Dicembre 17th, 2017 Riccardo Fucile
“RIMPIANGO I PANNELLA E I BERLINGUER, LORO NON ERANO OMETTI FIERI DELLA LORO IGNORANZA”
“Come si fa a scegliere fra Renzi, Di Maio e Berlusconi?”. Esordisce così Barbara Alberti, quando le chiedo dei leader italiani di oggi.
“È come se mi domandassi se preferisci spararti o buttarti dalla finestra. Se preferisci la Volpe o il Gatto” continua, con una voce netta, che tradisce un lontano accento umbro. “Io non scelgo nessuno. Io voglio vivere. Voglio Pannella, voglio Berlinguer, non degli ometti dannosi, fieri della loro ignoranza e votati al particulare”.
Inizia così — senza mezze misure e compromessi – l’intervista con una donna che nel corso della sua vita è stata, ed è tuttora, scrittrice, sceneggiatrice, drammaturga, giornalista, conduttrice radiotelevisiva e opinionista.
Magrissima, con degli occhi che sono spilli, Alberti ha un viso sottile e dei grandi orecchini dalle pietre violette. Quando la incontro, le sorrido: “Ha dei capelli bellissimi” mormoro, riferendomi alla treccia grigia che pare una corona e le incornicia il volto. Lei mi fulmina con lo sguardo: “Sono finti”.
Dunque i politici di oggi sono tutti bocciati.
Se mi citassi qualche galantuomo che ha una visione allora potrei rispondere. In quelli che hanno in mano la cosa pubblica mi stupisce la pochezza delle loro ambizioni, immaginare solo il proprio tornaconto, quando il gioco potrebbe essere così emozionante, guidare le sorti dell’Italia, potenziarne le possibilità , che avventura sarebbe, invece di quelle vitucce miserabili e corrotte. Dovranno morire anche loro, e l’unico modo perchè dispiaccia meno è aver fatto qualcosa di bello.
Andiamo in ordine: Berlusconi?
Berlusconi ha governato l’Italia con tristi risultati anche culturali, legittimando e scatenando il peggio degli italiani, volgarità e furberia.
I Cinque Stelle?
Ci avevo sperato, e tanti con me. Si ha nostalgia della purezza. Vivo a Roma, ho votato Raggi. Che non fosse un’aquila si capiva, ma pensavo avesse intorno una schiera di ragazzi pieni di slancio che la aiutassero, li confondevo con i radicali dei tempi eroici, inutile dirti come la città sia sprofondata.
Com’è Roma oggi?
La popolazione è esasperata, aggressiva, più incivile che mai. Come nell’esperimento di Laborit, i topi si azzannano fra loro. Cominciamo a somigliare a chi ci governa.
Come sta messa la sinistra italiana?
Come siamo messi noi, con una sinistra che usurpa il nome. Le battaglie della sinistra erano a favore degli oppressi. Questa sinistra è a favore degli oppressori.
“La cosa ripugnante è che lui dica di essere di sinistra. Almeno Berlusconi non vuole essere di sinistra, è un vecchio pescecane e sappiamo chi è. Ma l’idea che Renzi pretenda di essere di sinistra è qualcosa di disgustoso. Io sogno che Gramsci esca da qualche foto e gli dia delle bastonate”. Parole sue rispetto a Renzi.
Parole che confermo.
Se i politici sono tutti bocciati, chi le viene in mente fuori dalla politica?
Travaglio, Enzo Bianchi, Luisa Muraro.
Lei è stata iscritta al partito radicale. Si iscriverebbe adesso?
Subito. È l’unico che potrei votare senza vergogna.
Lei non è andata dal medico per quarant’anni. E poi quando è andata a farsi visitare ha scoperto di essere malata. Perchè non ha fatto la chemioterapia?
Mi curo dal dott. Giovanni Barco, a Pisa, e i risultati sono sorprendenti. La sua cura è basata sull’ossigeno poliatomico. Lui è uno scienziato conosciuto nel mondo. Il governo cinese ha creato 200 centri di cura col suo metodo e i suoi macchinari.
A chi dice che l’omeopatia è inutile cosa risponde?
Niente. Non devo convertire nessuno. A me l’omeopatia ha sempre risolto molti problemi. Ma in questa disputa teologica fra diverse medicine sono politeista, ho anche medici allopatici. Ma il dott. Barco non è un omeopata, nasce biochimico, ed è un rivoluzionario medico tradizionale.
Il caso Weinstein, o Kevin Spacey, hanno mostrato storie di abusi. Ma anche qualcosa di altrettanto inquietante: l’ipocrisia. Tutti sapevano, tutti fingevano di non sapere. Lei conosce il mondo dello spettacolo da svariate decine di anni. Cosa ammanta adesso l’ipocrisia nel nostro Paese?
L’ipocrisia più brutta è quella degli indignati. Scandalizzati delle molestie, come se la donna fosse universalmente rispettata. Le molestie sono una delle tante facce della sudditanza femminile
Ovvero?
Se viene un marziano, davanti a questa dichiarazione collettiva di sdegno, dice: “accidenti come le rispettano le donne qui, guai a chi le tocca!”. Poi scopre che ne ammazzano una ogni due giorni nell’indifferenza generale, e che le pene per gli assassini sono a volte minori di quando vigeva il delitto d’onore. Scopre che le donne sono pagate meno, ma che reggono l’economia di un paese coprendo mille ruoli.
Il caso Brizzi ha rilanciato la gogna mediatica. Tornano in mente le parole di Larry Gelbart: “La televisione è un’arma di distrazione di massa”.
I pubblici processi sono già sentenze. Un’arma terribile. Lo spettacolo soppianta la legalità .
Ha definito le pene per chi stupra ridicole. Quale sarebbe secondo lei una pena equa per chi commette un femminicidio?
Bisognerebbe riconoscere lo stato di emergenza. È il tipo di delitto più frequente. Se fossimo noi ad ammazzare duecento maschi all’anno, fioccherebbero gli ergastoli. Uccidere è un atto titanico, un esorcismo dell’assassino verso la propria morte. È l’atto primario di chi rinnega il patto sociale. Il delitto è un atto estremo, e va onorato con una pena adeguata. Ho orrore della pena di morte quanto dell’indulgenza verso l’assassino. C’è dietro lo stesso disprezzo verso la vita umana, la stessa sorda immoralità .
La donna è ancora oggi il sesso debole?
No, la donna è un sesso fortissimo e oppresso. Ma più che mai capace di essere pienamente, di avere pietà , e la facoltà del sogno. Le donne ridono. È una ricchezza incalcolabile.
Che cosa è essere femministe oggi?
Essere femministe vuol dire essere tante altre cose. Vuol dire avere il senso della giustizia, e quello non puoi averlo solo verso le donne. E poi non ci possono rispettare solo se ci toccano il culo. C’è dell’altro.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 17th, 2017 Riccardo Fucile
LA CIFRA E’ LA PEGGIORE DEGLI ULTIMI DUE ANNI
La svolta c’è stata, ma in peggio. 
Mai così male negli ultimi 2 anni.
L’Atac, l’azienda municipalizzata dei trasporti di Roma, segna un nuovo record nell’assenteismo della sua forza lavoro. Sono 1.500 quelli che ogni giorno restano a casa.
L’ultimo rapporto interno, di cui dà notizia il Messaggero, rivela che il gigante malato dei trasporti, 11.450 dipendenti e 1,3 miliardi di debiti, non riesce a risolvere il problema dell’assenteismo.
Nel terzo trimestre 2017, il livello delle assenze è stato del 13,5% (oltre 1.500 dipendenti assenti in media ogni giorno). Ferie escluse.
Per un raffronto, i colleghi dell’Atm milanese nello stesso periodo facevano segnare un dato del 6,7%.
In altre città la percentuale è ancora più bassa, segno evidente che la gestione di Atac peggiora addirittura le prestazioni, peraltro già al di sotto del livello di guardia.
Tutto nel silenzio della giunta Raggi.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 17th, 2017 Riccardo Fucile
ALMENO LEI UNA LAUREA L’HA PRESA, PERCHE’ TRAVAGLIO NON NE PUBBLICA UNA SUL CULO DI QUALCHE MASCHIETTO FUORICORSO CANDIDATO PREMIER?
È polemica sulla vignetta che rappresenta quello che viene definito «il cosciometro» di Maria Elena Boschi.
Dopo l’intervento della sottosegretaria al Consiglio dei Ministri a «Otto e Mezzo» e lo scontro in tv con Marco Travaglio, ecco un altro attacco alla ex ministra
«Utile strumento che. misurando l’altezza della gonna, permette di capire a che livello di difficoltà e la Boschi» si legge nell’intestazione della vignetta che ritrae l’ex ministra in quattro versioni diverse: il tailleur pantalone blu del giorno del suo giuramento nel governo Renzi, poi un tailleur gonna poco sotto il ginocchio, quindi una gonna più corta e infine un abitino scollato e con la gonna cortissima, «Mi attaccano in quanto donna» il presunto commento della sottosegretaria.
La vignetta fa satira a partire da alcune dichiarazioni di Boschi che, proprio in trasmissione a «Otto e Mezzo» mentre parlava del caso Banca Etruria dopo l’audizione del presidente della Consob, Vegas, ribatteva a Marco Travaglio.
Il giornalista la accusava di aver mentito con pressioni non palesate, ma comunque dirette ad interferire con la vicenda, in quanto il padre era direttamente coinvolto.
«Se fossi stato un uomo non mi avrebbe riservato questo trattamento. Lei mi odia» aveva detto Boschi. Ma Boschi non si fermava lì: «Lei ha scritto editoriali sin dal primo giorno su di me. E in quegli articoli vengo attaccata per l’aspetto fisico e per qualsiasi altro elemento. Ha fatto i soldi andando in giro nei teatri italiani, con un’attrice poco vestita, che in qualche modo mi scimmiottava» diceva la sottosegretaria.
Ed ecco la vignetta che, di nuovo, prende di mira la 36enne. E sul web si scatena la polemica con le voci di politici e utenti comuni tra chi difende la vignetta di Mario Natangelo e il diritto di satira e chi difende la ex ministra, il suo ruolo e il suo modo di porsi in quanto donna.
(da “Il Corriere della Sera”)
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Dicembre 17th, 2017 Riccardo Fucile
OGNI ANNO IL SEGNALE CHE E’ NATALE DERIVA DALLA NOTIZIA CHE DANIELA HA PUBBLICATO IL SUO CENTROTAVOLA
Arriva Natale e con esso il film “Una poltrona per due”, ma anche il bizzarro
centrotavola di Daniela Santanchè: da due anni a questa parte, sul profilo Instagram della ex pasionaria di Forza Italia, ora reclutata nel partito guidato da Giorgia Meloni, non è Natale se non viene mostrata la belluria festiva per eccellenza.
Si tratta di uno sbrilluccicante “villaggio natalizio”, traboccante di musichette inquietanti, lucine intermittenti, pupazzetti semoventi, automobiline colorate e piazzato al centro dello sterminato tavolo deputato alla cena del 24 dicembre.
Il plot è sempre uguale: la parlamentare, qualche giorno prima della Vigilia, illustra diligentemente ai suoi follower la preparazione dell’addobbo natalizio.
Il 24 dicembre il proscenio horror-ludico si arricchisce degli sconfortati protagonisti della cena, costretti, tra un boccone e l’altro, a fare ‘ciao ciao’ con la manina a una telecamerina che gira intorno al tavolo come una centrifuga impazzita.
L’impressione sincera è che l’unica a divertirsi davvero in quella stanza “giocattolosa”, dove gli ospiti sembrano personaggi godardiani capitati per caso in un film di Tim Burton, sia soltanto l’indomita ed entusiasta padrona di casa.
Ora nella versione presunta sociale di Fdi, è notorio che in tutte le case popolari abbiano un centrotavola di questo genere
(da agenzie)
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Dicembre 17th, 2017 Riccardo Fucile
SEI VOTI SU TREDICI DELLA COALIZIONE CHE APPOGGIAVA MICARI INCIUCIANO, I GRILLINI SI PERDONO IN TATTICHE DA PRIMA REPUBBLICA
Eccolo, oggi, il Miccichè emblema di stagioni terribili e artefice dello storico 61 a zero nelle politiche del 2001 ritornare a governare “il parlamento più antico d’Europa”. Un’elezione con più voti di quelli di cui dispone la maggioranza, invero risicata numericamente, in Assemblea.
Saranno sei, alla fine, i voti arrivati in suo soccorso.
Sei voti sui 13 di cui disponeva la coalizione a sostegno del rettore Micari che si è autodefinita “il centrosinistra siciliano”. Praticamente la metà della delegazione parlamentare.
Ed è così che il terribile nemico, la rappresentazione fisica del centrodestra che ha governato con Totò Cuffaro a giudicare dalle parole della campagna elettorale, diviene oggi presidente.
Rivendicando quelle stagioni e riportando indietro tutti gli orologi della politica siciliana. In una seduta dove venivano mostrate in mondovisione le schede per allontanare dicerie su franchi tiratori, in cui i Cinque stelle mostravano pratiche e tattiche da prima Repubblica (la scelta di votare un altro esponente del centrodestra per provare a scardinare il blocco di maggioranza) mentre il Pd litigava dilaniato da correnti, correntine e offerte di favori da fare e da ricevere nel buio delle urne.
L’opposizione del Pd, annunciata a suon di interviste sui giornali, è durata meno di una moda social, neppure 24 ore.
Alla prima prova l’intransigenza e la pericolosa destra della campagna elettorale un lontano ricordo cancellato dalla, mai nascosta in realtà , voglia di inciucio.
Con un’aggravante che rende ancora più penosa la giornata per il (fu?) centrosinistra isolano: i loro voti non sono neppure stati decisivi.
Un regalo di Natale anticipato alla destra e un’ulteriore buona occasione per una nuova rissa in casa dem tra accuse incrociate e parole al vetriolo scambiate a mezzo stampa. Miccichè ringrazia, la Sicilia molto meno.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Dicembre 17th, 2017 Riccardo Fucile
AGLI ITALIANI DI LINGUA TEDESCA DELL’ALTO ADIGE VORREBBERO DARE ANCHE LA CITTADINANZA AUSTRIACA, METTENDO A RISCHIO LA CONVIVENZA CHE DURA DA DECENNI
Il nuovo governo viennese, con amabile gentilezza, si è offerto di intromettersi nei
nostri affari interni. Assicurando che potrebbe dare ai cittadini italiani di lingua tedesca dell’Alto Adige anche il passaporto austriaco.
Una incursione che, a parti rovesciate, sarebbe accolta dalla destra muscolare che gonfia i bicipiti oltre il Brennero con un ceffone.
E che rischia di fare danni a una convivenza che da decenni è vista da tutto il pianeta come un modello virtuoso.
Nel 1992, quando al teatro Kursaal di Merano una maggioranza schiacciante di delegati votò con 1329 sì e solo 265 no la «quietanza liberatoria» per chiudere il «Pacchetto», cioè la vertenza internazionale aperta 32 anni prima dall’Austria per il rispetto dei sudtirolesi che si sentivano «ostaggi» dell’Italia, il leader storico della Svp, Silvius Magnago dopo aver messo in riga con una sfuriata gli ultimi riottosi, sentenziò: «Abbiamo riempito la botte fino all’ultima goccia e chiuso il rubinetto».
Traduzione: gli altoatesini di lingua tedesca avevano ottenuto dall’Italia più di ogni altra minoranza al mondo. Garantiva lui.
E chiuse: «Starà alle corti internazionali di giustizia vigilare e impedire che qualcuno, in futuro, non apra quel rubinetto per svuotarci la botte».
Venticinque anni più tardi, dopo avere «spremuto l’Italia come un limone, fino all’ultima goccia» (parole di Siegfried Brugger, già segretario della Sà¼dtiroler Volkspartei») fino ad avere oggi un reddito pro capite di 42.400 euro (nettamente superiore a quello dei cugini di Innsbruck fermi a 39.300) i sudtirolesi più incontentabili, con la sponda della nuova destra austriaca, vorrebbero riprendere a spremere, spremere, spremere.
Andando oltre l’accordo che chiuse l’antica vertenza.
Una mossa inutilmente rischiosa. Che, come ha detto giorni fa lo stesso ex presidente del Parlamento austriaco Andreas Khol sulla Tageszeitung di Innsbruck, «rischia di dividere la società sudtirolese e di mettere in pericolo la convivenza».
E poi, in nome dello ius sanguinis, a chi andrebbe concesso? «Anche ai trentini che nel 1918 erano cittadini dell’impero?». «A tutti gli espatriati tipo i 90 mila austriaci che vivono a Chicago?» E che dire, si è chiesto ancora Khol, «se l’Italia facesse una legge che toglie la cittadinanza italiana a chi ottiene quella austriaca»?
Ha senso forzar così le cose? Ma cosa succederebbe, ha scritto Toni Visentini sul Corriere dell’Alto Adige, agli stessi sudtirolesi?
«La richiesta del doppio passaporto verrà infatti inevitabilmente vista come una sorta di referendum, con i sudtirolesi “buoni” che lo chiedono da una parte, e gli altri, i “cattivi”, dall’altra».
Riportando la lancetta dell’orologio indietro, ai tempi dolorosissimi delle «opzioni» del 1939.
Quando solo i sudtirolesi che scelsero il Terzo Reich vennero considerati da molti i «veri» patrioti. Una trappola pagata carissima.
(da “il Corriere della Sera”)
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Dicembre 17th, 2017 Riccardo Fucile
GLI OROLOGI D’ORO SONO UN RICORDO: TIMORI DI INCHIESTE GIUDIZIARIE E CIRCOLARI RIDUCONO GLI OMAGGI
«Don Peppino, quest’anno il vino per il cenone ve lo dovete comprare».
Nei Palazzi romani del potere le voci corrono più di un centometrista giamaicano. Narrano che venerdì l’usciere di un ministero, abusando della confidenza consentita dalla compaesanità meridionale, abbia salutato con questa battuta il capo di gabinetto che gli aveva chiesto – per l’ennesima volta, e invano: «Pacchi per me?».
Per decenni, a Natale, i ministeri sono stati sommersi di regali.
Un’apoteosi dell’opulenza. Pregiate bottiglie di rosso e bollicine millesimate. Sontuose ceste ornate di salmoni nordici e caviali orientali. Orologi d’oro e weekend in resort. Eleganti stilografiche e agende in vera finta pelle. Cravatte e fermacravatte. Sciarpe e pullover rigorosamente in cachemire per lui («La lana no, mi punge», soleva protestare un mandarino parastatale ai bei tempi pre tangentopoli, carezzandosi il braccio mentre contraeva la bocca in una smorfia di dolore). Borse foulard e preziosi per lei. Videogiochi per i bambini, computer per i figli maggiori.
E invece nelle chiacchiere ministeriali degli ultimi giorni risuona sinistro l’allarme regali. Quest’anno scarseggiano, confidano pensierosi grand commis e sottopancia abituati a destreggiarsi tra fattorini e bigliettini d’auguri come i pizzardoni negli ingorghi di piazza Venezia. L’aria è cambiata, e non è colpa dell’austerità .
Piuttosto, delle norme sempre più stringenti per i dipendenti pubblici. Del terrore che occhiuti pm possano malignare su un omaggio gradito e una telefonata di ringraziamento. Del clima di fine legislatura che rende sconveniente «investire» su capi di gabinetto, segretari particolari e consulenti legislativi in procinto di fare gli scatoloni.
Benedetta sobrietà , sospira qualcuno chiedendo a consorti inorridite e governanti recalcitranti di acconciarsi a un’inedita spesa natalizia in un comune supermercato.
Altri rimpiangono gli anni d’oro, ricchi e gaudenti, della cui atmosfera non resta che l’aneddotica.
Come dimenticare la faccia di Arturo Parisi quando si vide recapitare al ministero della Difesa una pistola d’oro (funzionante!)?
Silvio Berlusconi, che dei regali di Natale ha fatto una disciplina di vita con rigide regole affidate alle segretarie e un registro per evitare imbarazzanti sovrapposizioni parentali, si accorse di essere stato superato quando a Palazzo Chigi ricevette una scimitarra tempestata di pietre preziose.
Si racconta che un tempo i ministri non sapessero neppure cosa fare con questa pletora di soprammobili, torroni, vassoi, gingilli, al punto che a Palazzo Chigi era stato predisposto un apposito magazzino per i regali non utilizzati.
I donatori più raffinati, uomini di mondo ben informati e introdotti, sapevano anche beneficiare le amanti. Pratica, questa, che garantiva riconoscenza supplementare ma metteva a rischio di tragiche gaffe.
Francesco Cossiga, inflessibile, restituiva i regali ai mittenti.
Alcuni ministri avevano la buona abitudine di distribuirli tra i collaboratori. Emma Bonino organizzava una riffa. Romano Prodi li metteva all’asta a fini di beneficenza.
Un noto politico siciliano, che aveva ricevuto da un riconosciuto capomafia un quadro di Guttuso, per uscire dall’imbarazzo di una restituzione che sarebbe suonata offensiva, con un colpo di genio lo regalò alla figlia del mafioso per il suo matrimonio.
In pratica quasi tutto il mese di dicembre si consumava nel distribuire pacchi.
Le stanze ministeriali sembravano piccole case di Babbo Natale, come la dispensa di Checco Zalone, funzionario della Provincia nel suo film «Quo Vado».
Tanti regali non solo ingolfavano l’attività burocratica, ma facevano sorgere invidie e velenosi sospetti di possibili corruttele. Si decise di intervenire, riportando anche il rito natalizio nell’alveo dei principi costituzionali di «buon andamento e imparzialità dell’amministrazione». Il primo fu Prodi, a dicembre 2007, pare dopo aver ricevuto dall’Emiro di Abu Dhabi un fucile d’oro, regolarmente protocollato e archiviato dagli uffici di Palazzo Chigi.
L’allora premier emanò una circolare draconiana: tutti i regali di valore superiore a 300 euro, ricevuti anche in occasione di visite ufficiali, dovevano essere conferiti al patrimonio pubblico.
Prevista anche un’apposita procedura di valutazione, di competenza dell’ufficio bilancio di Palazzo Chigi. Prodi aveva pensato di intervenire solo sui ministri. E capi di gabinetto, portavoce, direttori generali, dirigenti e così via?
In piena epoca di spending review, fu Mario Monti a indirizzare una severa lettera alle strutture ministeriali per ricordare a tutti di rispettare rigorosamente il «divieto di accettare regali e omaggi di qualsiasi natura di valore superiore a 150 euro, tali da non poter essere interpretati, da un osservatore imparziale, come finalizzati ad acquisire vantaggi in modo improprio. In ogni caso, i regali di valore superiore devono essere restituiti, ovvero ceduti all’Amministrazione di appartenenza».
Nei ministeri fu il panico. Come capire se una cassetta con quattro bottiglie di vino eccede il limite? Occorre attivare un’appropriata Commissione di valutazione? Rivolgersi a un’enoteca? O basta cercare orientativamente il prezzo su google?
Dubbi risolti nella primavera 2013 dall’approvazione del Codice di comportamento dei dipendenti pubblici, emanato con decreto presidenziale e pubblicato in Gazzetta ufficiale. All’articolo 4 comma 2 specifica chiaramente che «il dipendente non accetta, per sè o per altri, regali o altre utilità , salvo quelli d’uso di modico valore effettuati occasionalmente nell’ambito delle normali relazioni di cortesia e nell’ambito delle consuetudini internazionali».
Per precisare nei commi successivi che s’intendono di modico valore i regali al di sotto dei 150 euro o comunque ricevuti fuori dai casi consentiti e pertanto «sono immediatamente messi a disposizione dell’Amministrazione per la restituzione o per essere devoluti a fini istituzionali».
Per una volta la normativa è davvero servita a cambiare il costume sociale. Ormai il Natale ministeriale è davvero dimagrito.
Con i regali, sono diminuiti anche gli inviti a feste, aperitivi, vernissage. Per la disperazione non solo dei grand commis, ma anche delle rinomate gastronomie romane.
(da “La Stampa”)
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Dicembre 17th, 2017 Riccardo Fucile
L’UNICO PRODUTTORE AUTORIZZATO E’ QUELLO DI UNA EX CANDIDATA DE LA DESTRA DI STORACE CHE VERSA 13 EURO DI ROYALTIES PER CAPO E PRODUCE ANCHE LE T-SHIT COI MOTTI DEL SINDACO PIROZZI… MA CHI SI ERA INVENTATA LE MAGLIE ERA UN’AZIENDA DI AMATRICE
Da simbolo della rinascita di una comunità a bandiera per una candidatura politica. Nella
Amatrice di Sergio Pirozzi si è passati in breve tempo dal “popolo della felpa” alla “guerra delle felpe”.
Le immagini del Comune del centro Italia, il più colpito dal terremoto del 24 agosto 2016, e del suo sindaco — ad oggi candidato alla presidenza della Regione Lazio per una coalizione civica di destra — sono divenuti quasi inscindibili nell’immaginario collettivo.
Così come le felpe “alla Salvini” (il leader della Lega è suo amico e sostenitore) indossate dal carismatico primo cittadino nei tragici giorni post-sisma.
Un simbolo diventato così famoso da arrivare a creare una sorta di merchandising solidale: le felpe, ma anche magliette, tazze, cappellini e perfino tutine per neonati. Il brand è sempre lo stesso: il nome e il logo del paese d’origine della pasta all’amatriciana.
Tutti possono produrre questi prodotti? In realtà no.
L’unica autorizzata — con direttiva comunale — a realizzare e vendere articoli ufficiali di Amatrice (direttamente o all’ingrosso per altri punti vendita anche a Roma) con tanto di logo del Comune, è la Settantallora srl, una piccola società di abbigliamento che, particolare non da poco, si trova a Rieti.
Da circa un anno, la ditta guidata da un’imprenditrice ed ex candidata locale de La Destra di Storace, Monia Bartolomei, può fregiarsi del titolo di produttore ufficiale in cambio di royalties piuttosto elevate — circa 13 euro su una felpa che ne costa 48 — che finiscono direttamente su un conto corrente del Comune amatriciano destinate alla ricostruzione (al momento sono stati raccolti 35mila euro).
“La percentuale è altissima — spiegano dal Comune amatriciano — e la cifra è molto importante. In pratica a Settantallora resta solo il rimborso dei costi di produzione. Chi vuole fare lo stesso deve almeno pareggiare le royalties proposte”.
Secondo quanto affermano dal Comune di Amatrice — è bene sottolinearlo — la signora Bartolomei non ci guadagna un euro.
IlFattoQuotidiano.it ha provato a contattare Settantallora Rieti, ma i responsabili ci hanno riferito che non rilasciano dichiarazioni alla stampa sull’argomento.
Tuttavia, la necessità di raccogliere fondi oggi si scontra con la nuova figura di Pirozzi candidato governatore, contrapposizione che diventerebbe ancora più netta se la coalizione di centrodestra dovesse decidere di convergere sull’ex allenatore del Trastevere Calcio.
Fra i prodotti venduti nel negozio ebay di Settantallora Rieti, infatti, non si trovano solo quelli con logo e nome di Amatrice, ma anche felpe e t-shirt riportanti i motti di Pirozzi: “Guai ai vinti”, “Non perdo mai, o vinco o imparo” oppure “#toccavince” con tanto di hashtag.
La stessa felpa è stata esposta anche durante la presentazione a Roma del libro del sindaco, ‘La scossa dello Scarpone’, avvenuta alla presenza di Matteo Salvini e della sua compagna Elisa Isoardi, durante la quale Pirozzi ha reso per la prima volta pubbliche le sue intenzioni di candidarsi al governo regionale.
Ma c’è di più.
Settantallora ha anche un negozio a Fonte Nuova, a pochi chilometri da Roma sulla direttrice Nomentana, che collabora molto attivamente con Orma Eventi.
Questa associazione culturale è legata agli ambienti di destra e, in passato, vantava simpatie per il consigliere regionale Pietro Di Paolo — vicino a Gianni Alemanno — una delle menti politiche alla base della candidatura di Pirozzi; Orma Eventi, tra le altre cose, ogni estate organizza il Fairylands, manifestazione di cultura celtica le cui magliette ufficiali vengono realizzate, appunto, da Settantallora.
Così, accade che nella cittadina che sta faticosamente provando a rialzarsi dopo la tragedia non tutti abbiano preso bene questa scelta.
Alcuni piccoli produttori amatriciani stampano e vendono lo stesso le felpe, ma senza il logo ufficiale. In fondo “Amatrice siamo noi, non quelli di Rieti, siamo noi i sopravvissuti che devono ripartire”, ci racconta la signora Simona.
Per loro sarebbe indispensabile cavalcare questa visibilità , “ma non ce ne viene data la possibilità ” e si trovano a quasi a sentirsi “venditori abusivi di un prodotto taroccato”. Senza dimenticare che le felpe ufficiali sono ormai vendute in tutto il mondo e indossate da personaggi noti: una pubblicità da cui i rivenditori amatriciani, i più colpiti dal sisma, sono stati di fatto esclusi.
Fra questi, c’è Alex Abbigliamento Amatrice, che — raccontano gli amatriciani — quelle felpe se le è inventate (e le ha registrate) ben 14 anni fa.
Il terremoto ha distrutto il negozio, la titolare è riuscita a recuperare alcune di quelle casacche dalle macerie e ne ha anche regalata una a Papa Francesco “in segno di speranza e rinascita” nei giorni in cui il Pontefice si è recato nelle zone colpite dal sisma.
Le felpe di Alex le indossava anche Sergio Pirozzi alcuni mesi prima del sisma, quando la sua amministrazione andò in crisi, lui diede le dimissioni e poi le ritirò sulla spinta popolare proprio de “Il popolo della felpa”.
Su quelle casacche, però, la scritta “Amatrice” aveva un font leggermente diverso, mentre sulla manica c’era uno scudo tricolore al posto dell’attuale bandierina.
La titolare, Alessandra Salpini, contattata da IlFattoQuotidiano.it, ha preferito non rilasciare dichiarazioni. C’e’ invece un post su Facebook sintomatico della tensione su questo argomento: “Chi sta vendendo le felpe a ‘Rieti’ — scrive polemicamente Sonia sul gruppo Casa delle Donne di Amatrice e Frazioni — lo sta facendo non da parte di Alex. Potete contattarla telefonicamente, presto vi faremo sapere anche il sito online su cui acquistarle”. Ma, evidentemente, non è la stessa cosa.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 17th, 2017 Riccardo Fucile
LA LETTERA AL GIORNALE AMICO PER RACCONTARE BALLE
Oggi Luigi Di Maio ha scritto una lettera al Fatto Quotidiano per rispondere ad Anna Maria Bianchi di Carte in regola, che tre giorni fa aveva inviato una lettera al giornale sugli ambulanti.
La parte più interessante della lettera è quella finale, nella quale Di Maio afferma che con il bando di piazza Navona “si è ridotta al minimo la presenza dei Tredicine”, e dopo fa sapere che l’applicazione della Bolkestein favorirebbe i Tredicine.
L’affermazione di Di Maio sui Tredicine a Piazza Navona è interessante e andrebbe verificata.
Perchè tra i nomi degli assegnatari del bando brillano quelli di Alfiero Tredicine, Dino Tredicine, Elio Tredicine, Tania Donatella Tredicine, Mario Tredicine, Anna Maria Cirulli (moglie di Mario Tredicine), Irene Rina Cirulli (sorella di Anna Maria), Sandro Cirulli, Pierina Maria Franceschelli (moglie di Dino Tredicine). Alfiero è anche zio di Giordano Tredicine, poi arrestato per Mafia Capitale.
Nella vendita di alberi di Natale, addobbi e presepi, ad esempio, i nomi della famiglia Tredicine sono sono tre su sette.
Nella vendita di giocattoli sono sei su otto.
13 sono quelle assegnate loro nella categoria dolciumi.
Tre, infine, quelle andate ai Tredicine per la vendita dei palloncini.
Insomma, questo è quello che Di Maio intende per ridurre al minimo la presenza di una famiglia che lui stesso, qualche tempo fa, ha collegato a Mafia Capitale.
Ma la parte più interessante della lettera di Di Maio è quella dove il candidato premier sostiene che l’applicazione della Bolkestein, con l’apertura alle società di capitali, comporterebbe un rafforzamento di chi, come i Tredicine a Roma, ha assunto una posizione dominante su questo tipo di mercato.
Infatti questi Tredicine non devono essersi accorti della cosa, visto che il famoso scatto con Dino Tredicine (vicesegretario di un sindacato di ambulanti) che ritraeva Luigi Di Maio era stato fatto durante una manifestazione contro la Bolkestein.
Dino Tredicine sfoggiava insieme a Luigi Di Maio una maglietta con la scritta “No Bolkestein”. Eppure, sostiene Di Maio, la Bolkestein lo favorisce.
Che ci sia qualcuno che non sa quel che fa?
Oppure c’è qualcuno che non sa quel che dice?
(da “NextQuotidiano”)
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