Dicembre 22nd, 2016 Riccardo Fucile
SUPERATA QUOTA 2.153.000 LETTORI, 29.944 ARTICOLI PUBBLICATI, CENTINAIA DI VISUALIZZAZIONI OGNI GIORNO, 500 FOLLOWERS SU TWITTER, COPERTURA DI 20 GRUPPI SU FB PER CIRCA 300.000 UTENTI… UN BLOG CHE DA NOVE ANNI E TRE MESI FA INFORMAZIONE SENZA PADRONI
Lanciamo, come ogni fine anno, un appello ai nostri lettori, con la premessa che potrebbe essere
l’ultimo, in mancanza di un vostro sostegno concreto.
Nove anni e tre mesi fa abbiamo creato un blog dalla forma “professionale” che copre 18 ore al giorno, sette giorni su sette, con circa 15 articoli ogni 24 ore: tutto questo è garantito solo dal sacrificio personale di pochi che, oltre che a collaborare gratuitamente, devono pure fare fronte alle spese vive per acquisto quotidiani, abbonamenti, manutenzione del sito e rinnovo materiali (circa 5.000 euro l’anno).
Abbiamo raggiunto un successo impensabile, diventando uno dei siti di area più seguiti in Italia e con decine di lettori ogni giorno anche dall’estero, fornendo un servizio gratuito di approfondimento attraverso una linea editoriale coerente.
Se volete metterci nelle condizioni di continuare anche per il 2017, vi chiediamo di darci una mano con un contributo libero per le spese che dobbiamo affrontare ogni mese, non avendo partiti o padrini alle spalle.
Versamenti su ns. postpay potete farli velocemente sia da ufficio postale che da tabaccherie autorizzate ricariche indicando semplicemente:
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Dicembre 22nd, 2016 Riccardo Fucile
E SUL CONCERTONE ANNULLATO: “ROMA E’ UNA CITTA’ SULL’ORLO DEL FALLIMENTO, PER QUESTO GLI SPONSOR FUGGONO VIA”…. “SE ARRIVA AVVISO GARANZIA, LA RAGGI PENSO CHE DOVREBBE SOSPENDERSI”
“Se non facciamo urgentemente la manutenzione straordinaria, entro primavera le metro A e B rischiano la chiusura”.
È l’allarme che lancia l’assessore all’Urbanistica di Roma, Paolo Berdini, ospite di Lilli Gruber a Otto e mezzo su La7. “È lo Stato che deve darci i soldi. Non si capisce perchè a Milano dopo Expo dobbiamo dare 1 miliardo e mezzo, e Roma invece deve dare 500 milioni ogni anno allo Stato”.
Poi ancora, rispondendo alla domanda diretta: “Se lo Stato non vi dà i soldi voi, chiudete la metro di Roma?”, l’assessore ha ribadito senza esitare: “Sì, c’è questa ipotesi”.
Parole che annunciano il tenore dello scontro che presto potrebbe iniziare, a spese degli abitanti della Capitale e dei turisti, tra l’amministrazione targata M5S e il governo guidato da Paolo Gentiloni.
Inoltre l’assessore conferma che se arriverà un avviso di garanzia al sindaco Raggi, è possibile che si vada incontro alla sospensione del primo cittadino.
“Vedremo che tipo di avviso sia, ma la voce che ricolava era quella di una sospensione”, dice Berdini: “Penso che sia finito il rodaggio, dal primo gennaio si riparte”.
Per quanto riguarda il tradizionale ‘Concertone’ di Capodanno, l’assessore giustifica l’operato dell’amministrazione: “Roma è una città sull’orlo del fallimento, per questo gli sponsor fuggono via”.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 22nd, 2016 Riccardo Fucile
DUE PLAGI APPURATI E UNO DENUNCIATO… LA CARRIERA CHIACCHIERATA DEL FIGLIO DEL MINISTRO
Un settimanale “che sappia creare quella chimica arcana con cui il giornale dà quotidianamente
forma a se stesso, dal primo abbozzo del mattino all’urto pieno e aperto con i fatti”.
Così il 10 gennaio 2009 Manuel Poletti, figlio del ministro del Lavoro Giuliano, presentava ai lettori del settimanale Sette Sere il grande cambiamento in atto.
Nel suo editoriale da direttore Poletti jr annunciava la fusione tra due giornali locali che sarebbe avvenuta di lì a un mese: dal 7 febbraio successivo Sette Sere si sarebbe fuso con un altro settimanale, Sabato Sera Bassa Romagna, esperimento editoriale poco fortunato nato qualche anno prima.
Parole che però suonano come già sentite.
Perchè identiche a quelle usate dall’ex direttore di Repubblica Ezio Mauro nel suo articolo del 16 dicembre 2008 sulla morte dell’imprenditore Carlo Caracciolo, fondatore della Società Editoriale La Repubblica che ha dato il via alle pubblicazioni del quotidiano di Largo Fochetti.
Scriveva Ezio Mauro:
Perchè (Carlo Caracciolo, ndr) conosceva […] quella chimica arcana con cui il giornale dà quotidianamente forma a se stesso, dal primo abbozzo del mattino all’urto pieno e aperto con i fatti, infine al momento in cui gli avvenimenti esterni e la cultura interna si fondono in una selezione, creano una gerarchia, diventano un disegno, formano un’idea: e danno vita non a un fascio di notizie stampate, ma ad una ricostruzione organizzata e a una reinterpretazione appassionata della giornata che abbiamo attraversato, della fase che stiamo vivendo.
Nel suo articolo Manuel Poletti copia l’intero passaggio, riferendolo non a Caracciolo (morto il mese prima) ma alla sua nuova esperienza editoriale.
E infatti l’unica differenza sta in “giornata” che nell’editoriale del figlio dell’attuale ministro del Lavoro si trasforma in “settimana” (dal momento che si tratta di un settimanale).
È solo uno dei casi che avrebbero fatto guadagnare, secondo chi ha avuto modo di lavorare con lui, la fama di “Mr Copia e Incolla” a Manuel Poletti, figlio del ministro finito nell’occhio del ciclone per le sue frasi su quei giovani andati all’estero alla ricerca di opportunità che a volte “è meglio togliersi dai piedi” .
Frase poi definita “infelice” dallo stesso ministro che si è scusato per aver usato quell’espressione.
Poletti jr, prima di diventare direttore dei settimanali delle Coop, ha fatto la “gavetta” come tanti altri giornalisti.
Nel 2004 era in forze alla redazione di Bologna dell’Unità . Il 22 ottobre di quell’anno al suo caporedattore arrivò una lettera (di cui l’Huffington Post è in possesso) in cui veniva segnalato un plagio a firma Manuel Poletti.
La segnalazione era stata inviata da un giornalista di un settimanale locale e denunciava un copia e incolla pressochè integrale di un suo articolo pubblicato il 16 ottobre 2004 e apparso quasi identico su L’Unità tre giorni dopo, il 19 ottobre.
Non solo: veniva fatto notare come lo spiacevole inconveniente si fosse ripetuto più volte in passato.
È accaduto a Massimiliano Boschi, per esempio.
Anche lui, giornalista nel 2004 per il settimanale legato al mondo rosso delle coop Sabato Sera, ha pubblicato un articolo il 14 febbraio 2004 quasi integralmente “ricopiato” su L’Unità di Bologna quattro giorni dopo, il 18 febbraio. E anche questo portava la firma di Manuel Poletti.
Contattato dall’Huffington Post, Boschi ha confermato la paternità dell’articolo e i “copia e incolla” operati dal figlio dell’attuale ministro.
Nel 2009 Manuel Poletti è diventato direttore del nuovo SetteSere, nato dalla fusione con Sabato Sera Bassa Romagna che pure aveva guidato fino a quel giorno. La decisione dell’editore, la cooperativa Bacchilega, di designare il figlio dell’attuale ministro e all’epoca presidente nazionale di LegaCoop, indusse una decina di giornalisti a fare armi e bagagli e a lasciare il settimanale nel quale avevano lavorato molti anni.
Andarono via dal giornale il direttore, quattro caporedattori e diversi collaboratori, sbattendo la porta.
Nella lettera di commiato ai lettori scrissero:
“La fusione è stata decisa senza neppure presentare un progetto editoriale e un piano di fattibilità economica, forzando il voto dell’assemblea dei soci con tempi, modalità e scenari propri più di un blitz che non di una discussione serena. È stata una decisione presa rifiutando a priori, e spesso irridendo, qualsiasi tentativo della redazione faentina di formulare eventuali controproposte che salvaguardassero la qualità e la territorialità del giornale”.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 22nd, 2016 Riccardo Fucile
SONDAGGIO PIEPOLI: PER IL 54% DEI ROMANI DOVREBBE DIMETTERSI, PER IL 37% NO
Il caso Marra e ciò che sta succedendo a Roma dopo l’arresto dell’ex capo di Gabinetto di Virginia Raggi sta mutando anche le intenzioni di voto dei romani e degli italiani.
Secondo il nostro sondaggio a guadagnare di più dalle vicende capitoline è il Pd e l’area di centrosinistra che capitalizza cinque punti percentuali tra i romani. Com’era prevedibile il Movimento 5 Stelle perde tra i cittadini di Roma (-3%). Quasi ininfluente, invece, l’effetto su Forza Italia e il centrodestra.
Dati che rispecchiano l’attenzione con cui l’opinione pubblica in questi giorni ha seguito l’evoluzione delle inchieste e i risvolti politici.
Se non è una sorpresa scoprire che per oltre quattro romani su dieci il caso Marra ha rappresentato un evento che li ha colpiti particolarmente nel panorama delle notizie, è interessante notare come anche tre italiani su dieci hanno espresso lo stesso giudizio.
Se andiamo a guardare come giudicano gli eventi, il sondaggio mostra alcune certezze che non sembrano far ben sperare alla sindaca cinquestelle.
Per più della metà dei romani la sindaca dovrebbe dimettersi.
Percentuale che sale tra gli italiani, raggiungendo un 56% del campione.
I perchè sono molteplici e si diversificano se guardiamo agli abitanti di Roma, più vicini a attenti all’amministrazione di Virginia Raggi di questi mesi, e il campione degli italiani, più influenzati dalle conseguenze nazionali.
Scopriamo così che i sostenitori romani delle dimissioni ritengono che è impossibile che la sindaca non si fosse accorta di nulla; oppure che è impossibile la sua totale estraneità alle vicende che coinvolgono i suoi più diretti collaboratori; infine un giudizio più complessivo: in questi mesi Raggi non ha fatto molto per la città .
Le prime due ragioni le ritroviamo ai primi posti anche tra gli italiani.
Ma la terza, troppo «romana» viene sostituita con la «colpa» di aver trascinato nella caduta altri esponenti del suo partito, l’M5S, nel presunto malaffare che circondava Raffaele Marra.
Non tutti, però, sono pronti a buttare la croce sulla sindaca. Più del 40% dei romani ritiene che Virginia Raggi debba restare in Campidoglio.
In primo luogo perchè non è ancora riuscita a dimostrare cosa sa fare, in secondo perchè non è coinvolta ufficialmente nell’inchiesta. È interessante notare come per i restanti italiani, che non vivono Roma, il motivo principale sia diverso: Virginia Raggi è una persona onesta e indipendente.
Cosa dovrebbe fare a questo punto il leader del Movimento, Beppe Grillo?
I romani si dividono quasi equamente in tre partiti: dovrebbe sostenerla con forza (26%), dovrebbe spingerla alla dimissioni (37%) dovrebbe lavarsene le mani (31%). Gli italiani sono più interventisti.
Solo per il 19% Grillo dovrebbe restare fuori dalla vicenda, mentre per quasi la metà (46%) dovrebbe far dimettere la sindaca e per il 29% dovrebbe invece sostenerla.
La fiducia nella sindaca dopo le ultime vicende? Il 36% dei romani ha fiducia (35 gli italiani), il 62 non ne ha (64 tra gli italiani).
Nicola Piepoli
(da “La Stampa”)
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Dicembre 22nd, 2016 Riccardo Fucile
L’EX PRESIDENTE DELLA REGIONE CALABRIA E ATTUALE ESPONENTE DI AZIONE NAZIONALE E’ ANCHE INDAGATO NELL’INCHIESTA ANTIMAFIA “MAMMASANTISSIMA”
Cinque anni di carcere e interdizione perpetua dai pubblici uffici. 
La Corte d’Appello di Reggio Calabria ridetermina di poco la condanna inflitta all’ex sindaco e governatore Giuseppe Scopelliti nel processo di primo grado sul “caso Fallara”.
Abuso d’ufficio e falso in atto pubblico. La favola del “modello Reggio” finisce qui in attesa, adesso, che la Cassazione metta il sigillo all’inchiesta che, assieme allo scioglimento per infiltrazioni mafiose del primo Comune capoluogo di provincia, ha scardinato il potere di Peppe Scopelliti, sindaco dal 2002 al 2010 e governatore della Calabria fino al 2014 quando ha inaugurato l’applicazione della legge Severino in seguito alla sua condanna a 6 anni di carcere.
Scopelliti è stato per lungo tempo il simbolo della “Reggio da bere” che, però, ha portato al tracollo finanziario di Palazzo San Giorgio.
La città dello Stretto, infatti, è stata usata come un trampolino di lancio per la carriera dall’ex Movimento sociale italiano, poi pupillo in terra calabra di Silvio Berlusconi e, dopo ancora, azionista di maggioranza dell’Ncd con il quale si è candidato all’Europee non riuscendo ad essere eletto.
Finiti i tempi delle percentuali bulgare rastrellate da Scopelliti in qualsiasi tornata elettorale, la bocciatura delle urne nel 2014 lo ha allontanato anche da Angelino Alfano per avvicinarlo ad Azione Nazionale.
Movimenti politici che fanno da sfondo a problemi giudiziari.
Stando all’inchiesta sul “caso Fallara”, coordinata dai pm Sara Ombra e Francesco Tripodi (non più in servizio a Reggio Calabria), infatti, l’ex sindaco Scopelliti è ritenuto il responsabile numero uno dello sfascio economico della città .
Impianto accusatorio condiviso anche dal sostituto procuratore generale Alberto Cianfarini che, nel corso della requisitoria, aveva chiesto la conferma dei sei anni al presidente della Corte d’Appello Adriana Costabile.
Per i magistrati, a Palazzo San Giorgio c’era una vera e propria dittatura della dirigente Orsola Fallara, morta nel 2010 per aver misteriosamente ingerito dell’acido dopo una conferenza stampa indetta dopo l’avvio dell’inchiesta da parte della Procura. La consulente del Comune si era dichiarata disponibile a fornire tutte le spiegazioni ai magistrati ma non ha fatto in tempo.
La Fallara — si legge nella sentenza di primo grado — “era una perfetta esecutrice di direttive precise che provenivano dal sindaco Scopelliti, che, tramite lei, ha creato un sistema accentrato su se stesso esautorando di fatto tutti coloro che avrebbero potuto ostacolarlo (cioè i dirigenti non asserviti al suo dominio e gli assessori che eventualmente avessero voluto svolgere le loro funzioni correttamente)”.
Orsola Fallara era la responsabile del settore Finanze voluta da Peppe Scopelliti.
Una professionista, nominata senza un concorso, tutta dentro il “sistema” del sindaco. Un suo funzionario “di fiducia” che, in eredità , insieme ai misteri sulla sua fine orribile, lascia un bilancio per i magistrati segnato da “un quadro di irregolarità enorme”.
È di centinaia di milioni la voragine nelle casse del Comune dove i pm hanno trovato debiti con società partecipate non onorati, un buco finanche con l’Enel per bollette milionarie mai pagate, ritenute fiscali evase per almeno 20 milioni di euro.
Il tutto mentre Reggio diventava una “città cartolina” dove si spendevano soldi per iniziative allegre: 50mila euro alla New Art Gallery per una conferenza stampa di presentazione delle statue Rabarama, costate 600mila euro, altri 252mila per finanziare la radio amica Rtl.
Sono gli anni della “Reggio da bere” in cui in riva allo Stretto arriva anche il concerto di Elton John organizzato dall’amico promoter Ruggero Pegna, nel 2010 candidato alla Regione in una lista a sostegno di Scopelliti.
È un fallimento con lo stadio semivuoto, ma alle tasche dei reggini è costato 360mila euro.
Altri 650mila sono stati spesi la Notte bianca del 2006: per avere Lele Mora e i suoi guitti da Grande Fratello, Scopelliti fa versare dal Comune 120mila euro e addirittura si raccomanda a Paolo Martino, il referente della cosca De Stefano a Milano.
Per non parlare delle consulenze esterne e dei contributi a pioggia: 75 avvocati si sono spartiti 777 pratiche.
La difesa di Scopelliti ha sempre sostenuto che “lui atti di gestione non ne compie, perchè lui fa il politico”. “Però — era stata la risposta del pm Sara Ombra nel processo di primo grado — quando si tratta di dare contributi elettorali, li fa gli atti di gestione”. Adesso occorrerà attendere le motivazioni della sentenza di oggi che ha registrato la condanna a 2 anni e 4 mesi anche per i revisori dei conti del Comune Carmelo Stracuzzi, Domenico D’Amico e Ruggero Ettore De Medici, interdetti dai pubblici uffici per i prossimi 5 anni.
Dopo la lettura della sentenza, Scopelliti ha lasciato il palazzo di giustizia senza fare alcuna dichiarazione.
Lo ha fatto a bordo di un’auto della scorta che la prefettura gli aveva assegnato nel 2004 e che non ha mai revocato neanche dopo la notizia che l’ex sindaco di Reggio è indagato nell’inchiesta antimafia “Mamma Santissima” per essere stato il “pupo” nelle mani dell’avvocato Paolo Romeo, l’ex parlamentare del Psdi ritenuto dalla Dda una delle due teste pensanti delle cosche reggine.
È lui assieme alla componente segreta della ‘ndrangheta che, secondo il pm Giuseppe Lombardo, nel 2002 ha deciso che Scopelliti doveva fare il sindaco di Reggio Calabria.
Lucio Musolino
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 22nd, 2016 Riccardo Fucile
“COMPORTAMENTO INCOMPATIBILE COI PRINCIPI DEL M5S”… SI FA DIFFICILE LA PRESENTAZIONE DI UNA LISTA PER LE COMUNALI 2017
E alla fine ci fu la spaccatura. Anzi, la sdoppiatura.
Non si ferma la guerra intestina tra i militanti del Movimento 5 Stelle a Palermo. Coinvolti nell’inchiesta sulle firme false depositate alle amministrative del 2012, ormai da settimane i grillini palermitani si sono divisi: da una parte ci sono gli attivisti che difendono i deputati indagati dalla procura di Palermo, dall’altra quelli che contestano il comportamento processuale dei portavoce, che davanti ai pm si sono avvalsi della facoltà di non rispondere.
E sono proprio questi ultimi che adesso fondano un nuovo meet up cittadino, diverso da quello originario.
Si chiamerà “Palermo in movimento” e a dare notizia della sua creazione su facebook è Adriano Varrica, uno dei fondatori del primo meet up cittadino nel 2007, collaboratore dell’europarlamentare Ignazio Corrao.
“La costituzione di questo meet-up — dice Varrica — nasce dall’impossibilità manifesta di condividere l’attivismo e il percorso politico con chi sta tenendo o supportando un comportamento mediatico e processuale incompatibile coi principi del Movimento 5 Stelle. A ciò corrisponde inoltre una gestione delle dinamiche di partecipazione volutamente priva di regole, in cui può valere l’arbitrio di pochi, sempre gli stessi, che detengono i canali di comunicazione e condivisione, senza alcuna collegialità , senza alcuna investitura e senza alcun controllo”.
Il riferimento di Varrica è a quella che potrebbe essere definita come la notte dei lunghi coltelli, seppure telematici, dei grillini palermitani.
Qualcuno, infatti, ha “espulso” alcuni attivisti dal forum del Grillo di Palermo, bloccando lo stesso Varrica, che era uno degli amministratori del canale Telegram del meet up, utilizzato fino a quel momento per diffondere gli eventi in programma.
Una sorta di colpo di mano che è andato in onda negli stessi giorni in cui due attivisti indagati dalla procura — Samantha Busalacchi e Riccardo Ricciardi — si facevano vedere ad un banchetto del Movimento 5 Stelle, spaccando in due il gruppo di grillini presenti: alcuni attivisti sono rimasti fedeli agli indagati, praticando inedito garantismo (“Bisogna aspettare la sentenza definitiva. Fino a prova contraria siamo tutti innocenti”, dicevano), altri, invece hanno abbandonato polemicamente il banchetto.
Un esempio lampante del livello di scontro raggiunto tra i grillini palermitani, che adesso danno vita ad un nuovo meet up, mentre sembrano sempre più lontane le Comunarie, cioè le elezioni online per scegliere il candidato sindaco dei 5 Stelle.
“Non credo che questo passaggio sarà determinante nelle valutazioni del Movimento rispetto alla decisione di fare o meno le comunarie. In quasi tutte le grandi città ci sono diversi meet-up che, lo ricordo, non rappresentano il Movimento ma a questo si ispirano nell’attività di impegno civico e politico”, spiega Varrica, che ha ritirato la sua candidatura per le amministrative del 2017.
L’impressione è che con una spaccatura simile sia praticamente impossibile per i 5 Stelle presentare una lista per le comunali, nonostante alcuni deputati come Giampiero Trizzino assicurino il contrario.
Nel frattempo nuovi maldipancia nascono tra gli attivisti e sono legati allo status dei parlamentari Riccardo Nuti, Giulia Di Vita e Claudia Mannino.
I tre deputati indagati, infatti, sono stati sospesi de imperio dai probiviri del Movimento ma figurano ancora nel gruppo parlamentare dei 5 Stelle: in questa veste hanno rilasciato più di una dichiarazione sull’indagine che a Roma ha coinvolto Raffaele Marra, ex vice capo di gabinetto di Virginia Raggi in Campidoglio.
Rimangono formalmente nel gruppo parlamentare all’Assemblea regionale siciliana anche Claudia La Rocca e Giorgio Ciaccio, che però hanno collaborato con i magistrati autosospendendosi subito dopo che Beppe Grillo aveva avanzato una richiesta in tal senso.
Ed è proprio la collaborazione della La Rocca con i pm che è finita al centro di un esposto depositato da Nuti, Di Vita e Mannino (ma anche dalle deputate non indagate Lupo e Di Benedetto) alla procura di Palermo e all’ordine degli avvocati.
Secondo i deputati indagati, infatti, le dichiarazioni della collega La Rocca sarebbero state “pilotate” dall’avvocato Ugo Forello, cofondatore dell’associazione antiracket Addiopizzo e aspirante candidato sindaco di Palermo dei pentastellati.
Giuseppe Pipitone
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Dicembre 22nd, 2016 Riccardo Fucile
L’EX CASA DEL FASCIO E’ RIMASTA CHIUSA PER OLTRE 20 ANNI… IL PROGETTO DEL POLO MUSEALE COSA 5 MILIONI
C’è da scottarsi a toccare Predappio e i suoi ingombrantissimi legami con la storia, plasticamente
rappresentati dalla monumentale ex casa del fascio che il sindaco Giorgio Frassineti, ormai da anni e fra mille ostacoli ideologico-culturali, sta facendo di tutto per trasformare in museo del fascismo: «Siamo a un punto di svolta col progetto e io vado avanti, non posso permettere di fare di un edificio del genere una vittima della damnatio memoriae».
Lo stato dei fatti è che al milione di euro versato in parti uguali dal comune di Predappio e dalla fondazione Cassa dei risparmi di Forlì se n’è appena aggiunto un altro della regione Emilia Romagna, che ha pescato fra i fondi strutturali europei, mentre si attende una risposta del governo dopo che Luca Lotti, allora sottosegretario, si era interessato venendo qui di persona.
Nel frattempo l’istituto Parri sta lavorando al progetto museale e l’avrà pronto entro marzo, quindi sarà delineato lo sviluppo edilizio dell’opera e si potrà mettere a bando l’intervento di risistemazione di uno degli esempi più imponenti di architettura razionalista d’Italia: «Abbiamo incontrato resistenza da parte di storici importanti come Giovanni De Luna e Luciano Canfora, ma noi vogliamo che la casa del fascio diventi un punto della rete museale europea», aggiunge il sindaco, alla guida di una giunta monocolore, espressione di una lista civica che è un’emanazione diretta del Pd. La cripta del cimitero del paese dov’è sepolto il Duce, sotto un busto marmoreo degno del Ventennio, gli stivali e qualche effetto personale, è una meta obbligata per i nostalgici che tre volte l’anno — nascita e morte di Mussolini, ma soprattutto nel giorno della marcia su Roma — invadono Predappio in fez e camicia nera.
Frassineti, a questi rituali un po’ macabri con tanto di croce colossale portata in corteo fino alla tomba di Mussolini, così come al fiorentissimo mercato di gadget del regime venduti nei negozi del paese, ha pensato di replicare con l’elaborazione storico-culturale del fenomeno: «Qui viene gente vestita da balilla o da gerarchi, ma noi non possiamo continuare a pagare per il fatto che siamo a Predappio. È stato addirittura proposto di fare il museo da un’altra parte purchè non qui, ma io penso che, confinandolo a Predappio, in realtà si voglia rimuovere il fatto che il fascismo fu un movimento di massa».
E quando sente parlare della necessità di vietare la vendita di gadget fascisti, fa capire che è un falso problema: «Va bene, vietiamoli, ma quel periodo c’è stato e ci si deve fare i conti seriamente: davvero abbiamo ancora paura di un accendino col fascio littorio comprato su una bancarella?».
Intanto, l’idea di realizzare un museo del fascismo nel paese natale di Mussolini, e all’interno di un edificio simbolo del suo potere di allora, continua a suscitare l’interesse dei media internazionali: «Ultimamente sono venuti qui la troupe della tv nazionale russa e l’inviato di un giornale cinese che vende 12 milioni di copie. Io penso che il museo, fra l’altro, servirebbe a dare un senso anche all’Europa, che coi fenomeni autoritari continua a trovarsi alle prese. Predappio fra l’altro è l’unico comune italiano a far parte di Eurom (European observatory on memories dell’Università di Barcellona, ndr), anche perchè vogliamo dare un respiro internazionale ai nostri progetti».
Franco Giubilei
(da “La Stampa”)
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Dicembre 22nd, 2016 Riccardo Fucile
AVREBBE MESSO IN GUARDIA I VERTICI CONSIP SUI RAPPORTI CON L’IMPRENDITORE ROMEO
Il nome del comandante generale dell’Arma dei carabinieri, il generale Tullio Del Sette, entra nell’inchiesta sugli appalti Consip condotta dalla Procura di Napoli. Secondo quanto riportato dal “Fatto quotidiano”, l’alto ufficiale sarebbe stato iscritto nel registro degli indagati per rivelazione del segreto d’ufficio.
Avrebbe messo in guardia i vertici della Consip sui rapporti da tenere con alcuni imprenditori, fra i quali il top manager napoletano Alfredo Romeo, attualmente indagato per corruzione con il dirigente della Consip Marco Gasparri.
Al momento, fonti giudiziarie non confermano la notizia dell’iscrizione del generale Del Sette nel registro degli indagati.
Nei giorni scorsi, i carabinieri del Noe e i finanziari del nucleo di polizia tributaria di Napoli avevano perquisito gli uffici di Gasparri in Consip.
Al centro delle indagini, l’ipotesi che il dirigente della società pubblica abbia ricevuto tangenti da Romeo per aiutarlo nella partecipazione a importanti gare d’appalto come quella sul facilita management, Fm4, bandita nel 2014 ma poi aggiudicata a un’altra azienda.
Gli atti saranno trasferiti nelle prossime ore alla Procura di Roma, competente per questo segmento dell’indagine.
Saranno pertanto gli inquirenti capitolini a valutare gli elementi raccolti dagli investigatori e a decidere se ipotizzare reati a carico del generale Del Sette.
(da agenzie)
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Dicembre 22nd, 2016 Riccardo Fucile
LUTZ BACHMANN SOSTIENE DI AVERLO SAPUTO DA FONTI DI POLIZIA… MA DOPO DUE ORE SI CERCAVA ANCORA IL PAKISTANO, NON CERTO UN TUNISINO… LA POLIZIA LO SMENTISCE: COME FACEVA A SAPERLO?
Mentre continua febbrile la ricerca dell’attentatore di Breitscheidplatz, scoppia il caso Lutz
Bachmann.
Il capo del movimento anti islamico e xenofobo Pegida ha twittato due ore dopo l’attentato – alle 22:16 – di avere informazioni riservate della polizia che puntavano a un “musulmano tunisino” e ha aggiunto che il fatto che del caso si fosse incaricata la procura generale confermava “la veridicità ” della soffiata.
Va ricordato che nella notte dell’attacco era stato arrestato un profugo pachistano e che il tunisino Anis Amri è emerso tra i sospettati soltanto il giorno dopo.
E quando è venuto fuori, Bachmann ha twittato, compiaciuto, “insomma la mia informazione era giusta? La polizia cerca un tunisino…”.
A chi gli ha chiesto spiegazioni su Twitter, il leader islamofobo ha risposto “è semplice, basta avere i contatti giusti e un whistleblower che ne ha abbastanza delle bugie”.
La polizia nega categoricamente.
Il portavoce, Winfrid Wenzel, ha detto che Amri è entrato nel mirino della polizia soltanto il giorno dopo: il documento che puntava ad Amri si trovava nell’abitacolo del tir ed è spuntato ufficialmente ore e ore dopo l’attacco.
Tanto che qualcuno si è lanciato anche in un commento macabro, come il profilo fake del bonzo della DDR Willi Stoph: “Se cercate altri due giorni nel tir, sicuramente ci trovate l’attentatore”.
Resta la domanda: come faceva Lutz Bachmann a sapere che l’attentatore era davvero un tunisino?
(da agenzie)
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