Novembre 19th, 2017 Riccardo Fucile
ACCUDITO DALLA FIGLIA MARINA E DALLA FIDANZATA FRANCESCA, L’EX CAVALIERE E’ PRONTO A 81 ANNI A MUTARSI NEL BRAND DI SE STESSO
Giunto alla sua ventesima reincarnazione, sotto la guida ferrea dell’avvocato e
dell’infermiera – nuovo e dicono vendicativo cerchio magico di cui si dirà – accudito dalla figlia Marina e dalla fidanzata Francesca, l’ex Cavaliere Silvio Berlusconi è pronto ormai a 81 anni a mutarsi nel brand di se stesso.
Un marchio che scavalca persino la persona in carne e ossa, un nome che si fa simbolo: anche se lui non potrà presentarsi alle elezioni per gli effetti della legge Severino, è stato già deciso per esempio che sulle liste del proporzionale ci sarà scritto “Berlusconi presidente” — accorgimento che secondo i calcoli del sondaggista Nicola Piepoli vale da solo due milioni e mezzo di voti, oltre il 7 per cento.
Così, anche se è improbabile che la Corte europea dei diritti dell’uomo si pronunci in tempo per consentirgli di candidarsi, anche se le trasferte sono poche (a Fiuggi alla Convention di Tajani in settembre, a Ischia a quella organizzata da Carfagna e De Girolamo in ottobre) e anche se a Roma va di rado, il sole di Silvio splende sui due mondi di Arcore e i raggi si riflettono fin nei recessi: non solo l’adorabile cane Dudù non è più perennemente tra i piedi, ma persino il sito di Forza Italia, latore fino a poco fa di strepitose gaffes come quella di augurargli buon compleanno sei mesi dopo, adesso recita uno slogan a tono con i tempi: «Per governare l’Italia non si può improvvisare. Serve una solida esperienza».
Quella che Berlusconi può rivendicare e i suoi competitor molto, molto meno. Ecco il brand.
Tutto nel mondo che gli gira intorno dice lo stesso. L’esperienza è la parola chiave: più importante della presentabilità , assai più importante dell’effetto-zombie che pure dilaga. Esempio: una settimana fa, a urne appena chiuse, chi ha fatto per primo cucù dagli schermi per commentare i risultati di Forza Italia? Renato Schifani, già presidente del Senato, già alfaniano, prontissimo a sottolineare di essere risalito già da tempo sul carro del vincitore: è stato più di un anno fa anche se, che strano, «non ve ne eravate accorti».
E Gianfranco Miccichè, mitologica figura del 61 a zero nel 2001 in Sicilia, ritornante dopo una lunga diaspora e aspri contrasti, lesto a preconizzare un nuovo cappottone alle prossime politiche, un 22 a zero non granchè realistico ma comunque d’effetto. Nel complesso, nessun quadro scintillante.
Il cambio di vento elettorale, in ogni caso, giova nel dare un pizzico di serenità a una macchina elettorale che gira ormai a pieno regime da questa estate.
La corsa alla ricandidatura è sempre drammatica (Renato Brunetta è sempre nervosissimo) ma un po’ meno, aumentando le percentuali.
Il nuovo assetto impera, accanto ai soliti stabilissimi aziendali come Confalonieri o come Galliani, prossimo pare alla candidatura. A governarlo, un rinnovato cerchio magico, ormai ristrettissimo e a trazione nordista.
A proteggere e guidare l’ex premier sono infatti in sostanza due persone: Niccolò Ghedini da Pavia e Licia Ronzulli da Milano.
Che negli ultimi mesi hanno di nuovo messo ai margini figure pur fidate come Sestino Giacomoni (è capo dei coordinatori regionali, ma Berlusconi li incontra pochissimo), Valentino Valentini (si occupa ormai solo di questioni estere e famiglia B., non sta più sempre ad Arcore), Andrea Ruggeri.
L’avvocato e l’infermiera sono stati capaci, ad esempio, insieme, di determinare il sì alla nuova legge elettorale, vincendo il braccio di ferro con una figura pure indiscutibile come Gianni Letta, di cui riferiscono infatti l’ira, e la preoccupazione per lo strapotere leghista che il Rosatellum potrebbe determinare al nord.
A mettere vicina a Berlusconi l’ex europarlamentare Licia Ronzulli, 42 anni, infermiera poi specializzatasi in management ospedaliero al Galeazzi di Milano, coinvolta ma poi prosciolta dal processo Ruby ter per falsa testimonianza, pare sia stata direttamente Francesca Pascale, dopo la caduta in disgrazia della “badante” Maria Rosaria Rossi.
Era la donna-ombra di Berlusconi, vegliava sul partito, sulle cene eleganti e sui fagiolini. Adesso anche lei è rinviata a giudizio per il Ruby ter. E’ la chiusura di un cerchio. Non più magico
Pure la fidanzata di Silvio ha in effetti riconquistato il suo ruolo e il suo peso dopo un periodo di crisi: utile in questo senso anche il suo recente trasferimento, con tutti i barboncini annessi, a villa Giambellino, sette stanze da letto e otto bagni, 15 mila metri quadri di giardino, divenuta a tutti gli effetti una specie di nido d’amore, nel quale l’ex Cav si rifugia volentieri, per cenare e dormire.
Comunque è Ronzulli a fare adesso da mastino, a essere onnipresente: persino questa estate a Merano, quando malinconica postava su Instagram le foto al mare della figlia col nonno, sospirando «qui c’è pioggia e vento»; o di un qualche indefinibile cocktail salutista sovrastato dal commento «fingiamo che sia mohito».
Addetta fra l’altro a tener lontani gli scocciatori, la raccontano più aggressiva della Rossi, ma anche più riservata. Nelle cose private, di famiglia, evita per esempio di esserci: mossa intelligentissima perchè, raccontano, «Berlusconi è uno che si stanca delle persone».
Per l’architetto dei Lodi bocciati e delle Riforme da binari morti, per il legale della condanna al processo Mediaset, si tratta invece di una specie di risarcimento etico: è la vittoria della lealtà sull’abilità o, per dirla alla Berlusconi, dell’amore sull’odio.
Cioè, è vero che Ghedini non è tanto bravo a fare miracoli, e figurarsi politici: ma è certo che è sempre nei secoli fedele. Già nel 2009, per dirne una, il leghista Roberto Calderoli diventava matto nel tentativo di riuscire a parlare con Berlusconi da solo a solo di una certa modifica alla riforma della Giustizia: in qualunque sala di palazzo Grazioli si imbucasse, invariabilmente ci trovava anche Ghedini, che all’epoca là ci dormiva pure.
Tanta dedizione — quasi da Frank Capra per Mediaset – pare aver trovato infine una ricompensa.
Nella decadenza, il legame profondo tra l’imputato e il suo avvocato ha scintillato: chi se ne intende dice ormai Ghedini sia «un pezzo di cervello» dell’ex Cavaliere, la sua parte razionale, qualcuno che comunque ne condiziona moltissimo le scelte.
L’avvocato continua a non avere l’appoggio incondizionato di Letta e di Confalonieri, ma si è conquistato la stima della figlia Marina, che prima non aveva. Ed eccolo là , che comanda nell’era in cui l’ex Cavaliere di delfini non ne vuol più.
Svolta mica da poco per Berlusconi, che sin qui si è affidato a persone più ambiziose, e decisamente più scafate.
Delle quali per la verità sente la mancanza. Raccontano da più parti, ad esempio, che sia stato tentato un qualche riavvicinamento a Denis Verdini: Berlusconi l’avrebbe addirittura incontrato, chiedendogli a quale condizioni sarebbe stato disposto a tornare, almeno per fare le liste, lui che il territorio lo conosce e queste cose le maneggia.
Ma per ora non se ne è fatto niente, alle liste ci penserà a quanto pare anche il capogruppo del Senato Paolo Romani, e per il resto, è l’avvocato che s’occuperà di tutto.
Dalla linea politica alle presenze in tv (dove bisogna passare dal suo placet), per arrivare alla gestione degli ospiti, desiderati e non.
Si dice ad esempio che sia stato lui, a febbraio scorso, a cacciar fuori da Arcore Valter Lavitola, dopo che per circa sei settimane l’ex direttore dell’Avanti, già condannato per estorsione e altri illeciti, aveva rifatto cucù a Villa San Martino, incontrando più volte Berlusconi. L’intimazione di sparire dalla circolazione sarebbe avvenuta in una dèpendance della villa, vicino alle vecchie stalle. La scena dicono gustosa, ma il condizionale è di prassi giacchè Ghedini, raggiunto dall’Espresso, si rifugia in un elegante no comment («Non parlo della vita del presidente e tanto meno di ciò che faccio per lui»).
L’agenda comunque la decide lui, insieme a lei.
Ronzulli filtra le telefonate, gli incontri — e ha portato personaggi come Francesco Ferri, vicepresidente dei giovani confindustriali e direttore dell’Autodromo di Monza, addetto pare allo scouting tra i giovani imprenditori.
Ghedini, che a Villa San Martino fa anche studio – e dove ha introdotto pure Federico Cecconi, storico legale di David Mills in grande ascesa – organizza gli incontri politici e riceve fisicamente gli ospiti.
Solo alla fine del colloquio con l’avvocato è previsto un salutino al presidente: ecco un altro segno dell’uomo che si trasforma in brand. È stato così per Lorenzo Cesa, per Clemente Mastella e per tutti gli altri componenti della cosiddetta “quarta gamba” altrimenti chiamata “operazione mummie”.
Insomma la reunion dei centristi, compresa la ex rivoluzione cristiana di Gianfranco Rotondi, quella che giusto oggi riceve dall’ex Cav. la sua video benedizione, per essere poi testata le prossime settimane dalla sempre fida sondaggista Alessandra Ghisleri.
Se i sondaggi diranno che è sopra il tre per cento, la lista autonoma si farà . Possibile che vi partecipino anche la Cirino Pomicino jr o i giovani Mastella.
Brividi garantiti.
(da “L’Espresso”)
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Novembre 19th, 2017 Riccardo Fucile
DIVISO VERSO LE URNE FINO ALLA SCOPPOLA FINALE, FARE L’UNITA’ SENZA IL CAMBIAMENTO E’ IMPOSSIBILE COME PRETENDERE L’ABIURA SU QUANTO FATTO NELLA LEGISLATURA
L’assemblea di Sinistra Italiana e Articolo 1 — MDP sancisce la chiusura alla richiesta non tanto convinta di Renzi di partecipare alla costruzione del centrosinistra in vista delle elezioni.
Pierluigi Bersani lo ribadisce da Lucia Annunziata e parla di discutere “dopo il voto”. A meno di improbabili ripensamenti e al netto degli ultimi appelli di Pisapia, il centrosinistra si prepara a marciare diviso verso le urne fino alla scoppola finale.
D’altro canto è comprensibile che Speranza, Fratojanni e Civati preferiscano andare da soli alle elezioni così rimarcando la loro differenza e distanza con quel PD che loro vedono in mano ai democristiani: solo così possono essere credibili di fronte all’elettorato dopo aver rotto con quel partito con cui oggi dovrebbero allearsi.
Ma il rischio è che il Rosatellum 2.0 si mangi la coalizione di sinistra in nome del voto utile.
Si viaggia quindi in ordine sparso verso una scoppola elettorale che potrebbe portare a futuri sconquassi nell’intero campo del centrosinistra.
Ma per ora lo si fa con il vento in poppa, magari immaginando una futura desistenza per lo meno nei collegi uninominali, dove — grazie alle divisioni tra PD e Sinistra — la destra ha buone speranze di vincere sfide in luoghi che prima erano impensabili come l’Emilia-Romagna.
Intanto l’assemblea di Sinistra Italiana e MDP approva un documento finale per l’abolizione della legge Fornero e politiche di Welfare più incisive: “Tocca a noi batterci — si legge — perchè sia prevista l`abolizione della riforma Fornero, se si ritiene insufficiente quanto scritto finora, così come norme più incisive in tema di lavoro, welfare e protezione ambientale. Partiamo da una cornice condivisa, ma il quadro finale è ancora tutto da scrivere e dovrà essere frutto di un lavoro collettivo e partecipato”.
E pazienza se la gran parte di quelli che oggi siedono in MDP l’ha votata, quella legge così come ha votato il Jobs Act. Porte che si chiudono in faccia a Renzi e Fassino proprio quando il lavoro di ricucitura sembrava portare a un punto di svolta: Fassino vede Pisapia, Renzi chiama Prodi e Prodi chiama Pisapia e alla fine emerge che l’ex sindaco di Milano è pronto a siglare il patto con il PD sotto la supervisione di un garante, forse lo stesso Prodi.
Da Articolo 1 e Sinistra Italiana nessuna sorpresa. Giuliano PIsapia e Campo Progressista da settimane, ormai, erano dati per persi alla causa della sinistra e ormai “adiacenti” a Renzi e al suo partito.
Che la situazione fosse disperata ma non seria si era comunque capito quando Renzi ha deciso di affidare la mediazione a Piero Fassino, circostanza che aveva portato fin da subito a escludere Bersani & Co. dal costituendo centrosinistra a trazione Partito Democratico.
Due gioiose macchine da guerra, e non solo una come ai tempi di Occhetto, destinate però a fare una fine molto simile a quella del 1994.
D’altro canto ha ragione Fratoianni quando dice che fare l’unità senza il cambiamento è impossibile. Ma anche pretendere un’abiura su quanto fatto nella legislatura alla vigilia delle elezioni pare una sciocchezza programmatica di discrete proporzioni. MDP ha deciso di puntare su Pietro Grasso come capo della coalizione che sfiderà anche il Partito Democratico, che nel frattempo caricherà anche europeisti, radicali e verdi nella speranza di nascondere Alfano e Verdini.
La mucca nel corridoio scalda gli zoccoli.
(da “NextQuotidiano”)
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Novembre 19th, 2017 Riccardo Fucile
“I TEATRINI NON SERVONO. VOTARE LA MANOVRA? LA VEDO DIFFICILE”
“Il problema è profondo e se stiamo in superficie in accrocchi e teatrini, la gente che ha
mollato il centrosinistra per motivi di fondo e di arroganza, penserà : ‘eccoli la’, portan l’acqua al solito mulino e il giorno dopo ricominciano daccapo”.
Lo dice Bersani agli esponenti del Pd che inviano appelli all’unità nel centrosinistra durante a “In Mezz’ora in più”.
“Proporre aggregazioni senza dire ben chiaro che c’è da tirare una riga” porterà la “gente che non vota o vota altrove a ‘stare ancora nel bosco’. Anzi se c’è un modo per disamorare ulteriormente un pezzo di popolo profondo è proprio questo che ho chiamato ‘teatrino’: gli appelli, le chiamate…”
L’ex segretario del Pd aggiunge: “provino a considerare la nostra proposta. Noi andiamo avanti e facciamo la sinistra plurale. Il giorno dopo le elezioni discuteremo con il Pd, ma cambiando registro. Vista la legge elettorale significa che ci si vede il giorno dopo, non esiste questa cosa qui”. Sulla legge di stabilità poi Bersani non crede al voto di sostegno di Mdp: “Votarla? La vedo difficile”.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 19th, 2017 Riccardo Fucile
BALLANO I NUMERI IN CONSIGLIO FEDERALE, IL PRESIDENTE SAREBBE RIMASTO IN MINORANZA
E alla fine la “moral suasion” di Luca Lotti sembra avere fatto breccia nella Figc.
Un lavoro certosino, fatto di telefonate e di sms chirurigici sempre più intensi, che è a un passo dall’ottenere un risultato fino a qualche ora fa considerato una chimera: disarcionare Carlo Tavecchio dalla guida del calcio italiano.
Lo stesso Tavecchio che mercoledì scorso, aprendo il vertice federale convocato in fretta e furia dopo la catastrofe della mancata qualificazione della Nazionale ai mondiali russi, aveva fatto mettere a verbale la propria “indisponibilità ” a fare un passo indietro.
Lo aveva fatto dopo essersi accertato di disporre ancora della maggioranza che lo aveva portato su quella poltrona. I numeri, dopo il primo giro di tavolo, erano sembrati gli stessi di sempre, tanto che il principale oppositore Damiano Tommasi, rappresentante dei calciatori, una volta fiutata l’aria aveva deciso di abbandonare polemicamente la riunione.
Ma ora, lo scenario appare repentinamente mutato, e forse quanti avevano accusato il ministro dello Sport di disporre di armi spuntate dovranno ricredersi.
Perchè, stando a quanto filtra da una situazione che è e resta magmatica, Tavecchio non controllerebbe più il Consiglio Federale, organo che attende domani pomeriggio la presentazione di un piano di riforme annunciato dal presidente, contestualmente all’esonero dell’allenatore degli azzurri Giampiero Ventura.
Proprio sulla sostituzione di Ventura con un nome di primo piano (come ad esempio Carlo Ancelotti), Tavecchio aveva puntato molto per smarcarsi dall’assedio dei media e della politica, e in quest’ottica si era speso molto per lui anche Silvio Berlusconi, alleato del leader federale e amico dell’allenatore.
Sfumata questa ipotesi, ha ripreso vigore il pressing di Lotti, che sembra aver portato dalla parte degli oppositori alcuni consiglieri delle componenti da sempre alleate del presidente, come ad esempio la Lega Nazionale Dilettanti (da cui Tavecchio proviene e zoccolo duro dei voti in consiglio) e l’Associazione Allenatori.
In quest’ultimo caso, sembra sia in atto una vera e propria fronda nei confronti di Renzo Ulivieri, ex-oppositore di Tavecchio, convertitosi alla causa di quest’ultimo dopo un patto che prevedeva ingenti stanziamenti di denaro per i tecnici.
Le dichiarazioni di big come l’allenatore del Napoli Sarri, quello della Juventus Allegri e quello della Roma Di Francesco, hanno lasciato intendere che, a differenza di ciò che accade coi calciatori, Ulivieri non rappresenta più i suoi.
A questi vanno aggiunti anche Luciano Spalletti e Vincenzo Montella, legati da un solidissimo rapporto personale con Lotti.
Il diretto interessato avrebbe già verificato di persona che dei voti che prima erano i suoi se ne sarebbero già andati, e medita di presentarsi dimissionario.
I voti sufficienti per il clamoroso ribaltone sono due, e vediamo perchè: domani a Tavecchio servono almeno nove voti (su 17 membri del Consiglio Federale delle Figc).
Secondo lo schema di mercoledì scorso, in teoria ha dieci voti a favore: i sei dei Dilettanti, i due degli Allenatori, uno degli Arbitri e uno suo. Più sette contrari: quattro dei Calciatori, tre della Lega Pro.
Due voti, come detto, sarebbero sufficienti a metterlo in minoranza, ma c’è un altro scenario che viene dato come egualmente plausibile, e cioè che alcuni consiglieri si dimettano: potrebbero essere quelli di Lega Pro, Calciatori e Arbitri (con cui il filo diretto con Lotti è rovente). Se rimangono in dieci, da regolamento, il Consiglio non può rimanere in piedi
Ieri Lotti aveva rincarato la dose, affermando che era “il momento di rifondare il calcio, di non fare compromessi”, augurandosi che non si arrivasse a lunedì “al solito compromesso dove magari il Consiglio federale si accorda su varie posizioni e si riparte facendo finta di nulla”.
Parole dure, che tenevano conto dell’impossibilità di un intervento diretto del governo nella questione, ma che allo stesso tempo implicavano un forte impegno dietro le quinte, che ora sembra pagare.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 19th, 2017 Riccardo Fucile
IL REPORT MENSILE DELL’AZIENDA: 12 MILIONI DI CHILOMETRI PERSI RISPETTO A QUELLI PROGRAMMATI
12 milioni di chilometri persi rispetto a quelli programmati: un milione e 160mila corse
Atac saltate, in buona parte per guasto alle vetture. Intere linee bloccate per bus e tram fermi nei depositi perchè rotti oppure costretti a fermarsi per incidenti di percorso.
Il report mensile dell’azienda sul confronto tra servizio programmato e servizio reso di cui parla oggi Il Messaggero dice che nel 2017-da gennaio a tutto ottobre — bus, tram e filobus hanno macinato il 14,3% di chilometri in meno di quelli previsti: 71,5 milioni invece di 83,5.
I mesi peggiori sono stati luglio e agosto il periodo in cui si iniziava a ragionare sull’ipotesi di avviare il concordato preventivo — quando i mezzi di superficie hanno “bruciato” rispettivamente 1,5 e 1,7 milioni di chilometri.
Il raffronto i primi dieci mesi del 2017 con quelli dello scorso anno è poco lusinghiero: 3,2 milioni di chilometri coperti in meno.
In tutto il 2016 erano saltati 10,5 milioni di chilometri di percorsi, paria — come da relazione della Ragioneria generale del Campidoglio- a 1.023.497 di corse soppresse.
Fino a tutto ottobre i chilometri persi erano stati 8,4 milioni, ossia circa 815mila corse mai effettuate.
Nel periodo gennaio-ottobre 2017, invece, i chilometri di servizio perso sono già quasi 12 milioni, le corse saltate un milione 159mila e rotti: circa 340mila in più dell’anno scorso. Freddi numeri che, tradotti, raccontano di infinite (se non inutili) attese alle fermate, linee che restano inservibili anche per intere giornate.
(da “NextQuotidiano“)
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Novembre 19th, 2017 Riccardo Fucile
SCENDE LA QUOTA DI CHI VIVE ANCORA CON I GENTORI, MA L’ITALIA RESTA AL PENULTIMO POSTO IN EUROPA
Per la prima volta da dieci anni, scende la quota di giovani tra i 18 e i 34 anni che vivono ancora con i genitori.
Nel 2016 – rileva Eurostat – la quota è del 66%, in calo rispetto al 67,3% del 2015.
Il primato, va detto, è però comunque poco confortante. L’Italia infatti conserva il penultimo posto in Europa, davanti soltanto alla Croazia dove il dato si attesta al 72,3%.
Tradotto dalle percentuali, significa che in Italia soltanto un giovane under 35 su tre riesce oggi ad uscire di casa.
Basta confrontare il nostro dato con quello di altri Paesi per capire l’enorme gap che ci divide con il resto d’Europa.
Non solo la media Ue si ferma nel 2016 al 48,1%, venti punti sotto di noi, ma in Paesi come la Danimarca scende fino al 19,7%. Dati analoghi anche in Finlandia (20%) e Svezia (24,9%).
Se si guarda alla fascia 25-34 anni, ovvero quella nella quale si dovrebbe cercare lavoro e uscire da casa dopo aver terminato gli studi, in Italia la percentuale è al 49,1%, in calo sul 2015 ma ancora lontana da quella Ue (28,6%).
In questo caso il confronto con gli altri Paesi, ripulito da una componente fisiologica di studenti, è quasi drammatico.
Tra coloro che hanno tra i 25 e i 34 anni in Europa la vita in famiglia è nella stragrande maggioranza dei casi solo un ricordo. In Danimarca vive con i genitori solo il 3,8% della fascia considerata, un dato in linea con la Finlandia (4,3%) e inferiore alla Svezia (6%) ma comunque anche in Francia i giovani che vivono nella famiglia di origine sono una piccola minoranza (il 13,4%, in crescita dal 10,1% del 2015). Nel Regno Unito sono il 14,3%.
(da agenzie)
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Novembre 19th, 2017 Riccardo Fucile
ROGITI DI IMMOBILI E QUOTE DI FONDI: COSI’ GLI EX VERTICI DELLA BANCA HANNO PROVATO A METTERE AL SICURO I PROPRI BENI, MA FORSE INVANO
Trasferimenti di proprietà , donazioni, spostamenti di immobili e quote in fondi
patrimoniali: così gli ex vertici della Popolare di Vicenza hanno provato a mettere al sicuro i propri beni.
Ma la maggior parte di loro lo ha fatto tardi, quasi in un riflesso di panico quando l’inchiesta era cominciata e il tracollo già evidente.
Tra il 2015 e il 2017, mentre i magistrati ordinavano perquisizioni e sequestri e la Guardia di Finanza spulciava nei bilanci alla ricerca delle operazioni sospette, i componenti del Cda si occupavano di occultare case e terreni.
Le mosse tardive
E questo apre nuovi scenari, perchè proprio il ritardo nel cercare di proteggersi fa sì che i loro immobili siano «aggredibili», dunque che potrebbero essere utilizzati per risarcire i risparmiatori truffati proprio da chi ha portato al dissesto l’istituto di credito.
Finora l’unica istanza presentata dai magistrati per il «blocco» preventivo di 104 milioni di euro non è stata accolta dal giudice, mentre non risulta che analoghe richieste siano state depositate nell’ambito delle azioni di responsabilità avviate contro gli ex amministratori.
Per questo bisognerà capire se sono il segno di spregiudicatezza, scarso acume o convinzione degli amministratori di essere intoccabili. E perchè i liquidatori, in rappresentanza dello Stato, non abbiano ancora chiesto, come si fa normalmente in questi casi, i sequestri cautelativi dei beni.
Blitz e donazioni
Il 22 settembre del 2015 l’indagine guidata dal procuratore Antonino Cappelleri per aggiotaggio e ostacolo alla Vigilanza, viene svelata con una perquisizione nella sede della banca e l’iscrizione nel registro degli indagati del presidente Gianni Zonin.
Tre mesi dopo cominciano le «dismissioni». Il 4 dicembre 2015 il consigliere Marino Breganze – dopo essersi disfatto delle abitazioni che possiede a Verona – vende con due rogiti distinti tutti i terreni dei quali era proprietario nella stessa provincia.
Il 23 di quello stesso mese un altro consigliere, Andrea Monorchio, dona ai figli i beni che possiede a Roma. Il giorno successivo – quasi ci sia stato un tam tam – Breganze trasferisce ai figli una parte dei beni che possiede a Vicenza. L’11 dicembre Gianfranco Pavan vende un immobile alla Usl di Vicenza. Il 30 dicembre tocca a Maurizio Stella: beneficiari del patrimonio sono i figli e la moglie anche se in questo caso si riserva il diritto di usufrutto.
Avvisi e dismissioni
Nel giugno 2016 i magistrati compiono altri atti istruttori. Molte proprietà degli amministratori sono già passate di mano. Il 1 gennaio di quell’anno Gianni Zonin dona al figlio una parte dei beni con diritto di abitazione, mentre il 13 maggio cede la restante parte alla consorte.
Più articolata la scelta del consigliere Giorgio Colutta che il 26 febbraio costituisce un fondo patrimoniale con «vincolo per fini meritevoli» in favore della moglie e dei figli e tre giorni dopo, con un altro atto, conferisce alla società di famiglia gli altri immobili.
Il più tempestivo, dunque oggi il più protetto, è Giovanni Dossena, che già nel 2013 – ben prima delle inchieste – ha fatto confluire i propri beni in un fondo patrimoniale costituito nel 2002, il 18 febbraio 2016 concede una ipoteca volontaria a favore di Mps – superiore al valore del mutuo – come garanzia di un finanziamento da 200 mila euro.
Molto attiva è anche Maria Carla Macola: il 16 marzo dello scorso anno dona le proprietà che ha a Belluno; con due rogiti – 16 marzo e 18 maggio 2016 – dona ai figli gli appartamenti che possiede a Padova riservandosi il diritto di abitazione; tra agosto e ottobre vende invece la parte dell’azienda agricola di famiglia a lei riconducibile.
Il 27 ottobre Giuseppe Zigliotto fa confluire in fondo patrimoniale alcuni beni acquistati quello stesso giorno. Il 22 dicembre Gianfranco Pavan termina la liquidazione del patrimonio che aveva cominciato il 28 febbraio 2013 a favore dei familiari.
I sequestri finali
A fine dicembre 2016 i nuovi soci guidati dal neo amministratore delegato Fabrizio Viola avviano l’azione di responsabilità nei confronti degli ex vertici.
Il 2017 è invece segnato dalla svolta giudiziaria: a luglio gli indagati ricevono l’avviso di fine indagine, a ottobre viene chiesto il rinvio a giudizio di Zonin e altri. Breganze vende tutto ciò che gli è rimasto a Venezia e Vicenza. Il 9 agosto Roberto Zuccato mette un’ipoteca da 250 mila euro sugli immobili che possiede a Schio e Venezia.
Il ruolo dei liquidatori
Nell’atto di cessione delle parti industrialmente sane di Veneto Banca e della Banca Popolare di Vicenza a Intesa Sanpaolo firmato il 26 giugno scorso nello studio notarile Marchetti a Milano, c’è un paragrafo che non lascia dubbi.
Si specifica che restano esclusi dalla cessione a Intesa «i diritti e le azioni di responsabilità e risarcitorie promosse dagli organi sociali di BpVi e VB prima della loro messa in liquidazione o promosse dagli organi della procedura di liquidazione». Significa che tocca ai liquidatori della Vicenza, lo stesso Viola, Claudio Ferrario e Giustino Di Cecco, chiedere il sequestro cautelativo dei beni dei 32 amministratori di Vicenza già citati per mala gestione.
Al di sopra di loro tre, tocca però al governo: è il ministero dell’Economia che ha nominato i tre liquidatori, quindi finanziato il loro intervento ed è ai contribuenti italiani che spettano gli eventuali proventi di ogni azione risarcitoria su chi ha guidato la Vicenza al tracollo.
Quando rappresentava il fondo Atlante, Viola si era già mosso con una richiesta per oltre un miliardo. Adesso che rappresenta lo Stato italiano non ha però ancora chiesto i sequestri cautelativi che sventino i tentativi dei vertici della Vicenza di sottrarre i loro beni con varie operazioni.
Tanta riluttanza ad aggredire quei patrimoni non sarebbe inevitabile: in casi minori, per esempio la Banca di credito cooperative del Veneziano commissariata dalla Banca d’Italia, i nuovi amministratori hanno chiesto (e ottenuto) il sequestro cautelativo dei beni dei vecchi. Nel caso di Vicenza no, anche se in gioco c’è molto di più.
(da “il Corriere dela Sera”)
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Novembre 19th, 2017 Riccardo Fucile
IL SOTTOMARINO ARGENTINO SVANITO NELL’ATLANTICO… L’INTERVISTA A UN ESPERTO DELLA MARINA MILITARE ITALIANA
Il San Juan, il sottomarino della Marina militare argentina, è disperso nell’Atlantico meridionale da ormai tre giorni. L’ultimo sub-check, la trasmissione concordata per l’ok al comando, risale a mercoledì scorso, quando era a circa metà strada dalla base della Terra del Fuoco lasciata lunedì e i suoi ormeggi abituali di Mar del Plata, dove era atteso per domani. Il mancato successivo sub-check ha fatto scattare l’allarme.
Che cosa è accaduto dopo? E che cosa si sta facendo per trovare il San Juan e salvare il suo equipaggio di 44 persone?
Il capitano di vascello Decio Trinca, capo dell’Ufficio Piattaforma e Sicurezza del Reparto sommergibili dello Stato maggiore della Marina militare italiana, sta monitorando la situazione 24 ore su 24, come molti suoi colleghi dei centri operativi di diverse altre Marine militari nel mondo.
Comandante, chi ha dato l’allarme a livello internazionale?
“L’allerta generale è stata lanciata dall’Ismerlo (un organismo della Nato, istituito nel 2003, dopo la tragedia del sottomarino russo K-141 Kursk, proprio per rispondere velocemente a incidenti simili), che ha sede a Northwood, nel Regno Unito. Tecnicamente si parla di sub-miss, vale a dire di un sottomarino che non è più rintracciabile”.
Dato il sub-miss, che è accaduto?
“E’ scattata la fase di ricerca coordinata dall’Ismerlo. Sono state inviate due navi e un aereo per perlustrare l’area di missione che era stata assegnata al San Juan e la sua rotta presunta. Sono partiti inoltre dagli Stati Uniti, in quanto più vicini alla zona di ricerche, mezzi e unità tecniche speciali, dotate di Rov, robot sottomarini telecomandati per la scansione 3-D dei fondali e dall’Inghilterra si è mossa una prima squadra di specialisti, subacquei e palombari, addestrati per affrontare questo tipo di emergenze, ad immergersi una volta trovato il sottomarino. Ogni Marina ha il proprio team, il nostro è in stato di allerta alla Spezia, pronto a partire”.
Che cosa può essere accaduto?
“Non lo sappiamo”.
Si legge di incendi, di esplosioni a bordo.
“Illazioni”.
Facciamo un passo indietro. Che tipo di sottomarino è il San Juan?
“E’ un sottomarino lungo 65 metri, convenzionale, vale a dire spinto da un sistema diesel elettrico, con il diesel che carica la batteria del motore elettrico, varato nel 1985 e sottoposto a lavori di mezza vita nel 2014”.
Un’unità vecchia?
“Non è un sottomarino di ultima generazione come i nostri U212A (quelli della classe Todaro), ma non si può dire vecchio, soprattutto senza sapere a quali lavori sia stato sottoposto nel 2014, dunque in tempi molto recenti. Potrebbe essere stato completamente rinnovato”.
Veniamo al sub-check mancato. Il sottomarino come comunica il suo ok?
“Ci sono vari sistemi. Mezzi di segnalazione come radio boe o fumate ad alta vsibilità rilasciate da bordo, o normalmente telefoni che comunicano tramite i sonar”.
Dopo l’ultimo sub-check il San Juan non ha più comunicato utilizzato uno di questi sistemi?
“Non lo ha fatto”
Il silenzio potrebbe essere causato da un’avaria al sistema di comunicazione?
“Potrebbe”.
E il San Juan potrebbe stare navigando in emersione senza poter comunicare, ma non in emergenza …
“Potrebbe”
Diversamente, potrebbe essere finito in guai più seri. Che cosa può essere accaduto? Quali avarie?
“Un sottomarino può subire le stesse avarie di un aereo. Può accadere di tutto”
Veniamo alla sua autonomia. Il comando argentino ha dichiarato che a bordo ci sono viveri e acqua sufficienti.
Che significa? Per quanti giorni possono bastare per un equipaggio di 44 persone?
“Solitamente lo standard è di almeno 5-6 giorni. Ma dipende anche dalla situazione di bordo, se ci sono feriti…”.
E l’aria?
“Anche per questa voce almeno 5-6 giorni. L’aria viene rigenerata, il sottomarino è un sistema chiuso, come una stazione spaziale della Nasa…”.
E allo scadere dei 5-6 giorni?
“Be’, non è che finisce di colpo. Diciamo che poi entra in gioco l’addestramento dell’equipaggio, che è stato preparato ad affrontare anche questo tipo di emergenze. Si riducono i viveri e l’acqua, l’aria diventa meno pulita e più pesante…”.
Ipotizziamo che il sottomarino sia intrappolato sul fondale, in avaria. Si può intervenire in suo soccorso?
“Certo, ci sono mezzi appositi. Mini sommergibili, campane…”.
Fino a che profondità si può riuscire a intervenire?
“La Marina militare italiana fino a 600 metri di profondità ”.
Le altre?
“Be’, qui entriamo in una sfera di informazioni “classificate”…”.
(da “La Stampa”)
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Novembre 19th, 2017 Riccardo Fucile
L’UOMO E’ STATO RINTRACCIATO GRAZIE ALL’ASSOCIAZIONE ITALADOPTION
«Ma sto sognando o è la verità ? Scrivi, scrivi!». Nicoletta Onofrillo non riesce a stare
ferma, detta alla nipote il messaggio.
La ragazza sorride e scrive le parole su Messenger, la chat di Facebook. Nicoletta aspettava da sessant’anni esatti questo momento, quello in cui avrebbe rivisto Baldovino, il fratello scomparso nel 1957 dopo un’adozione di cui nessuno aveva saputo nulla.
C’è riuscita in parte ieri pomeriggio quando la nipote ha chattato via Facebook con James, il figlio di Baldovino, scrivendo tutto quello che Nicoletta le dettava.
Per il momento tra fuso orario, l’età che avanza e la grande emozione non è stato possibile fare di più. Baldovino ha 68 anni, come tutti gli adottati ha un nome diverso, si chiama William David Palestro, per tutti è Bill. Vive a Houston, Texas, dopo una vita nell’esercito Usa e da tre giorni gira per casa ripetendo «I can’t believe it, I can’t believe it!».
Nicoletta, Tonino e la parte italiana della famiglia è sparsa tra Pescara e dintorni. Tonino è in pensione dopo aver fatto i lavori più vari, dall’acrobata di circo al magazziniere. «E’ incredibile riuscire a trovare così nostro fratello dopo tutto questo tempo», racconta. Nicoletta è casalinga, si commuove quando pensa alla sua vita che non le ha risparmiato dolori e difficoltà : «E’ la notizia più bella che poteva portarmi la mia vita a questo punto».
Il piccolo Baldovino e una sorella ancora più piccola erano stati messi in orfanotrofio nel ’56, dopo la morte della mamma, travolta da un camion su una strada ghiacciata. I bambini avevano sette e tre anni, un padre ufficiale non esisteva, non c’era altra soluzione per loro se non affidarli a un istituto sotto la responsabilità legale di un tutore. I fratelli più grandi avevano continuato ad andarli a trovare per mantenere unito il nucleo familiare ma, dopo qualche mese, gli addetti dell’istituto avevano iniziato a rispondere che i due bambini erano fuori per una gita.
Dopo un po’ di tempo era emersa la verità : i due bimbi erano già negli Stati Uniti nelle loro nuove famiglie.
«Siamo tutti molto emozionati, il contatto di ieri è stato solo l’inizio», assicura James «Ora abbiamo finalmente un canale di comunicazione, possiamo prepararci meglio per organizzare il prossimo appuntamento».
Tutti i nipoti sono avvertiti: Baldovino, Nicoletta e Tonino non sono per nulla a loro agio con computer e social, tocca a loro aiutarli con chat e videochiamate in attesa dell’incontro vero e proprio. «Ad aprile saremo in Italia, lo prometto. Con mio padre siamo d’accordo».
«Non vedo l’ora di riabbracciarlo – racconta Nicoletta – Le avevo provate tutte, ero andata al tribunale dei Minorenni, all’istituto a cui era stato affidato. Avevo scritto al sindaco e alle trasmissioni televisive. Per decenni abbiamo cercato, ci eravamo quasi rassegnati…».
Ma un amico di famiglia ha letto l’articolo sui 3700 italiani adottati negli Usa subito dopo la Seconda guerra mondiale pubblicato recentemente da «La Stampa». Sapeva della lunga ricerca della famiglia, ha portato la pagina del giornale a Tonino, uno dei fratelli più grandi, e il destino ha fatto il suo corso.
Gli Onofrillo si sono messi in contatto con John Pierre Battersby Campitelli, presidente di Italiadoption, l’associazione che riunisce gli italiani adottati.
Nella mail avevano inviato poche informazioni: il nome, la data e il luogo di nascita, gli istituti e gli enti che si erano occupati del piccolo Baldovino. Sono bastate per trovare in 24 ore il fratello scomparso.
La ricerca non è ancora del tutto terminata. Nicoletta ha un tremito nella voce: «Ora dobbiamo trovare anche la nostra ultima sorella».
(da “La Stampa”)
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