Aprile 15th, 2019 Riccardo Fucile
UNO DEI SIMBOLI DELLA NOSTRA CIVILTA’, PATRIMONIO COMUNE DI VALORI, SENTIMENTI , EMOZIONI
Non è solo la guglia di Notre Dame a crollare sotto le fiamme. Con lei si sgretola anche una parte
della nostra identità di Europei che di quella cattedrale gloriosa abbiamo fatto uno dei simboli della nostra civiltà . Di quel patrimonio comune di valori, di sentimenti, di emozioni che si agita dentro di noi nei momenti più drammatici. Come un’aritmia del cuore che non si può controllare Come un riflesso condizionato dell’anima.
Credenti e non credenti, euroscettici ed europeisti, qualunque siano la nostra nazionalità e parte politica, quella chiesa che brucia mette tutti d’accordo.
Si spiega anche così la solidarietà che è divampata con lo stesso impeto delle fiamme da ogni parte del mondo. E ha incendiato i social.
Particolarmente toccante è la testimonianza del teatro La Fenice di Venezia, due volte distrutta dalle fiamme e due volte risorta, che ha twittato “Noi siamo stati devastati dal fuoco e ogni volta siamo rinati. Accadrà anche a voi, non abbiate paura, amici!”.
In realtà con i suoi otto secoli di vita, diceva il grande storico transalpino Jules Michelet, Notre Dame è essa stessa un libro di storia. Lì i parigini hanno vegliato il re Luigi il Santo. Lì Filippo il Bello nel 1302 inaugurò i primi Stati Generali del regno di Francia, lì Enrico IV ha sposato Margerita di Valois nel 1572. Ed è sempre sotto quelle volte maestose che Papa Pio VII ha incoronato Napoleone I imperatore di Francia nel 1804.
E sotto quelle vertiginose ogive gotiche che un oceano di popolo in lacrime ha cantato il Te Deum alla fine della prima e della Seconda guerra mondiale. Tutti eventi che hanno costruito l’Europa di ora.
Se la storia a volta può dividere, i monumenti invece uniscono, perchè sono storia stratificata, decantata, filtrata, accumulata e trasformata in simbolo che appartiene a tutti.
In memoria che ci parla di un passato ormai pacificato. Non a caso nell’Ottocento a guidare la ricostruzione della Cattedrale devastata dalle furia della Rivoluzione, fu Victor Hugo che infiammò gli animi con il suo romanzo Notre Dame de Paris e promosse una petizione popolare perchè quel luogo sacro alla patria tornasse al suo splendore.
E non solo la storia dei grandi eventi è passata davanti a quella cattedrale imponente, con quella sagoma familiare che alterna la calma olimpica dei santi che svettano sulla facciata al ghigno demoniaco delle chimere che guardano la strada di sottecchi.
Perchè da più di un secolo su quel sagrato si è fatta la storia di noi tutti.
Turisti, fidanzati, devoti, patrioti, amanti del bello, tutti ci siamo raccontati, fotografati o selfeggiati, o anche solo immaginati davanti a quella facciata per monumentalizzare un po’ anche la nostra vita.
Per farla entrare nella memoria maestosa e romantica della douce France.
(da “La Repubblica”)
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Aprile 15th, 2019 Riccardo Fucile
NON SI APPLICA A CHI HA AVUTO INCENTIVO ALL’ESODO… ALTRA PROMESSA TRADITA
Quattro aprile 2016, Matteo Salvini a Piazza Pulita tuonava contro il governo e contro la Legge Fornero: «gli esodati devono aspettare ANNI senza LAVORO e senza PENSIONE, per queste persone TRUFFATE dallo stato cosa facciamo??».
Tre anni dopo Salvini è al governo, a gennaio il Consiglio dei Ministri ha licenziato il 28 marzo il decreto legge recante Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni che ha introdotto Quota 100.
Lo scorso la Camera ha approvato — con modifiche — il ddl di conversione del DL 4/2019. Eppure per gli esodati non è cambiato nulla.
Perchè, come si legge al comma 9 dell’articolo 14 della legge su Reddito di Cittadinanza e Quota 100, le disposizioni che riguardano le pensioni con Quota 100 non si applicano a coloro che che hanno usufruito del cosiddetto incentivo all’esodo (art. 4, commi 1 e 2, della legge 28 giugno 2012, n. 92) e a coloro che percepiscono l’assegno straordinario per il sostegno al reddito.
In poche parole gli esodati, usati per anni come strumento della propaganda leghista contro la “cattiva” Elsa Fornero, si trovano oggi nella stessa condizione in cui si trovavano quando c’erano quelli di prima.
La differenza è che ora al governo c’è un ministro dell’Interno che negli ultimi anni ha versato lacrime di coccodrilo sugli esodati truffati dallo Stato, sugli esodati finiti in mezzo alla strada che da anni stanno soffrendo «grazie all’infame Legge Fornero votata dal Parlamento».
Ogni volta che saltavano fuori risorse aggiuntive — ad esempio il famoso tesoretto scovato da Renzi — la Lega metteva subito le mani avanti per evitare che finisse nelle “mani sbagliate”. Salvini si ergeva a paladino degli oppressi (italiani) dicendo che prima era il caso di aiutare gli esodati e non “clandestini e Rom”.
Niente soldi ad esodati, terremotati e disabili? È razzismo contro gli italiani.
Poi Salvini è finalmente riuscito ad andare al governo di qualcosa (dopo oltre vent’anni di tentativi) ed ecco che degli aiuti alle persone con disabilità si è persa traccia e gli esodati sono finiti nel dimenticatoio.
Ne è passato di tempo da quando Salvini contava quanti giorni erano trascorsi da quando era stata approvata la Fornero.
Si è passati dalla promessa di abolirla a quella di “superarla” (per tre anni ed in via sperimentale). Per gli esodati non è stato pensato nulla, nemmeno la nona salvaguardia per quelli rimasti fuori dalle precedenti, la pace contributiva per poter rientrare nei requisiti di Quota 100 o l’APE social.
Tutti gli emendamenti presentati dall’opposizione durante la discussione alla Camera sono stati bocciati.
Nel 2015 Salvini si indignava per la sorte toccata ai 20mila esodati vittime della Fornero. Oggi gli esodati rimasti esclusi dalle salvaguardie sono circa seimila ma Salvini non apre bocca. Tutte le promesse fatte in questi anni non si sono concretizzate.
Eppure nel programma della Lega per le Politiche 2018 è scritto nero su bianco “ultima salvaguardia per la platea di esodati esclusi dai precedenti otto provvedimenti“. La nona salvaguardia appunto,
quella che avrebbe dovuto varare il governo giallo-verde.
Ma a quanto pare gli esodati fanno comodo solo quando si possono usare come arma di propaganda, quando diventano un problema da risolvere vengono gentilmente nascosti sotto il tappeto.
E alla fine quel vaffa all’ex ministro Fornero suona tanto come un vaffa agli esodati.
(da “NextQuotidiano”)
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Aprile 15th, 2019 Riccardo Fucile
NEL VOTO SULLA PIATTAFORMA ROUSSEAU SI CONFERMA IL MALUMORE DELLA BASE, MOLTISSIMI I VOTI CONTRARI
Si è chiuso, con il voto sulla piattaforma Rousseau, il percorso del Movimento per comporre le liste
alle elezioni europee del 26 maggio. Ma, nonostante l’appello finale di Luigi Di Maio, sono stati moltissimi i no alla scelta delle cinque candidate volute dal vicepremier nel ruolo di capolista. Soprattutto al Sud e nelle Isole.
Nella circoscrizione Nord-occidentale i sì sono stati 2553, i no 1446. Qui la candidata è Maria Angela Danzì, segretario generale e direttore generale dei comuni di Genova e Novara e della provincia di Varese, che proprio oggi è risultata indagata da parte della procura di Brindisi.
Nella circoscrizione nord-orientale – dove è candidata la giornalista d’inchiesta Sabrina Pignedoli – il margine più ampio di voti favorevoli: i sì sono stati 2063, i no 759. Nella circoscizione centrale – dove la capolista è Daniela Rondinelli, componente del Gabinetto di Presidenza del Comitato economico e sociale europeo – 3086 sì e 1907 no (oltre un terzo).
Al sud 3468 sì e i no sono stati addirittura 2169: nella circoscrizione meridionale la capolista è Chiara Maria Gemma, professore associato in didattica e pedagogia all’università di Bari. Infine, le isole. Qui i sì hanno uno scarto di meno di 400 voti: sono stati 1739 con ben 1351 no (qui la candidata capogruppo è Alessandra Todde, amministratore delegato di Olidata).
I votanti sono stati in tutto appena 20.541.
(da agenzie)
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Aprile 15th, 2019 Riccardo Fucile
SOTTO I 34 ANNI SALE LA PERCENTUALE DI CHI CREDE A UN DESTINO COMUNE DEI POPOLI EUROPEI
A poco più di un mese dalle elezioni europee 2019, da un sondaggio arriva una buona notizia per chi vede ancora un po’ di luce nell’Europa.
In un periodo in cui l’euroscetticismo la fa da padrone, con i movimenti sovranisti e anti-europeisti che crescono a dismisura e si candidano seriamente a provocare un forte scossone nell’Unione europea, la speranza per l’Europa sta nei giovani.
Quella che può apparire come pura retorica assume un significato diverso se si leggono i risultati dell’ultimo sondaggio curato da Demos con la fondazione Unipolis e condotto dall’Osservatorio Europeo sulla Sicurezza.
Secondo lo studio, riportato anche da Ilvo Diamanti su Repubblica, è tra i cittadini più giovani che si sente meno il deterioramento della fiducia nei confronti dell’Ue. Un po’ perchè le nuove generazioni sentono meno le polemiche del recente passato, un po’ per il loro irrefrenabile entusiasmo.
Dal sondaggio, emerge che in generale il sostegno all’Unione europea viene espresso da circa un cittadino su tre.
Una percentuale, però, che si alza sensibilmente all’abbassarsi dell’età . Per questo, in paesi come l’Italia, l’Olanda o la Gran Bretagna (nonostante la Brexit), il grado di fiducia nella fascia compresa tra i 15 e i 24 anni sale al 65 per cento.
Tra i 25 e i 34 anni, poi, il gradimento cala al 53 per cento, per poi crollare nelle fasce maggiori di età , fino al 30 per cento tra i più anziani.
Diverso, invece, il discorso se si guarda alla Germania, che al contrario degli altri Stati membri ha subito meno il crollo di fiducia nell’Ue negli ultimi decenni. Anche vent’anni fa, infatti, in Germania quasi due cittadini su tre si dicevano contenti dell’Europa. E lo sono tutt’ora.
Merito, ovviamente, della posizione di centralità che i tedeschi vivono nell’Unione europea. Ma la Germania rimane pur sempre uno solo dei 27 stati membri.
Ecco perchè per l’Europa diventa essenziale il gradimento dei cittadini di tutti gli altri paesi membri.
(da Globalist)
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Aprile 15th, 2019 Riccardo Fucile
CON UNA DISOCCUPAZIONE GIOVANILE AL 32,8% CONTRO UNA MEDIA EUROPEA DEL 14,6%, L’ITALIA TRADISCE I SUOI GIOVANI
In Italia la disoccupazione giovanile è un problema. 
Nel nostro paese il tasso di disoccupazione degli under 25 è del 32,8%, contro una media europea del 14,6%, riferita alla Ue a 28 Paesi.
Ma soprattutto, spiega oggi Il Sole 24 Ore, le contromisure adottate finora da vari governi per invertire la rotta non sembrano aver avuto effetto: nè quelle basate su fondi europei, come Youth guarantee, nè l’introduzione di incentivi e sconti contributivi per le aziende che assumono under 30, che prosegue ininterrotta dal 1° maggio 2014.
Anche perchè cinque strumenti su sette tra quelli a disposizione delle aziende per assumere i giovani non sono ancora pienamente operativi. Passando sopra alla loro complessità e, per certi versi, disomogeneità .
Attualmente non sono operativi: il bonus del reddito di cittadinanza per chi assume i percettori, il bonus per chi si mette in proprio, il bonus per l’assunzione under 35, il bonus per le eccellenze (le assunzioni dei 110 e lode) e il bonus assunzioni nel Mezzogiorno.
E non solo, spiega il quotidiano:
Allargando il cerchio alle misure finanziate con fondi Ue il quadro non cambia.
Come conferma l’ultimo report di Garanzia giovani, il piano pensato per collocare sul mercato del lavoro gli under 29 altrimenti “incollocabili”. Quando ci si riesce, anche qui tramite i centri per l’impiego (o tramite le agenzie private), ci si limita a tirocini e stage.
Degli 1,1 milioni di Neet iscritti alla piattaforma e presi in carico, il 56,9% è stato avviato a un intervento di politica attiva.
Ma in quasi sei casi su 10 si tratta di un tirocinio extra-curriculare. Certo, una fetta di questi rapporti poi si trasforma in contratti subordinati (il 52,5% risulta occupato, tra tempo indeterminato, contratti a termine, apprendistato). Insufficiente però a rilanciare la “buona” occupazione giovanile.
(da “NextQuotidiano”)
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Aprile 15th, 2019 Riccardo Fucile
“DOCUMENTO OSCURO CHE DICE POCO, IL PIL DEL SUD E’ SOTTOZERO”
Il brusco risveglio presenta il conto.
Quello di un Paese sfiduciato, spaccato ancora di più a metà tra Nord e Sud, strozzato da incertezze e da impegni gravosi che non hanno ancora soluzioni. È un conto amaro, che suscita raccomandazioni e allarmi, che annulla il tentativo di sterilizzazione portato avanti a fatica dal governo.
Il conto lo consegnano le imprese e i sindacati, che nel corso delle audizioni sul Def motivano i loro dubbi, segnando nuove distanze con l’esecutivo.
Così non va è la sintesi di un ragionamento che anima per ore i lavori delle commissioni parlamentari chiamate a fare il tagliando al Documento approvato dal Consiglio dei ministri. Il bagno di realismo, certificato da Giovanni Tria con i numeri, non convince. Dice così poco che il rischio è quello di “aumentare l’incertezza e di rallentare l’economia” per prendere in prestito il giudizio di Confindustria.
Al Senato, dove si svolgono le audizioni preliminari al voto in aula di giovedì, le parole dei rappresentanti delle parti sociali sono accomunate dalla considerazione che il passaggio dalla manovra della super crescita al Def del brusco risveglio non è affatto risolutivo.
Anzi certifica che la strada intrapresa con ostinazione a dicembre, quando si è confezionata la legge di bilancio, era sbagliata. Intanto, però, la crisi ha continuato a mordere, innestando nel Paese una nuova spirale negativa, fatta di disoccupazione e crisi dei consumi, gravando ulteriormente sui conti pubblici. Tutto al netto di zavorre già messe nero su bianco quattro mesi fa, sintetizzabili in 23 miliardi da trovare entro l’autunno se si vuole evitare di aumentare l’Iva. Tempo perso, insomma.
E ora la presa d’atto deve inglobare necessariamente un percorso chiaro, che però non c’è. Confindustria lo spiega senza fronzoli: “Il Def dice poco sulle principali linee della prossima legge di bilancio”. Così poco – è il ragionamento – che questo atteggiamento rischia di aumentare l’incertezza e rallentare l’economia, invece di darle una nuova spinta.
È nella pancia del Def che l’associazione degli industriali guarda per motivare la sua valutazione.
Se si dice che l’Iva non aumenterà perchè non si spiega come?
Perchè si parla di flat tax senza dire come verranno reperite le risorse necessarie per mettere in piedi la misura cara alla Lega?
Le risposte non ci sono perchè è lo stesso governo che non le ha.
Anche l’ipotesi più accreditata, quella cioè di finanziare lo stop all’aumento dell’Iva in deficit (ammettendo che l’Europa conceda una flessibilità così imponente) avrebbe un contraccolpo pesantissimo, cioè superare e abbondantemente la soglia critica del 3 per cento. I conti pubblici andrebbero in subbuglio, i mercati ritornerebbero in fibrillazione, con le annesse ricadute catastrofiche sull’economia reale.
Proprio perchè regna l’incertezza su come costruire la prossima manovra, tutti invitano all’estrema prudenza. Altro che libro dei sogni, bisogna andare avanti con i piedi ben fissati per terra.
Il riferimento è alla flat tax, che Matteo Salvini vuole in forma concreta tra qualche mese. Il muro di sbarramento lo alzano però Cgil, Cisl e Uil. Il sindacato di corso d’Italia invita caldamente il governo a non fare della riforma fiscale un tema da campagna elettorale. La flat tax no perchè è “ingiusta” e “regressiva”: i benefici andrebbero ai ricchi, gli svantaggi “notevoli” tutti sulle spalle dei redditi meno alti, con particolare aggravio sulle donne. Più squilibri e iniquità per la Uil, ulteriori “distorsioni” per la Cisl.
In questo clima di sfiducia e preoccupazione per l’imminente futuro, la fotografia di come il Paese sta vivendo ora la dà la Svimez, l’associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno.
Se al Nord il Pil tendenziale, cioè al netto di nuovi interventi, è appena sopra lo zero, a +0,2%, al Sud si è già sotto zero. E anche lo scenario programmatico, quello che tiene conto del decreto crescita e dello sblocca-cantieri, non ha nulla di entusiasmante. Nel Mezzogiorno è già recessione.
Il realismo di Tria è stato fin troppo ottimista.
(da agenzie)
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Aprile 15th, 2019 Riccardo Fucile
LA GIUNTA DELLA SINDACA SANGIORGI TRABALLA DOPO AVER CHIESTO LE DIMISSIONI DELL’ASSESSORE LEGHISTA ALLA SICUREZZA (EX SINDACALISTA SAP) A CUI CARICO C’E’ UNA VECCHIA CONDANNA
La giunta del MoVimento 5 Stelle a Imola, guidata da Manuela Sangiorgi, già traballa. Tutto per
colpa di una condanna che risale a vent’anni fa appioppata all’assessore Andrea Longhi, già numero uno regionale del Sap (il sindacato autonomo delle divise blu che ha tra le sue figure di spicco il deputato leghista Gianni Tonelli).
Il M5S ha chiesto a Longhi di lasciare la Giunta Sangiorgi. I probiviri hanno scritto una lettera alla sindaca nella quale invitano la prima cittadina a chiarire la posizione dell’assessore alla Sicurezza sul quale pende una sentenza definitiva a due anni di reclusione relativa a reati commessi assieme a un collega, ormai oltre 20 anni fa, in veste di pubblico ufficiale. E la cui nomina in Giunta sarebbe, per questo motivo, in contrasto con il Codice etico del M5S.
«Sono stato riabilitato — replica l’assessore alla Sicurezza, che in questi anni ha continuato a lavorare regolarmente all’interno del commissariato di via Mazzini e a svolgere la propria attività di sindacalista —. Il mio casellario giudiziale è immacolato: nel momento in cui devo essere valutato, è quello il documento che fa fede.”
Longhi dice che è pulito perchè dopo 5 anni, in assenza di altri reati, la fedina penale torna pulita.
Dal canto sua la sindaca è sul piede di guerra: sul suo profilo Facebook (ma non sulla pagina dedicata), scrive: “Chiedo scusa al Dott. Longhi da parte di un Movimento che evidentemente ha due pesi e due misure ( penso a fatti molto recenti), tirando fuori un caso di un quarto di secolo fa per colpire la sottoscritta”.
Nessuno, però, dettaglia per cosa sarebbe stato condannato Longhi: per calunnia, falso e lesioni colpose. Ovvero, per aver accusato davanti all’autorità giudiziaria qualcuno di aver commesso un reato pur sapendolo innocente (è questa la definizione del reato di calunnia). Purtroppo Longhi non spiega per cosa è stato condannato.
Nei confronti di Longhi si parlò anche di un’altra indagine, che risale al 1995: in un vecchio articolo di Repubblica si racconta di un’ inchiesta sull’ ex questore di Bologna Aldo Ummarino e i vertici provinciali del Sap: il segretario Gianni Pollastri e i vicesegretari Andrea Longhi e Gianni Tonelli. Sia l’ alto funzionario sia i poliziotti avevano ricevuto avvisi di garanzia, nei quali si ipotizzavano per Ummarino il reato di omissione in atti di ufficio, per i sindacalisti quello di abuso di ufficio e per tutti quello di omessa denuncia:
E’ la fotocopia di una delle schede che la Questura tiene nell’ ufficio “schedario forestieri e alloggiati”, sulle presenze negli alberghi.
In quel cartellino era stata registrata la presenza del questore Aldo Ummarino in un motel alla periferia di Bologna. Quella fotocopia di un documento arrivò un bel giorno via fax nell’ ufficio della segreteria provinciale del Sap.
Un documento riservato e infatti si indaga anche contro ignoti: allo schedario ha lavorato anche Pietro Gugliotta, uno dei membri della Uno bianca. Secondo l’ accusa, i sindacalisti Pollastri, Tonelli e Longhi appena ricevuto il fax avrebbero dovuto fare subito denuncia, essendo pubblici ufficiali.
Invece, pochi giorni dopo, avrebbero usato quella scheda durante un incontro sindacale con il capo di Gabinetto Francesco Perucatti. Avrebbero fatto pesare la conoscenza di quel passaggio del questore in un motel, per far capire che il vertice della questura era poco credibile, “discutibile”
Visto che lo stesso Longhi parla della Uno Bianca, sarà questa l’inchiesta che è poi sfociata in una condanna? Ad occhio parrebbe di no, visto che per la calunnia dovrebbe esserci una denuncia.
E un’altra parte curiosa della vicenda è che la storia di Longhi è molto simile a quella della sindaca M5S di Anguillara Sabrina Anselmo, anche lei con fedina penale pulita perchè ottenne la non-menzione per una condanna per calunnia.
La sindaca però è ancora al suo posto: e allora perchè Longhi dovrebbe essere in pericolo?
(da “NextQuotidiano”)
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Aprile 15th, 2019 Riccardo Fucile
“CON LUI I FATTI NON FUNZIONANO, INUTILE PERDERE TEMPO”
Greta Thunberg non è un esempio solo per il suo impegno nella lotta all’inquinamento del pianeta e al riscaldamento globale: la 16enne che è riuscita a mobilitare il mondo intero per il futuro del pianeta ha anche fornito una grande risposta a chi le ha chiesto cosa direbbe al presidente Donald Trump, noto negazionista del riscaldamento globale: “Non so cosa gli direi, probabilmente nulla, perchè con lui i fatti non funzionano. Qualcun altro dovrà convincerlo, perchè io non ho tempo”
Greta ha rilasciato questa intervista a Sky tg24, dove ha dichiarato: “molti si sono concentrati su di me come persona e non sulla crisi climatica. uesto distoglie l’attenzione dalla questione, ma se le persone parlano di me di conseguenza devono parlare anche del problema del cambiamento climatico. Non c’è molto altro che io possa fare se non continuare su questa strada, vale a dire attirare l’attenzione sulla crisi climatica”.
(da agenzie)
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Aprile 15th, 2019 Riccardo Fucile
DALL’ 1,2 MILIARDI DI VERSAMENTO AGGIUNTIVO AI DAZI SULL’EXPORT… VIAGGIARE E STUDIARE NEL REGNO UNITO COSTERA’ DI PIU’
Milena Gabanelli e Giuditta Marvelli sul Corriere della Sera riepilogano oggi il prezzo della Brexit
per l’Italia, ovvero le conseguenze dirette e indirette per il Belpaese dell’addio del Regno Unito all’Unione Europea senza accordi.
Le prime ripercussioni saranno sul bilancio UE visto che UK è il secondo contributore netto: il «buco» lasciato da Londra dovrà essere chiuso: o riducendo il valore complessivo del bilancio o distribuendo i maggiori oneri fra chi resta.
Tutti quindi «avranno un po’ di meno e dovranno dare di più», ha detto Banca d’Italia in un’audizione alla Camera. Se questo sarà il criterio, all’Italia toccherà un versamento aggiuntivo di 1,2 miliardi.
Poi ci sono le esportazioni italiane verso la Gran Bretagna, che ammontano a 23,1 miliardi di euro l’anno, mentre le nostre importazioni dal Regno Unito ne valgono 11,4.
E qui la tagliola dei dazi, che allunga i tempi e alza i prezzi, potrebbe scattare dopo un anno dal divorzio.
Nel caso di vini e formaggi si parla anche del 32-35%. Una bottiglia da 30 euro, insomma, dopo aver pagato il dazio, a Londra ne costerebbe 40.
E nel conto vanno 92 banche, 111 gestori di fondi, 280 istituti di pagamento, 105 istituti di moneta
elettronica e 53 compagnie assicurative, che perderanno il diritto ad operare in Italia.
Infine, viaggiare e studiare in Inghilterra diventerà più costoso.
Dopo la Brexit ci vorrà il passaporto, costo 116 euro, oggi basta la carta d’identità .
Diventerà più caro l’uso del telefonino: il roaming gratuito vale solo nei Paesi Ue. Più care le tasse universitarie. Dai dati Miur il 42% degli studenti italiani che mira ad atenei stranieri sceglie la Gran Bretagna.
L’anno prossimo finirà il regime che concede agli studenti europei di pagare una retta non superiore a 9.250 sterline l’anno.
(da agenzie)
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