Aprile 26th, 2016 Riccardo Fucile
NEL 2009 E’ STATA PRESIDENTE DELLA HGR DI CUI ERA AZIONISTA L’ASSISTENTE DI FIDUCIA DI PANZIRONI, BRACCIO DESTRO DI ALEMANNO… “PERCHE’ HA TACIUTO?”
Una “comune prassi professionale”, un “ruolo tecnico e di rappresentanza per una società cliente dello studio” svolto “senza percepire alcun compenso“.
Così Virginia Raggi, candidata M5S a sindaco di Roma, risponde alle accuse di un presunto “passato a destra” sollevate da un articolo di Franco Bechis.
Lunedì il vicedirettore di Libero ha raccontato come l’avvocatessa sia stata per poco più di un anno, “fra l’aprile del 2008 e il settembre del 2009″, presidente del consiglio di amministrazione della Hgr di Roma.
Società di cui era “azionista di maggioranza (80%) nonchè amministratore delegato” Gloria Rojo, “per lunghi anni l’assistente di fiducia di Franco Panzironi, braccio destro di Gianni Alemanno e fund raiser della sua fondazione politica, finito poi nei guai con Mafia Capitale”, ha scritto Bechis.
Non solo: la coppia Panzironi-Rojo era già nota alle cronache per la Parentopoli dell’era di Alemanno. La Rojo infatti “era una delle 41 assunte di quell’epoca”.
“Nello svolgimento del mio lavoro con lo studio Sammarco mi è stato chiesto di svolgere un ruolo tecnico e di rappresentanza per una società cliente dello studio, quale la Hgr — risponde Raggi -, senza percepire alcun compenso proprio perchè rientrava nel mio rapporto con lo studio legale cui facevo riferimento. Trattasi dunque di una comune prassi professionale, tant’è che sono stata presidente di garanzia per Hgr fin quando la società è rimasta cliente dello studio Sammarco. Una volta cessato il rapporto io ho lasciato l’incarico. La stessa Rojo infatti la conobbi proprio come cliente dello studio”.
Il nuovo caso segue quello di febbraio, quando era emerso come Raggi avesse svolto la pratica legale presso lo studio Previti dal 2003 alla fine del 2006.
E scatena nuove reazioni da parte del Pd.
“Che Raggi avesse frequentato studi vicini a Cesare Previti lo avevamo imparato da tempo — ha commentato il senatore Raffaele Ranucci — ma quello che non sapevamo è che fosse stata presidente di un Cda di una società , la Hgr di Roma, che faceva recupero crediti. L’azionista di maggioranza della società era Gloria Rojo, assistente di fiducia di Franco Panzironi, braccio destro di Gianni Alemanno, che poi di recupero crediti si è occupata, guarda un po’, anche nella sua nota esperienza in Ama. Ci farebbe molto piacere sapere perchè la Raggi ha taciuto questa sua non secondaria esperienza nel giro legato alla destra romana del sindaco Alemanno”.
Concetti ribaditi dagli esponenti dem Stefano Esposito, Alessia Rotta e Andrea Romano.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Aprile 26th, 2016 Riccardo Fucile
FRANCO GABRIELLI FAVORITO PER IL POSTO DI PANSA
Polizia, Guardia di Finanza, servizi segreti: la partita delle nomine arriva all’ultima curva. Secondo
un articolo pubblicato sul Corriere della sera già venerdì il governo potrebbe nominare i nuovi capi di forze armate, intelligence, guardia di Finanza e polizia.
La scelta dei nomi parte dai servizi segreti, con un confronto tutto interno all’Arma dei carabinieri per la guida dell’Aisi, l’Agenzia per la sicurezza interna.
In pole position rimane l’attuale vice Mario Parente, anche se ha ottime chance il comandante della Regione Toscana Emanuele Saltalamacchia, da anni legatissimo a Renzi e al sottosegretario Luca Lotti.
La mediazione potrebbe prevedere un ticket di due anni – Parente capo, Saltalamacchia vice – in attesa che si liberi la poltrona di direttore dell’Aise.
Incerto rimane il futuro dell’attuale direttore del Dis, l’ambasciatore Giampiero Massolo, arrivato a scadenza di mandato ma che, a differenza degli altri, non va in pensione. E la scelta sul suo futuro apre diversi scenari che si intrecciano con la nomina del capo della polizia.
Al posto di Alessandro Pansa sembra destinato Franco Gabrielli, attuale prefetto di Roma, anche se nell’ultimo periodo le sue quotazioni sono leggermente calate.
Tanto da far ipotizzare che al vertice del Dipartimento potesse arrivare una donna. A favore di Gabrielli gioca il fatto che la «base» subirebbe come un’onta la scelta di un capo scelto tra i prefetti e al momento non è stato individuato un candidato altrettanto forte che provenga invece dalla polizia, anche se questo non ha sbarrato definitivamente la porta all’attuale commissario del Campidoglio Francesco Paolo Tronca.
In alternativa lo stesso Tronca potrebbe prendere proprio il posto di Gabrielli alla prefettura di Roma o andare al Dis.
Non facile la scelta del nuovo comandante della Guardia di Finanza
Complicata è certamente la scelta del nuovo comandante della Guardia di Finanza visto che il Quirinale potrebbe valutare come un’impuntatura la scelta del generale Giorgio Toschi, al momento ritenuto il preferito di Matteo Renzi, pure tenendo conto del fatto che all’interno del Corpo l’alto ufficiale non gode di grande consenso.
Due sono invece i candidati al vertice della Marina per il posto attualmente occupato dal generale Giuseppe De Giorgi travolto dall’inchiesta di Potenza sugli affari legati al petrolio e agli appalti nel porto di Augusta.
Favorito sembra essere il capo di gabinetto della Difesa, Valter Girardelli. Insieme a lui nella terna dello Stato Maggiore ci sono Giuseppe Cavo Dragone e Filippo Maria Foffi, il capo della squadra navale che nei mesi scorsi espresse pubblicamente critiche, anche forti, nei confronti del governo che aveva deciso di sospendere la missione «Mare Nostrum».
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 26th, 2016 Riccardo Fucile
“UNA GIUSTIZIA CHE FUNZIONA NON INTERESSA, A PAROLE I POLITICI SONO TUTTI D’ACCORDO MA POI I PROVVEDIMENTI CONCRETI NON LI APPROVANO”
Franco Roberti, Procuratore nazionale antimafia, davvero Davigo è rimasto solo?
Niente affatto. Si può discutere sul suo gusto per la battuta, ma sulla sostanza delle cose i magistrati sono quasi tutti d’accordo. A cominciare dalle leggi per far funzionare i processi, che non arrivano.
Vedi quella sulla prescrizione: se ne parla da anni e in Parlamento non c’è mai la maggioranza.
Guardi, se uno non vuole pensar male, rischia di impazzire. Prima assurdità : la prescrizione inizia a decorrere non quando il reato e il possibile autore vengono scoperti, ma quando il fatto viene commesso. Cioè molto prima che il pm lo venga a sapere ed eserciti il diritto punitivo dello Stato chiedendo il rinvio a giudizio.
E le altre assurdità ?
Quando il pm chiede il processo, di solito, non c’è più il tempo di portarlo a termine perchè i termini continuano a decorrere fino alla Cassazione. Anche per la corruzione, malgrado la timida riforma appena fatta. E poi l’ex Cirielli del 2005 ha di fatto dimezzato i termini, già prima insufficienti, anche perchè i tempi dei processi sono eterni, con tre gradi di giudizio pressochè automatici (un sistema unico al mondo).
Risultato?
Si prescrive il 30-40% dei reati, specie i più difficili da scoprire e puniti con pene basse e prescrizione breve: quelli contro la PA, finanziari, ambientali, urbanistici, le lesioni e gli omicidi colposi. Perlopiù quelli dei colletti bianchi che — ha ragione Davigo — fanno molti più danni di quelli da strada. Con due effetti collaterali: aumenta il senso di impunità fra i criminali, che si sentono incoraggiati a delinquere per il calcolo costi-benefici (fai molti soldi e non rischi nulla); e cresce la frustrazione degli onesti: è sempre raro che denuncino e testimonino.
Renzi dice che le sentenze non arrivano mai.
Non mi faccia polemizzare, ma le sentenze arrivano sempre: il guaio è che sono troppo spesso di prescrizione. E mica è colpa nostra. Basterebbero poche norme semplici. 1) La prescrizione decorre dalla scoperta del reato e si blocca alla richiesta di rinvio a giudizio, o al rinvio a giudizio, al massimo alla prima sentenza, poi non se ne parla più. 2) Una delle prime cause di prescrizione è la legge che di fatto annulla tutti gli atti dei processi dove cambia un giudice del collegio: un codicillo che salvi gli atti quando cambia il collegio eviterebbe di ripartire da capo, con scarcerazioni per decorrenza termini e prescrizione. 3) Nel processo accusatorio, col dibattimento nel contraddittorio delle parti, l’appello-fotocopia del primo grado è un assurdo doppione, un’altra fonte di prescrizione: niente più appello, salvo per il rito abbreviato. Almeno sui punti 1 e 2, basterebbe prendere uno dei ddl presenti in Parlamento e inserirlo nella corsia preferenziale della riforma del processo. A parole, tutti sono d’accordo su questi rimedi, ma poi le leggi non arrivano mai.
Chissà perchè. Gratteri dice che il partito della prescrizione blocca tutto per salvare dal carcere i potenti.
Purtroppo, dentro e fuori dal Parlamento e delle amministrazioni c’è troppa gente che non ha alcun interesse a una giustizia che funziona o che ha il preciso interesse a una giustizia che non funziona. Gratteri parla di ‘ndrangheta, ma la tendenza è di tutte le mafie: non sono più i mafiosi a cercare i politici, ma i politici a cercare i mafiosi. Il camorrista pentito Carmine Alfieri mi raccontò che già negli anni 80 a ogni elezione aveva la fila di politici di tutti i colori alla sua porta per offrirgli favori in cambio di voti, e lui selezionava e appoggiava chi più gli conveniva. Oggi la vera svolta è il salto della mediazione: le mafie mandano in Parlamento e nelle istituzioni i loro uomini, le loro proiezioni.
E i partiti, ricorda Davigo, non fanno il repulisti al proprio interno sulla base dei fatti emersi dalle indagini.
Questo è il vero problema. A chi ci obietta che non siamo i depositari dell’etica pubblica perchè anche tra noi ci sono corrotti e collusi, rispondo che certo, nessuno è immune: ma noi non aspettiamo che un magistrato colluso venga condannato in Cassazione per rimuoverlo. C’è un giudizio etico-deontologico che in politica non esiste: si delega tutto alle sentenze definitive, come se certi fatti non fossero abbastanza gravi e chiari per fare pulizia subito. L’autonomia del politico dal giudiziario passa proprio di qui.
Renzi e altri invocano la presunzione di innocenza.
Ma che c’entra? Come dice Davigo, quella è un fatto tecnico del processo che impedisce di considerare colpevole chi non ha condanne definitiva. Ma non impedisce di mandare a casa chi fa cose gravi, anche se non sono reati.
L’inchiesta di Potenza, coordinata dalla sua Dna, è stata attaccata dal premier perchè avrebbe trascritto intercettazioni su gossip, pettegolezzi, fatti privati.
Non posso entrare nel merito perchè un nostro pm è applicato all’indagine. Ma tutto è stato fatto nel pieno rispetto della legge vigente.
Ecco, ce la spiega?
Il pm è responsabile delle intercettazioni che fa trascrivere o meno dalla polizia e che inserisce o meno nelle ordinanze. In base al principio-cardine sancito dall’art. 268 Cpp: negli atti vanno le intercettazioni “che non appaiano manifestamente irrilevanti”. Poi il Gip, nell’udienza-filtro, in base allo stesso principio decide cosa stralciare e lasciare. E alla luce degl’interessi non solo del pm, ma pure dell’indagato: ciò che è irrilevante per l’accusa può essere rilevante per la difesa.
Per Davigo non occorre riformare le intercettazioni.
Totalmente d’accordo. La disciplina va benissimo così. C’è il controllo del pm, del difensore e del giudice. E se un giornalista diffama o viola la privacy, è già punibile. Ma se racconta intercettazioni depositate, desegretate, non manifestamente irrilevanti per le parti e di interesse pubblico, perchè impedirglielo?
Ora qualcuno intimerà anche a lei di parlare solo con le sentenze.
Già , tanto non le legge nessuno… È un’ipocrisia per levarci il diritto di parola. Io invece penso che i magistrati dirigenti, oltre ovviamente ai rappresentanti dell’Anm, non solo possono, ma devono informare i cittadini.
C’è una guerra tra magistrati e politici?
Ma quale guerra. Io vengo continuamente interpellato dal Parlamento e dal ministro Orlando. C’è un dialogo costante. Parliamo di prescrizione, di corruzione (la riforma appena fatta è troppo blanda: mancano gli agenti sotto copertura), Codice antimafia, Agenzia dei beni confiscati. A parole sono sempre tutti d’accordo. Poi però quelle riforme non arrivano mai. Perchè?
Marco Travaglio
(da “il Fatto Quotidiao”)
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Aprile 26th, 2016 Riccardo Fucile
DA KABUL A MONTEVERDE: LA STORIA DI UN GIOVANE CHE CE L’HA FATTA
Capire esattamente come si pronunci nella lingua d’origine di Mahdi Hosseini il mestiere che fa
oggi, in Italia, è difficile. Perchè l’Afghanistan è un paese lontano. Non solo geograficamente.
Tra Roma e Kabul ci sono 6.692 chilometri. In mezzo ci sono parecchie altre nazioni e tante avventure.
E Mahdi, nato in un villaggio nei pressi della capitale afghana 26 anni fa e ora rifugiato politico in Italia, le conosce tutte.
Il suo cammino è partito da lì, quando era poco più che un bambino. A causa della guerra, ha lasciato la casa natale insieme a sua madre, tre fratelli e due sorelle per andare in Iran — loro che, in Afghanistan, erano musulmani della minoranza sciita.
Nel paese in cui un tempo passavano le carovane della seta dirette nell’Estremo Oriente, Mahdi prende in mano ago e filo e inizia a cucire.
Lavora in nero, perchè ottenere i documenti in Iran per gli afghani è difficile: sono rari, sono temporanei e il loro rinnovo costa. Troppo, per chi viene da un paese in guerra e ora deve affrontare la discriminazione dei padroni di casa.
Il viaggio di Mahdi prosegue in Turchia. È solo: la sua famiglia è rimasta in Iran. Ed estraneo in una terra in cui non conosce la lingua, continua a cucire. Per un anno, anonimo, senza identità e senza documenti.
La tappa successiva è la Grecia. Il suo contatto con questa terra di confine dura solo pochi mesi: giusto il tempo per sopravvivere e imbarcarsi su quelle navi che – spera – lo portino verso una nuova vita in Europa.
Clandestino, nascosto a bordo di un’imbarcazione, Mahdi il sarto affronta due volte la traversata dell’Adriatico. Il primo tentativo naufraga con le sue speranze quando, appena sbarcato a Venezia, viene rimpatriato.
Il secondo lo conduce invece ad Ancona. Le porte dell’Italia, per Mahdi, sono quelle dello scalo affacciato sull’Adriatico. Ma è sul Tirreno che il giovane sarto ricostruisce, tassello dopo tassello, la sua libertà .
Ospitato dalla casa famiglia “Il Tetto”, alle porte di Roma, trova lavoro, impara l’italiano e mette da parte i soldi necessari per aprire una sua attività .
E finalmente, inaugura il suo primo laboratorio a Tor Pignattara, nel quartiere più multietnico della città . Glielo ha ceduto un amico, che oramai ha perso quell’entusiasmo a cui, invece, Mahdi è tenacemente aggrappato.
Il 2011 è l’anno delle piogge torrenziali a Roma. Una marea di acqua e di fango investe il suo negozio e lo rende presto inagibile. Mahdi è costretto ad abbassare la saracinesca fin quando, grazie ai finanziamenti della Cooperativa Mag Roma — Mutua di finanza autoGestita — riesce a prendere in affitto la prima sartoria a Monteverde Vecchio. Poi, un anno dopo, mette piede nel suo laboratorio attuale, a Monteverde Nuovo.
Quello spicchio di Roma, ora, è diventato il metro con cui Mahdi misura la sua vita. È il sarto di fiducia di tante persone, che passano davanti al suo laboratorio e, guardando dentro verso lui che è tutto concentrato a cucire le amate camicie, lo salutano.
Adora gli italiani e il loro gusto per la moda e il ben vestire – dice. E confessa di amare profondamente Roma, di sentirne la mancanza ogniqualvolta se ne allontana.
Perchè Roma, Mahdi la porta cucita addosso.
Come lo splendido abito con cui si è presentata una nuova vita, piena di quella possibilità che in altri brandelli di mondo gli è stata negata.
(da “Huffingtonpost“)
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