Novembre 24th, 2017 Riccardo Fucile
DA QUANDO RENZI E’ SEGRETARIO LE ELARGIZIONI CALATE DI IN TERZO, MA SONO CRESCIUTE QUELLE AL GIGLIO MAGICO
C’è una strana tendenza iniziata in concomitanza alla sua ascesa ai vertici del Pd. Da
quando Matteo Renzi è diventato segretario, le donazioni private ricevute dal partito sono calate di un terzo.
Contemporaneamente sono quasi triplicate quelle incassate dalla sua fondazione.
I numeri non lasciano spazio a interpretazioni.
Dal 2013 al 2016 le contribuzioni liberali ricevute dalla fondazione Open sono passate da 672 mila a 1,9 milioni di euro, mentre quelle incassate dal Pd sono calate dagli 11,6 milioni del 2013 agli 8,1 milioni dell’anno scorso.
L’inchiesta dell’Espresso traccia il profilo dei grandi finanziatori della politica, analizzando i dati delle donazioni private di cui hanno beneficiato i partiti negli ultimi dieci anni.
Una radiografia del passato per comprendere il futuro. Perchè le prossime elezioni saranno le prime senza finanziamento pubblico. Con i capitali privati destinati a pesare più che mai sulla campagna elettorale.
Quello della fondazione renziana Open, organizzatrice in questi giorni della Leopolda, è solo uno dei tanti casi analizzati dal settimanale. Un caso sintomatico della strada intrapresa da diversi leader politici.
Gli imprenditori hanno infatti preferito sostenere la creatura del giglio magico, piuttosto che il partito di cui l’ex sindaco di Firenze è segretario
. La tendenza potrebbe aver colpito anche altre forze politiche, ma è difficile verificarlo dato che la fondazione Open è una delle poche a pubblicare bilanci e liste dei donatori. O almeno di quelli che non si sono opposti a questa operazione di trasparenza.
Spulciando i resoconti della fondazione che sostiene Renzi si legge che finora ha ricevuto donazioni pari a 5,5 milioni di euro. Tesoretto a cui hanno contribuito oltre un centinaio di imprese.
In cima alla classifica dei donatori di Matteo c’è il finanziere Davide Serra, 225 mila euro finora versati. Subito dietro — 200 mila euro – si piazza Vincenzo Onorato, armatore napoletano proprietario della compagnia di traghetti Moby, che da un paio d’anni ha acquisito anche il controllo dell’ex azienda pubblica Tirrenia. Operazione tuttora sotto i riflettori dell’Antitrust.
Al fianco dei grandi finanziatori convivono donatori poco noti. Tra i più recenti c’è per esempio la Assisi Project, tra i cui azionisti troviamo Giacomo Straffi, collega e socio, in un’altra impresa, del senatore Nicola Di Girolamo, condannato per la vicenda Fastweb-Telecom Sparkle.
C’è l’ex numero due del ministero dell’Economia, Lorenzo Codogno, che ha donato 30 mila euro attraverso una società inglese, la Mci Research and Management, il cui socio di maggioranza è il finanziere Claudio Zampa, italiano con base in Svizzera. E c’è pure una misteriosa fiduciaria: la S. Andrea Mf 1117, di cui non è possibile conoscere i soci, ma che di certo ha molti interessi in Italia essendo azionista di ben 51 aziende.
(da “L’Espresso”)
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Novembre 24th, 2017 Riccardo Fucile
A DECIDERE SARANNO I PARTITI… TRA LE REGIONI CONTESTATE C’E’ LA TOSCANA
I partiti stanno già pensando a quale ripartizione di collegi convenga loro. Perchè adesso la partita è tutta politica dal momento che Marco Minniti, titolare del Viminale, avrebbe stoppato, entrando in urto con la sottosegretaria a Palazzo Chigi Maria Elena Boschi, qualsiasi tipo di iniziativa governativa.
Così si è raggiunto il compromesso, giovedì in Consiglio dei ministri, di inviare alle Camere una relazione tecnica, a firma dell’esecutivo, in cui vengono evidenziate le criticità e le “valutazioni diverse” rispetto allo schema dei nuovi collegi elettorali redatto dalla commissione di esperti presieduta dal presidente dell’Istat e a cui è stato dato l’incarico dal ministro dell’Interno.
Nel dettaglio le criticità nella ripartizione dei collegi riguardano Lazio, Toscana, Sicilia, Umbria e Marche.
Tuttavia Salvatore Borghese di Youtrend, la società che analizza le tendenze di voto e si occupa di mappe elettorali, spiega che a questo punto “sarà interessante vedere come i partiti motiveranno le loro richieste di spostare città o aree da un collegio all’altro poichè servono criteri tecnici e non politici. Quanto meno si parlerà di convenienze politiche tanto più si potrà raffinare la bozza redatta dalla commissione”.
Il nodo è proprio questo. A seconda di come è disegnato un collegio può dipendere la vittoria di un partito anzichè di un altro. Secondo quanto viene raccontato, a creare i primi malumori è stata la regione Toscana. I più maligni sottolineano che sia la roccaforte dei voti del cerchio magico renziano, dove però è forte anche Mdp.
Quindi, si legge nella relazione, “l’aggregazione dei collegi uninominali è stata effettuata accorpando collegi di province diverse, come Prato e Firenze, separando collegi appartenenti alla stessa città metropolitana come Empoli”.
Invece si potevano “realizzare aggregazioni più rispettose del criterio oggettivo delle unità amministrative”.
A una prima analisi effettuata dall’istituto Youtrend emerge che in effetti “in alcuni collegi come quelli del Lazio o della Toscana è stato necessario spostare comuni per un calcolo demografico.
Si tratta di scelta che può essere contestata, perchè quel comune poteva essere spostato da una parte e non nell’altra – dice ancora Borghese – ma la commissione ha chiarito che sono state fatte scelte su base tecnica. Dunque, è molto difficile contestarne il lavoro pur quanto possa apparire soggettivo. A meno che non ci sia uno studio altrettanto tecnico. Per la grande maggioranza dei casi si è trattato di rifarsi ai collegi del ’93. Questa è già una garanzia del fatto che i collegi non sono stati ritagliati da capo sulla base di valutazioni politiche”.
Nonostante questo, secondo l’esecutivo, “gli interventi della Commissione hanno alla base uno spiccato carattere valutativo nel cui ambito sarebbe stata possibile una diversa considerazione”.
Insomma, gli esperti si sarebbero presi troppe libertà . Il governo cita “a titolo esemplificativo” il caso in cui, “per il riporto in soglia del collegio di Civitavecchia, la Commissione ha previsto lo spostamento di un comune della città metropolitana di Roma Capitale nella provincia di Viterbo, in quanto appartenente a un parco regionale”.
Per il governo invece “per evitare la lesione dell’integrità di entrambe le unità amministrative richiamate” andavano spostati “alcuni comuni della provincia di Viterbo ricadenti nel collegio di Civitavecchia nel collegio della loro provincia”.
Richiede “senz’altro una rinnovata valutazione”, secondo il governo, la proposta della Commissione in merito ai collegi plurinominali del Senato della Sicilia: “Di fronte alla previsione di un collegio plurinominale di conformazione tale da toccare tutti i mari da cui l’isola è bagnata appare meritevole di attenzione, invece, una soluzione che diminuisca il numero dei collegi a vantaggio di una loro maggiore compattezza, ispirandosi alle due circoscrizioni elettorali della Camera”.
Poi c’è l’Umbria, “regione che vede ridurre il numero dei collegi uninominali da cinque a tre, e in tal senso il ridisegno dei nuovi collegi è risultato particolarmente complesso. Si potrebbe ragionevolmente ponderare nuovamente la soluzione adottata dalla Commissione anche prendendo in considerazione ulteriori profili sociali e demografici”. Infine le Marche: “Anche in questo caso – scrive il governo – potrebbe essere plausibile intervenire procedendo con un’opera di armonizzazione”.
“Per quanto concerne le altre regioni, infine – conclude il governo – anche se risulta certamente condivisibile lo sforzo di rispettare la soluzione ‘di norma’ di partire dai collegi uninominali 1993, potrebbe essere considerata la possibilità di valutare dei leggeri aggiustamenti in modo da far coincidere la determinazione dei nuovi collegi con le realtà amministrative attualmente vigenti”.
Questi problemi adesso passeranno all’esame dei partiti. Nonchè delle loro convenienze.
“Ciò che significa che due gruppi politici – dice un parlamentare di lungo corso – possono accordarsi dicendo: ‘io voto a favore della modifica che proponi tu e tu voti a favore di quella che voglio io'”. Intanto il ministro Minniti non ha voluto che il lavoro della commissione dai lui nominata venisse intaccato, ma la responsabilità è tutta su una commissione parlamentare che in teoria avrebbe solo l’incarico di un parere non vincolante.
(da “Huffingtonpost“)
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Novembre 24th, 2017 Riccardo Fucile
RECUPERA IL BONUS BEBE’… PORTA CHIUSA AL CENTRODESTRA: “O COL PD O DA SOLI”
“Sono abituata a rispettare i patti, fedele al principio che quando si stringe un accordo
lo si onora. Si vocifera, infatti, che in merito alle risorse stanziate sul bonus bebè queste non sarebbero quelle concordate, ma diverse. Se fosse così è chiaro che non solo saremmo insoddisfatti ma soprattutto sarebbe per Ap inaccettabile un’ipotesi simile. Pretendiamo perciò il rispetto dei patti”. Lo afferma, prima di entrare alla direzione di Ap, ala capogruppo centrista al Senato Laura Bianconi.
“E’ esclusa l’alleanza con la coalizione di centrodestra”.
E’ quanto ha sottolineato, secondo quanto emerge dalla direzione di Ap, il leader dei centristi Angelino Alfano nel suo intervento di apertura della riunione in corso all’hotel Kolbe.
Anche il coordinatore nazionale di Ap e capogruppo alla Camera, Maurizio Lupi, ha escluso nel suo intervento nella direzione del partito un’alleanza con il centrodestra: “oggi mettersi a discutere di questa ipotesi quando il leader di quella coalizione, Silvio Berlusconi, ha detto dichiaratamente che non ci considera” sarebbe ‘da ‘cogl….'”.
Le opzioni sono due, ha spiegato nella sua relazione introduttiva, in cui ha illustrato gli incontri avuti fino ad oggi: “trasformare in alleanza politica quella di Governo come ci è stato formalmente proposto, o andare da soli. E voi sapete come la penso”, ha aggiunto Lupi che già nei giorni scorsi ha sostenuto questa strada.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 24th, 2017 Riccardo Fucile
IL RAPPORTO DELL’ISTITUTO SUPERIORE DELLA SANITA’ DIMOSTRA CHE NON SONO I MIGRANTI A PORTARE MALATTIE, MA I RAZZISTI A MINARE LA PSICHE DEGLI ITALIANI, DIFFONDENDO BALLE
Mentre stiamo affacciati alle salde porte d’Europa con lo sguardo verso il Mediterraneo, sulla questione migranti e salute pubblica siamo soliti usare due pesi e due misure.
Noi, gli autoctoni, in troppi casi, e contro le evidenze della medicina, ci sentiamo giustificati a sentirci esitanti di fronte all’opportunità di vaccinarci, a sollevare delle obiezioni, ma al tempo stesso siamo inflessibili con loro, gli immigrati, rei di riportare in Italia malattie che il nostro paese avrebbe debellato.
Come se la responsabilità della stabilità della salute pubblica di un paese fosse oggi sbilanciata sullo straniero che arriva e non sulla comunità che lo accoglie.
Fortunatamente, i dati e i fatti dicono decisamente il contrario: i migranti non stanno minando in alcun modo la nostra salute.
Tutto origina da un preconcetto che ci portiamo dietro da decenni di migrazioni: quello secondo cui chi proviene da paesi più poveri di noi non sarebbe mai stato vaccinato contro le più comuni malattie: morbillo, tetano, rosolia, polio, tubercolosi.
In realtà , i dati mostrano chiaramente che oggi le cose sono cambiate.
I paesi del bacino del Mediterraneo, compresi quelli che fungono da transito nelle rotte migratorie verso l’Europa, offrono in media coperture vaccinali molto elevate alla propria popolazione, anche più alte di quelle italiane e nella maggior parte dei casi offrono gratuitamente ai migranti in partenza o in transito verso l’Europa la maggior parte dei vaccini in commercio.
Ai bambini, ma anche agli adolescenti e agli adulti.
Lo mette nero su bianco un rapporto pubblicato qualche settimana fa dall’Istituto Superiore di Sanità che raccoglie i risultati del progetto ProVacMed (“Programmes for Vaccination in the Mediterranean area”) che per la prima volta ha mappato l’offerta vaccinale in 15 paesi del Mediterraneo non appartenenti all’Unione Europea, sia nei confronti dei cittadini residenti, che dei migranti in entrata, che il più delle volte transitano per questi paesi con l’obiettivo di varcare le porte d’Europa.
Tuttavia i paesi vicini dell’UE stanno diventando con maggior frequenza sempre più destinazioni a lungo termine o addirittura finali per un numero crescente di migranti misti.
Il progetto ha considerato sei malattie (polio, difterite, tetano, morbillo, rosolia, epatite B) e 15 paesi del bacino del Mediterraneo che non appartengono all’UE: Albania, Algeria, Armenia, Bosnia e Erzegovina, Egitto, Georgia, Israele, Giordania, Kosovo, Macedonia, Moldavia, Palestina, Serbia, Tunisia e Ucraina.
I dati parlano chiaro: nel complesso (fa eccezione l’Ucraina) le coperture vaccinali offerte ai residenti in questi paesi sono uguali se non maggiori di quelle dei paesi europei.
“Questi numeri non devono stupire, dal momento che in questi paesi è ancora molto presente la fiducia nei vaccini, forse per il ricordo vivo di quando certe malattie erano endemiche” spiega a l’Espresso Silvia Declich, del Centro Nazionale per la Salute Globale dell’Istituto Superiore di Sanità , fra gli autori del rapporto.
“Per questo chi arriva da questi paesi è improbabile che rappresenti un elemento di vulnerabilità per il nostro sistema sanitario”.
Lo stesso vale anche per la tubercolosi, utilizzata come ultimo magro baluardo di chi punta il dito contro la fantomatica figura del migrante untore. “Abbiamo potuto verificare— che tutti i paesi esaminati offrono gratuitamente anche il vaccino contro la tubercolosi, che ha una buona efficacia nei bambini” chiarisce Declich.
I vaccini per i migranti in entrat
13 Paesi su 15 fra quelli esaminati hanno una offerta vaccinale per i migranti in arrivo, come illustrano i risultati descritti in un articolo pubblicato su International Journal of Environmental Research and Public Health , in concomitanza con il rapporto che descrive tutta l’indagine effettuata.
Si tratta dei 9 paesi con regolamenti e procedure dedicate più Egitto, Moldavia, Macedonia e Tunisia, che comunque hanno indicato a chi è rivolta l’offerta.
Undici paesi prevedono un’offerta vaccinale a bambini, di questi 10 paesi hanno una offerta anche per gli adolescenti e 8 paesi anche a adulti. Riguardo al tipo di vaccinazioni offerte ai bambini, 8 paesi offrono ai migranti tutte le vaccinazioni che garantiscono ai propri cittadini, mentre 3 su 11 offrono solo alcune di esse, principalmente contro morbillo e poliomielite.
“È fondamentale sottolineare un aspetto cruciale — continua Declich — e cioè che alcuni di questi paesi come la Giordania, ma anche il Libano anche se non rientra nella nostra survey, hanno messo in atto enormi servizi vaccinali nei campi dove accolgono un numero di immigrati inimmaginabile per l’Europa. Non dimentichiamo che per esempio il Libano è anche uno dei corridoi umanitari per i profughi siriani, e sempre Libano e Giordania sono fra i paesi dove i servizi vaccinali sono fra i meglio organizzati.”
Inoltre, nell’indagine tre paesi (Armenia, Moldavia e Palestina) verificano lo status vaccinale dei migranti in entrata, Israele verifica lo status vaccinale dei bambini che arrivano da paesi dove è endemica la meningite e la tubercolosi, la Tunisia verifica lo status degli studenti provenienti da alcuni paesi dell’Africa Subsahariana e infine in Georgia le persone che arrivano da Nigeria, Siria, Afghanistan e Pakistan sono controllate per l’immunità alla poliomielite.
Il problema è la comunicazione fra centri e fra paesi
Certo, gli elementi di vulnerabilità non mancano, e sono essenzialmente due.
Anzitutto, affinchè i buoni propositi sulla carta si traducano in una pratica efficiente è cruciale riflettere su quando si propongono le vaccinazioni al migrante. “Le vaccinazioni si possono proporre in diversi momenti — spiega Declich — ovvero alla frontiera , nei centri di accoglienza o a livello di comunità . In alcuni casi i vaccini vengono proposti all’arrivo del migrante, con il rischio che egli dopo pochi giorni si sposti, prima cioè di aver ricevuto la seconda dose di vaccino.
“A nostro avviso la cosa più sensata è proporre i vaccini nella fase della seconda accoglienza, caratterizzata da una permanenza prolungata dove l’assistenza sanitaria può diventare una vera e propria presa in carico, quando si può assicurare al migrante di ricevere tutte le dosi necessarie.”
A questo si unisce un secondo aspetto cruciale per il buon funzionamento del processo: la mancanza di una rete di comunicazione efficace fra i centri e fra i paesi, che comprenda una sorta di carta sanitaria del migrante.
“Oggi se il migrante si sposta di centro o di paese i suoi dati sanitari vengono perduti, a meno che lui o lei non consegnino i propri documenti presso il nuovo centro. Non dobbiamo poi dimenticare che alla luce della Convenzione di Dublino (attualmente in vigore sebbene sia in corso una discussione per il superamento) secondo cui lo Stato membro competente all’esame della domanda d’asilo sarà lo Stato in cui il richiedente asilo ha fatto il proprio ingresso nell’Unione Europea, spesso chi emigra si guarda bene dal dichiarare di essere transitato per un precedente paese europeo.” spiega Declich.
Le vaccinazioni ai migranti in Italia
Già nel marzo 2017, l’ISS aveva pubblicato un rapporto simile , che aveva però esaminato un altro gruppo di paesi, questa volta dell’Europa meridionale: Italia e Grecia in primis, che sono i due paesi con il maggiore numero di migranti in arrivo, e poi Portogallo, Malta, Slovenia e Croazia.
Tutti questi sei paesi offrono le vaccinazioni ai bambini migranti e quattro, fra cui l’Italia, forniscono alcune vaccinazioni anche agli adulti, ma con una grande eterogeneità nell’offerta di vaccinazione, con una priorità per i vaccini contro la polio e morbillo-parotite-rosolia.
Nel nostro paese le linee guida sono messe nero su bianco in un documento pubblicato a luglio 2017 , che determina l’offerta ai bambini (0-14 anni) che non sono mai stati vaccinati, o che presentano documentazione incerta, delle vaccinazioni secondo il calendario nazionale vigente, in rapporto all’età .
Negli adulti che abbiano storia vaccinale incerta o assente, si raccomanda di offrire le seguenti vaccinazioni: antipolio, antidifterite, antitetano, antipertosse, antimorbillo, antiparotite, antirosolia, antivaricella a esclusione delle donne in gravidanza e anti-HBV a tutta la popolazione adulta sottoposta a screening e risultata negativa ai marcatori sierologici.
Certo, vi possono essere delle difficoltà derivanti dalla gestione dei grandi numeri, che spesso rendono complesso il lavoro degli operatori sanitari nell’offerta vaccinale. Sempre il medesimo rapporto sottolinea che in Italia su 121 centri per migranti di tutti i livelli, 93 non hanno operatori sanitari che lavorano all’interno della struttura. La maggior parte di questi 93 centri, precisamente 77, si appoggiano per le vaccinazioni ai migranti ai servizi vaccinali delle Unità Sanitarie Locali, mettendo in pratica la giusta integrazione con il Sistema Sanitario Nazionale, piuttosto che la creazione di un sistema parallelo.
Li vacciniamo per loro, prima di tutto
“Il nocciolo della questione osservandoli dall’altra parte della riva, è iniziare a considerare la questione dei migranti e delle malattie spostando il baricentro dalla minaccia alla nostra salute, che appunto non sussiste, alla loro salute” conclude Declich.
Medici ed epidemiologi sono concordi nell’affermare che non sussiste alcuna correlazione fra l’endemia di malattie come il morbillo, la tubercolosi o il tetano e la presenza di persone straniere, come dimostrano i dati pubblicati all’interno del rapporto Osservasalute 2016 .
I casi di tubercolosi in Italia sono diminuiti dal 2006 al 2015 sia nel complesso, ma anche tra le persone nate all’estero: dai 2.108 casi del 2006 ai 1.794 del 2015.
“Interessante la situazione del morbillo che è purtroppo ancora endemico nel nostro paese, con picchi periodici molto elevati, perchè noi autoctoni non ci vacciniamo come testimonia la copertura dell’87,26% riportata dal Ministero della Salute per il 2015, mentre in tutti i Paesi dove si è svolta l’ indagine la copertura vaccinale è più alta, ad eccezione solo dell’Ucraina” conclude Declich. “Qui si tratta di persone, spesso minori non accompagnati, che arrivano da mesi di stenti, violenze, spesso abusi. Vivono in condizioni igieniche precarie, sono sani ma vulnerabili laddove noi non lo siamo.
Vaccinare chi arriva nel nostro paese non è un dovere per loro verso di noi, ma è un dovere anzitutto per noi nei loro confronti, in modo da rendere la permanenza di queste persone, più o meno lunga che sia, sicura e in salute. La buona notizia è che stiamo lavorando in questa direzione un po’ in tutto il bacino del Mediterraneo”.
(da “L’Espresso”)
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Novembre 24th, 2017 Riccardo Fucile
PER CONFONDERSI CON I TURISTI… I TRAFFICANTI ORIGINARI DEI PAESI DELL’EST
Per salire a bordo servono fino a seimila euro. Con uno sconto del 50 per cento riservato
ai bambini.
Si parte dalle coste meridionali della Turchia e poi lo skipper punta verso il Sud dell’Italia. Si sbarca in un porto minore e, se tutto va bene, si fugge a piedi.
Anche i viaggi della speranza hanno una loro «prima classe», in barca a vela nel Mediterraneo. Ma non è detto che tutti i migranti che usano questa rotta siano «ricchi».
Anzi, alcuni hanno impegnato tutto ciò che avevano per fuggire clandestinamente nel nostro Paese, un investimento alla ricerca di un futuro migliore. Con un viaggio meno rischioso di quelli sui gommoni «made in China».
Chiuso (anche se non sigillato) il portone della rotta libica, per entrare in Europa (e in particolare in Italia) si aprono altre porte.
C’è la rotta tunisina, che al momento risulta essere la più dinamica. C’è quella algerina, che spesso punta verso la Sardegna.
E ce n’è una terza che parte dalla Turchia e arriva fino alla Sicilia (sulle coste del siracusano), in Calabria e in Puglia.
«Abbiamo registrato una diversificazione dei viaggi» ammette Pascale Moreau, direttrice dell’Ufficio Europa dell’Unhcr. Ed è proprio un report dell’agenzia Onu per i rifugiati a fare luce sul «cambiamento nelle rotte» usate dai migranti per arrivare nel Vecchio Continente e in Italia. I numeri non hanno ancora superato il livello «afflusso di massa», ma è il trend a preoccupare.
Nel terzo trimestre del 2017, complice la stagione estiva, si è intensificato il traffico di barche a vela sulla rotta turca.
Un canale d’accesso che aveva iniziato ad aprirsi, piano piano, nella primavera del 2016, parallelamente alla chiusura della rotta balcanica. Ma negli ultimi mesi gli sbarchi sono aumentati.
Gli agenti di Europol stanno monitorando la situazione e fanno sapere di aver già intercettato 160 imbarcazioni. E chissà quante sono sfuggite ai radar, mischiate tra i turisti.
C’è un identikit preciso dei trafficanti: il business è nelle mani di gruppi criminali transnazionali. Gli skipper sono ucraini, russi, bielorussi e georgiani. In alcuni casi – dicono dall’Aja – si tratta di turchi, siriani o azeri.
Il prezzo arriva «fino a 6.000 euro per passeggero», ma varia molto. Fonti di Europol spiegano che il costo del biglietto «dipende dalla nazionalità , dal tipo di barca e dal numero di migranti a bordo».
Per questo «non si può dedurre che la rotta sia accessibile esclusivamente a migranti ricchi». Anche per i «clienti» c’è un preciso identikit: in Italia, a bordo delle barche a vela gestite dal racket dell’Est, arrivano iracheni, pachistani, iraniani, afghani e siriani.
Ma non è l’unica via di fuga dalla Turchia.
Perchè nonostante il patto tra l’Ue ed Erdogan sia ancora in vigore, i dati dimostrano che il sistema scricchiola. A settembre la Grecia ha registrato 4.800 arrivi, il numero mensile più alto dal marzo 2016, quando è stata firmata l’intesa tra Bruxelles e Ankara. C’è poi la rotta del Mar Nero, attraversato da chi scappa dal Nord della Turchia per andare in Romania.
Nel Mediterraneo sono invece le coste spagnole a registrare l’incremento maggiore di sbarchi: +90% nel terzo trimestre di quest’anno, principalmente dal Marocco.
Per quanto riguarda le partenze, il primato spetta alla Tunisia: +120%, con circa mille arrivi nel solo mese di settembre. I tunisini hanno scavalcato i nigeriani nella classifica delle nazionalità sbarcate in Italia.
Ma anche l’Algeria ha fatto segnalare un aumento del 60%. È sceso invece a quota 21.700 il numero degli arrivi dalla Libia nell’arco del trimestre estivo, «il dato più basso in quattro anni per questo periodo».
Nonostante ciò, dall’inizio dell’anno il numero di morti nel Mediterraneo sfiora già quota 3.000.
(da “La Stampa”)
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Novembre 24th, 2017 Riccardo Fucile
DAL 1 GENNAIO ARRIVANO I SACCHETTI BIODEGRADABILI AL 40%, PAGATI DAL CONSUMATORE… VIETATO PORTARSI LE BUSTE DA CASA
Sui banchi del reparto ortofrutta è in arrivo una nuova rivoluzione: dal primo gennaio le buste di plastica che utilizziamo per pesare la frutta e la verdura diventeranno illegali.
In maniera simile a quanto accaduto nel 2011, quando le buste della spesa in plastica vennero sostituite da quelle in materiale biodegradabile è il momento dell’addio anche per quelle per frutta e verdura.
L’obiettivo è quello — giusto e doveroso — di ridurre il consumo di materiali inquinanti e di favorire la diffusione di una maggiore coscienza ecologica. Ma c’è qualche problema
Quanto costeranno i nuovi sacchetti ecologici per la frutta e la verdura?
Scompariranno quindi i sacchettini di plastica sottile e al loro posto arriveranno shopper in materiale biodegradabile.
Il decreto legge che ha bandito le normali buste di plastica stabilisce che dovranno essere compostabili e biodegradabili almeno al 40%. Non completamente biodegradabili,quindi anche se la legge prevede che la percentuale di materiale biodegradabile dovrà essere del 50% nel 2020 e del 60% nel 2021. Ma c’è di più: perchè le nuove buste saranno a pagamento.
Il prezzo non si sa ancora ma si parla di un costo tra i 2 e i 10 centesimi a sacchetto che verrà scaricato sul consumatore e c’è già chi la definisce una nuova “tassa sulla spesa”. Questo perchè una parte del ricavato andrà al negozio mentre una parte allo Stato, sotto forma di Iva e di imposta sul reddito.
Secondo il presidente di Assobioplastiche Marco Versari però è difficile che le bustine per la frutta e la verdura verranno a costare più di 2-5 centesimi per un “aumento” complessivo della spesa di al massimo 10 o 20 centesimi.
Cosa prevede la legge e cosa può fare il consumatore?
A prescriverlo è l’articolo 9-bis della legge di conversione n. 123 del 3 agosto 2017 (il Decreto Legge Mezzogiorno) che stabilisce che «le borse di plastica non possono essere distribuite a titolo gratuito e a tal fine il prezzo di vendita per singola unità deve risultare dallo scontrino o fattura d’acquisto delle merci o dei prodotti trasportati per il loro tramite».
Per i trasgressori, ovvero per gli esercizi commerciali che non applicheranno la nuova norma, sono previste multe che vanno da 2.500 a 25.000 euro.
Ma le sanzioni possono arrivare anche fino a 100.000 euro in caso di “ingenti quantitativi” di buste fuorilegge. Le nuove disposizioni di legge vanno a recepire la direttiva (UE) 2015/720 del Parlamento europeo che a sua volta aveva modificato la direttiva 94/62/CE.
È chiaro che il fatto che le buste non possano essere distribuite gratuitamente ha lo scopo di scoraggiare l’utilizzo di buste “usa e getta”.
Per le normali buste della spesa il meccanismo ha funzionato, e infatti molti consumatori ora vanno a fare la spesa portandosi i sacchetti della spesa (in tela o in materiali riciclati) direttamente da casa. Il problema è che sostituire i sacchettini leggeri dell’ortofrutta (ma anche quelli del banco del pesce) con buste non usa è getta è più complicato.
Anche perchè il Ministero dell’Ambiente ha già fatto sapere che “per motivi d’igiene” non si potranno portare le buste da casa.
Le nuove buste quindi saranno quindi monouso come quelle che vanno a sostituire.
Del resto utilizzare una busta di tela per pesare la frutta e la verdura comporterebbe anche diversi problemi per quanto riguarda la taratura delle bilance.
Un conto infatti è calcolare la tara sul peso standardizzato dei sacchettini un altro è cercare di contemplare tutte le possibili opzioni alternative e fai da te dei consumatori. Nell’immediato quindi non sembrano esserci soluzioni: l’ipotesi di mettere un addetto a pesare la frutta (o di pesarla alla cassa come avviene in certi piccoli negozi) è difficilmente praticabile per la grande distribuzione.
E sono ancora pochissimi i punti vendita “senza imballaggi”, ovvero che vendono merce sfusa e hanno eliminato completamente ogni forma di imballaggio.
Ma è evidente che la direzione da prendere è quella, solo che per la GDO ci vorrà più tempo per arrivare al “no-packaging“, e ci vorrà tempo anche per far digerire l’idea agli acquirenti.
Nel frattempo i consumatori saranno costretti a pagare qualcosa di più per avere la coscienza un po’ più pulita.
(da “NextQuotidiano”)
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Novembre 24th, 2017 Riccardo Fucile
CRESCE IL RACKET DELLE CASE POPOLARI, QUARTIERI ILLEGALI DOVE LO STATO E’ ASSENTE
Investimenti carenti e inutili, occupazioni abusive di case popolari, campi rom come
luogo di illegalità e di smaltimento illecito di rifiuti, centri urbani degradati e periferie dimenticate: sono i principali problemi che l’Italia dovrà affrontare secondo la Commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni di sicurezza e degrado delle città che sta per concludere il suo lavoro di indagine.
Il governo Gentiloni, con le decine di protocolli di intesa firmati con le principali città , ha stanziato già 500 milioni per migliorare la situazione. E proprio oggi il premier firmerà a Viterbo la convenzione del Bando Periferie. Ma ancora non basta.
«L’Italia ha bisogno di un Piano Marshall delle periferie, è una questione di democrazia», sostiene Andrea Causin, presidente della Commissione.
Sarà una delle richieste che entreranno nella relazione conclusiva che sta preparando con gli altri 19 parlamentari che hanno diviso con lui un lungo anno di lavoro. Secondo Roberto Morassut, il vicepresidente Pd della commissione, «bisogna rendere stabile il finanziamento delle periferie con un investimento di almeno 20-25 miliardi».
I parlamentari hanno ascoltato decine di persone in grado di fornire pareri competenti, sono stati a Scampia, tra i carruggi di Genova, nel quartiere Zen e alla Vucciria a Palermo, nelle periferie torinesi e in quelle romane, e ovunque vi sia un’area degradata in Italia.
«Bisogna riportare le periferie al centro dell’agenda politica. Almeno 15 milioni di persone in Italia vivono in situazioni soggette a degrado situate nelle periferie ma anche nei centri urbani. È un problema anche di democrazia», avverte il forzista Causin.
I problemi emersi in questi dodici mesi di lavoro sono molti. È evidente il profondo degrado in particolare delle costruzioni realizzate negli ultimi cinquant’anni. In tutte le grandi città italiane – fanno sapere dalla commissione – le scelte architettoniche di pianificazione delle periferie compiute per affrontare l’emergenza abitativa, invece di risolvere il problema lo hanno aggravato.
Accade in quartieri come Scampia a Napoli, Zen a Palermo, Corviale a Roma, le Dighe a Genova, San Paolo a Bari.
Un secondo fenomeno riguarda la necessità di ripensare il concetto stesso di periferie come luoghi dove si concentra il degrado.
«Anche i centri delle città ne sono fortemente investiti. Lo abbiamo visto a Palermo, a Napoli e a Genova, ad esempio», racconta Roberto Morassut.
La commissione consiglierà di ripensare il modello di sviluppo delle aree urbane. In passato erano state immaginate come luoghi in perenne sviluppo. In realtà ora sono alle prese con un forte calo demografico.
Le città invecchiano e spesso gli anziani si trovano a vivere in una situazione di solitudine e di povertà in zone della città dove gli edifici sono in degrado e i servizi di trasporto, assistenza sanitaria e sociale sono molto più carenti che in centro.
Nel frattempo esistono vaste aree nei centri urbani dove sarebbe più utile demolire e ricostruire invece di continuare a spingere le costruzioni in zone dove è più difficile e costoso portare servizi e trasporti e quindi è più probabile che si creino sacche di emarginazione.
La commissione chiederà un intervento per fermare le occupazioni abusive di immobili pubblici e privati.
È un fenomeno diffuso da nord a sud ma in particolare nel centro e nel sud dell’Italia dove il 30-40% di case popolari sono occupate da abusivi ma si arriva anche a quote record del 100% a Palermo.
È una problematica talmente grave da aver creato in alcune città , come Roma e Milano – denuncia una prima bozza di relazione messa a punto dalla commissione -, un vero e proprio racket, che è in mano a gruppi e organizzazioni criminali di italiane di stranieri, che dà vita a una sorta di commercio illegale della casa popolare, con gravissimo pregiudizio per le fasce più deboli e anziane della popolazione».
«È urgente un intervento per ripristinare la legalità – spiega Andrea Causin -. Sono a favore dell’introduzione del reato di associazione per delinquere e di una generale revisione del Codice penale in materia di reati urbani».
I parlamentari della commissione hanno visitato diversi campi Rom. I più problematici si trovano a Roma, Torino, Milano e Napoli ma le difficoltà sono diffuse in tutta Italia.
«Alcuni sono regolari e altri non regolari. Concentrano migliaia di persone a ridosso di zone periferiche già segnate da forti criticità . Da alcuni anni l’attività principale che sostenta chi vive in questi campi è il traffico e lo smaltimento illecito dei rifiuti,che avviene attraverso “roghi” tossici che creano gravissimo pregiudizio alla popolazione residente nelle aree limitrofe», sottolinea la commissione.
«Anche in questo caso è necessario un intervento delle forze dell’ordine pur salvaguardando gli altri interventi da un punto di vista culturale e di inserimento che però risultano inutili se manca l’ordine», sostiene Causin.
Un ultimo consiglio della commissione riguarda il superamento della politica dei bandi finora seguita. Le leggi di stabilità 2015-2016 hanno messo a disposizione circa due miliardi.
La critica della commissione è ai criteri di premialità che «hanno portato i Comuni a richiedere fondi su progetti infrastrutturali spesso poco attinenti ma che avevano il solo vantaggio di rendere immediatamente accessibili i fondi, che raramente sono stati impiegati per alleviare o migliorare le condizioni di vita dei residenti nelle aree periferiche o degradate».
(da “La Stampa”)
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Novembre 24th, 2017 Riccardo Fucile
600 EURO PER I CORPI DI POLIZIA E 610 PER QUELLI MILITARI
Il Messaggero riepiloga oggi gli aumenti e gli arretrati che potranno percepire polizia e carabinieri a gennaio in busta paga in caso di firma dell’accordo entro il 2017. L’accelerazione vale per tutti i settori della pubblica amministrazione ed anche per Forze armate e corpi di polizia, che strettamente parlando il contratto non lo firmano ma devono comunque raggiungere un’intesa, che si traduce poi in un provvedimento legislativo con il quale sono stabiliti gli aumenti.
Le somme che complessivamente finiranno in busta paga con la prima mensilità del 2018 si attestano in media intorno ai 660 euro per i corpi di polizia e poco al sopra dei 610 per quelli militari. Questo però, spiega il quotidiano, accadrà solo se l’accordo viene firmato entro il 2017
Ma quante possibilità si sono che l’intesa sia chiusa davvero in tempo per gennaio? Sul tavolo della trattativa c’è anche il nodo delle risorse per il salario accessorio, sollecitate dai sindacati: il governo lavora per trovarle ma è chiaro che i margini dell’attuale manovra di bilancio sono ormai molto limitati.
Non è un mistero poi che la precedente vicenda del riordino delle carriere abbia lasciato qualche strascico di malumore.
L’esecutivo ritiene però di aver fatto uno sforzo significativo per il settore della sicurezza, invertendo la rotta rispetto al passato: non solo con gli aumenti retributivi ma anche con le assunzioni straordinarie già fatte e con quelle ancora da fare, con la stabilizzazione degli 80 euro specifici del settore e con i 62 milioni resi disponibili per il pagamento degli straordinari arretrati.
(da “NextQuotidiano”)
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Novembre 24th, 2017 Riccardo Fucile
M5S 26,1%, CENTROSINISTRA 32% (PD 25,5%, LISTA DI CENTRO 2,6%, PISAPIA 1,6%, RADICALI 1%, ALTRI 1,3%), CENTRODESTRA 33,9% (FORZA ITALIA 14,5%, LEGA 14%, FDI 4,8%, ALTRI 0,6%), LISTA DI SINISTRA 5,4%
Ultima stazione: Leopolda. La prima è un altro sondaggio di Swg svolto per il Pd. 
Il treno elettorale di Matteo Renzi è appena partito dalla stazione Tiburtina di Roma – direzione Leopolda – e subito a bordo viene diffusa quella che viene interpretata come la buona notizia della giornata: secondo Swg, il Pd si attesta sul 25,5% dei consensi e in coalizione con area Pisapia, Verdi, Radicali e altre piccole formazioni raggiunge il 32% contro il 33,9% del centrodestra.
Il M5S sta sul 26,1%. Mentre Mdp viaggia sul 5,4%.
Dopo i sondaggi che circolavano ieri con un Pd al 23 per cento, in calo quindi anche rispetto alle politiche 2013 quando il partito era a guida Bersani, lo studio Swg infonde ottimismo nei cinque vagoni del treno di Renzi, malgrado certifichi un calo dello 0,4% del Partito democratico in una settimana.
La convinzione, sulla base del sondaggio, è che, costruita una coalizione, la sfida vera sarà tra centrosinistra e centrodestra, e non tra centrodestra e 5 Stelle.
A bordo con il segretario anche il ministro Luca Lotti, oltre al ‘padre’ della nuova legge elettorale Ettore Rosato e il tesoriere Dem Francesco Bonifazi.
Previste tappe in Toscana: a Chiusi, nell’aretino e a Prato, prima dell’arrivo alla stazione Leopolda in serata per dare il via all’edizione 2017.
All’insegna di un’alleanza di centrosinistra – ancora da costruire – per le politiche di primavera.
(da agenzie)
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