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RANCORI, FAIDE E LOTTA DI POTERE: LE DONNE M5S CONTRO LA SINDACA

Settembre 16th, 2016 Riccardo Fucile

LE MOSSE DI RUOCCO, TAVERNA E LE ALTRE… UN FINTO-INTEGRALISMO CONTRO VIRGINIA

“Le rivoluzioni a metà  sono peggio dei partiti». È stata la frase di Roberto Fico (che ha taciuto per mesi dinanzi alla deriva del Movimento, ma anche frenato alcuni degli istinti peggiori dei suoi colleghi di direttorio), che infine ammetteva la deriva opaca, a rompere ogni argine.
A quel punto è successo questo: si stanno agitando tutti gli altri. I finti-integralisti; e tutte le altre.
Strategia zero, sia chiaro: arduo attribuirne una a personaggi come Roberta Lombardi, Carla Ruocco, Paola Taverna, che non sia l’umore e un calcolo mediatico (come ne posso uscire io?); ma anche il potere, o meglio, quote di potere dentro il Movimento romano.
La Faraona, come chiamano Lombardi, ha vissuto male l’ascesa della Raggi, e ora prova a strumentalizzarne le difficoltà .
Ma le sue uscite non sono segno di forza, o di copertura da parte di Grillo: sono piuttosto fughe in avanti, anche fuori tempo, se vogliamo.
Lombardi non può far cadere la Raggi (i consiglieri comunali in quota Lombardi – poco meno di una decina su 29 – non mollerebbero mai la poltrona), ma condizionarla e tenere le sue fette di potere.
Uno, le commissioni capitoline, dove ha piazzato di tutto, e controlla quelle più importanti, patrimonio, bilancio, urbanistica.
Due: quando Lombardi invoca lo spirito delle origini va compreso che lei (non la Raggi) è l’interlocutore, attraverso Marcello De Vito, di una potente rete di vecchio potere sindacale romano (dalla Cisl ai sindacati di base: pacchetti di voti) non certo in linea con le promesse anti-lottizzazione del Movimento.
Tre: Italia 5 stelle, la manifestazione in programma a Palermo il 24-25 di questo mese, ormai giunta alla terza edizione, continua a far riferimento a un Comitato (non a un’associazione); ma i comitati sono strumenti giuridici per eventi ad hoc, che nascono e muoiono.
L’iban dell’ultimo Italia a 5 stelle (a Imola) è invece uguale a quello del Comitato per Palermo.
E chi ne era, allora, il rappresentante legale? Roberta Lombardi.
Avere soldi, organizzare eventi (anzi: l’Evento), con rendiconti non bene dettagliati, come quello sul 2015 pubblicato sul blog di Grillo, significa ovviamente contare: e questa è la vera strategia lombardiana: il sottopotere (per dire, il palco di San Giovanni 2013 costò 110mila euro, quello più piccolo del Vday di Genova il doppio).
Insomma, la grande accusatrice della Raggi pare politicamente più attaccabile di lei.
Non vuol dire però che la sindaca possa stare tranquilla, anzi.
Troppi (e troppe) la odiano, nel suo partito (sì, partito).
In questa guerra colpisce il ruolo quasi sincronizzato di un’altra donna, che di Virginia Raggi parla malissimo, a tutti e ovunque, per le più svariate ragioni.
Carla Ruocco, che ieri s’è subito associata al post della Lombardi («abbiamo gli anticorpi per respingere i virus che hanno infettato il movimento»), è assai legata all’ex assessore Marcello Minenna; il quale a sua volta nei suoi colloqui privati sta dicendo fuoco e fiamme contro Raggi e Di Maio.
È un eufemismo affermare che l’ex assessore non auguri loro il miglior successo. Ci sono anche questi grumi, dietro le uscite anti-Raggi.
A proposito di Di Maio. Se c’è qualcuno che, bene o male, è stato tenacemente a fianco della Raggi, a modo suo, e certo piazzandole spesso suoi nomi, è il pericolante aspirante leader: è lui – non Lombardi, non Ruocco – che avrebbe tutto da perdere da un disastro Raggi.
Il che mette in gioco un’altra donna in questa faida: Paola Taverna. Un tempo assai vicina a Di Maio, poi scavalcata nelle preferenze umane del vicepresidente della Camera, non apprezza più Di Maio, non ama la Raggi, e è furiosa perchè le stavano per lasciare in mano il cerino della mail con cui la sindaca la informava dell’indagine sulla Muraro.
La mail è uscita, scaricando alla fine tutta la responsabilità  su Di Maio; ma non è stata la Taverna; anche se questa è un’altra storia.

Jacopo Iacoboni
(da “La Stampa“)

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I PARTIGIANI ANTI-RIFORMA NON FANNO SCONTI A RENZI

Settembre 16th, 2016 Riccardo Fucile

ALLA FESTA DELL’UNITA’ RENZI E SMURAGLIA INFIAMMANO I 4000 PRESENTI

E dire che sembravano vecchi semi infermi con la camicia rossa e il fazzoletto tricolore al collo, innocui nostalgici che avevano ingannato l’attesa con bicchierini di amaro, e buste di plastica in testa per timore della pioggia.
Altrochè, non è acqua che è piovuta, perchè quelli dell’Associazione partigiani erano agguerriti come nelle migliori mitologie.
Eccoli i veri monelli della serata, noncuranti delle raccomandazioni ecumeniche del moderatore, Gad Lerner.
Hanno fischiato, hanno interrotto, hanno urlato, hanno invitato il presidente del Consiglio ad andare a casa, gli hanno buttato in faccia l’accusa di essere un gran bugiardo.
Guarda un po’: ecco chi giocava in casa, non Matteo Renzi, che sarebbe il segretario del partito titolare della Festa, non i suoi sostenitori che le cronache annunciavano in arrivo a centinaia, convocati dal Pd per spuntarla nell’applausometro.
Giocava in casa Carlo Smuraglia, ben al di sopra dei suoi novantatrè anni, nessun timore, nessuna smania di imbonire l’avversario, nessuna piacioneria.
E nonostante il bell’eloquio novecentesco, che talvolta suonava come Tito Schipa in discoteca, il presidente dei partigiani ci ha dato dentro, non era serata da sconti, ha detto in faccia al dirimpettaio che la sua riforma fa orrore, stravolge lo spirito della Resistenza e dei padri costituenti.
Lì avremmo giurato che Renzi avrebbe riproposto la fascinazione generazionale, utilizzata soltanto poche ore prima in televisione: voi avete fatto la storia, adesso lasciatela fare a noi (sintesi nostra un po’ enfatica).
Niente, bassi bassi e schisci schisci perchè siamo pur sempre a Bologna, la città  dove la memoria, compresa quella più abbellita, non si annacqua.
E nemmeno funzionano le ottime tattiche del fair play, che spingono il premier a zittire i suoi quando danno sulla voce a Smuraglia e anzi, basta un sussurro, una protesta da niente e Renzi dice no, non si fa così, rispetto per chi ha un’idea diversa dalla nostra ma a cui siamo accomunati dai valori fondanti.
La curva antirenziana ha da ridire anche lì, si alzano buu, si inveisce in forma gutturale. Per chi è abituato alla solidità  tetragona del partito – del partito che era, forse – una serata così ha avuto i toni della guerra intestina.
E per la cronaca – anche se non doveva essere una partita da televoto – gli applausi al premier sono stati i più scroscianti, i più numerosi, i più compatti, ma era tutto il resto a lasciarci ad occhi sbarrati.
Ci sono più diritti, dice Renzi, ed è una sommossa verbale. Il premier le ha provate tutte, le capacità  non gli mancano, ma non era cosa.
Da matti: neanche il richiamo antifascista ha funzionato in questa festa e in questa città  che l’antifascismo se lo mangia a colazione.
Volevo sentire qualche parola dall’Anpi, ha detto Renzi, quando il biografo di Giorgio Almirante ha scritto che sono un traditore che va messo al muro.
Dove eravate, chiede Renzi. Ma nulla, non riesce ad agganciare le simpatie mancanti, signore su con gli anni saltellanno nervose, indossano t-shirt con la scritta «Costituzione» fatta a brillantini e urlano basta, vattene.
E che doveva succedere? Che Smuraglia, sempre che ne avesse bisogno, ha preso coraggio, si è fatto quasi sprezzante, ha ironizzato sul futuro del premier dopo la (eventuale) sconfitta, e come stessero andando le cose è stato chiaro quando Gad Lerner, col vento in poppa, ha citato Paolo Prodi (uno dei fratelli di Romano), e cioè la riforma come un «bitorzolo sulla Costituzione».
E allora restiamo così, ha chiuso Renzi, con questa specie di enorme macchinario arrugginito che sono le istituzioni, se vi piace.
Magari non sono la maggioranza, ma gli piace, eccome.

Mattia Feltri
(da “La Stampa”)

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RENZI-PARTIGIANI, NÉ FESTA NÉ UNITÀ: DUELLO ANPI-PREMIER A BOLOGNA

Settembre 16th, 2016 Riccardo Fucile

FISCHI, APPLAUSI, CONTESTAZIONI: IN UN CLIMA DA DERBY SI AFFRONTANO LE DUE ANIME DELLA SINISTRA

Quello che va in scena alla festa dell’Unità  di Bologna è lo scontro tra due popoli divisi e lontani.
Nel tanto atteso “duello” tra il presidente dell’Anpi Carlo Smuraglia e il presidente del Consiglio Matteo Renzi sul referendum costituzionale ad avere voce in capitolo sono principalmente le 4mila persone accorse per assistere al dibattito.
Ognuno ha i suoi supporter. Ed è in un clima da stadio, dove il dialogo viene spesso interrotto da fischi e urla da parte del pubblico, che Renzi e Smuraglia si confrontano, moderati da Gad Lerner, sulla consultazione che si terrà  a novembre.
I partigiani sono accorsi in massa ma anche il Pd si è cautelato, dopo le contestazioni ricevute alla festa dell’Unità  di Catania, chiamando a raccolta tutti i 300 comitati per il Sì della regione.
Il clima, più delle stoccate lanciate dai due relatori, definisce il tenore e l’importanza del confronto.
Non è stata quindi l’occasione per appianare le divergenze emerse violentemente a maggio scorso, quando il ministro Boschi mandò su tutte le furie i partigiani facendo una distinzione tra quelli veri e quelli iscritti all’Anpi.
“Il nostro statuto dice che tra gli obiettivi c’è quello di difendere e chiedere l’attuazione della Costituzione, nello spirito con cui la votarono i costituenti. E la riforma danneggia il Paese e stravolge lo spirito della Carta Costituzionale”, afferma Smuraglia lanciando la prima frecciata al premier.
Mentre Renzi replica arriva la prima interruzione da parte di uno spettatore che dalla platea grida: “Vai a casa”.
Il premier, rivolgendosi direttamente al contestatore, ribatte che “c’è una procedura semplice: finchè c’è la fiducia del Parlamento io rimango”.
Quanto al referendum, “si può votare sì. Si può votare no. Ma dire che è in gioco la democrazia è una presa in giro nei confronti degli italiani”, afferma Renzi.
Smuraglia e il premier snocciolano quelli che a loro parere sono i punti di forza e i punti deboli della riforma firmata Boschi: il presidente dell’Anpi nota come non sia chiara l’elezione del futuro Senato nè tantomeno le sue funzioni, Renzi ribatte che “vengono ridotte le poltrone e non gli spazi democratici”.
Si parla di Italicum: per Smuraglia legge elettorale e riforma sono strettamente legati, Renzi afferma ancora una volta di essere pronto a modifiche se arrivano proposte dalle opposizioni: “Anche se un po’ mi costa – confessa – perchè ritengo l’Italicum un’ottima legge, essendo copiata dalla legge dei sindaci”
Una parte del dibattito viene spesa per parlare dell’inversione di rotta di Renzi rispetto a quanto annunciato mesi fa sul suo destino in caso di vittoria del No: “Renzi, dicendo che se perdeva andava a casa – dice Smuraglia – si è accorto di aver assunto una posizione pericolosa. Ora hanno cambiato versione: prima Confindustria, poi gli Usa e ieri anche un altro paese europeo ci dicono che se vince il No sarà  la catastrofe”.
Renzi fa mea culpa: “Pensavo che quella frase fosse un atto di responsabilità , in estate tutto il Pd mi ha detto di non parlarne più perchè l’argomento stava oscurando il dibattito referendario: quello che sia giusto fare lo tengo per me, ma dico che questa riforma può rendere l’Italia più agile”
“I deputati non sono diminuiti. Ma pensi che sia stata una cosa semplice fare quello che per anni si è solo promesso e mai realizzato? Non ho memoria di tuoi atti parlamentari in cui hai proposto di dimezzare il numero dei parlamentari, non era semplice evidentemente”, attacca poi Renzi riferendosi al passato parlamentare di Smuraglia.
Ma è quando Renzi parla di lavoro che il clima si riaccende: “Io avrei tutto l’interesse a dire quello che è stato fatto negli ultimi due anni: in questo paese negli ultimi due anni ci sono più diritti per tanti e per tutti”, afferma ma subito viene interrotto dai fischi di una parte del pubblico.
“Andate a dire a due persone dello stesso sesso se hanno meno diritti”, ha aggiunto ricevendo applausi. “Se ci sono 580mila posti di lavoro in più, dovete dire grazie a chi ci ha creduto”, ha poi detto Renzi ricevendo ancora altri fischi.
Smuraglia non si scompone mai durante il dibattito, Renzi invece alza più volte la voce e si rivolge direttamente a quella parte di pubblico che lo contesta.
All’inizio del dibattito Renzi aveva assicurato: “Quella del Pd sarà  sempre la casa dell’associazione partigiani, anche quando siamo in profondo disaccordo”.
Alla fine del confronto, il dubbio che sia in atto un trasloco però sorge.

(da “Huffingtonpost”)

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IN SARDEGNA IL PAESE DOVE SINDACO E ASSESSORI FANNO I CANTONIERI

Settembre 16th, 2016 Riccardo Fucile

IL COMUNE   DI ZERFALIU NON PUO’ ASSUMERE E GLI AMMINISTRATORI TENGONO PULITE PIAZZE E STRADE

Un’impiegata comunale risponde al telefono: “Il sindaco? Stamattina non è in ufficio, sta pulendo le piazze”.
Tutto vero: di fronte alla chiesa di questo piccolo paese della Sardegna c’è una squadra di operai non troppo specializzati ma molto volenterosi.
Il primo cittadino usa la scopa, l’assessore il compressore, il padre del vicesindaco pulisce le condotte fognarie, aiutato da un consigliere comunale e da un altro gruppetto di amici.
Si inizia presto perchè oggi in piazza c’è il mercatino e quando arrivano le massaie tutto deve essere già  pulito.
A Zerfaliu il Comune non ha più un operaio: l’ultimo è andato in pensione sei mesi fa e le assunzioni sono bloccate. “C’è di peggio: contavamo di mettere in campo una squadra di lavoratori socialmente utili ma non possiamo fare nulla – protesta il sindaco Pinuccio Chelo – Siamo bloccati dalla burocrazia e da alcuni impiegati che non fanno il loro dovere e non ci consentono di avviare i progetti per il lavoro”.
Il centro di questo piccolo paese è ben tenuto e ordinato: i lavori di sistemazione di strade e piazze sono stati completati da poco. Ma la pulizia era carente.
Nei prossimi giorni ci sarà  la festa in onore di Padre Pio e le piazze dovranno presentarsi al meglio.
“I nostri cittadini hanno diritto ad avere un paese pulito e decoroso – dice il sindaco – L’aspetto che ci fa più rabbia è che in Comune abbiamo in cassa circa 150 mila euro da destinare ai progetti di inserimento sociale: in un anno avremmo potuto far lavorare una cinquantina di disoccupati e assicurare decoro al centro abitato”.
Una dipendente in malattia ha bloccato i progetti e le assunzioni, il sindaco e gli assessori non ci possono far nulla.
Poi c’è il problema del patto di stabilità : un milione e mezzo di avanzo di amministrazione bloccato in banca e impossibile da spendere.
“Non avevamo altre possibilità  – dice l’assessore Sandro Murtas – Rimboccarci le maniche, perchè la gente da noi si aspetta risposte concrete, non pasticci burocratici”. Le signore che vanno a fare la spesa approvano: “Bravo sindaco, tu sei davvero un sindaco operaio”.

Nicola Pinna
(da “La Stampa”)

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