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DALL’ATTICO ALLA CASCINA CON PARCO: ECCO LE MEGA CASE DI ALTRI CARDINALI

Aprile 2nd, 2016 Riccardo Fucile

“SOLO POLEMICHE, MOLTE ABITAZIONI VECCHIE E DA RISTRUTTURARE”

«Ci sarà  una trentina di cardinali che vive in appartamenti anche più grandi del mio…», ha detto, sfogandosi ieri col Corriere della Sera , l’ex segretario di Stato Tarcisio Bertone. Sarà  vero
All’immenso patrimonio immobiliare della Santa Sede, il giornalista Gianluigi Nuzzi, sotto processo per Vatileaks, ha dedicato un capitolo del libro «Via Crucis», con un elenco di inquilini eccellenti, perlopiù cardinali, che a canone zero godrebbero di appartamenti-monstre.
Uno di questi è il cardinale Ennio Antonelli, 79 anni: secondo «Via Crucis» vivrebbe in una casa – nel Palazzo di San Callisto a Trastevere – la cui superficie lorda è pari a 440, 70 metri quadri.
Ci risponde al telefono il suo segretario, gentilissimo, che vive anche lui nella casa e definisce «una polemica penosa» questa sulle presunte regge dei cardinali: «Perchè le vite che conducono sono normalissime e per niente sfarzose – dice l’uomo –. Tanti di loro sono anziani e allettati. Eppoi la casa dove viviamo noi non è così grande! Non solo: quando il cardinale Antonelli venne ad abitarci, portò con sè i due genitori anziani e la badante. E oggi oltre a me, ci sono anche due suore, un assistente e due giovani seminaristi che studiano qui a Roma. La verità  è che sono case antiche, all’inizio del secolo le facevano così e sono difficili da ristrutturare. Nella nostra, ad esempio, c’è solo un attacco del gas. E metà  della superficie è occupata da un solo, grande corridoio centrale».
Si favoleggia, però, che nello stesso palazzo di San Callisto un altro cardinale, il francese Paul Poupard (superficie lorda, 442,90 metri quadri), abbia tra le sue pertinenze una cantina delle meraviglie, con vini pregiatissimi: «Non ci sono cantine in questo palazzo – replica il segretario del cardinale Antonelli –. Nei sotterranei ci sono solo i magazzini della Libreria Editrice Vaticana. I cardinali hanno a disposizione delle soffitte. E non credo convenga tenerci dei vini».
Sempre a San Callisto, poi, abitano i cardinali Lozano Barragan (465,61 mq), Stafford (453,63), Vegliò (407,25), Turkson (338,40), ma l’appartamento più grande, pari a 472,05 mq, è abitato dal vicedecano del collegio cardinalizio, Roger Etchegaray, 93 anni: «Il cardinale Etchegaray sta sulla sedia a rotelle», risponde piccato il nostro interlocutore
Insomma, niente lussi nè eccessi, anzi nella maggior parte dei casi una vita parca e spesa in compagnia delle devote suorine che li assistono, come l’indiano Lourdusamy, morto un anno fa, che nella casa di Borgo Pio (320,15 mq) ospitava ben sette religiose del suo Paese.
E lo stesso fa oggi il cardinale africano Arinze (353,50 mq), sempre a Borgo Pio. Condivide la sua bella casa con le suore.
Eppure, nell’altro bestseller all’origine di Vatileaks, il libro «Avarizia» di Emiliano Fittipaldi, non mancano esempi di privilegi assurdi come il «buen retiro» che si autoassegnò il potente cardinale Domenico Calcagno, presidente dell’Apsa (Amministrazione del patrimonio della Sede apostolica), con «appartamento e cascina immersi in una ventina di ettari all’interno della tenuta San Giuseppe sulla Laurentina».
Una nostra fonte di Curia descrive come «principesca» anche la casa dell’arciprete Angelo Comastri («800 mq a Palazzo dei Canonici, con i quadri di Raffaello alle pareti…») per non parlare de «l’attico e superattico da far invidia a Bertone» del cardinale slovacco Jozef Tomko a Palazzo dei Convertendi di via della Conciliazione. E poi sempre nella stessa via: «I 700 metri quadri del cardinale Sandri» così come le dimore senza prezzo dei cardinali Martino, Saraiva Martins e Joao Braz de Aviz: «Case realizzate negli Anni 30 e 40 con sale del trono e cappelle private come si costruivano per la nobiltà  romana – conclude la fonte –. Perchè questo erano, per il Concordato, i cardinali: principi del sangue».

Fabrizio Caccia
(da “il Corriere della Sera”)

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INTERVISTA A PROFITI, L’EX PRESIDENTE DEL BAMBIN GESU’: “FECI VERSARE QUEI 400.000 EURO. E IL CARDINAL BERTONE SAPEVA DEL MIO PROGETTO”

Aprile 2nd, 2016 Riccardo Fucile

“PER L’OSPEDALE ERA UN INVESTIMENTO”

Professor Giuseppe Profiti, ex presidente del Bambin Gesù, è stato lei a pagare la ristrutturazione dell’appartamento del cardinale Bertone con soldi della Fondazione del Bambin Gesù?
«Sì, ed era un intervento che rientrava in un preciso progetto di sviluppo. Una decisione strategica la definirei».
Perchè «strategica»? Non le sembra strano ristrutturare la casa del cardinale con i soldi destinati ad altro?  
«Mi permetta di spiegare. L’ho definita “strategica” perchè in quel luogo avremmo realizzato, negli anni a venire, alcune importanti iniziative per la Fondazione. L’appartamento del Segretario di Stato emerito serviva per gli incontri finalizzati a raccogliere fondi».
Dunque secondo lei era un’operazione lecita?  
«Non solo lecita, ma le dico che se mi trovassi oggi nelle stesse condizioni, prenderei di nuovo quella decisione».
Davvero? Non crede che sia stato un esempio di come invece non si dovrebbero usare i soldi che vengono versati per altre finalità  benefiche?  
«Le cito un dato per spiegarmi. Nell’anno 2013 gli eventi organizzati a sostegno della Fondazione con la presenza dell’allora Segretario di Stato hanno portato, nei mesi successivi, un incremento della raccolta di oltre il 70%. Da poco più di 3 milioni l’anno siamo arrivati a più di 5 milioni all’anno. Ecco perchè parlo di scelta “strategica”».
Un appartamento per pubbliche relazioni? Non è che lei voleva invece fare un favore all’amico cardinale che l’aveva fatta diventare il manager della sanità  vaticana?  
«Non capisco che tipo di favore, considerato che in qualità  di Segretario di Stato il cardinale Bertone aveva diritto all’appartamento e non mi pare che vi sia una regola che preveda che i cardinali paghino di tasca propria i lavori degli appartamenti di servizio loro assegnati. Ribadisco invece che era una scelta presa in qualità  di Presidente della Fondazione e in linea con i programmi strategici finalizzati a incrementare la raccolta fondi per il Bambin Gesù».
Il cardinale Bertone afferma di non aver dato indicazioni alla Fondazione per intervenire…
«Dalle lettere che sono state divulgate si evince che l’investimento era inserito nel nostro piano di marketing, al fine di raccogliere fondi da grandi aziende nazionali e soprattutto da grandi multinazionali estere. Alla mia comunicazione scritta il cardinale ha risposto affermando che avrebbe fatto in modo di reperire donazioni ulteriori, tali da coprire ogni costo, così che nulla rimanesse a carico della Fondazione. In effetti, l’impresa incaricata della ristrutturazione, poi fallita, si era impegnata a devolvere in due tranche al Bambin Gesù un importo pari al costo dei lavori eseguiti per l’acquisto di attrezzature mediche».
Dunque il cardinale sapeva dell’intervento della Fondazione?  
«Le lettere tra il sottoscritto e il cardinale ormai sono di pubblico dominio e per quel che mi riguarda, manifestano condivisione della proposta e impegno a fare in modo che nulla rimanesse a carico della Fondazione Bambin Gesù».
Quei soldi per le attrezzature dell’ospedale però non sono mai arrivati.  
«Come dicevo, l’impresa ha avuto difficoltà , come molte altre in questo periodo, e poi mi risulta essere fallita».
Ma la Fondazione ha pagato o no?  
«Sì».
E allora perchè Bertone ha tirato fuori di tasca propria 300 mila euro per pagare gli interventi al Governatorato per la ristrutturazione?  
«Forse è una domanda che andrebbe rivolta al Governatorato. Io mi sono limitato a pagare quanto oggetto del contratto da me sottoscritto. Ricordiamo peraltro che non stiamo parlando di un appartamento privato di Bertone, ma di un immobile che era, è e rimarrà  di proprietà  della Santa Sede».
I costi della ristrutturazione sono lievitati, ci sono fatture verso società  estere, l’impresa è fallita. La magistratura vaticana l’ha indagata. Si parla di gravi ipotesi di reato, come peculato e uso illecito di denaro.
«Mi pare di avere già  spiegato tutto. Per il resto sono fiducioso come sempre nelle istituzioni e sono convinto che i magistrati faranno chiarezza e si vedrà  che queste ipotesi erano senza fondamento».
Al di là  dell’inchiesta, non crede che sia quantomeno scorretto usare per la ristrutturazione di un appartamento i soldi raccolti per i bambini ammalati?  
«No, soprattutto se parliamo di fondi che sono anche frutto di rendite della Fondazione e quando il loro impiego è finalizzato comunque a incrementare la raccolta di risorse da destinare proprio ai bambini malati».
Quanto ha pagato la Fondazione all’impresa? E quando ha pagato?  
«Non ricordo la cifra esatta, ma intorno ai 400 mila euro su sette fatture, con allegato stato di avanzamento lavori. Pagate tra novembre 2013 e giugno 2014, nel rispetto delle procedure».

Andrea Tornielli
(da “La Stampa“)

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LA SICILIA NON PROFUMA PIU’ DI AGRUMI: ADDIO ARANCI, LIMONI E MANDARINI

Aprile 2nd, 2016 Riccardo Fucile

ALL’ORIGINE DEL FENOMENO LA CEMENTIFICAZIONE E LA SCARSA REDDITIVITA’

Sono il manifesto estetico della Sicilia, il profumo sensuale vagheggiato da poeti e viaggiatori, il luccichio tra i rami evocato da pittori e romanzieri, il vanto dei sollazzi arabi.
Fecondi, gravidi di succo, luminosi. Gli agrumi. «Le arance dell’Isola sono simili a fiamme brillanti tra rami di smeraldo, e i limoni riflettono il pallore di un amante che ha trascorso la notte in lacrime per il dolore della lontananza», scrive nel 1160 il poeta siculo-arabo Abd ar-Rahman.
«Splendon tra le brune foglie arance d’oro», gli fa eco sette secoli dopo Goethe, uno che si era innamorato dell’aria di quaggiù tanto da dire che l’Italia, senza la Sicilia, «non lascia alcuna immagine nell’anima».
Peccato che le distese di alberi fitti stiano scomparendo drammaticamente.
Secondo i dati Istat, ripresi da Coldiretti, negli ultimi 15 anni si è volatilizzato il 50% dei limoni, il 31 % degli aranci e il 18 % dei mandarini.
In totale, un terzo dei terreni.
Al posto degli agrumeti, distese di cemento, parchi eolici o fotovoltaici, o alberi abbandonati dai contadini che hanno gettato la zappa alle ortiche.
Strangolati da compensi da fame: nel 2016, annus horribilis delle arance (colpevole anche il clima asciutto che ha ridotto le dimensioni dei frutti e il tristeza virus che ha attaccato le piante), le industrie di trasformazione hanno pagato ai coltivatori solo dieci centesimi al chilo.
Chi ha comprato il prodotto fresco, per lo più catene della grande distribuzione, non è andato sopra i 30 centesimi, 40 al massimo.
Allarme allora. Allarme rosso. Tanto da convincere il Fai a dedicare a questo tema parte della quinta edizione della manifestazione AgruMi che si svolge a Milano, a Villa Necchi, con la consulenza scientifica di Giuseppe Barbera, docente dell’Università  di Palermo e studioso del paesaggio mediterraneo.
Già , l’Sos parte dal Nord.
Da quel Nord che paga un bicchiere di spremuta anche 5 euro – la stessa che per un coltivatore siciliano vale 3 centesimi – da quel Nord che vede negli agrumi siciliani un miraggio del caldo, dorato, vitaminico, mediterraneo Sud.
«Si incontreranno le Università  siciliane – spiega Barbera – i centri di ricerca, il distretto agrumicolo che riunisce le principali imprese della filiera regionale, i responsabili dei grandi mercati del Nord Italia. Bisogna comprendere che gli agrumi non producono solo frutti ma che costituiscono l’anima del paesaggio siciliano».
Un’anima minacciata dall’avanzata del cemento, da politiche comunitarie più vocate al sussidio che all’intervento strutturale, ma soprattutto dalla concorrenza estera: alla Spagna, pure patria storica degli agrumi, si aggiungono oggi Tunisia, Marocco, Turchia, forti di costi di produzione bassissima. Allora addio.
Addio alle lumìe di Pirandello, ai limoni dipinti da Renato Guttuso, allo stupore di Stendhal, la cui sindrome per la bellezza sembrava arrivare anche dagli agrumeti. «Esiste davvero un Paese dove alberi così meravigliosi crescono in piena terra?», si chiedeva, lui abituato a vederli d’inverno dentro una serra.
L’unica risposta possibile sembra la qualità . Che fa rima con tipicità .
«Stiamo lavorando per collegare sempre più strettamente le produzioni ai nostri territori – spiega Federica Argentati, presidente del distretto Agrumi di Sicilia, che raccoglie i produttori – valorizzando le produzioni di eccellenza, cioè i prodotti Igp, quelli Dop, le coltivazioni biologiche che rappresentano ormai il 40% del totale. Vogliamo puntare sul brand degli agrumi di Sicilia. C’è l’arancia rossa, quella di Ribera, il limone di Siracusa, il limone Interdonato di Messina, il mandarino tardivo di Ciaculli, il limone dell’Etna. Ogni frutto una storia, una peculiarità , un metodo di coltivazione, un paesaggio».
Strada in salita, ma almeno in buona compagnia se c’è chi – come Pinella Costa, presidente dell’Associazione Gusto di Campagna – lavora su agricoltura e turismo proponendo itinerari che hanno come tappe consorzi, ristoratori, artigiani.
Di sicuro chi oggi a Palermo cerca la mitica Conca d’oro si vedrà  indicare un centro commerciale. Della distesa di arance intorno alla città  è rimasto solo il nome.

Laura Anello
(da “La Stampa”)

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SONDAGGIO IPSOS: A ROMA RAGGI BATTEREBBE TUTTI AL BALLOTTAGGIO

Aprile 2nd, 2016 Riccardo Fucile

PARTITI: M5S 29,8%, PD 24,8%, FDI 11,8%, FORZA ITALIA 11%, SINISTRA 6,2%, LEGA NORD 3,6%, LISTA MARCHINI 3,4%, NCD 2,2%, LA DESTRA 0,9%

Il Movimento 5 Stelle capeggia la graduatoria con il 29,8% delle preferenze, in crescita rispetto a tutte le consultazioni precedenti.
A seguire il Pd con il 24,8%, in forte calo rispetto alle Europee (quando ottenne il 43,1%) e in calo più contenuto rispetto alle precedenti comunali (26,3%%, quando però la lista Marino ottenne il 7,4%).
A seguire Fratelli d’Italia (11,8%) e Forza Italia che si attesta a 11%.
A sinistra Sel (3,6%) e Si (2,6%) ottengono lo stesso risultato di Sel alle europee (6,2%).
Quindi, Lega Nord (3,6%) e Lista Marchini (3,4%).
Nello scorso mese di febbraio aveva destato molta sorpresa la dichiarazione della senatrice Taverna secondo la quale a Roma ci sarebbe stato un complotto per far vincere il Movimento 5 Stelle.
Sembrava una provocazione, come se i principali partiti di fronte al compito improbo di amministrare la capitale d’Italia si stessero impegnando per non vincere.
I risultati del sondaggio odierno, realizzato presso un campione rappresentativo di elettori romani, sembrerebbero confermare il presagio dell’esponente pentastellata.
Giudizi negativi sulla qualità  della vita
Roma appare una città  fortemente provata, e non solo dalla vicenda dell’inchiesta Mafia capitale. Più di un romano su due (56%), infatti, esprime un giudizio negativo sulla qualità  della vita nella propria zona di residenza laddove il confronto con le altre città  metropolitane evidenzia che due residenti su tre (61%) si esprimono positivamente.
A tre mesi dalle elezioni abbiamo testato notorietà  e gradimento dei diversi candidati che potrebbero contendersi la poltrona di sindaco e gli orientamenti di voto.
Come sempre si ricorda che si tratta di una fotografia istantanea che ritrae gli attuali rapporti di forza tra i contendenti e non la prefigurazione dell’esito finale delle elezioni. Inoltre va sottolineato che le interviste si sono concluse prima dell’annuncio della mancata candidatura del sindaco uscente Ignazio Marino che, viceversa, compare nel sondaggio.
Il gradimento
Riguardo al gradimento è interessante osservare che con la sola eccezione di Virginia Raggi per la quale i giudizi positivi (27%) prevalgono di 2 punti su quelli critici (25%), per tutti i candidati il saldo è negativo, in particolare per Storace (-53%), Marino (-51%), Bertolaso (-42%), Fassina (-37%) e Razzi (-36%).
D’altra parte le vicende politiche recenti e le dinamiche che hanno portato alle diverse candidature hanno acuito tensioni all’interno degli elettorati delle aree politiche.
In particolare nel centrodestra dove con ogni evidenza appare in corso una competizione per la leadership nazionale. Salvini sostiene Giorgia Meloni, osteggiando sia la candidatura di Bertolaso, fortemente sostenuta da Berlusconi, sia quella «civica» di Alfio Marchini.
Raggi prima
Virginia Raggi al momento si colloca in testa alla graduatoria delle intenzioni di voto con il 27,5% delle preferenze, seguita da Roberto Giachetti (22,5%), Giorgia Meloni (20%) e, più staccati, Guido Bertolaso (12%) e Alfio Marchini (6,5%).
Il sindaco dimissionario Ignazio Marino che, come detto, non si candiderà  è accreditato del 4%.
L’area «grigia» costituita da astensionisti (36,3%) e incerti (15,5%) è molto ampia e riguarda poco più di un romano su due.
Ballottaggi
Virginia Raggi oggi prevale contro tutti i possibili competitori: nettamente contro Bertolaso (59,8% a 40,2%), abbastanza nettamente contro Giachetti (55,4% a 44,6%) e di misura contro Meloni (50,9% a 49,1%).
Sfiducia
Il quadro che emerge, quindi, è piuttosto articolato. Raggi e il Movimento 5Stelle sono in testa ma fatica ed emergere un orientamento univoco.
Nessuno sembra convincere la maggioranza dei romani della bontà  delle proprie scelte e della possibilità  di un cambiamento.
E, d’altra parte, con il commissario Tronca sono emerse altre vicende che hanno indignato molti romani, dagli appalti pubblici alla vicenda delle case comunali date in affitto a canoni bassissimi, talora nemmeno riscossi.
Metter mano all’amministrazione di Roma è un compito difficile e ingrato che probabilmente comporterà  scelte impopolari.
Molti si domandano se non sarebbe stato utile prolungare la durata del commissariamento anzichè andare ad elezioni. Roma è una città  ferita.
Chiunque vincerà  le elezioni è chiamato non solo a cambiare profondamente la situazione ma dovrà  porsi il problema di riportare serenità  e ridare alla popolazione un senso di appartenenza e un orgoglio che sembrano mancare da troppo tempo.

Nando Pagnoncelli
(da “il Corriere della Sera”)

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INTERVISTA ALLA FORNERO: “TANTO FANGO SU DI ME, MA GLI IMBROGLIA-POPOLI COME SALVINI NON VINCERANNO MAI”

Aprile 2nd, 2016 Riccardo Fucile

“I GRILLINI ANIMATI DA PASSIONE SINCERA”

Che impressione le fanno quegli energumeni sotto la sua casa, a San Carlo Canavese?
“Di una cosa sono sicura: alla fine tra me e Salvini vincerò io, perchè ho dentro una forza morale che lui non ha”.
Anche il buonumore, mi pare. Lui ride spesso, lei invece sorride. E la gente non lo sa, ma lei non si sente così fragile e così emotiva come dicono.
“Quando vado in bicicletta, proprio a San Carlo, il paese che Salvini sta rendendo famoso, mi passano accanto persone che mi salutano, ma anche persone che mi mandano maledizioni. E sono imprecazioni forti, anche se meno gravi di quelle che mi sono arrivate per altre vie. Io non mi arrabbio, sorrido e spesso li invito a fermarsi: “Se vuole, le spiego”. E gli amici mi dicono: ma Elsa, come fai a sopportarli? “.
Ieri hanno manifestato sotto la pioggia davanti a una casa vuota.
“È una casa a due piani, nulla che fare con l’idea della villa. Era la casa dei miei genitori, che noi abbiamo un po’ ristrutturato. Il pianterreno è mio, il primo piano di una mia sorella. Io ci vado nel weekend, lei soprattutto l’estate. Ci sono le mie radici, ritrovo le mie piante” .
San Carlo è un paese industriale. Come atlante delle emozioni non è il natio borgo selvaggio. Oltre la siepe …
“C’è Torino, a venti chilometri. La gente si svegliava la mattina e andava a lavorare alla Fiat. E molti erano immigrati: veneti, calabresi. Appena fuori c’è anche il poligono militare dove mio padre faceva la guardia. E poi comincia la Vaulda”.
La brughiera
“Mario Soldati diceva che non si conosce il Piemonte se non si conosce la brughiera”.
Lei è tutta piemontese? Non c’è il Meridione nella sue origini? Lo stereotipo dice: distaccato e gentile, guardingo e a sangue ghiaccio. Questo le manca.
“Sono tutta piemontese. E non sono una donna fragile”.
È vero che a San Carlo ci sono altri Fornero e che anche loro ricevono lettere di insulti? Nell’Italia dominata dalla logica del cognome questa sua storia è molto singolare.
“Fornero è un nome molto diffuso dalle mie parti. Sono davvero tanti i casi di omonimia. Ma ci sono anche cugini lontani. Tutti hanno avuto la loro razione” .
Oltre ai cugini lontani, chi vive lì della sua famiglia d’origine?
“Papà  e mamma sono morti. C’è una mia sorella. E due vecchie zie, una di 90 e l’altra di 87 anni” .
Immagino che siano in pensione. Che le dicono? Avrebbero mai immaginato che Fornero sarebbe diventato il nome della riforma più controversa della storia d’Italia, dopo quella agraria?
“Prima non capivano bene. E ovviamente erano molto protettive. Ora si sono abituate a tutto”.
In famiglia discutete di pensioni? C’è qualcuno che la critica?
“Certo che discutiamo. Ma il problema non sono le critiche, che arricchiscono la vita. ”
Dove sono arrivate le minacce?
“Ne ho subite di ogni genere”.
L’augurio di ammalarsi?
“Sì”.
Promesse di botte? Di morte? La più odiosa?
“Gli attacchi a mia figlia. Hanno scritto e detto che nella sua carriera era favorita dal cognome. Purtroppo è vero il contrario”.
Lei ha due figli, uno maschio che fa il documentarista e appunto Silvia, l’oncologa. Immagino che anche il cognome del padre, Deaglio, pesi molto su di loro.
“Certo, ma è un peso diciamo così più naturale ” .
C’è un sito che si chiama ‘Corriere della Pera’ che ha scritto che sua figlia a 39 era già  in pensione. Ebbene, questa bufala sui social è diventata notizia, poi indignazione, infine insulto: decine di migliaia di condivisioni, rabbia, violenza.
” Inutilmente qualcuno ogni tanto ha fatto notare che non è vero e non è neppure verosimile. Ci credono lo stesso. Ma come fa uno a difendersi da questo fango? Devo mandare una lettera di smentita al Corriere delle Pera? Proprio a San Carlo mi ha fermato un signore, un uomo colto e gentile, che mi ha chiesto, anche lui!, se è vero che mia figlia è in pensione” .
Ha mai fatto analisi, va in Chiesa?
“Dalla psicanalisi mi hanno salvato la solidità  dei miei valori e la mia famiglia. Per quanto riguarda la Chiesa sono cattolica, ma imperfetta”.
Come la sua riforma?
“Più imperfetta”.
C’è una certa Italia con il brutto ceffo dei bravi manzoniani che purtroppo non impara mai e non cambia mai.
“E però anche in Europa non è facile fare le riforme. Fanno impressione gli scontri di piazza in Francia, lo sciopero, gli aeroporti chiusi. Alla fine Hollande dovrà  modificare la sua riforma del lavoro”.
Certo, ma la lotta di classe è ancora politica, non è squadrismo ad personam.
“In Italia si imbocca sempre la scorciatoia, e la dialettica diventa turpiloquio, l’opposizione insulto. In questo senso mi piace la voglia di Renzi di cambiare il Paese con le riforme, magari anche sbagliando”.
Visto che spiegare è rimasta la sua cifra, stavo per dire la sua ossessione, proviamo a capire perchè Fornero non è più un cognome ma un aggettivo negativo. Io penso che c’entri molti l’associazione del duro con il fragile: la riforma delle pensioni e le lacrime. È insomma passata l’idea della doppiezza: Machiavelli e il melodramma.
“Lo so. E mi dispiace perchè non è per niente così. Davvero quelle furono due lacrimucce di emozione. Avevo scritto la riforma in venti giorni, accumulando una tensione terribile. E bisogna ricordare che erano momenti drammatici per l’Italia. Ovviamente sapevo di avere pensato una riforma che toccava punti molto vulnerabili. E sapevo anche che la fatica accumulata era nulla rispetto a quella che mi attendeva. Infatti spiegare la riforma fu più difficile che scriverla”.
C’è riuscita?
“Non ancora. Ed è su questo che i vari Salvini si avventano rendendo tutto ancora più torbido. Ma io ce la farò. Adesso, per esempio, sto organizzando la Giornata della Previdenza, sicuramente a maggio, spero il 7. Chiederò un’aula al mio rettore e mi metterò a disposizione di chiunque voglia capire. Per disarmare i Salvini non ho altro che la Ragione e le mie ragioni ” .
Ma perchè non manifestano davanti all’Inps o davanti al Parlamento? Quando ho letto che Salvini sotto casa sua ha detto “meno male che la Fornero non c’è perchè mi prudono le mani” ho pensato che persino un disarmato gli avrebbe mollato due schiaffoni.
“È quel che cerca: la reazione, il duello, lo scontro. Ai carabinieri che mi chiedevano io ho detto che era meglio non intervenire “.
Chissà  quanti conduttori televisivi le propongono il duello.
“In genere una volta la settimana. In certi periodi ogni giorno. Adesso anche due volte al giorno. Ma il duello richiede un codice comune”.
Già . Il nemico legittimato, si sa, è il proprio doppio, come la luce e il buio, il caldo e il freddo. Qui …
“Niente di tutto questo. Non c’è alcun duello possibile. Guardi che nella volgarità  che in questi anni mi è arrivata addosso c’è anche il maschilismo italiano, che non è solo uno spettro ideologico”.
Vuole dire che se lei fosse stato il professor Fornero, alto, grande e con due mani nodose …
“Penso che non solo Salvini mi avrebbe insultato in un altro modo. Vedo infatti molta meschinità  d’animo” .
Anche Grillo non le ha risparmiato ruvidezze.
“Usò un linguaggio ancora più brutto del solito” .
E lei ricordò di averlo visto in Ferrari.
“Ero in Liguria e arrivò lui come Mangiafuoco in mezzo al fumo e al chiasso della sua Testarossa. Devo dirle però che i grillini sono spesso animati da una passione sincera. Ne ricordo uno che mi accolse con espressioni durissime come ‘killer degli italiani’ e via di seguito. Gli dissi: ‘Se mi permette, cerco di spiegarmi’. Mi ascoltò con attenzione e, poi alla fine mi sorrise e mi augurò buon lavoro. Le persone sincere sentono subito la sincerità  degli altri” .
E la sinistra? L’hanno lasciata sola?
“Spiegare la riforma è il lavoro che avrebbe dovuto fare la politica. Me l’aspettavo in particolare dal Pd. Mi immaginavo che, una volta fatto il lavoro, il mio partito di riferimento sarebbe intervenuto, magari anche per correggere, ma sicuramente per far capire”
È iscritta?
“Mai stata iscritta, ma sono di sinistra e, se la parola avesse ancora un senso, direi di sinistra moderata”.
Voterebbe ancora Pd?
“Questo non lo so, vedremo”.
Ma dal Pd qualcuno le avrà  pure telefonato. Non le hanno espresso solidarietà ?
“No. E mi ferisce molto questa solitudine” .
Alcuni dicono che anche Mario Monti ha scaricato tutto su di lei. È vero?
“No. Sino a ieri sera tardi mi ha telefonato “.
Il sindacato si è mobilitato contro la riforma. Oggi anche la Cgil scende in piazza.
“Certo, sono diversi da Salvini. Ma proprio per questo più deludenti. Se guardi una foto di Salvini capisci subito che è un imbroglia popolo. Il sindacato invece …”.
Forse l’idea del lavoro in Italia è più “olio e grasso” che “perle e libri”?
“Sono figlia di un operaio. Lui mi ha insegnato l’importanza dello studio e del decoro. I suoi valori sono i miei. Ricordo che vennero in più di mille ad un incontro in un hangar dell’aeroporto di Caselle. Parlai e mi capirono. E, andando via, in tanti vollero stringermi la mano. Guardi, io penso che le riforme siano organismi vivi, che possono e che debbono cambiare, ma di sicuro quella riforma è stata fatta al servizio del Paese, dell’equilibro tra le generazioni, nell’interesse degli italiani” .
Anche nel linguaggio del sindacato c’è stata inciviltà ?
“La parola è forte, ma non completamente inappropriata” .
Sapeva da ministra che le pensioni dei sindacalisti, dei distaccati, si formano grazie a una doppia contribuzione?
“No. E non capisco come Bonanni possa difendere la sua pensione” .
Un’ingiustizia?
“Un privilegio. Ma i sindacalisti nascono per combattere i privilegi”
Mi hanno detto che lei ha rifiutato il trattamento pensionistico dovutole come ministro. Dunque si accontenterà  della pensione che le spetta come professore. È circa la metà .
“Preferirei che non scrivesse di questo. Glielo chiedo con forza”.
Lei non ha mai avuto rapporti facili con la stampa.
“No. Devo dirle che spesso i giornalisti hanno travisato il mio pensiero. Credo di aver capito che solo la polemica vi attira. Un suo giovane collega mi ha detto: ci pagano dieci euro a pezzo, e accettano l’articolo solo se è polemico “.
La sua reputazione per 10 euro?
“Non dico questo, e magari ho commesso errori anche io. Ma certo è un campo minato “.
Ho letto che in Inghilterra vogliono alzare di molto l’età  pensionabile
“E anche in America, vogliono superare i 67 anni. Si va verso la flessibilità . E non solo perchè cresce l’aspettativa di vita, ma anche perchè aumenta il numero di chi ama lavorare. È già  così per molti professori, forse pure per i giornalisti, ma il lavoro alienato esiste eccome, provi a chiedere ad un metalmeccanico quanto si sente realizzato” .
Dovremmo privarci del lavoro di Scalfari, oppure impedire a Morricone di comporre e a Muti di dirigere? Ci sono bellissime vite di lavoro che a sessant’anni rifioriscono.
” Io insegnerei anche gratis. Adesso però mi deve promettere che faremo un’altra intervista solo sulle pensioni”.
Sicuro. Ma con un altro giornalista. È una materia in cui mi perdo.
“Ragione di più per farla. Spiegare è il mio piacere”.

Francesco Merlo
(da “la Repubblica”)

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I DIPENDENTI DICHIARANO PIU’ DEGLI IMPRENDITORI

Aprile 2nd, 2016 Riccardo Fucile

I PRIMI 20.520 EURO, I SECONDI 18.280… IL REDDITO MEDIO SALE DI 250 EURO

Sono solo 424 mila i contribuenti italiani che dichiarano al fisco un reddito superiore ai 100 mila euro: si tratta dell’1,04 per cento dell’intera platea.
Se ci si limita ai supericchi, sopra i 300 mila euro, l’aria si fa ancora più rarefatta: un gruppo di soli 31.700 soggetti, pari allo 0,1% della popolazione fiscale che, venendo allo scoperto, si fa carico anche di pagare il contributo di solidarietà  del 3% sulla parte di reddito eccedente.
Se si scende più in basso la sensazione è sempre che non tutto emerga: a conti fatti solo il 4% degli italiani dichiara più di 50 mila euro e si accolla il 35% del gettito dell’Irpef.
Un’Italia con un forte sospetto di evasione (del resto è di 90 miliardi all’anno) ma anche segnata da redditi polarizzati.
La gran massa degli italiani, circa 40,7 milioni galleggia su un dichiarato medio di 20.320 euro, 250 euro in più sull’anno precedente.
Per avere la percezione chiara delle disparità  basti pensare che la metà  dei contribuenti non supera i 16.430 euro di reddito dichiarato.
E’ questa la fotografia che giunge dal Dipartimento delle Finanze del Mef relativa all’anno d’imposta 2014.
Che da Harvard il premier Renzi commenta: per il governo è prioritario «non aumentare le tasse, perchè aumentarle sarebbe impossibile e perchè le persone ci ucciderebbero e avrebbero ragione».
L’indagine rileva per la prima volta anche l’impatto degli 80 euro (da maggio del 2014) sull’Irpef che ha visto un calo dell’imposta netta del 4 per cento: gli aventi diritto sono stati 11,3 milioni per un importo di 6,1 milioni e un ammontare medio di 540 euro.
Dal rapporto emerge anche la classifica di chi dichiara di più e chi dichiara di meno e lascia spazio a polemiche e rivendicazioni soprattutto nel campo del popolo delle partite Iva dove ci sono professionisti, artigiani e commercianti. In testa ci sono i lavoratori autonomi (professionisti e consulenti non tenuti ad iscriversi al Registro delle imprese della Camera di commercio) che dichiarano 35.570 euro, seguiti dal gran gruppo del lavoro dipendente che si attesta a 20.520 euro, più in basso i pensionati con 16.700 euro.
E i titolari di ditte individuali (commercianti e artigiani), definiti fiscalmente imprenditori perchè iscritti al Registro delle imprese della Camera di commercio?
Dichiarano meno dei loro «colleghi» autonomi (con i quali condividono l’obbligo della partita Iva), poco più dei pensionati e meno dei lavoratori dipendenti, cioè 18.280 euro.
Bisogna tuttavia osservare — come sottolinea il Tesoro nella nota — che questa categoria nella maggior parte dei casi non ha personale alle proprie dipendenze.
Va inoltre sottolineato che il reddito di 18.282 è una media tra i titolari di imprese individuali in contabilità  ordinaria (circa 31.240 euro) e quelle in contabilità  semplificata che per definizione hanno un reddito più basso (17.100 euro).
Resta comunque il fatto che commercianti e artigiani, cioè gli imprenditori individuali, dichiarano meno degli autonomi e dei dipendenti.
Per conoscere le stime degli imprenditori individuali che sono anche datori di lavoro (circa 600 mila) bisognerà  attendere i dati di maggio: in base alle stime già  note del 2013 costoro dichiarano un reddito di 31.612 euro contro i 10.685 dei propri dipendenti.

Roberto Petrini
(da “La Repubblica”)

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TRUDEAU, I MUSCOLI DEL CANADA PACIFISTA

Aprile 2nd, 2016 Riccardo Fucile

IL SUCCESSO DEL GIOVANE PREMIER LIBERAL: COSI’ LA LEADERSHIP USA SI SCOPRE VECCHIA

Mentre un terzetto di quasi, o ultra, settuagenari, Clinton, Trump e Sanders, si strappano i non sempre abbondanti capelli per conquistare il timone degli Usa, il grande vicino del Nord, il Canada, ostenta l’agile e muscolosa forza del quarantaquattrenne Trudeau, suo fresco primo ministro eletto e diventato ora la risposta nordamericana all’ostentata fisicità  del russo Putin.
Che sia un involontario, o invece malizioso messaggio del Canada agli Stati Uniti, nel contrasto fra la battaglia quotidiana dei possibili futuri capi di stato Usa con rughe, calvizie, acciacchi, celluliti, flaccidità , disturbi geriatrici, riporti e trapianti di peluria e la prorompente fisicità  del leader canadese, sarebbe politicamente scorretto insinuare, ma le immagini valgono notoriamente più di mille parole.
“I canadesi ci stanno trollando “, ha risposto una giornalista della Cnn che ha per prima diffuso il book del Premier, che tradotto dall’internettese significa “ci stanno sfottendo”.
Il paradosso di una nazione che si vuole giovane, come gli Stati Uniti, e dopo un filotto di quarantenni succeduti a Bush il Vecchio nel 2001 ora si riscopre Paese politico per vecchi, si illumina nella serie di immagini che filtrano dal Grande Nord e ritraggono un uomo politico sfacciatamente vincente, senza la prepotenza bellicosa di Putin, ma con la più mite e pacifica cultura dello yoga.
Dagli archivi del 2013, spunta la foto di Trudeau nella posizione detta del “mayurasana”, del pavone, bilanciato su un tavolo reggendo il corpo lungo quasi un metro e 90 orizzontale sulle mani, la stessa posa che il padre scomparso, anche lui premier, Pierre, assunse per i fotografi.
Ma se la vanità  sprizza dalle foto di Putin, dalle espressioni volitive e machiste tra il domatore di belve e il distruttore di oppositori, il “pavone” dello yoga rappresenta tutt’altro, essendo la rappresentazione fisica del benigno volatile che protegge la famiglia dalle serpi, simbologia del bene contro il male.
E c’è qualche cosa di ancora più simbolico nella galleria del giovane “liberal”, progressista, che lo scorso anno demolì a sorpresa la maggioranza regnante dei conservatori con una vittoria elettorale massiccia.
Justin Trudeau, rampollo della famiglia che già  aveva dato un premier per 11 anni fra il ’68 e il ’79 e poi di nuovo negli Anni ’80 nella persona del padre Pierre, ha stravinto con una piattaforma elettorale “buonista” che si legge come l’esatto opposto degli umori tossici prevalenti a sud della frontiera.
Lo yoga, del quale Justin è un cultore accanito, come conferma il suo istruttore David Gilleneau che ha diffuso la foto del “pavone”, è un messaggio politico, prima che culturale o fisico.
Trudeau è dichiaratamente per l’accoglienza, la pace, il multiculturalismo e la multietnicità , una filosofia che si traduce bene nei voti della popolazione di immigrati generosamente accolta in Canada, fra i quali ormai più di un milione di indiani, 600mila soltanto a Toronto.
Al polo opposto dell’omofobia e della misoginia che impregna i repubblicani Usa, partecipa entusiasticamente alle parate del Gay Pride.
Esalta il “fitness” e la vita nei “great outdoors”, l’immensità  ancora intatta del Canada, preferendo le slitte trainate dai cani sulla neve o il kajak sul quale pagaia insieme alla moglie Sophie, ai jumbo jet con rubinetteria placcata oro di Trump e alle scenografie dei comizi prodotti per la tv.
Danza il bhangra, il ballo popolare indiano, ripreso in un videoclip divenuta virale. E si è messo in urto con il cardinale di Toronto per le sue convinzioni “pro scelta”, per l’interruzione volontaria di gravidanza, la marijuana e la contraccezione.
Di vent’anni più giovane di Putin, che dall’alto dei suoi ben tenuti 63 anni distanza i 44 di Trudeau, il premier canadese ha portato più in là  quel culto del fitness fisico che per alcuni sta diventando la manifestazione tangibile del fitness politico.
Le danze, come l’ultimo tango argentino di Obama, sono d’obbligo, come anche la first lady Michelle ha più volte esibito. Ritratti di capi di stato e governo in palestra, o sudati nello jogging, sono golosamente diffusi dagli uffici stampa.
Accenni di pancetta e pinguedine sono letti come sinistri auspici di crisi politiche e di sfacelo morale, in un culto della fisicità  che ha raggiunto il livello più desolante nella ripetute assicurazioni date da Donald Trump sulle misure delle mani e sulla funzionalità  dei suoi genitali, un abisso mai raggiunto nella storia della politica americana.
Trudeau, grazie allo yoga che promette un’esemplare fusione di fisicità  e di spiritualità  riesce a essere fusto senza essere bullo, ricordando i suoi trascorsi di attore e di uomo di teatro.
Ma è chiaramente un uomo politico di nuova generazione, quanto Putin è l’ultimo prodotto di un antichissimo albero, ben oltre la semplice anagrafe che, a sud della frontiera con gli Usa, ha offerto deprimenti quarantenni.
Ancor più vecchi dentro dei settuagenari in corsa per la Casa Bianca che li hanno eliminati.

Vittorio Zucconi
(da “La Repubblica”)

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INCHIESTA PETROLIO, INDAGATO IL NUMERO UNO DELLA MARINA DE GIORGI E I PM VOGLIONO SENTIRE BOSCHI E GUIDI

Aprile 2nd, 2016 Riccardo Fucile

“SORPRESO E AMAREGGIATO, MI TUTELERO’ NELLE SEDI OPPORTUNE”

Anche il capo di Stato Maggiore della Marina inciampa sull’inchiesta sul petrolio in Basilicata. E intanto la Procura lucana si appresta a sentire l’ex ministro Federica Guidi e la collega Maria Elena Boschi.
L’ammiraglio Giuseppe De Giorgi è stato iscritto nel registro degli indagati della Procura di Potenza insieme a Valter Pastena, dirigente della Ragioneria dello Stato.
Le accuse per il militare ruotano intorno vanno dall’associazione per delinquere all’abuso d’ufficio fino al traffico di influenze e al traffico illecito di rifiuti, stessi illeciti contestati a Gianluca Gemelli, compagno della Guidi.
Per De Giorgi, comandante in capo che ha voluto Mare Nostrum si era vociferata nelle ultime settimane una “candidatura per il vertice della Protezione civile“.
”A settembre scorso è stato notificato un avviso di proroga delle indagini al capo di stato maggiore della Marina, indagato insieme al compagno dell’ex ministro Guidi per associazione a delinquere finalizzata al traffico di influenze per una storia riguardante l’Autorità  portuale di Augusta (la città  di Gemelli, ndr)”, scrive Repubblica spiegando che lo stralcio nasce sempre dalle intercettazioni di Gemelli.
Figlio d’arte, De Giorgi è il primo ufficiale italiano a occupare lo stesso incarico del padre in scadenza a breve.
E come lui, ricorda ancora il quotidiano del gruppo De Benedetti, ha ottenuto il varo di una “legge navale” con fondi straordinari — oltre 5 miliardi di euro — per l’ammodernamento della flotta sotto la bandiera umanitaria nonostante la spending review.
A beneficiare dell’operazione sono state innanzitutto Fincantieri e Finmeccanica oltre all’industria dell’acciaio. “Non conosco sulla base di quali fatti il mio nome venga associato a questa vicenda. La cosa mi sorprende e mi amareggia, e tutelerò la mia reputazione nelle sedi opportune”, ha fatto sapere De Giorgi poche ore dopo la notizia del suo coinvolgimento nell’inchiesta della procura di Potenza.
Per quanto riguarda invece le due ministre, secondo quanto riferisce l’Ansa i magistrati si recheranno a Roma per ascoltare Boschi e Guidi.
Il nome del ministro dei Rapporti con il Parlamento compare nelle carte dell’inchiesta lucana perchè citato dalla stessa Guidi in una conversazione con il compagno in cui gli annuncia il via libera di “Mariaelena” all’emendamento alla Legge di Stabilità  2015 agognato dal cliente di Gemelli, la Total.
Circostanza che ha fatto saltare sulla seggiola le opposizioni tornate a chiedere le dimissioni della Boschi già  nell’occhio del ciclone per lo scandalo di Banca Etruria che vede indagato suo padre Pier Luigi. Matteo Renzi, quindi, è tornato a fare scudo intorno alla ministra e al governo, al grido di “non ci manderanno a casa” e sventolando come un trofeo le dimissioni della Guidi.
Quest’ultima dal canto suo, in una lunga lettera al Corriere della Sera, parla di punti da chiarire e dati “strumentalizzati e deformati”, sostenendo di essersi limitata a riferire al “marito” una notizia nota.
“Comincerei dall’inizio, ricordando che la polemica nasce da una telefonata a colui che considero a tutti gli effetti mio marito, nella quale lo informavo di un provvedimento parlamentare di portata nazionale — scrive -. In particolare, gli davo una notizia nota, su un fatto avvenuto in un luogo pubblico — il Parlamento — al quale hanno dato risalto tutti i media e del quale molti addetti ai lavori avevano già  conoscenza perchè di rilevante interesse per l’economia nazionale. Insomma, nessuno ha rivelato segreti di Stato”.
Nella telefonata al centro della polemica, “lo informavo — prosegue — di un emendamento che avrebbe consentito di accelerare i processi autorizzativi di molte opere strategiche, tra cui il cosiddetto progetto Tempa Rossa di Taranto, bloccato da anni. La società  di mio marito, invece, operava come subappaltatrice in Basilicata per un lavoro che nulla aveva a che vedere con lo sviluppo del progetto di Taranto e risaliva ad epoca precedente a quella in cui sono stata nominata ministro”. Quindi secondo la Guidi “non era necessario un mio speciale interessamento per mandare avanti una norma così importante. E comunque, dopo che è stata approvata, non abbiamo attivato i poteri sostitutivi che la legge ci conferiva”.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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