Settembre 5th, 2016 Riccardo Fucile
IL PIANO DI RISTRUTTURAZIONE DELL’AZIENDA…IN ROTTA DI COLLISIONE CON MINENNA
Il boccone è Ama. Ma il boccone è anche uno strumento: per controllare la politica, avere voti e stare
nelle partite economiche.
Attorno ai rifiuti, a Roma si è giocata e si sta giocando una partita feroce e sanguinosa, per le sorti della giunta Raggi, del suo assessore all’ambiente e naturalmente per la qualità del servizio ai romani.
Paola Muraro si è scontrata pesantemente con Marcello Minenna sul piano di ristrutturazione dell’azienda, che l’assessora ha scritto e La Stampa è in grado ora di raccontare nel dettaglio.
Un progetto che finirà sul tavolo dei pm, in cui non c’è alcun riferimento alla ristrutturazione industriale, nè un piano economico-finanziario, nè delle linee guida strategiche o un ripensamento della macrostruttura, ma emerge invece prepotente un’urgenza: epurare i dirigenti nemici e sostituirli con dirigenti fidati.
Per assecondare alcune logiche che qui possiamo spiegare.
Le mani di Paola Muraro su Ama si allungano risolutivamente in una riunione del 26 agosto. Alla riunione partecipano Marcello Minenna e la Muraro, dal Campidoglio, Alessandro Solidoro e Stefano Bina (presidente e dg) in collegamento telefonico.
Il verbale viene trasmesso dal gabinetto del sindaco all’azienda (col protocollo Roma Capitale, Gabinetto del sindaco, 27 agosto 2016, N. Prot. RA/55796).
La trasmissione è firmata Marcello Minenna. Il primo a essere rimosso è Pietro Zotti, direttore industriale da cui dipendono anche i due impianti di trattamento biomeccanico dei rifiuti di Ama (il dirigente è Marco Casonato, anche lui rimosso). Rimuovere Zotti significa togliergli qualunque arma di difesa, un domani qualunque cosa dicesse contro la Muraro passerebbe per la vendetta di un dirigente rimosso.
Il secondo è Leopoldo D’Amico, già fatto fuori da Panzironi, il presidente dell’era Alemanno, e tornato, nella gestione Fortini, come capo del progetto degli Ecodistretti. Non un fulmine di guerra, ma una persona di cui tutti in azienda parlano bene.
La sua rimozione serve a Muraro nel quadro del mantenimento del consenso interno con i comitati di Rocca Cencia.
Il terzo da far fuori è Saverio Lopes, 41 anni, proveniente da Acea e poi Atac, direttore delle risorse umane. E qui la storia incrocia direttamente interessi elettorali. Lopes è giovane, capace. Ma ha tanti nemici.
Facendo fuori Lopes, Muraro fa cosa gradita alle Usb e ad Alessandro Bonfigli, il potente capo della Cisl in Ama e amico di Marcello De Vito, una comune simpatia ideologica (a destra).
Lopes è particolarmente inviso perchè la sua battaglia cardine è stata contro l’assenteismo e il consociativismo nella gestione aziendale; Lopes denunciò brogli nell’accaparramento delle deleghe sindacali, e favorì il licenziamenti dei 41 di Parentopoli. Favorì, anche, una scissione sindacale che portò via 500 tessere dalla Cisl di Ama (tessere che valgono 120mila euro all’anno). Bonfigli, che chiede e ottiene la testa di Lopes, era stato estromesso dalla Cisl nel maggio 2016; ma a giugno vince la Raggi, e contemporaneamente lui torna in sella in come capo Cisl in Ama.
Insomma: destra (network Alemanno), carabinieri, sindacati di base e pezzi (non i migliori) di Cisl sono sullo sfondo di questa Muraro story, e dei voti che essa significa per Virginia Raggi.
In quella riunione del 26 agosto, Muraro decide dunque di togliere Zotti e D’Amico (le loro deleghe vanno tutte al nuovo dg Bina, che non ne è affatto contento, perchè si trova gravato di un carico enorme di responsabilità , e connessi rischi giudiziari), e soprattutto di epurare Lopes.
Solidoro, allora presidente, e Minenna, sono contrari a rimuovere Lopes (addirittura pensavano di nominarlo dg), ma la Muraro fa la voce grossa, alla sua maniera.
A quel punto lo scontro è totale. Minenna, amico e mentore di Solidoro, qualche giorno dopo si dimette. Solidoro strappa l’ordine di servizio per la rimozione di Lopes e si dimette pure lui.
Tutto da rifare? No. Muraro riconvoca tutti i dirigenti Ama il 2 settembre – agendo come fosse l’amministratore dell’azienda, non l’assessore – e comunica che in Ama ci sarà anche Giancarlo Ceci, responsabile della programmazione del M5S, a darle una mano. Un’occupazione stile prima repubblica.
Infine, Muraro chiama Giuseppe Rubrichi, 66 anni, oggi dirigente per la sicurezza sui luoghi di lavoro, e gli offre il posto di Lopes.
Rubrichi nel 2000 finì nell’inchiesta per l’inceneritore di Colleferro, dove bruciavano rifiuti che non dovevano essere bruciati. Non tirò in ballo nessun altro, allora.
Una sua nomina potrebbe far rientrare di fatto in gioco, a dirigere gli impianti, quell’Alessandro Muzi, in buoni rapporti con Manlio Cerroni, l’imprenditore “re delle discariche” romane, che nella prima uscita pubblica della Raggi con Muraro, a Rocca Cencia, si fece fotografare accanto a sindaco e assessora esibendo potenza e copertura politica.
È un grosso boccone, Ama. Chi controlla Ama ha in mano mezza Roma.
Jacopo Iacoboni
(da “La Stampa”)
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Settembre 5th, 2016 Riccardo Fucile
L’ELETTORATO MODERATO DIVISO, NEL CENTROSINISTRA PREVALGONO I SI’, I GRILLINI COMPATTI SUL NO
Renzi deve stare attento: se vuole vincere il referendum è al cuore e alla testa degli elettori del centrodestra, più che ai suoi, che deve parlare.
È questa la novità che ci consegna il primo sondaggio della ripresa politica, quando tutti gli italiani, chi prima e chi dopo, sono tornati dalla lunga vacanza estiva.
La riapertura delle scuole, chiave di lettura del ritorno alla normalità della vita per la maggioranza delle famiglie italiane, è alle porte.
Ed è alle porte (probabilmente si andrà al voto domenica 27 novembre) il responso della gente sul referendum che avrà per oggetto le riforme costituzionali approvate negli scorsi mesi dal Parlamento.
Un referendum «eccezionale» rispetto alla nostra prassi elettorale: il governo chiede agli italiani di esprimersi attraverso un «sì» o un «no» su una serie di riforme, tra cui la più conosciuta è l’abolizione di fatto del Senato come organo che alla pari della Camera dei deputati costruisce le nostre leggi.
Una domanda iniziale: quanti italiani andranno a votare, dato che per questo tipo di referendum non esiste un quorum? Meno o più della metà del corpo elettorale?
Su questo quesito il ricercatore è piuttosto ottimista: noi italiani andremo in molti a votare.
I sondaggi offrono risposte positive superiori all’80% (una previsione del 70% di votanti reali è quindi attendibile) pari ai 30-35 milioni di elettori presenti ai seggi.
Perchè la partecipazione al referendum di autunno sulle riforme istituzionali sarà alta?
Per tre ragioni aventi eguale peso psicologico.
Una mobilitazione dell’opinione pubblica voluta dal governo, contenuta nelle feste popolari dell’autunno, e confermata dai grandi giocatori all’interno del nostro campo: la Confindustria, i quotidiani di informazione, le emittenti televisive, i sindacati dei lavoratori.
Una personalizzazione in termini di «si» o «no» all’attuale governo e di «si» o «no» al Presidente del consiglio in carica. E
, perchè no, un sentimento generale di riscatto del nostro paese a livello internazionale; se noi siamo anche stati, negli Anni ’80, la quinta potenza economica al mondo, possiamo ancora dimostrare la nostra grandezza attraverso la creazione di buone leggi per i nostri cittadini, esemplari per gli altri stati e gli altri popoli.
Un’alta partecipazione quindi, in termini di probabilità .
Ma quali saranno i risultati del referendum costituzionale di novembre?
Su questo tema domina una certa incertezza. I sondaggi da noi fatti a partire da maggio indicano infatti una tendenza: la netta vittoria iniziale del sì è piuttosto appassita.
Oggi (inizio settembre), il no sembra essere in lieve prevalenza nei sondaggi.
Essendo piuttosto alla pari il «si» e il «no» nelle mani di chi è la vittoria?
Qui la risposta si rivela piuttosto semplice: la vittoria del sì o del no potrebbe essere nelle mani del centrodestra.
Infatti gli elettori che si dichiarano di centrosinistra (e che sono il 37% dell’elettorato), si dichiarano stabilmente (due a uno) a favore del sì.
Gli elettori del Movimento 5 Stelle (che sono poco meno del 30% dell’elettorato) si dichiarano senza incertezze (due a uno) a favore del «no».
Restano gli elettori del centrodestra (circa un terzo dell’elettorato), che nel corso dei mesi hanno manifestato forti dubbi sul «sì» o sul «no».
Recentemente (parliamo di agosto) questi stessi elettori si sono percettibilmente spostati sul «no», determinando marginalmente la prevalenza del «no» nei sondaggi.
È questo, quindi, l’elettorato da curare maggiormente, indipendentemente dal «segno» «si» o «no» da indicare.
Perchè la vittoria, ci insegnano gli statistici marginalisti, non è mai in mano alla massa, ma è sempre in mano a una forza «marginale»: a quella forza arcana, che fa vincere «per un punto» nel grande gioco della vita.
Nicola Piepoli
(da “La Stampa”)
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Settembre 5th, 2016 Riccardo Fucile
A REGGIO EMILIA I REDUCI DEGLI ANNI DI PIOMBO SI TROVANO OGNI ESTATE TRA GNOCCO FRITTO E TORTELLI
Il locale non è cambiato granchè da allora, è una trattoria come ce ne sono tante sulle colline
reggiane, cucina tradizionale e ambiente rustico.
Ma è proprio qui, nel borgo di Costaferrata, che nell’estate del 1970 si è cominciato a scrivere una delle storie più drammatiche della nostra storia recente: ad agosto arrivarono nella locanda, che allora era anche una pensione, gruppi di giovani della «sinistra rivoluzionaria» da Reggio, Milano, Genova, Torino, Trento.
Restarono per una settimana a discutere in lunghe assemblee, alloggiando anche nella vicina parrocchia di Paullo, ospiti del prete.
Fra loro Alberto Franceschini, Prospero Gallinari, Roberto Ognibene, Renato Curcio, Mara Cagol: nascevano le Brigate Rosse.
E’ passato quasi mezzo secolo ma quel luogo, così lontano in tutti i sensi dagli scenari urbani in cui si sarebbero scatenati gli attacchi terroristici, continua a esercitare un richiamo sugli ex brigatisti, che anche quest’estate sono tornati da Gianni, questo il nome del ristorante, per una rimpatriata fra compagni di un tempo.
Lauro Azzolini, coinvolto nel delitto Moro e condannato a quattro ergastoli, che vive nelle vicinanze, ha prenotato la tavolata, poi sabato sera sono arrivati in una trentina, famiglie comprese: c’erano Roberto Ognibene, Piero Bertolazzi e Tonino Paroli. Paroli, che oggi ha 72 anni e se ne è fatti 16 in carcere per banda armata dopo aver partecipato all’evasione di Curcio, a Cuneo nel 1975, racconta: «Sono tre-quattro anni che ogni estate, in genere in agosto, ma stavolta abbiamo tardato di qualche giorno, organizziamo queste cene. Sono incontri di persone, ecco tutto: molti compagni, alcuni dissociati, un po’ di tutto… E’ un rivedersi amichevolmente, ho anche incontrato volentieri qualcuno che avevo visto in carcere, ma niente di strano, nessuna apologia». Fra piatti di tortelli burro e salvia, cappelletti, gnocco fritto e salumi, i convitati della stella a cinque punte che fu hanno affrontato vari discorsi, come si fa normalmente a tavola, niente di nostalgico però, assicura Paroli.
E invece fa impressione pensare che fra le stesse mura, fra un piatto di cappelletti e l’altro, 46 anni fa alcuni degli stessi commensali davano vita all’organizzazione che per più di dieci anni avrebbe insanguinato l’Italia: durante il convegno di Costaferrata si saldarono la componente reggiana, cioè i ragazzi del «gruppo dell’appartamento» transfughi dalla federazione giovanile comunista guidati da Franceschini, e quella milanese con Curcio e la Cagol, reduci dalle contestazioni del ’68 all’Università di Trento.
Una formazione ancora confusa, che si ispirava a movimenti rivoluzionari come i Tupamaros in Uruguay. L’attuale gestore della trattoria, figlio dell’oste di allora, ha 53 anni e ci tiene a tenere le distanze: «Non abbiamo mai avuto niente a che fare con quegli ambienti, è una casualità . Paroli è parente di mia madre, ma non c’è altro rapporto. L’altra sera invece è stata semplicemente una cena fra amici».
Franco Gubilei
(da “La Stampa”)
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