GUERRA ALL’ISIS: SETTE COSE PRAGMATICHE
PER SCONFIGGERE IL TERRORISMO NON BISOGNA FARE IL SUO GIOCO
1. Tutti gli esperti di Daesh convengono sul fatto che il Califfato ha compiuto questi attentati con l’obiettivo di scatenare un’ondata anti islamica in Europa per radicalizzare “lo scontro di civiltà ” e portare tutti i musulmani del mondo dalla propria parte.
Se ne deduce che se si cade nel tranello (quindi ci si lascia andare all’ondata emotiva anti islamica e si accetta la radicalizzazione dello scontro) si fa esattamente il gioco dei nostri nemici.
Trattasi di considerazione lineare, intuitiva, pragmatica e semplice.
2. Tutti gli esperti di Daesh spiegano che come obiettivo secondario di questi attentati lo Stato islamico aveva la speranza che l’Occidente intervenisse direttamente in Siria e Iraq per trasformare una guerra locale interislamica in una guerra totale contro gli infedeli. Anche questo quindi è un ragionamento intuitivo, facile e non ideologico: a intervenire direttamente in una guerra locale trasformandola in guerra globale si fa esattamente il gioco dei nostri nemici.
3. Le esperienze dell’Afghanistan ma soprattutto di Iraq e Libia hanno mostrato a tutti che intraprendere una guerra senza avere già un progetto sugli assetti futuri condiviso con almeno una parte delle forze locali (e una parte che possa poi gestire la stabilità ) è una prassi che peggiora le cose, non le migliora.
Le peggiora proprio per la nostra sicurezza in Europa (l’intervento in Iraq ci ha dato lo Stato islamico, quello in Libia un casino in cui comandano i clan che gestiscono gli scafisti).
Se ne deduce che chiunque decida di mandare anche un solo drone dovrebbe prima sapere a cosa sta portando, dopo, ciò che sta facendo.
Questo è un post pragmatico, quindi non si sta dicendo che la guerra non si deve fare mai e a nessun costo: si sta dicendo che finora, nell’area, le abbiamo fatte a capocchia; e se per forza deve morire qualcuno in un conflitto, che serva rigorosamente a fare star meglio (non peggio) i popoli domani.
4. Alcuni anni fa il governo Usa inventò il termine “stato canaglia”, che attribuiva in giro in modo piuttosto arbitrario. Oggi invece sarebbe utile che l’Unione europea stendesse un bell’elenco documentato con i nomi dei Paesi che con l’Is hanno rapporti che avvantaggiano lo stesso Is: vuoi di acquisto di petrolio, vuoi di finanziamenti di altro tipo, vuoi di aiuto indiretto attraverso il bombardamento di chi combatte l’Is sul campo.
Se poi da questo elenco venissero fuori i nomi di Paesi con cui intratteniamo amichevoli rapporti d’affari, che stanno nella nostra stessa Alleanza militare (Nato) o presso i quali ci apprestiamo ad andare a giocare i mondiali di calcio, beh, ci faremmo un’idea più autentica su quello che siamo disposti davvero a pagre per combattere l’Is. Perchè quelli che aiutano Daesh oggi sono veri Stati canaglia, contro i quali dovremmo opporre tutto il nostro potere negoziale affinchè la smettano di farlo, da ora.
5. Anche questo l’ho imparato in questi giorni, non è che lo so di mio: il jihadismo che colpisce in Occidente è quasi sempre il frutto di una proiezione da parte delle seconde o terze generazioni di immigrati che immaginano un luogo ideale e utopico — il Califfato, dove spesso non sono mai stati — in alternativa a un luogo nel quale vivono un disagio sia sociale sia identitario.
Questo è giustificazionismo? No, perchè ciascuno — sia chiaro — è responsabile delle sue azioni. Ma è evidente che è indispensabile smontare questo dualismo farlocco che si è insinuato nelle menti dei giovani jihadisti europei.
E per smontarlo servono anzitutto due cose (oltre a quella del punto 1): primo, programmi di welfare nei luoghi in cui vivono (l’integrazione avviene attraverso il welfare); secondo, programmi di educazione — nelle scuole e altrove — vuoi sui valori della laicità , dell’interetnicità e della tolleranza, vuoi su cosa comporta (per le donne, ad esempio, ma per chiunque) vivere nel sottosviluppo culturale proposto da Daesh. Allo stesso modo, serve un’educazione all’interetnicità che parta dalle scuole primarie perchè non crescano generazioni di europei “bianchi” pregni di subcultura islamofoba o anti immigrati: infatti minor integrazione etnica causa più radicalizzazione dei figli di immigrati, più radicalizzazione porta più terrorismo.
L’antirazzismo quindi non è (più solo) un ideale etico, è una necessità pratica. Per entrambe le battaglie culturali (quella destinata ai ragazzi di famiglie islamiche e quella destinata ai ragazzi figli di autoctoni) la pedagogia è un’arma straordinaria di cui però ci dimentichiamo spesso, forse perchè i suoi risultati arrivano nel lungo termine, cioè quando sarà fisiologicamente finito il ciclo elettorale degli attuali governanti.
6. Come dimostra tutta la storia di Israele (compresi i fatti più recenti), il controllo assoluto e militarizzato del territorio — dai supermarket agli stadi, dagli aeroporti ai concerti — non è una garanzia di sicurezza per i civili se sei circondato dall’odio.
Se qualcuno ti odia — ancor più se tanti ti odiano — il modo di ammazzarti lo trovano, specie se hanno in scarsa considerazione il valore della propria vita.
Quindi possiamo benissimo chiudere le frontiere, far alzare gli elicotteri e far girare poliziotti a cavallo tutto attorno al Colosseo come ho visto stamattina: e se ci fa sentire un po’ più tranquilli nell’immediato, è un placebo che non mi scandalizza.
Ma sul medio e lungo termine, se vogliamo garantire ai nostri figli di vivere in sicurezza, l’unica strada da percorrere è lavorare contro l’odio — e le sue motivazioni, le sue radici — fino a debellarlo.
7. Tutte le esperienze e le ricerche dimostrano che la sorveglianza di massa sulla rete (modello Nsa) non ha un rapporto costo-beneficio conveniente: è come sparare migliaia di cannonate in cielo per cacciare un canarino. E questo al netto dei costi in termini di diritti civili.
È invece dimostrato che lo spionaggio on line funziona solo se è mirato (ad esempio, su chi immette contenuti filojihadisti e sui suoi contatti) e incrociato con forme di intelligence tradizionali (intercettazioni telefoniche, infiltrati etc).
Chiunque voglia cogliere l’occasione del 13 novembre per riproporre forme di sorveglianza virtuale di massa sta mentendo sapendo di mentire: non gli interessa la guerra all’Is ma, appunto, la sorveglianza di massa.
(da gilioli.blogautore)
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