoli domani.
4. Alcuni anni fa il governo Usa inventò il termine “stato canaglia”, che attribuiva in giro in modo piuttosto arbitrario. Oggi invece sarebbe utile che l’Unione europea stendesse un bell’elenco documentato con i nomi dei Paesi che con l’Is hanno rapporti che avvantaggiano lo stesso Is: vuoi di acquisto di petrolio, vuoi di finanziamenti di altro tipo, vuoi di aiuto indiretto attraverso il bombardamento di chi combatte l’Is sul campo.
Se poi da questo elenco venissero fuori i nomi di Paesi con cui intratteniamo amichevoli rapporti d’affari, che stanno nella nostra stessa Alleanza militare (Nato) o presso i quali ci apprestiamo ad andare a giocare i mondiali di calcio, beh, ci faremmo un’idea più autentica su quello che siamo disposti davvero a pagre per combattere l’Is. Perchè quelli che aiutano Daesh oggi sono veri Stati canaglia, contro i quali dovremmo opporre tutto il nostro potere negoziale affinchè la smettano di farlo, da ora.
5. Anche questo l’ho imparato in questi giorni, non è che lo so di mio: il jihadismo che colpisce in Occidente è quasi sempre il frutto di una proiezione da parte delle seconde o terze generazioni di immigrati che immaginano un luogo ideale e utopico — il Califfato, dove spesso non sono mai stati — in alternativa a un luogo nel quale vivono un disagio sia sociale sia identitario.
Questo è giustificazionismo? No, perchè ciascuno — sia chiaro — è responsabile delle sue azioni. Ma è evidente che è indispensabile smontare questo dualismo farlocco che si è insinuato nelle menti dei giovani jihadisti europei.
E per smontarlo servono anzitutto due cose (oltre a quella del punto 1): primo, programmi di welfare nei luoghi in cui vivono (l’integrazione avviene attraverso il welfare); secondo, programmi di educazione — nelle scuole e altrove — vuoi sui valori della laicità , dell’interetnicità  e della tolleranza, vuoi su cosa comporta (per le donne, ad esempio, ma per chiunque) vivere nel sottosviluppo culturale proposto da Daesh. Allo stesso modo, serve un’educazione all’interetnicità  che parta dalle scuole primarie perchè non crescano generazioni di europei “bianchi” pregni di subcultura islamofoba o anti immigrati: infatti minor integrazione etnica causa più radicalizzazione dei figli di immigrati, più radicalizzazione porta più terrorismo.
L’antirazzismo quindi non è (più solo) un ideale etico, è una necessità  pratica. Per entrambe le battaglie culturali (quella destinata ai ragazzi di famiglie islamiche e quella destinata ai ragazzi figli di autoctoni) la pedagogia è un’arma straordinaria di cui però ci dimentichiamo spesso, forse perchè i suoi risultati arrivano nel lungo termine, cioè quando sarà  fisiologicamente finito il ciclo elettorale degli attuali governanti.
6. Come dimostra tutta la storia di Israele (compresi i fatti più recenti), il controllo assoluto e militarizzato del territorio — dai supermarket agli stadi, dagli aeroporti ai concerti — non è una garanzia di sicurezza per i civili se sei circondato dall’odio.
Se qualcuno ti odia — ancor più se tanti ti odiano — il modo di ammazzarti lo trovano, specie se hanno in scarsa considerazione il valore della propria vita.
Quindi possiamo benissimo chiudere le frontiere, far alzare gli elicotteri e far girare poliziotti a cavallo tutto attorno al Colosseo come ho visto stamattina: e se ci fa sentire un po’ più tranquilli nell’immediato, è un placebo che non mi scandalizza.
Ma sul medio e lungo termine, se vogliamo garantire ai nostri figli di vivere in sicurezza, l’unica strada da percorrere è lavorare contro l’odio — e le sue motivazioni, le sue radici — fino a debellarlo.
7. Tutte le esperienze e le ricerche dimostrano che la sorveglianza di massa sulla rete (modello Nsa) non ha un rapporto costo-beneficio conveniente: è come sparare migliaia di cannonate in cielo per cacciare un canarino. E questo al netto dei costi in termini di diritti civili.
È invece dimostrato che lo spionaggio on line funziona solo se è mirato (ad esempio, su chi immette contenuti filojihadisti e sui suoi contatti) e incrociato con forme di intelligence tradizionali (intercettazioni telefoniche, infiltrati etc).
Chiunque voglia cogliere l’occasione del 13 novembre per riproporre forme di sorveglianza virtuale di massa sta mentendo sapendo di mentire: non gli interessa la guerra all’Is ma, appunto, la sorveglianza di massa.

(da gilioli.blogautore)

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“NOI IN PIAZZA CONTRO ISIS DA CITTADINI FRANCESI”: INTERVISTA AL FONDATORE DEL PARTITO MUSULMANO FRANCESE

Novembre 20th, 2015 Riccardo Fucile

“BASTA POPULISMO E SI’ ALLA LAICITA'”….”MA CHIUDERE LE MOSCHEE E CHIEDERE ALLE DONNE DI TOGLIERE IL VELO SONO SOLO RICHIESTE CHE ALIMENTANO L’ODIO”

In piazza contro l’Isis ci vogliono andare come cittadini “francesi” e non solo come musulmani. Predicano la battaglia per la laicità , chiedono di non essere visti come colpevoli degli attentati a Parigi e hanno scritto al presidente della Repubblica perchè si lavori per “una politica di coesione nazionale contro i populismi”.
Il partito Unione dei democratici musulmani di Francia è nato nel 2012, per ora ha solo quattro consiglieri municipali nella regione parigina, ma sogna di poter ottenere più seggi alle prossime elezioni regionali.
Nagib Azergui, fondatore e segretario, definisce assurde le teorie che vedono in futuro l’Islam al governo (come ad esempio ha immaginato lo scrittore Houellebecq) e di fronte agli attentati del 13 novembre scorso accusa i politici di aver esasperato il clima.
“Chiudere le moschee, chiedere alle donne di togliere il velo: sono solo richieste che aumentano l’odio e favoriscono la nascita degli estremismi. I musulmani sono parte della nazione e devono essere protetti dallo Stato”.
Serve una mobilitazione dei musulmani contro l’Isis?
Lunedì sono andato in place de la Rèpublique per il minuto di silenzio in memoria delle vittime. Ma non ero là  perchè sono musulmano: è quasi un’offesa doverlo specificare. Sono sceso in piazza come essere umano, cittadino e padre di famiglia. Bisogna ricordare che i musulmani fanno parte della nazione, sono integrati, contribuiscono alla vita attiva. Negli attacchi del 13 novembre tutti sono stati colpiti.
Quale soluzione proponete?
Noi abbiamo scritto al presidente della Repubblica Hollande. Vogliamo creare un fronte repubblicano che promuova una politica di coesione nazionale: basta con le dichiarazioni di parlamentari e ministri che esasperano il clima. Dall’attentato di Charlie Hebdo cosa è cambiato? Io ricordo solo l’ex ministro Nadine Morano dire che la Francia è ‘un Paese di razza bianca’.
Quindi accusate i politici di aver fomentato l’estremismo?
I musulmani sono parte della nazione e devono essere protetti dallo Stato. In questi mesi è aumentato ancora di più l’odio nella società . E così nascono gli estremismi. La prima reazione di Hollande dopo gli ultimi attentati è stata quella di chiedere che fossero chiuse le moschee. Questo serve a calmare gli animi o fa crescere la rabbia? Penso che non ci siamo fatti le buone domande.
Parlare di integrazione e poi fare un partito per musulmani non è una contraddizione?
Il nostro partito non è confessionale. La parola “musulmano” la usiamo perchè è diventata un argomento politico in Francia e noi vogliamo lottare contro i clichè. Non siamo qui per islamizzare nessuno: il nostro è un Paese laico e noi lo rispettiamo.
Cosa ne pensano le altre forze politiche?
Avremmo voluto che si unissero con noi in questa difesa della laicità . Ma purtroppo vediamo che i principali partiti politici, anche l’estrema sinistra, cercano di superare da destra il Front National.
Molti hanno visto in voi la realizzazione delle previsioni immaginarie di Houellebecq, ovvero la Francia governata dall’Islam.
E’ una teoria del complotto che abbiamo sentito da molti. E’ assurdo. Noi cerchiamo di fare un lavoro pedagogico per la nazione. La laicità  non vuol dire combattere le altre religioni: è uno strumento per combattere le diseguaglianze. E’ un valore fondamentale e lo Stato ne deve essere il garante.
Secondo voi la laicità  è in pericolo?
Sì. Tanto per fare un esempio: una persona con il velo non rappresenta una minaccia all’ordine pubblico, ma molti pensano il contrario. Assistiamo sempre di più a fenomeni di razzismo religioso e culturale, ma se vogliamo combattere il radicalismo, se vogliamo che quello che è successo il 13 novembre non succeda mai più, serve la solidarietà . Ora il Paese ha paura dei musulmani perchè sono visti come colpevoli degli attentati. Ma non si può per paura dimenticare che tutti abbiamo diritto a praticare la nostra religione.
La vostra battaglia è solo in Francia?
Servirebbe un partito come il nostro in molti Paesi. L’Europa è minata da politiche populiste. Oserei dire che i musulmani sono come gli ebrei, la storia si ripete. Noi lavoriamo perchè si possano evitare gli errori che altri hanno compiuto.

Martina Castigliani
(da “il Fatto Quotidiano“)

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I GIUBBOTTI ANTIPROIETTILE SONO POCHI E SCADUTI

Novembre 20th, 2015 Riccardo Fucile

ALTRO CHE ROBOCOP: ABBIAMO SOLO 12.000 PETTORINE DI PROTEZIONE (DI CUI VALIDE SOLO 3.300) …E A ROMA PER IL GIUBILEO GLI AGENTI SARANNO 24.000

Saranno pure 24 mila solo a Roma e solo per il Giubileo, come ha annunciato il ministro Angelino Alfano, ma il numero in sè non è una garanzia di maggiore sicurezza.
Almeno per loro stessi. Perchè tra questi 24 mila uomini delle forze dell’ordine, i poliziotti presenti per le strade della Capitale non hanno un giubbotto antiproiettile in corso di validità .
Il Dipartimento di Pubblica sicurezza non ha potuto rinnovare la fornitura dell’equipaggiamento di salvataggio degli agenti, a causa di una “carenza ‘cronica’ costante di fondi negli anni”.
E così, degli appena 12 mila ancora in circolazione (in tutta Italia, non a Roma), soltanto 3.300 sono ancora validi.
Come tutto l’equipaggiamento, i giubbotti antiproiettile (Gap) hanno una data di scadenza: vanno utilizzati per dieci anni, e poi l’amministrazione “deve procedere alla loro sostituzione”.
È scritto nero su bianco in una determina del Dipartimento nella quale, in fretta e furia alla fine dello scorso anno, si provvede a un approvvigionamento di 2.300 Gap con una “procedura negoziata” con la società    Nfm Production Sp.z.o.o, “risultata aggiudicataria della gara aperta indetta dal Comando generale della Guardia di finanza”.
Per capire meglio la questione bisogna andare indietro nel tempo: grazie alle “ingenti risorse finanziarie” disponibili fino al 2003, in quello stesso anno il Dipartimento stipulò un unico contratto con la Società  Rabintex, scelta per la fornitura di 19.733 giubbetti a uso esterno, quelli da indossare sopra la divisa.
Di questi, diecimila erano per il 2004, 8.733 per il 2005 e mille per il 2006.
“Nel 2005 — scrive l’amministrazione — si sono tuttavia esauriti i relativi stanziamenti a disposizione”. Colpa dei tagli e delle scarse risorse a disposizione della polizia tante volte denunciate dai sindacati degli agenti.
In particolare, ammette il Dipartimento, “l’ordinario capitolo di Bilancio degli Equipaggiamenti speciali — sul quale imputarne la spesa — non è mai risultato sufficientemente capiente”.
Il Viminale indica anche le cifre a disposizione: nel 2011 risultavano poco più di un milione e 900 mila euro; nel 2012 due milioni e 800 mila euro; nel 2013 tre milioni e 200 mila euro ; e nel 2014 cinque milioni e 300 mila euro (due milioni dei quali per Expo).
Se consideriamo che ogni giubbotto costa in media 750 euro, i conti sono presto fatti: per rinnovare l’equipaggiamento “si sarebbe dovuto disporre nei tre anni di 7,3 milioni di euro solo per tali beni, con uno stanziamento aggiuntivo pari a 2,5 milioni di euro”.
Soldi che ovviamente non sono mai arrivati.     Anzi: con le necessità  della spending review cui anche la Polizia è stata sottoposta, nel corso del 2014 si è pensato bene di rivedere il “quadro esigenziale”: si è considerato che non sarebbero più stati necessari 19.733 Gap, ma appena 11.200, “cui occorre aggiungere una quota di riserva strategica pari a 800 giubbetti, in vista anche delle esigenze legate all’evento Expo 2015”.
Dodicimila in tutto, dunque, anche perchè — si giustifica il Viminale — bisogna prendere in considerazione la scomodità  del giubbetto esterno rispetto a “quello morbido sottocamicia” .
Cosa è successo, dunque? Che nel frattempo i 10 mila Gap acquistati nel 2004 sono scaduti nel 2014, come prevede la normativa.
E quindi sono stati ritirati, dopo che il caso è stato sollevato lo scorso anno dal Silp Cgil. Gli altri 8.733 del 2005 stanno per scadere e gli ultimi mille di quell’appalto dovrebbero essere ritirati nel 2016.
Pochi giorni fa la segreteria provinciale del Silp ha scritto nuovamente al questore di Roma, Niccolò D’Angelo, per sapere “se la dotazione dei Gap della Questura contiene dispositivi con fabbricazione 2005 o 2006”e cosa intende fare per garantire la sicurezza degli operatori nel caso in cui i giubbotti scaduti dovessero rimanere in dotazione.
Nessuno sa bene cosa potrebbe accadere se un poliziotto venisse colpito da un proiettile mentre indossa un giubbotto scaduto. Ci si augura nulla, ovviamente.
E le tanto annunciate misure d’urgenza all’indomani degli attentati di Parigi?
Per il momento, alla voce Gap non c’è assolutamente niente. Il 12 agosto scorso, rendendosi conto che si andava incontro al Giubileo, il Dipartimento ha indetto una nuova gara europea per la fornitura di 10 mila giubbotti più altri 5 mila nei prossimi due anni.
Urgenza? Nessuna. Il bando si sarebbe dovuto chiudere il 9 ottobre, ma la scadenza è stata prorogata di un mese.
Con un’accortezza: i nuovi Gap dovranno essere anche antitaglio (a differenza di molti dei precedenti): perchè, se l’Isis colpisce con bombe e proiettili, i criminali comuni usano ancora, e spesso, anche i coltelli.

Silvia D’Onghia
(da “il Fatto Quotidiano”)

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MARINE LE PEN SCOMUNICA SALVINI: “CHI CONFONDE TERRORISTI E ISLAM E’ UNO STRONZO”

Novembre 20th, 2015 Riccardo Fucile

INTERVISTA AL CAPOLISTA DEL FRONT NATIONAL A PARIGI: “MUSULMANI RISPETTINO LA LAICITA’, MA CERTE DICHIARAZIONI DA NOI SONO IMPOSSIBILI”

“Chi confonde i terroristi con la maggior parte dei musulmani è uno stronzo. E mai il Front National avrebbe potuto usare l’espressione ‘bastardi islamici’: abbiamo una responsabilità  politica”.
Wallerand de Saint-Juste è il capolista del Fn per le prossime elezioni per la regione parigina.
Avvocato di Jean-Marie Le Pen, tesoriere del partito e cattolico tradizionalista (che però ha deciso di non schierarsi contro i matrimoni gay), è lui che Marine Le Pen manda avanti per commentare gli attentati del 13 novembre scorso.
A due giorni dalla fine del lutto nazionale riprende la campagna elettorale e il partito che vola nei sondaggi difende la sua nuova veste istituzionalizzata.
No agli attacchi diretti e fuori dalle righe, sì al pugno duro contro “il lassismo dello Stato”. De Saint-Just chiede di commissariare la banlieue di Saint-Denis, dove è stato trovato il covo della presunta mente delle stragi, ma si dissocia da chi accusa tutti i musulmani. “Sono cittadini francesi come gli altri che devono rispettare le regole di laicità . Ma chi li confonde con i terroristi è uno stronzo”.
E sulle dichiarazioni di alcuni politici e giornalisti in Italia (da Matteo Salvini al deputato Gianluca Pini fino al titolo di Libero: “Bastardi islamici”) dice: “Abbiamo una responsabilità  e non possiamo pronunciare quelle parole, nemmeno di fronte a degli assassini”.
C’è chi accusa il Front National di aver alimentato il clima di odio che favorisce il radicalismo islamico.
E’ scandaloso, non è mai successo. Se il nostro partito non esistesse, la situazione sarebbe molto più critica. E’ chiaro che una delle cause principali di questo dramma sono le politiche che porta avanti la Francia da 40 anni. La gestione dei quartieri è fallimentare e il radicalismo islamico è come un pesce nell’acqua.
Secondo voi lo Stato sapeva ma non è intervenuto?
Gli attentati di venerdì 13 novembre sono il risultato del lassismo del governo e di politiche complici. Da anni sappiamo che ci sarebbe stato un attacco simile. Questa è l’incompetenza francese: dalla strage di Charlie Hebdo di gennaio l’esecutivo era stato avvertito. E che cosa è stato fatto? Sono stati creati un numero di telefono e un sito internet. Niente di più.
Voi invece cosa proponete?
Intanto il commissariamento della banlieue di Saint-Denis. Poi a livello nazionale abbiamo quattro proposte: smettere di armare l’Isis in Siria, espellere tutti gli islamisti radicali che hanno una “fiche S” (potenzialmente pericolosi per la sicurezza dello Stato ndr), chiudere le frontiere e riarmare le forze di sicurezza. La giustizia vuole fare il suo lavoro, ma non ha mezzi.
Rappresentanti della comunità  musulmana dicono che chiedere di togliere il velo o chiudere le moschee aumenta la tensione.
Quelle persone non sono rappresentative: sono dei radicali. Noi sappiamo che la maggior parte dei membri della comunità  non è così. Il burqa è uno dei simboli dello Stato islamico. E i musulmani in Francia sono d’accordo che l’islamismo radicale deve essere combattuto nelle sue espressioni terroriste, comunitariste e di oppressione. Ovvero quelle che si trovano nella maggior parte delle banlieue.
Il fondatore del partito musulmano in Francia dice che laicità  significa poter essere liberi di praticare il proprio culto.
Anche lui è un radicale. In tutti Paesi il potere politico ha controllo sulle pratiche religiose. Se un prete si mette a fare quello che vuole, viene sanzionato e la chiesa chiusa. Vogliono convincermi che non possiamo farlo con l’Islam? Chi dice così ha una responsabilità  diretta nelle morti di venerdì 13 novembre.
I musulmani francesi si lamentano di un clima di diffidenza e discriminazione, voi cosa rispondete?
I musulmani francesi non dicono questo. Sono domande provocatorie.
Conoscete la Lega Nord?
Poco. Siamo due partiti diversi e ognuno fa la sua campagna nel suo Paese. Noi diciamo ai musulmani: voi siete francesi come gli altri e dovete rispettare le regole della laicità , e se farete così tutto andrà  meglio. Ma non dobbiamo fare alcuna confusione tra l’Islam radicale dei terroristi e la maggioranza dei musulmani. Quelli che dicono il contrario sono degli stronzi.
Il leader della Lega Nord ha detto che i pacifisti sono complici dei terroristi. Un deputato ha aggiunto: “Chi mi parla dell’Islam moderato lo prendo a calci in culo” e il giornale “Libero” il giorno dopo gli attacchi ha titolato: “Bastardi islamici”.
Dichiarazioni simili in Francia? Non sarebbero possibili. Noi politici abbiamo una responsabilità  e non possiamo esprimerci così. Nemmeno di fronte agli assassini. Mai. Non vale la pena. E’ chiaro che i giovani in Francia sono pieni di rabbia e gli animi sono molto tesi. Ma la funzione dei partiti è quella di canalizzare questo tipo di sentimento. Noi permettiamo alle persone di esprimersi democraticamente.
Lei è candidato alle prossime Regionali, se viene eletto cosa intende fare per prima cosa?
Bisogna riprendere in mano la gestione dei quartieri: bisogna ripartire da zero. Servono almeno 20 anni.
Nella pratica?
Ora devo proprio andare.

Martina Castigliani
(da “il Fatto Quotidiano”)

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“SOLO DA MILANO 15 COMBATTENTI VERSO LA SIRIA: JIHADISTI TRA LOMBARDIA E VENETO, ALTRO CHE PROFUGHI

Novembre 20th, 2015 Riccardo Fucile

IL FRONTE CALDO DEL TERRORISMO STA IN PADANIA: UN CAMERIERE SUI NAVIGLI, UN IMBIANCHINO DI LONGARONE E ANCHE UNA RAGAZZA

Da Milano a Padova. Da Inzago ad Arzegrande.
Comune dopo Comune, il fronte del jihad in Italia sta a nord del Po, in terra padana con casacca leghista.
In quei paesi dove i cittadini “perbene” si armano, sparano e (a volte) uccidono i ladri venuti dall’est.
Applaude il nuovo Carroccio di Matteo Salvini. Partito distratto che per raggranellare voti cavalca l’emozione e dimentica la realtà  con decine di persone che cedono al proselitismo di Daesh (acronimo arabo dell’Islamic State).
Italiani o stranieri (da anni residenti nel nostro paese) che a un certo punto decidono di partire per combattere in Siria. Ragazzi e ragazze, giovanissimi, agganciati in Internet, impigliati nella rete social di Daesh che gli investigatori definiscono “carta moschicida”.
Eccola allora, l’ultima fotografia del nuovo Lombardo-Venistan per come emerge dagli atti d’indagine degli esperti dell’antiterrorismo e dell’intelligence.
Milano, in quindici partiti per la Siria
Milano, zona Navigli con il trucco rifatto per Expo. Il giovane maghrebino serve ai tavolini di uno storico locale dell’Alzaia. Ne ha girati tanti. Suo fratello, invece, spaccia droga nel vicino suk di via Gola. Mazzette da dieci euro in tasca.
Buona parte le invia in Siria per sostenere il Califfato. Il fratello, invece, fa di più. A un certo punto decide di partire per la Siria. Lascia Milano e la sua precarietà . Diventa un combattente. Morirà  circa un anno fa nei pressi di Raqqa.
“Non è l’unico — ragiona una fonte qualificata dell’intelligence — a Milano negli ultimi due anni abbiamo notizia di almeno 15 persone che hanno deciso di andare in Siria a combattere”.
Uno di loro, mesi fa, ha lasciato il suo appartamento popolare di via Mar Jonio in zona San Siro per diventare un foreign fighter.
Quartiere per quartiere, dunque, con una particolare attenzione per le aree toccate dalla linea 2 della Metropolitana milanese. Una tratta che per gli esperti dell’antiterrorismo ha “priorità  1”.
“Questo perchè — si ragiona — sia in partenza che in arrivo ha stazioni all’aperto e poi perchè tocca zone ad alta densità  islamica”.
E del resto il capoluogo lombardo è l’unico in Italia ad aver assistito all’azione di un lupo solitario. Era il 2009 quando Mohamed Game, ingegnere libico, tentò di farsi esplodere all’interno della caserma Santa Barbara di piazzale Perrucchetti.
Nelle ultime settimane, poi, secondo fonti dell’antiterrorismo, altri due combattenti lombardi sono partiti. Attualmente in tutta la regione c’è un monitoraggio particolare su cinque persone.
“Significa che abbiamo intercettazioni sia telefoniche che telematiche”, spiega una qualificata fonte investigativa. Per tutti attualmente non vi è iscrizione di reato.
Il monitoraggio però ha già  fotografato alcuni indizi: una vita riservata tutta famigliare e grande attività  sul web. “In particolare — ci viene spiegato — guardano prediche jihadiste e video di combattimenti”.
Si osserva e si ascolta in attesa di capire “se le persone vogliono partire o attivarsi qui in Lombardia”. Partire come ha fatto Maria Giulia Fatima Sergio, la ragazza di origini campane cresciuta a Inzago in provincia di Milano.
Fatima è in Siria da tempo e con lei avrebbe voluto anche i genitori, bloccati poco prima della partenza dall’indagine del procuratore aggiunto Maurizio Romanelli.
È il giugno scorso e dagli atti d’inchiesta, che corre veloce verso il processo, emerge la figura del “coordinatore di volontari” pronti a partire per l’Islamic State. In mano gli investigatori hanno un numero di telefono e un nome presunto.
Ma soprattutto decine di tabulati da ogni parte d’Europa, Italia compresa, di persone che vogliono partire e attendono istruzioni.
La rete moschicida del Califfo nel nord-Est
Ben a nord del Po, il Veneto, più della Lombardia, rappresenta la terra di Leghistan. Oggi sono in corso 15 indagini per terrorismo.
Secondo un report della polizia francese Venezia rappresenta una via d’ingresso in terra transalpina. I terroristi potrebbero salire sul Thello, il treno che ogni giorno parte dalla Laguna per la Gare de Lyon. Proselitismo. Anche nelle scuole.
Nel luglio scorso il sistema informatico del liceo scientifico Nievo di Padova è stato hackerato.Sulla home page del sito è comparsa la scritta “Maroccan Islamic Union-Mail”.
Fino all’estate scorsa, invece, Meriem Rehaily 19enne di origini marocchine, frequentava l’istituto De Nicola di Piove di Sacco, poi è sparita nel nulla.
Ai genitori ha detto: “Vado al mare con le amiche”. Secondo le indagini dell’antiterrorismo è partita dall’aeroporto di Bologna per arruolarsi nell’Is. Partita anche la tunisina di 18 anni, residente a Treviso, Sonia Khediri.
Stessa strada seguita dall’imbianchino bosniaco Ismar Mesinovic che viveva a Longarone. Mesinovic è partito alla fine del 2013 ed è morto ad Aleppo.
Prima di arruolarsi aveva ascoltato le prediche jihadiste dell’imam Hussein Bosnic. Nel nord-Italia il Daesh segue un fronte preciso: nuovi combattenti e lupi solitari come il tunisino Lasaad Briki che progettava di colpire l’aeroporto militare di Ghedi e su Twitter scriveva: “Siamo nelle vostre strade, i nostri coltelli sono pronti alla macellazione”.

Davide Milosa
(da “il Fatto Quotidiano”)

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ARIDATECE MARINO

Novembre 20th, 2015 Riccardo Fucile

IL GIUBILEO SECONDO RENZI E SOLO UNA SLIDE, QUATTRINI SOLO ANNUNCIATI E SUPERPOTERI NON PERVENUTI

Il 13 marzo 2015 papa Francesco annuncia a sorpresa il Giubileo straordinario della Misericordia: si parte l’8 dicembre.
Il premier Matteo Renzi commenta: “Sono sicuro che, come già  nel 2000, Roma si farà  trovare pronta: l’Italia, che quest’anno ospita l’Expo, saprà  fare la sua parte anche in questa occasione”.
Il 14 marzo il sindaco Ignazio Marino propone “una gestione minimalista dell’evento, senza sfarzi nè grandiosità :come, conoscendolo, vorrebbe il Papa. Avremo costi straordinari”. E ricorda che il 27 aprile 2014, per la beatificazione di Paolo VI e Giovanni Paolo II, arrivarono in città  1,5 milioni di pellegrini e quella giornata costò 7 milioni di euro, quindi “Roma deve ricevere risorse straordinarie. Il governo ci ha promesso un allentamento dei vincoli del patto di stabilità  degli enti locali, che ci permetta di poter investire risorse già  a disposizione ma bloccate dal patto”.
Il governo conferma: basteranno 30 milioni per opere di ordinaria manutenzione.
Ma il 15 marzo già  si litiga sull’idea dei renziani di espropriare Marino e far gestire il Giubileo da un commissario straordinario (si parla di Francesco Rutelli, che però si sfila).
Orfini e Marino, all’unisono, rispondono picche: basta il sindaco Marino.
Il ministro Angelino Alfano assicura che “la cabina c’è già , al Viminale” e presto “saranno costituti gruppi di lavoro ad hoc”.
Poi, per cinque mesi, non se ne parla più. Fino al 6 agosto, quando il vicesindaco Marco Causi annuncia che Renzi varerà  il decreto Giubileo nel Consiglio dei ministri del 27 agosto, “sia per la parte ordinamentale della vicenda Giubileo (le deroghe normative necessarie a stringere i tempi delle opere) sia per quella organizzativa e per le altre richieste della giunta per attrezzare la città  a questo straordinario appuntamento. Confidiamo che ciò permetta di affrontare, pur in tempi davvero stretti, gli impegni del Campidoglio per il Giubileo”.
In effetti il Giubileo è stato annunciato da 150 giorni e non c’è ancora un euro (nemmeno i 30 miseri milioni promessi) nè un progetto.
Il 27 agosto il governo non vara alcun decreto, con la scusa che Marino è in vacanza (peccato che i decreti li faccia il governo,non il sindaco).
Tra un“fare in fretta” e un “non c’è un minuto da perdere”, se ne va un altro mese e mezzo.Finchè l’8 ottobre, di buon mattino, Renzi ordina a Orfini di cacciare Marino. Che si dimette in serata, annunciando però che potrebbe ripensarci.
Il 19 ottobre il premier garantisce al Tg5: “Certo che ce la facciamo per il Giubileo. Ci dicevano che non ce la facevamo con Expo e invece oggi registriamo lunghissime code. Sono assolutamente certo che, grazie anche all’ottima collaborazione con il Vaticano, porteremo a casa dei risultati evidenti di buona amministrazione per sistemare al meglio il Giubileo e magari, perchè no, per investire anche su Roma che si merita un po’ più di cura e di attenzione”.
Quindi fa il decreto? No che non lo fa. C’è tempo: ben un mese e mezzo al via. Hai voglia. Il 31 ottobre, sciolto il Consiglio comunale davanti al notaio dopo che Marino ha ritirato le dimissioni, arriva il commissario scelto da Renzi: il prefetto di Milano Francesco Paolo Tronca, che incontra il Papa ancor prima del premier e giura: “Adatterò il modello Expo per il Giubileo”.
Stampa e tv lo inseguono anche alla toilette,dipingendolo come un supereroe.
Poi il governo fa sapere che Tronca non si occuperà  del Giubileo, affidato in esclusiva a un altro commissario, ovviamente straordinario: il celebre super-prefetto Franco Gabrielli, con tanto di Dream Team e Cabina di Regia scelti da Renzi in persona, che da Palazzo Chigi dirigerà  personalmente le operazioni con la sola forza del pensiero (“Ridaremo fiducia alla Capitale”).
La dipartita di Marino fa il primo miracolo: i soldi “pronti subito” per il Giubileo decuplicano da 30 a 300milioni. Wow!
Del decreto con stanziamenti e destinazioni, però, nemmeno l’ombra.
Tanto c’è tempo: ben cinque settimane.
Il 4 novembre, 34 giorni prima dell’apertura dell’Anno Santo, Renzi fa sapere che “il Giubileo non sarà  un grande evento, ma un’occasione dedicata agli ultimi, al valore delle periferie”. Ecco: le periferie.
E i soldi? Secondo alcuni giornali saranno 300 milioni, secondo altri 200, o forse 150. Comunque arrivano, dà i. Intanto Tronca e Gabrielli litigano sulla ripartizione dei compiti.
Il Dream Team sfuma, il super-commissario straordinario attende sempre la nomina, e si stenta a notare anche il commissario ordinario, Tronca, già  praticamente evaporato (per dire: decide la domenica senz’auto ma si dimentica di comunicarlo alla cittadinanza, mentre tutti continuano a consultare lo staff di Marino non sapendo con chi parlare).
Il decreto invece è annunciato per il 13 novembre, e secondo la stampa viene addirittura varato.
Renzi, mattacchione, lo chiama “Decreto Happy Days”. Purtroppo, nella migliore tradizione orale da Omero ai giorni nostri, non c’è il testo.
Solo una slide affidata ad aruspici, indovini, lettori di labbra e fondi di caffè. Ai quali par di capire che per il Giubileo ci sono 200 milioni, ma non subito, con calma.
E i superpoteri all’Arcangelo Gabrielli? E il Dream Team? Non pervenuti.
Tanto c’è tempo: ben tre settimane, roba che se fai un buco non ce la fai neppure a riempirlo.
Intanto a Parigi accade una cosetta da niente e in Germania rinviano persino le partite amichevoli. Ma in Italia guai a mettere in dubbio il Giubileo.
Santità , guardi come siamo ridotti. Si metta una mano sulla coscienza. Ci faccia la grazia.

Marco Travaglio
(da “il Fatto Quotidiano”)

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SUPER TRONCA, TANTE CORONE E NIENTE DI RISOLTO

Novembre 20th, 2015 Riccardo Fucile

ROMA: IL COMMISSARIO BRANCOLA NEL BUIO, NON SI CAPISCE CHI DECIDE SU COSA

Dice Francesco Paolo Tronca che “un prefetto non deve mai essere preoccupato, perchè altrimenti la preoccupazione alla fine si trasforma in negatività ”.
Così, il successore “straordinario” di Ignazio Marino non si preoccupa. E poco importa se nelle sue due prime settimane in Campidoglio, la “negatività ” lo ha seguito come un’ombra.
Colpa del calendario, si dirà : ma dal 1 novembre a oggi, il commissario chiamato a rimettere in piedi Roma ha passato la maggior parte del suo tempo a deporre corone.
Due volte al cimitero del Verano, poi gli omaggi di rito alla Sinagoga, alla lapide di Porta San Paolo e alle Fosse Ardeatine,poi all’Altare della Patria per la festa delle forze armate, di nuovo a messa, stavolta all’Ara Coeli, per ricordare i caduti di Nassiriya, infine la tragedia di Parigi: e pure qui, c’è chi nota che il Campidoglio, anzichè colorarsi del tricolore francese,ha preferito spegnere prima la Fontana di Trevi e poi il Colosseo.
Il buio a Roma, in effetti, non è per niente passato.
Quindici giorni sono nulla, sia chiaro, ma i poteri taumaturgici che sembrava possedere il prefetto, al momento, non si intuiscono nemmeno.
Le cronache di inizio mese celebravano “l’entusiasmo”, “l’orgoglio”, l’assenza di “tentennamenti”.
Ma il “buongiorno” alla città  che Tronca ha dato il primo novembre dal balconcino affacciato sui Fori imperiali per ora non si è tradotto in nulla di concreto.
Ha spostato la scrivania, sostenendo che là  dove stava con Marino era a rischio cecchini. E pare sia lì seduto a “scremare le priorità  tra le priorità ”.
Ha incontrato i sindacati, ma non gli ex consiglieri comunali che volevano tentare di non buttare all’aria il lavoro degli ultimi due anni.
Non ha ancora nominato le posizioni apicali dell’amministrazione, salvo riconfermare il capo del cerimoniale, lo stesso Francesco Piazza che accompagnò Marino nell’infausto viaggio a Filadefia.
Secondo mandato anche per Rossella Matarazzo, dirigente della polizia di Stato che era già  vicecapo di gabinetto del sindaco Pd.Così,paradossalmente, chi oggi vuole interloquire con il Campidoglio è ancora costretto (e, a questo punto, non è detto che sia un male) a parlare con chi faceva parte dello staff     di Ignazio Marino, lo sfiduciato.
Ma le risposte scarseggiano.
Per dire: i direttori dei teatri romani dal giorno degli attentati a Parigi aspettano che qualcuno li convochi per capire come gestire la sicurezza (non sarà  competenza del Campidoglio, ma almeno una telefonata la gradirebbero).
Oppure: da ieri è chiuso lo “stadio”diCaracalla,unimpianto sportivo appena messo a nuovo.
La Federazione atletica leggera aveva avuto rassicurazioni sul fatto che una soluzione transitoria si sarebbe trovata, nonostante le dimissioni del sindaco: “Ma l’avvento del commissario Tronca ha bloccato ogni procedura: oggi negli uffici capitolini sembra non esserci nessuno che può prendersi la responsabilità  di decidere”.

Paola Zanca
(da “il Fatto Quotidiano”)

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