IL PRETE PEDOFILO EVASO IN TAXI ERA STATO IL “GARANTE DELLA FAMIGLIA” DI ALEMANNO SINDACO
LA STORIA DI DON CONTI, CONDANNATO A 14 ANNI, CHE RISULTA NULLATENENTE, NON RISARCISCE LE VITTIME, MA PAGA CON LA CARTA DI CREDITO… E ALEMANNO NON VOLLE COSTITUIRE PARTE CIVILE IL COMUNE DI ROMA
È evaso martedì a bordo di un taxi da una clinica di Genzano, alle porte di Roma, dove si trovava agli arresti domiciliari. Una fuga durata pochi giorni quella di don Ruggero Conti, ex parroco di Selva Candida, condannato in via definitiva nel 2015 a una pena di 14 anni e due mesi per abusi sessuali su minori.
Giovedì in serata è stato rintracciato dai carabinieri a Milano mentre si trovava in un’altra struttura sanitaria. A tradirlo l’uso di una carta di credito con cui ha pagato il taxi e le celle telefoniche che hanno agganciato il suo cellulare.
Ma ciò che colpisce della storia della sua fuga è come il condannato abbia potuto farsi carico delle spese astronomiche di un taxi da Roma a Milano visto che risulta nullatenente al punto tale che le vittime non hanno finora ottenuto un euro di risarcimento.
Il prete si è fatto ritrovare in clinica ma a Milano, Villa Turro, struttura del San Raffaele:
I carabinieri, saputa la notizia dai legali dello stesso evaso, si sono dunque presentati ieri a Villa Turro per condurre don Ruggero in galera.
Ma neanche stavolta hanno potuto farlo, perchè lecondizioni di salute attuali del sacerdote, secondo i medici, non sono compatibili con il regime carcerario “alla luce —recita il referto —di una deficitaria performance cognitiva che mette a rischio il paziente di condotte auto lesive”. Deve scontare undici anni.
La vicenda giudiziaria di don Ruggero Conti risale al giugno del 2008 quando venne denunciato da un altro sacerdote, il vicario parrocchiale.
Accuse che portarono al suo arresto poco prima di imbarcarsi con alcuni piccoli parrocchiani su un volo per l’Australia dove si celebrava la Giornata della gioventù.
Nel febbraio del 2011 è arrivata la condanna: 15 anni e 4 mesi per prostituzione minorile e per aver abusato ripetutamente in dieci anni, dal 1998 al 2008, di sette bambini che erano stati affidati alle sue cure, approfittando delle difficili situazioni familiari in cui si trovavano.
Secondo il pm il sacerdote aveva indotto due dei ragazzini “a compiere e/o subire atti sessuali in cambio di denaro o altra utilità (in genere capi di abbigliamento)”.
Abusi definiti “di inaudita gravità ”. Le indagini portarono alla luce altri casi di abusi che sarebbero avvenuti negli anni Ottanta quando don Conti non era ancora sacerdote e insegnava a Legnano.
Il prelato che fino a poche settimane prima dell’arresto era stato il garante della famiglia dell’allora candidato sindaco di Roma, poi vincitore delle elezioni, Gianni Alemanno, il 31 maggio 2013 venne condannato in appello a 14 anni e 2 mesi di reclusione per violenza sessuale continuata e aggravata.
La pena inflitta al prelato in primo grado venne ridotta in appello e poi confermata dalla Cassazione nel marzo 2015 perchè nel frattempo tre degli episodi contestati risultavano prescritti.
L’ex parroco, sospeso “a divinis” dal sacerdozio dal 2011, era in stato di detenzione domiciliare a Viterbo, ma per motivi di salute era stato trasferito, sempre ai domiciliari, in una clinica a Genzano.
Don Ruggero fino a poche settimane prima dell’arresto — e dunque nel periodo che comprendeva gli stupri a lui imputati — era stato il garante della famiglia del candidato sindaco di Roma (poi vincitore) Gianni Alemanno.
Oltre a questo, per la prima volta un tribunale riconobbe l’interesse specifico di una amministrazione comunale a costituirsi parte civile nei processi per violenza “sessuale” commessa su minori.
Dando così più respiro alla giurisprudenza che lo ammetteva solo in caso di violenza nei confronti delle donne.
Infine, terzo punto e nodo del caso politico, la costituzione in parte civile non fu operata dal Comune di Roma, quindi dal sindaco Alemanno, ma da un cittadino, il futuro segretario dei Radicali Mario Staderini. Il quale, assistito dall’avvocato Elisabetta Valeri, esercitò “l’azione popolare”, una norma che permette a qualsiasi cittadino elettore di intraprendere le azioni legali che il Comune potrebbe svolgere e che invece non fa.
E questo fu il caso del Campidoglio che espresse la volontà di non entrare nel processo, sulla base di motivazioni contraddittorie contenute in una determinazione del 27 maggio .
(da agenzie)
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