Ottobre 1st, 2017 Riccardo Fucile
LA STORIA DI DON CONTI, CONDANNATO A 14 ANNI, CHE RISULTA NULLATENENTE, NON RISARCISCE LE VITTIME, MA PAGA CON LA CARTA DI CREDITO… E ALEMANNO NON VOLLE COSTITUIRE PARTE CIVILE IL COMUNE DI ROMA
È evaso martedì a bordo di un taxi da una clinica di Genzano, alle porte di Roma, dove si trovava agli arresti domiciliari. Una fuga durata pochi giorni quella di don Ruggero Conti, ex parroco di Selva Candida, condannato in via definitiva nel 2015 a una pena di 14 anni e due mesi per abusi sessuali su minori.
Giovedì in serata è stato rintracciato dai carabinieri a Milano mentre si trovava in un’altra struttura sanitaria. A tradirlo l’uso di una carta di credito con cui ha pagato il taxi e le celle telefoniche che hanno agganciato il suo cellulare.
Ma ciò che colpisce della storia della sua fuga è come il condannato abbia potuto farsi carico delle spese astronomiche di un taxi da Roma a Milano visto che risulta nullatenente al punto tale che le vittime non hanno finora ottenuto un euro di risarcimento.
Il prete si è fatto ritrovare in clinica ma a Milano, Villa Turro, struttura del San Raffaele:
I carabinieri, saputa la notizia dai legali dello stesso evaso, si sono dunque presentati ieri a Villa Turro per condurre don Ruggero in galera.
Ma neanche stavolta hanno potuto farlo, perchè lecondizioni di salute attuali del sacerdote, secondo i medici, non sono compatibili con il regime carcerario “alla luce —recita il referto —di una deficitaria performance cognitiva che mette a rischio il paziente di condotte auto lesive”. Deve scontare undici anni.
La vicenda giudiziaria di don Ruggero Conti risale al giugno del 2008 quando venne denunciato da un altro sacerdote, il vicario parrocchiale.
Accuse che portarono al suo arresto poco prima di imbarcarsi con alcuni piccoli parrocchiani su un volo per l’Australia dove si celebrava la Giornata della gioventù.
Nel febbraio del 2011 è arrivata la condanna: 15 anni e 4 mesi per prostituzione minorile e per aver abusato ripetutamente in dieci anni, dal 1998 al 2008, di sette bambini che erano stati affidati alle sue cure, approfittando delle difficili situazioni familiari in cui si trovavano.
Secondo il pm il sacerdote aveva indotto due dei ragazzini “a compiere e/o subire atti sessuali in cambio di denaro o altra utilità (in genere capi di abbigliamento)”.
Abusi definiti “di inaudita gravità ”. Le indagini portarono alla luce altri casi di abusi che sarebbero avvenuti negli anni Ottanta quando don Conti non era ancora sacerdote e insegnava a Legnano.
Il prelato che fino a poche settimane prima dell’arresto era stato il garante della famiglia dell’allora candidato sindaco di Roma, poi vincitore delle elezioni, Gianni Alemanno, il 31 maggio 2013 venne condannato in appello a 14 anni e 2 mesi di reclusione per violenza sessuale continuata e aggravata.
La pena inflitta al prelato in primo grado venne ridotta in appello e poi confermata dalla Cassazione nel marzo 2015 perchè nel frattempo tre degli episodi contestati risultavano prescritti.
L’ex parroco, sospeso “a divinis” dal sacerdozio dal 2011, era in stato di detenzione domiciliare a Viterbo, ma per motivi di salute era stato trasferito, sempre ai domiciliari, in una clinica a Genzano.
Don Ruggero fino a poche settimane prima dell’arresto — e dunque nel periodo che comprendeva gli stupri a lui imputati — era stato il garante della famiglia del candidato sindaco di Roma (poi vincitore) Gianni Alemanno.
Oltre a questo, per la prima volta un tribunale riconobbe l’interesse specifico di una amministrazione comunale a costituirsi parte civile nei processi per violenza “sessuale” commessa su minori.
Dando così più respiro alla giurisprudenza che lo ammetteva solo in caso di violenza nei confronti delle donne.
Infine, terzo punto e nodo del caso politico, la costituzione in parte civile non fu operata dal Comune di Roma, quindi dal sindaco Alemanno, ma da un cittadino, il futuro segretario dei Radicali Mario Staderini. Il quale, assistito dall’avvocato Elisabetta Valeri, esercitò “l’azione popolare”, una norma che permette a qualsiasi cittadino elettore di intraprendere le azioni legali che il Comune potrebbe svolgere e che invece non fa.
E questo fu il caso del Campidoglio che espresse la volontà di non entrare nel processo, sulla base di motivazioni contraddittorie contenute in una determinazione del 27 maggio .
(da agenzie)
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Ottobre 1st, 2017 Riccardo Fucile
LA MAGGIORANZA DEI CATALANI E’ CONTRO L’INDIPENDENZA… E QUANTO AD ATTENDIBILITA’ DEL REFERENDUM SONO PIU’ CREDIBILI LE VOTAZIONI DI CASALEGGIO, E’ DETTO TUTTO
“Vuoi che la Catalogna sia uno Stato indipendente sotto forma di Repubblica?”. Oggi, i 5,3 milioni di
aventi diritto al voto in Catalogna hanno messo in scena l’ennesimo tentativo di staccarsi da Madrid
Una lingua, un popolo, una bandiera e, quindi, una nazione, ripetono i sostenitori dell’indipendentismo. Ma anche e soprattutto un’economia.
Con l’indipendenza, la Regione più ricca della Spagna diventerebbe uno dei Paesi economicamente più avanzati dell’Unione Europea (anche se sulla sua annessione immediata molti nutrono dei dubbi), liberata dalle richieste di Madrid che, soprattutto dopo la crisi economica del 2008, ha chiesto ai cittadini catalani un maggior contributo per sostenere le casse dello Stato.
A tre anni dall’ultima consultazione informale che registrò un’affluenza di appena il 35% degli aventi diritto e l’80% di voti a favore dell’indipendenza, con questo nuovo referendum che Madrid definisce “illegale”, Barcellona sfida di nuovo il governo centrale e prova a diventare Nazione.
Dalla Guerra di Successione allo Statuto del 2006. Le origini del separatismo catalano
L’inizio ha una data precisa, anche se alcuni storici fanno risalire i sentimenti indipendentisti nella Regione ai secoli precedenti: 11 settembre 1714.
Quel giorno Barcellona, una delle ultime città a opporsi all’avanzata dei Borbone a discapito della casata degli Asburgo nel conflitto generato dopo la morte senza eredi di Carlo II, nel 1700, dovette cedere dopo 14 mesi di resistenza all’avanzata dell’esercito borbonico.
Quello che per gli unionisti rimane uno degli episodi della Guerra di Successione spagnola, per i catalani è vissuto come la sconfitta delle prima importante guerra di secessione catalana.
Non a caso, l’11 settembre di ogni anno si festeggia la Giornata Nazionale della Catalogna, o semplicemente la Diada, come viene chiamata dai cittadini catalani. Questa data viene rievocata ogni volta che le rivendicazioni indipendentiste tornano a farsi sentire.
È solo pochi anni dopo, nel 1719, che vengono fondati i Mossos d’Esquadra, il corpo di polizia più antico d’Europa che ancora oggi svolge la propria attività nelle città catalane. Una delle occasioni dove mai mancano manifestazioni in favore della separazione della regione catalana è, ad esempio, il minuto 17.14 di ogni partita del Barcellona al Camp Nou: in quel preciso istante, gli spalti, generalmente zeppi di bandiere giallorosse con la stella bianca su sfondo blu, simbolo della regione autonoma, iniziano a intonare cori in favore dell’indipendenza, con i decibel che raggiungono i picchi stagionali quando l’avversario in campo sono i Blancos del Real Madrid, simbolo della capitale e del casato reale.
Forme di indipendentismo sono riaffiorate poi nell’800, durante il rinascimento catalano, e agli inizi del ‘900, con la nascita del primo partito indipendentista catalano, nel 1922, e il voto referendario che approvò il primo Statuto d’Autonomia della Catalogna, nel 1931.
Lo scontro militare tra Barcellona e Madrid si è poi concretizzato sul finire della Guerra Civile di Spagna, nel 1939, quando la città catalana si oppose ai militari franchisti che avevano preso la capitale e stavano avanzando su tutto il territorio. Anche in quel caso, Barcellona dovette cedere alla dittatura e fino alla morte del Caudillo Francisco Franco, nel 1975, i cittadini dovettero subire restrizioni anche dal punto di vista culturale e linguistico, con il regime che vietò l’insegnamento e l’utilizzo della lingua catalana e abolì lo Statuto.
Solo dopo la fine del periodo franchista e l’approvazione della Costituzione spagnola, nel dicembre 1978, la Catalogna è tornata a chiedere l’autonomia che otterrà pochi mesi dopo, quando verrà approvato il nuovo Statuto di Autonomia della Catalogna, nel 1979.
La crisi economica porta nuove rivendicazioni. Nel XXI secolo rinfuoca l’indipendentismo
Con l’entrata nel nuovo millennio, la questione dell’indipendenza catalana torna gradualmente a infuocare il dibattito tra Barcellona e Madrid.
Il primo episodio fu l’approvazione del nuovo Statuto di Autonomia della Catalogna, nel 2006. La popolazione, con un referendum, votò un nuovo testo che, tra le altre cose, definiva la Catalogna una Nazione.
Documento che, però, la Corte Costituzionale spagnola ha dichiarato incostituzionale nel 2010. La decisione dei giudici scatenò la rabbia della popolazione che scese in piazza al grido di “Siamo una nazione, e vogliamo decidere”.
Dopo dei referendum organizzati nei comuni catalani nel 2009 e nel 2011, il sentimento nazionalista si concretizza nuovamente con il voto sull’indipendenza del 2014, coronamento di un progetto avviato due anni prima. La consultazione, però, viene dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale spagnola e, successivamente, anche dal Parlamento di Madrid.
Così gli oltre 1,5 milioni di “sì” all’indipendenza hanno avuto solo un valore simbolico.
Intanto, i sentimenti indipendentisti si stavano acuendo già da diversi anni, quando la crisi economica ha colpito l’Europa, con la Spagna tra i Paesi che maggiormente ne hanno subito le conseguenze.
Da quel momento, Madrid ha chiesto alla regione più ricca della Spagna uno sforzo maggiore per cercare di trainare l’economia nazionale.
I catalani conoscono le potenzialità della propria regione, considerata una dei quattro motori dell’Europa insieme a Lombardia, Rodano-Alpi e Baden-Wà¼rttemberg e che da sola rappresenta il 19% del Pil nazionale.
Una ricchezza, questa, che la popolazione condivide malvolentieri con il resto della Spagna. D’altra parte, la regione orientale vanta, secondo dati riportati da Il Sole 24Ore, 609mila imprese attive, sorge al confine con la Francia e si affaccia sul Mediterraneo, peculiarità geografica che le garantisce una maggiore apertura verso l’estero rispetto al resto del Paese.
Gli indipendentisti catalani vogliono iniziare a gestire in completa autonomia queste ricchezze, le entrate fiscali che ne derivano e investire in nuove infrastrutture che darebbero un’ulteriore spinta e apertura della regione al mercato europeo e internazionale.
Il governo spagnolo non se lo può permettere nè economicamente, nè politicamente: un’indipendenza catalana potrebbe risvegliare sentimenti simili in altre regioni, Paesi Baschi su tutti.
In conclusione, esistono due punti base:
1) Nella stessa Catalogna gli indipendentisti, secondo tutti i sondaggi, si attestano al 40% della popolazione, quindi non hanno la maggioranza neanche a casa loro.
2) Chi vuole staccarsi da Madrid è motivato da questione economiche e ricorda certi discorsi delle regioni ricche che vorrebbero tenersi le tasse senza aiutare le regioni più povere, un dejà vu. Mai che voglia essere indipendente una regione povera…
E’ l’apologia del negare il principio di solidarietà verso altre zone penalizzate da una collocazione geografica meno favorevole, ad esempio.
3) Il referendum di oggi è una sceneggiata senza senso e senza attendiblità : rende più credibili persino le votazioni on line di Casaleggio, è detto tutto
(da agenzie)
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Ottobre 1st, 2017 Riccardo Fucile
IN BALLO 1400 POSTI, OCCORREVA UN DIPLOMA DI SCUOLA SUPERIORE, I PARTECIPANTI SONO STATI 20.000
Nel 2014 la polizia ha bandito un concorso per 1400 posti da vice-ispettore.
Per accedervi occorreva almeno un diploma di scuola superiore. Gli elaborati consegnati dagli oltre 20 mila partecipanti non erano tutti impeccabili.
Il Fatto Quotidiano, in un articolo a firma di Thomas Mackinson e Ferruccio Sansa, racconta che a causa degli oltre 500 ricorsi i compiti degli aspiranti ispettori sono finiti in tribunale e da lì è possibile farsi un’idea sulla cultura generale di chi è stato promosso.
Non solo: il 12 settembre scorso i vincitori hanno cominciato i corsi in diverse città . Non parliamo di aspiranti poliziotti, ma di agenti in servizio con almeno sette anni di esperienza sulle spalle.
Per gli ispettori, si scopre dagli elaborati, saper scrivere in l’italiano non è poi “fonda me- ntale”. Scritto e troncato così: -ntale.
Insieme a “l’ho impartisce ”,“l’ho esegue”.
Eppure chi l’ha scritto ha vinto il concorso da vice ispettore. Ed è in buona compagnia perchè tra i 2.127 idonei c’è chi scrive più volte “estrema orazio”, e nello spiegare cosa sia la legittima difesa inventa nuove teorie come “l’ingiusta offesa posta in essere anche da cose o animali ”.
Promosso pure lui, insieme a chi scrive “ammenta” con la t, “perquotono”e “endicap ”. Non basta: “Tra i 2.127 idonei è stato analizzato un campione di 800 temi.
Un centinaio presenta parti copiate da internet e libri di testo”, riferisce l’avvocato Fiorio.
Ma tra i candidati vincitori c’è chi sostiene che — nel caso di un rapinatore in una banca — “non si è autorizzati a sparargli ad altezza petto bensì sulle gambe per evitare la fuga”.
Un vincitore propone una nuova definizione dell’omicidio: “Un soggetto che deve uccidere una persona con la pistola, il soggetto per uccidere, deve materialmente, oltre che avere una condotta commissiva nel puntare la pistola con l’intenzione di sparare, affinchè avvenga l’evento morte si deve verificare lo sparo”.
(da “NextQuotidiano”)
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Ottobre 1st, 2017 Riccardo Fucile
ANNA FOGLIETTA RACCONTA COSA E’ ACCADUTO DOPO LA SUA PARTECIPAZIONE A OTTO E MEZZO
Anna Foglietta, che giovedì scorso si era presentata a Otto e Mezzo criticando la giunta Raggi,
racconta in un’intervista a Repubblica l’esperienza di finire nel solito e simpatico pogrom a 5 Stelle sul web dopo le sue dichiarazioni in tv
Anna Foglietta, attrice romana, ci aveva scommesso su Virginia Raggi?
«Sì, ci ho creduto davvero, ma ora solo delusa. Roma è peggiorata enormemente in quest’ultimo anno. Preciso che non appartengo al M5S. Ma, pur essendo di sinistra, alle scorse comunali ho messo l’ideologia da parte»
Si aspettava attacchi così violenti sui social dopo le sue critiche alla giunta Raggi su La7?
«Mi hanno rivolto insulti sessuali pesantissimi, dipingendomi come una radical chic del Pd scollata dalla realtà . Ma io non ho niente a che fare nè con Matteo Renzi nè con il suo partito. Lavoro da vent’anni senza appoggi politici. E mi sento una del popolo: sono figlia di operai e nata al Testaccio».
In che cosa sta sbagliando l’amministrazione pentastellata?
«La sindaca non ha mantenuto niente di quello che aveva promesso, il codice etico è stato tradito: prima i grillini erano giustizialisti a oltranza, ora difendono Raggi a spada tratta».
(da “NextQuotidiano”)
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Ottobre 1st, 2017 Riccardo Fucile
SVOLTA ANTI-GRILLO, BENEDETTA DALLA MERKEL CHE CHIEDE ALL’ITALIA STABILITA’… ACCORDO CON LA LEGA PER VINCERE, MA CON IL CAVALIERE CHE DA’ LE CARTE
Se Berlusconi aveva ancora dei dubbi, un messaggio da Berlino glieli ha tolti definitivamente: «Tranquilli, non esistono alternative al mio governo», ha fatto sapere la Merkel tramite comuni amici.
È sicura che, nonostante le formule traballanti, la politica europea continuerà a far perno su di lei. E tra i suoi desideri ce n’è uno in particolare riguardante l’Italia: la Cancelliera pretende stabilità . Non vorrebbe avventure, gente inesperta al volante. Dopo le prossime elezioni Angela spera che da noi governi qualcuno con la testa sulle spalle, e Silvio ovviamente risponde «eccomi, ci sono qua io».
Guarda combinazione, l’altro ieri ha festeggiato gli 81 anni rivendicando su Facebook il peso dell’«esperienza», contrapposta all’«improvvisazione» dei giovanotti.
Si sente già l’”unto” della Merkel. Piccolo problema: per ritornare nella grande politica, il Cav deve perlomeno vincere. E può sognare di farcela soltanto se trova un accordo con Salvini.
Ma come vivrebbero in Europa un patto coi «sovranisti»? E questi ci starebbero? La settimana ha registrato due novità .
Popolari e pragmatici
La prima è il via libera del Ppe. Al Cav lo ha comunicato Joseph Daul, presidente dei Popolari Ue, giovedì ad Arcore (con loro il braccio destro di Berlusconi per gli affari internazionali, Valentino Valentini). Non che Daul faccia salti di gioia alla prospettiva di allearsi in Italia con gli amici della Le Pen, sempre di populisti si tratta.
Però più importante è sbarrare la via ai grillini e, tramite Berlusconi, rimettere piede al governo. Anche in una «larga coalizione» con Renzi, se la vittoria dovesse sfuggire. Saranno moderati, al Ppe, ma con parecchio pelo sullo stomaco. Per loro conta il risultato. Ad esempio, non sono così in ansia per la sorte di Alfano. Qualora Angelino fosse di ostacolo a un fronte comune con la Lega, peggio per lui nonostante sia membro Ppe.
Guardano con più interesse all’Udc di Lorenzo Cesa, con cui Daul si è intrattenuto a tavola, testimone il presidente del Parlamento Ue Antonio Tajani.
Insomma, Berlusconi avrà carta bianca purchè non finisca a traino della Lega ma viceversa.
Si vedranno (prima o poi)
L’altra novità è la telefonata di Salvini per gli auguri del compleanno, una mossa preparata da giorni. Berlusconi ha annunciato un incontro la prossima settimana, sebbene nulla risulti in agenda. Giorgia Meloni, per esempio, non è stata informata. Alla Lega minimizzano, «forse i due si vedranno a metà ottobre, prima sarà difficile». Rispetto a giorni fa l’aria è più respirabile ma i motivi di tensione sono sempre i soliti. C’è da stendere il programma comune, con un viavai di bozze tra Arcore e il plenipotenziario di Salvini, che è Giancarlo Giorgetti. Renato Brunetta assicura: «Siamo molto meno lontani di quanto si pensi».
Il vero ostacolo saranno le poltrone, cioè la spartizione dei candidati in Parlamento tanto che si voti col “Rosatellum” quanto che rimanga il “Consultello”.
Berlusconi ha fretta di agguantare l’anguilla Salvini fissando da subito le porzioni della torta.
Il Cav, com’è suo costume, vorrà basarsi sui sondaggi mentre l’altro cercherà di far leva sui voti delle più recenti elezioni
Sullo sfondo l’incerta partita del «chi comanda», ancora in attesa del fischio di inizio.
(da “La Stampa”)
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Ottobre 1st, 2017 Riccardo Fucile
“NESSUNA MACCHINAZIONE DELLE DUE VITTIME, GRAVISSIMI INDIZI A CARICO DEI DUE CARABINIERI”
Sarebbe «estremamente verosimile l’ipotesi che i rapporti sessuali siano stati consumati contro la
volontà o comunque senza il consapevole, valido e percepibile consenso delle due ragazze»: così ha scritto il giudice per le indagini preliminari Mario Profeta, secondo quanto riportato dal Corriere della Sera, nell’ordinanza con cui ha comunque rigettato la misura cautelare dell’interdizione richiesta dalla Procura nei confronti dei due carabinieri di Firenze accusati di violenza sessuale nei confronti di due studentesse americane.
Il giudice ha fatto riferimento al tasso alcolemico «elevatissimo» riscontrato al primo controllo cui si sono sottoposte le ragazze la mattina dello scorso 7 settembre, circa 4 ore dopo i fatti, avvenuti (secondo la ricostruzione) tra le 3.14 e le 3.32 del mattino nell’ascensore e nel pianerottolo del palazzo del centro cittadino dove, su un’auto di pattuglia, vennero accompagnate le due ragazze incontrate alla discoteca Flo.
Il giudice, tuttavia, ha ritenuto (alla luce della sospensione dei due militari da parte dell’Arma) che non sussistessero esigenze di misura cautelare, tenuto conto anche che il «clamore internazionale della vicenda non rende plausibile l’ipotesi di un rientro in servizio dei due indagati», che sono l’appuntato scelto Marco Camuffo (44 anni) e il carabiniere scelto Pietro Costa (32).
Come detto, però, il giudice ha ritenuto comunque «gravissimi» gli indizi raccolti nei confronti dei due militari: «I due carabinieri – si legge nell’ordinanza – in contrasto con le regole note anche alla più inesperta recluta, hanno usato l’auto di servizio per accompagnare due civili. E dopo averle fatte entrare nel portone hanno avuto un approccio sessuale»; alla luce di tutto ciò, il giudice esclude l’ipotesi della «macchinazione» da parte delle studentesse.
(da agenzie)
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Ottobre 1st, 2017 Riccardo Fucile
DA SEI MESI E’ UN FANTASMA, LA RABBIA DELLA MOGLIE DI FABBRI: “NON SI E’ PIU’ VISTO NESSUNO” ( NEANCHE I POLITICI CHE ANDAVANO A SPECULARE A BUDRIO)
«Che cosa mi aspettavo? Un incoraggiamento, una pacca sulle spalle. Magari delle scuse, qualcuno che dicesse: ce l’abbiamo messa tutta ma non l’abbiamo preso. Invece nulla, nulla, non si è più visto nessuno».
La tabaccheria di Budrio, dove adesso Maria Sirica si affanna da sola, ha riaperto il 12 aprile.
Il primo dello stesso mese il marito Davide Fabbri è stato ucciso in quel locale semplice semplice: una stufetta, quattro tavoli, il bancone, le poche sigarette appilate. Fabbri è stato ucciso da Igor il russo, alias Norman Feher il serbo. Perchè inizia qui, esattamente sei mesi fa, una delle più grandi fughe criminali della storia italiana.
Sei mesi e non una traccia, facendosi beffe di un dispiegamento di forze inusitato, mai visto: mille uomini a dargli la caccia nei paesi, sulle strade, nei casolari, tra gli acquitrini paludosi. Ogni giorno un falso allarme: forse è lui. Invece nulla.
Di Igor non si è più saputo nulla e la maggior parte degli uomini che lo hanno cacciato è tornato alle rispettive basi.
«Io sono qua, da sola e con un padre anziano – prosegue Maria Sirica – e nessuno mi ha più dato una mano. Non ce la faccio più, non so quanto potrò resistere. Ricordate le visite, la solidarietà , la vicinanza di tanta gente nei primi giorni dopo il delitto? Beh, non si è più fatto vivo nessuno. Nemmeno per consolarmi, per sapere come sto. Aiuti materiali? Ma da chi? Ma quando?».
La vedova e gli amici ci hanno provato persino raggranellando i soldi per una taglia . Cinquantamila euro per chi avesse permesso di prenderlo vivo, 25 mila morto.
Ma il termine della ricompensa scade il 22 ottobre «e nessuno si è fatto vivo».
Iniziativa voluta dall’avvocato della donna Giorgio Bacchelli e persino contestata dagli avvocati penalisti di Bologna: «È inconciliabile con i principi fondanti dello Stato di diritto».
Legittimo o meno che sia, il tentativo non ha sortito nessun effetto. Nel frattempo la lista dei delitti di Igor, o di quelli di cui è sospettato, si è allungata.
L’8 aprile, Norbert Feher-Igor Vaclavic, a Portomaggiore,uccide la guardia ecologica volontaria Valerio Verri e ferisce la guardia provinciale, Marco Ravaglia: l’avevano fermato per un controllo. Poi si scopre, ma solo dopo, che è il probabile autore un altro delitto nel 2015, quando il 30 maggio aveva già ucciso vicino a Ravenna la guardia giurata Salvatore Chianese.
La lista è finita? Macchè.
Adesso si sospetta di lui anche per un altro omicidio irrisolto: è la morte di Mor Seye, un venditore ambulante senegalese ammazzato il 12 settembre di due anni fa sul litorale con quattro colpi di pistola calibro 22.
Coincide l’identikit ispirato dai testimoni: i capelli lunghi, incolti e brizzolati. L’altezza tra i 170 e 180 centimetri. la carnagione chiara, l’accenno di barba. L’età : tra i 40 ed i 50 anni. Un movente incomprensibile, ma soprattutto la stessa capacità di sparire in maniera fulminea dopo l’assassinio come fosse un fantasma.
C’è il tentativo inconscio degli inquirenti, quando vengono esaminati i casi irrisolti, a voler attribuire una responsabilità al killer di Budrio in fuga?
In realtà in Italia, dopo il caso di Donato Bilancia, che insanguinò la Liguria con 13 delitti e 17 vittime, ogni ipotesi seriale non viene più accantonata. Pensare che all’epoca dei delitti di Bilancia chi sospettava l’azione di un serial killer veniva nei primi tempi beffeggiato e deriso.
Dov’è Igor? Tra gli inquirenti si affrontano due ipotesi.
La prima: è fuggito subito dopo l’omicidio della guardia provinciale l’8 aprile, prima che scattasse la caccia all’uomo.
Come? Tutta la zona è attraversata da linee ferroviarie del trasporto locale percorse da treni merci. Un balzo a bordo di un vagone e via, in un paio d’ore si è già a decine di chilometri di distanza. Forse Igor è già all’estero.
C’è chi ritiene non possa essere in un altro Paese: con i confini super blindati per l’emergenza migranti, soprattutto a Est, non sarebbe mai passato. È qui, in Italia, protetto da qualcuno.
Solo congetture, nel nulla più assoluto.
Intanto Maria la vedova ricorda bene che in quel giorno anche lei finì nel mirino del killer. «Sono rimasta sola, perchè non ha sparato anche a me invece di lasciarmi a soffrire così?»
(da “La Stampa”)
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Ottobre 1st, 2017 Riccardo Fucile
DIFFICILE CACCIARE UNO CHE NON C’E’, MA PER ALFANO CONTA LO SPOT
“L’ambasciatore di Kim verrà espulso”. L’Italia che tra molte polemiche ha rimandato in Egitto il suo
ambasciatore ora espelle quello Nord Coreano.
Ad annunciarlo è il ministro degli Esteri Angelino Alfano in un’intervista a Repubblica il cui pezzo forte è proprio il pugno di ferro contro il dittatore che coi suoi missili minaccia gli Usa e mezzo mondo.
Alfano parla di “decisione forte”, spiegando che “l’ambasciatore dovrà lasciare l’Italia”, sottolineando come “il nostro Paese presieda il Comitato Sanzioni del Consiglio di Sicurezza, e chiede alla comunità internazionale di mantenere alta la pressione sul regime”.
A dirla tutta in realtà non viene cacciato proprio nessuno per il semplice fatto che formalmente e ufficialmente oggi in Italia non c’è un ambasciatore nord coreano da cacciare: quello accreditato, Kim Chun-guk, è morto nel 2016 a Roma mentre era in servizio e le credenziali del suo successore Mung Jong-nam non sono state accolte dal Quirinale che le sta ancora esaminando.
L’esibizione muscolare del nostro Paese, va detto, segue in realtà quelle di altri che ben prima di Roma hanno messo alla porta gli ambasciatori di Kim: il Perù, la Malesia, il Kuwait, il Messico e in Europa il Portogallo e la Spagna, che ha appena dichiarato l’ambasciatore “persona non grata”.
Alfano nell’intervista si premura di rassicurare sul fatto che sarà tenuto comunque aperto un canale diplomatico con il governo nord coreano. Vero è che Kim non ha mai mancato di far pervenire segnali di simpatia verso l’Italia, ad esempio con le congratulazioni nel giorno della proclamazione dei suoi Presidenti della Repubblica (Mattarella compreso). E che l’Italia ringrazia e ricambia spendendo a Pyongyang l’onorevole Antonio Razzi.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 1st, 2017 Riccardo Fucile
GENTE CHE SI PERMETTE DI ESSERE INDAGATA (COME LA SINDACA) SENZA DIMETTERSI (COME LA RAGGI)… QUANDO LA RAGGI DICEVA: “BISOGNA ASCOLTARE LE OSSERVAZIONI DELL’OREF”
La misura è colma.
Basta con questa gente che si permette di ricontrollare i conti grillini. E che addirittura si permette di essere indagata (come la sindaca) senza dimettersi (come la sindaca). Virginia Raggi vuole rimuovere i tecnici dell’OREF, protagonisti dell’ultima polemica che ha colpito il Campidoglio, quella sul bilancio consolidato.
La bocciatura ha reso furioso il nuovo assessore al bilancio del Campidoglio, Gianni Lemmetti, ma anche — e soprattutto — la maggioranza grillina che è partita all’attacco e, citando notizie di stampa (quella stessa stampa che quando riporta notizie sulla sindaca è inattendibile e pagata dai poteri forti), ha fatto sapere che Federica Tiezzi, presidente dell’Organo di Revisione Economica e Finanziaria del Campidoglio, dovrebbe dimettersi in quanto indagata a Rieti per bancarotta fraudolenta (esattamente come Gianni Lemmetti a Livorno, ma questo non sembra importante) e in quanto moglie di un esponente del Partito Democratico.
E chi vede ogni giorno la sindaca Virginia Raggi al lavoro, spiega oggi Repubblica Roma, ora è sicuro: «Se resterà , ricuserà i membri dell’Organismo di revisione economica e finanziaria».
La bocciatura della presidente Federica Tiezzi e dei revisori Marco Raponi e Carlo Delle Cese al consuntivo approvato in aula Giulio Cesare venerdì sera non è stata digerita.
Spiega Lorenzo D’Albergo che nei prossimi giorni, forse già martedì, quel parere contrario guiderà la mano della prima cittadina grillina: in Comune è data per scontata una doppia lettera al ministero dell’Interno e alla prefettura (il primo stila la lista da cui la seconda estrae a sorte i revisori) per chiedere la rimozione dei tre professionisti finiti nel mirino del Movimento.
Ci sono però da ricordare alcune questioni a proposito dell’OREF.
La prima è che i membri non vengono eletti o scelti in qualche modo o maniera, ma vengono estratti a sorte da un albo proprio per evitare loro le accuse di essere un organo politico e consentire loro di svolgere un ruolo meramente tecnico.
I pentastellati contesteranno probabilmente alla Tiezzi di aver rilasciato interviste ai quotidiani romani in cui ha parlato dello stato dei conti della Capitale, ma gli interventi della presidente dell’OREF ieri ha ribattuto colpo su colpo alle accuse: «Mi faccia dire una cosa, per me i pm non hanno chiesto il rinvio a giudizio».
È una frecciatina alla Raggi? «No, è un dato di fatto. Facendo i commercialisti, a volte può capitare di essere coinvolti in questo tipo di situazioni. Mi difenderò. Ma cosa c’entra col mio ruolo di revisore dei conti del Comune? E che c’entra mio marito?» Non si dimette, insomma? «Ma ci mancherebbe. Ho fatto solo il mio lavoro. Se in Comune non sono stati capaci a redigere due bilanci non è colpa nostra».
E in ogni caso una sostituzione non cambierà in alcun modo la situazione dei conti della Capitale.
I milioni che ballano sono 290: crediti deteriorati. «Sono crediti, sono debiti, che fatture sono?», si chiede Tiezzi oggi con Repubblica Roma.
La commercialista reatina poi riprende: «Non sappiamo a chi attribuirli. Non sappiamo neanche se l’importo è realmente quello. L’importo potrebbe essere più alto».
In più alla fine in Assemblea Capitolina la maggioranza M5S (ovviamente senza sbandierarlo troppo) con un emendamento ha di fatto recepito il tanto contestato parere: «L’amministrazione ha capito. Prima ci hanno detto che facevamo politica — conclude la presidente dell’Oref — poi si sono dati fino alla fine dell’anno per porre rimedio a quel buco. Alla fine si sono conformati. Era quello il nostro intento. Gli attacchi personali? Non ci toccano».
L’OREF dice che i conti, semplicemente, non tornano.
Nella triangolazione tra il Campidoglio e le due controllate Ama (rifiuti) e Atac (trasporti), non si riesce a capire il dare e l’avere, spesso non è neppure specificato chi deve cosa e a chi, se a certi ricavi delle aziende corrispondano poi altrettanti costi per la controllante.
«Sulla base di dati e numeri abbiamo costatato che c’è quanto meno un saldo di circa 300 milioni di euro che non si sa a chi imputare», ha spiegato in Aula Giulio Cesare il revisore Marco Raponi.
«Si tratta tutte quelle poste che non si sa se debbano essere imputate a una partita o a un’altra, o se siano reali». Per questo la maggioranza con un emendamento scritto a mano e depositato al voto prima del varo del consolidato, i consiglieri cinquestelle hanno disposto «di procedere, entro e non oltre il termine dell’esercizio finanziario in corso», dunque entro il 31 dicembre di quest’anno, «a porre in atto i provvedimenti necessari ai fini della riconciliazione delle partite debitorie e creditorie delle partecipate Ama e Atac».
Una correzione last minute per evitare guai, evidentemente.
E dei conti che non quadravano si è accorto anche Luigi Botteghi, arrivato a maggio alla Ragioneria del Campidoglio da Rimini, visto che ha scritto non più di una settimana fa: «In considerazione del disallineamento dei dati fra Roma Capitale e le società facenti parte del perimetro di consolidamento», il parere (obbligatorio) che si esprime è sì «favorevole», ma «condizionato in ordine alla regolarità contabile della proposta di deliberazione in oggetto».
«Per legge abbiamo tre mesi per far tornare tutti i conti», ha ricordato Lemmetti il giorno della bocciatura.
Quando Virginia Raggi diceva: «Bisogna ascoltare i revisori contabili»
Insomma, l’OREF è stato ascoltato con attenzione. Proprio come diceva di fare Virginia Raggi quando era all’opposizione e il sindaco era Ignazio Marino.
Perchè anche all’epoca della giunta del Partito Democratico i rilievi dell’organo c’erano e diventavano oggetto di battaglia politica, esattamente come oggi.
Ma oggi non è più valido, non si può fare.
Al governo c’è il M5S Roma, mica pizza e fichi.
(da “NextQuotidiano”)
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