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LUCIANA LAMORGESE SMASCHERA LE BALLE DI SALVINI SUI MIGRANTI: “NON C’E’ NESSUNA INVASIONE, SUI RIMPATRI STIAMO FACENDO COSE IMPORTANTI”

Novembre 1st, 2019 Riccardo Fucile

“A SETTEMBRE SONO AUMENTATI SOLO GLI SBARCHI AUTONOMI, MA PER 379 TUNISINI SBARCATI A OTTOBRE SIAMO GIA’ RIUSCITI A RIMPATRIARNE 243, CIRCA IL 60%, CIFRE MAI VISTE PRIMA”

Luciana Lamorgese, ministra dell’Interno del Conte Bis, rilascia oggi un’intervista a Repubblica in cui risponde punto per punto agli attacchi di Matteo Salvini sull’accordo di Malta, la presunta invasione, i rimpatri e l’accordo sui dublinanti con la Germania.
La ministra spiega che al di là  della propaganda del Capitano non c’è nessuna invasione.
Salvini ripete «stop all’invasione». Dice che l’escalation degli sbarchi in Italia è triplicata e che a confermarlo sarebbero i vostri stessi dati. Come stanno le cose?
«Non mi risulta. Non siamo di fronte ad alcuna invasione. Basti pensare che nel 2019 gli arrivi sono stati circa 9.600 rispetto ai 22mila di tutto il 2018. I dati a cui si fa riferimento sono relativi al solo mese di settembre. Raffrontando gli sbarchi di settembre 2018 e 2019, in effetti l’incremento numerico c’è stato, ma è riconducibile soprattutto all’aumento degli sbarchi autonomi, che non costituisce un fenomeno nuovo».
Con quali numeri?
«Nel 2018 i migranti approdati qui con piccole imbarcazioni sono stati circa 6mila, mentre dall’inizio di quest’anno sono circa 7.500, e la tendenza all’incremento s’era registrata già  dal mese di aprile. Un fatto importante si è verificato con l’ultimo sbarco della Ocean Viking, in quest’occasione Francia e Germania hanno offerto la disponibilità  ad accogliere il 72 per cento dei migranti, dando di fatto già  attuazione al pre-accordo di Malta, che comincia quindi a dare i primi risultati».
Come abbiamo spiegato, L’unica sostanziale novità  è che è aumentato il numero di migranti intercettati dalla Guardia Costiera libica e riportati in Libia.
Un paese dove per stessa ammissione di Salvini qualche giorno fa, c’è la guerra e che quindi non può essere considerato un porto sicuro. Ieri Bianca Berlinguer ha ricordato a Salvini che «gli sbarchi in questi mesi ci sono sempre stati, anche se si è parlato solo di quelli che arrivano con le navi delle organizzazioni non governative coi barchini fantasma ne sono arrivati molti di più di quanti ne sono arrivati con le navi delle ONG».
Ed è vero, i migranti arrivati a bordo delle ONG da gennaio a settembre 2019 sono stati 472, gli altri 4.553 sono arrivati in altri modi.
Chi a bordo di navi mercantili italiani (i vari Asso 25 e simili) o assetti della Marina Militare e della Guardia Costiera. Salvini ribatte che «non sono sbarchi fantasma, sono tutti censiti uno per uno, vengono identificati tutti e vengono messi tutti nei centri».
Ed è vero che con sbarchi fantasma si intendono quelli che arrivano sulle coste e riescono a dileguarsi prima dell’arrivo delle forze dell’ordine (è successo). Ma questi “fantasmi” sono invece degli spettri che non compaiono nella propaganda della Lega (ma sono ben evidenti dai dati statistici del Viminale).
Poi la ministra parla delle attività  di rimpatrio, che Salvini aveva promesso in numeri roboanti (mezzo milione l’anno) ma durante il regno del Capitano sono addirittura calati.
E l’attività  dei rimpatri?
«Ci siamo attivati per intensificarla. Mi spiego. A ottobre sono sbarcati sul territorio italiano 379 tunisini e siamo riusciti a rimpatriarne 243, di cui 138 sbarcati nello stesso mese. In questo modo la percentuale dei rimpatriati rispetto agli sbarcati è di oltre il 60 per cento».
Avete da poco attivato procedure accelerate nelle zone di frontiera, giusto?
«Abbiamo da pochissimo individuato cinque aree di transito alla frontiera, in queste il richiedente asilo viene ascoltato entro sette giorni e la decisione segue nei due giorni successivi. La procedura, che è stata applicata per la prima volta proprio a Lampedusa, dove arriva il maggior numero di barchini, riguarda chi ha eluso o tentato di eludere i controlli. Sono per lo più quei migranti rintracciati appena dopo lo sbarco autonomo».
Come andavano le cose all’epoca di Salvini? I 600mila rimpatri che aveva promesso in campagna elettorale (nel contratto di governo si parlava di almeno 500mila irregolari) erano impossibili da realizzare nell’arco di una legislatura e i leghisti lo sapevano bene.
Ma ai tassi attuali pure di un’intera vita visto che per rimpatriare tutti gli irregolari potrebbe servire almeno un secolo, come aveva dichiarato il presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo.
Eppure c’è stato un tempo in cui Salvini si vantava del fatto che i rimpatri erano più degli sbarchi, anche questo però non era vero.
E anche i numeri dei rimpatri,   presi così da soli non riflettono la realtà  del fenomeno visto che nel 2018 gli stranieri formalmente espulsi sono stati 36mila.
Infine Lamorgese conferma che gli attacchi sulla Germania e su Conte che si prende gli immigrati della Merkel, propalata da Salvini in collaborazione con Il Giornale, è una bufala:
Stando a indiscrezioni giornalistiche, l’Italia sarebbe pronta ad accettare voli charter con i cosiddetti dublinanti dalla Germania.
«È una notizia totalmente destituita di fondamento, in quanto ci sono state già  con il precedente governo interlocuzioni con il ministro dell’Interno tedesco sull’applicazione del regolamento di Dublino, che attribuisce al Paese di primo ingresso la competenza a decidere sulla richiesta di asilo e, quindi, l’obbligo a riaccogliere l’interessato qualora sia stato rintracciato in un altro Paese. D’altra parte, già  nel 2018, in applicazione del regolamento di Dublino, sono state trasferite in Italia 2331 richiedenti asilo. Dal primo gennaio al 31 agosto 2019 altri 1351. Attualmente ci sono contatti in corso con le autorità  tedesche, ma nulla è stato ancora deciso».
Si parla dei cosiddetti “dublinati” o “dublinanti”, ovvero quei migranti che in base agli accordi di Dublino (quelli approvati dalla Lega anni fa e che la Lega non ha mai voluto modificare) vengono rispediti indietro in Italia. Perchè il regolamento di Dublino prevede che i migranti debbano presentare la domanda di asilo nel paese di primo accesso che in molti casi (ma non tutti) è l’Italia.
E quando c’era Salvini questi non entravano? È vero che l’ex ministro degli Interni non ha mai firmato accordi con Seehofer, ma i dati del 2018 parlavano di   2.707 “rimpatri” dalla Germania all’Italia da gennaio a novembre.
Di questi 1.692 erano stati effettuati nei primi sei mesi dell’anno, il che significa che da giugno a novembre — quando al governo c’era già  la Lega di Salvini — ne sono arrivati altri 1.015, con una media di 203 ingressi al mese.
Altro che i 50 al mese (poche decine, direbbe uno) che dovrebbero arrivare ora. Di fatto la Germania non ha mai smesso di “rimandare indietro” (dal nostro punto di vista è perfettamente legittimo) i migranti, nemmeno quando c’era Salvini.
Un’inchiesta pubblicata da Repubblica il 16 giugno scorso certificava, grazie ai dati forniti dal governo tedesco (perchè quello italiano certe cose non le ama raccontare)   il fallimento della linea Salvini.
A fronte di 4.602 richieste di trasferimento arrivate dalla Germania nel primo trimestre del 2019 Salvini ne aveva approvate 3.540 (contro i 2.629 del quarto trimestre del 2019). I trasferimenti effettivi sono stati meno, per un totale di 1.114 tra novembre 2108 e marzo 2019. Si parla di   557 persone
trimestre, vale a dire circa 185 al mese. E Salvini oggi lancia l’allarme se ne arriveranno 50 al mese? Ma allora è una diminuzione rispetto a quando c’era lui. E quindi un successo!

(da “NextQuotidiano”)

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QUANDO DI MAIO DICEVA CHE IL MEMORANDUM ITALIA-LIBIA ERA SBAGLIATO

Novembre 1st, 2019 Riccardo Fucile

DUE ANNI FA ATTACCAVA IL GOVERNO, ORA DICE CHE QUELL’ACCORDO NON E’ POI COSI’ MALE

Era il 9 settembre del 2017 e, confrontando quanto dichiarato da Luigi Di Maio ai microfoni di Giornalettismo, appare evidente la differenza tra il fare opposizione e il trovarsi al governo.
Già  all’epoca, infatti, si iniziavano a intravedere tutte le criticità  del famoso memorandum Italia-Libia siglato dal governo Gentiloni (con la firma dell’allora ministro dell’Interno Marco Minniti) con tutte le contraddizioni che oggi, ancor più di ieri, si erano palesate nella gestione dei centri migranti nel Paese Nordafricano.
All’epoca, però, il capo politico del Movimento 5 Stelle chiedeva chiarimenti all’allora maggioranza. Oggi, invece, fa spallucce, dice che non è necessario revocare quegli accordi che, al massimo, saranno modificati.
«Noi vogliamo sapere prima di tutto se si stanno dando soldi degli italiani a organizzazioni criminali libiche — aveva risposto Luigi Di Maio a Giornalettismo che lo aveva interpellato sul Memorandum Italia-Libia -. Questo è il nostro principale obiettivo, perchè da lì, forse, potremmo scoprire che stiamo pagando organizzazioni criminali libiche per per contenere questo fenomeno, ma a danno dei diritti umani».
Le ultime vicende, come quelle raccontate da Nello Scavo su Avvenire, hanno svelato come il famoso Bija — considerato dall’Onu come uno dei maggiori trafficanti di esseri umani — oltre ad aver ottenuto un ruolo di rilievo all’interno della guardia costiera libica e nella gestione dei campi di prigionia (perchè di questo si tratta), si era anche seduto al tavolo con le istituzioni italiane. Un campanello d’allarme che dovrebbe riportare a considerazioni di merito sul Memorandum Italia-Libia, come fatto ripetutamente da Possibile con la mobilitazione #StopAccordiConLaLibia.
Oggi invece, la versione di Luigi Di Maio (ministro degli Esteri) è cambiata diametralmente. Solo ieri, infatti, aveva detto che l’accordo non è poi così male e che deve essere solamente modificato e non ritirato. Un cambio di punti di vista, come spesso accade quando si passa dall’opposizione alla maggioranza. Come nel classico gioco di ruoli della politica.

(da agenzie)

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LA BORGONZONI ANTICIPA CHE SALVINI PARTECIPERA’ ALLA “FESTA DEI CORNUTI”, MAGARI RACCATTA QUALCHE VOTO NELLA CATEGORIA

Novembre 1st, 2019 Riccardo Fucile

NON POTEVA MANCARE AL TRADIZIONALE APPPUNTAMENTO IN EMILIA ROMAGNA

L’Emilia Romagna val bene una passeggiata alla Festa dei Cornuti.
È questo quello che avrà  pensato Lucia Borgonzoni, candidata della Lega e del centrodestra nella regione, quando ha annunciato a Matteo Salvini l’intenzione di partecipare in sua compagnia a un appuntamento tradizionale che, ogni anno, si svolge a Sant’Arcangelo di Romagna.
A svelare questa inusuale partecipazione — che porterà  con sè senz’altro diverse conseguenze, specialmente relative all’ironia sui social network — è stata proprio l’aspirante governatrice a Luca Telese, che ha anticipato la notizia per TPI.
«Non ci sono retroscena — ha svelato la Borgonzoni -. Saremo ovunque accada qualcosa di importante, in Emilia Romagna in questi mesi. E quindi anche lì. La festa dei Cornuti a Sant’Arcangelo di Romagna è uno degli eventi della tradizione della nostra regione». E pazienza se ci sarà  più di una battuta. Del resto, creare engagement sui social network non è la mission principale del team della comunicazione di Matteo Salvini?
Da qui al 26 gennaio, il percorso è ancora lunghissimo, ma il leader del Carroccio non ha intenzione di perdersi nemmeno un appuntamento.
Così, Matteo Salvini attraverserà  anche il famoso arco trionfale collocato in città  in occasione dell’avvenimento, dal quale pende un paio di enormi corna dove, solitamente, gli avventori si fanno fotografare.
La Festa dei Cornuti è il nome con cui è maggiormente conosciuta la festa di San Martino a Sant’Arcangelo di Romagna. In realtà , il nome in dialetto locale è Fiera d’i becch. L’origine di questo nome è oscura, ma la tradizione è antica e certificata.

(da agenzie)

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RUBLI ALLA LEGA, PER SALVINI ORA SAVOINI E “UN INCAUTO”

Novembre 1st, 2019 Riccardo Fucile

PRESENTARSI IN AUDIZIONE AL SENATO SAREBBE STATO UN “PRECEDENTE PERICOLOSO” (PER LUI, SICURAMENTE)

Salvini ha parlato del caso dei presunti fondi russi alla Lega nel nuovo libro di Bruno Vespa. L’ex sottosegretario Giorgetti: «Savoini e D’Amico? Due polli in libertà »
Prima ha cercato di prenderne le distanze, poi ha ammesso di conoscerlo da 25 anni. C’è però un aspetto della vicenda Metropol su cui Matteo Salvini finora non ha mai cambiato idea, ed è l’innocenza, di cui è convinto, di Gianluca Savoini. Se Savoini però ha una “colpa”, secondo Salvini, è quella di essere stato «incauto».
Il riferimento è ad alcune “amicizie” di Savoini, in particolare quella con Gianluca Meranda, l’altro italiano seduto al tavolo dell’hotel Metropol a trattare su presunti fondi russi destinati alla Lega. «È stato incauto. Visto da fuori, il curriculum del suo accompagnatore (in riferimento a Meranda ndr), non è quello della migliore frequentazione possibile. In ogni caso incauto è una cosa, delinquente è un’altra». A dirlo è Salvini stesso in un passaggio del nuovo libro di Bruno Vespa (Perchè l’Italia diventò fascista, Mondadori), in uscita il prossimo 6 novembre.
Salvini si è sempre sottratto alle ripetute richieste da parte di esponenti del governo di riferire in Parlamento sul caso dei presunti fondi russi alla Lega. Il leghista giustifica così la sua scelta: «Andare a riferire al Senato sarebbe stato un precedente pericoloso. Chiunque potrebbe allora essere convocato per qualsiasi ragione, un pezzo d’intercettazione, un’inchiesta giornalistica. Non mi risulta sia accaduto nulla di grave». Anche se poi lo stesso Salvini ha sollecitato Conte affinchè riferisse in Parlamento sia sul caso Russiagate che su quello Fiber 4.0.
Alla domanda di Vespa se Salvini poi abbia chiesto a Savoini chiarimenti sul caso Metropol, il leghista risponde: «Sì, e lui mi ha risposto, “Matteo, non c’è nulla di cui preoccuparsi”».
Ma Salvini non è l’unico a parlare nello stesso libro dell’incontro al Metropol. Sul caso interviene anche l’ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio nel governo Conte I, Giancarlo Giorgetti, che non risparmia una critica allo stesso Savoini definendolo «uno sprovveduto» come Claudio D’Amico, il terzo uomo seduto al tavolo con i russi.
«Polli in libertà ». È così che Giorgetti definisce i due. «Savoini e D’Amico sono due sprovveduti avvicinati da mediatori d’affari che li immaginavano dotati di poteri magici. Altri pensavano che arrivassero fino a Salvini. Figurarsi. Però, ogni loro passo era monitorato», dice l’ex sottosegretario.
Secondo Giorgetti, Salvini è stato un po’ ingenuo a lasciarsi avvicinare dai due. «Avevo informato Salvini e lo avevo messo in guardia. Ma lui, in assoluta buona fede, riteneva che fossero simpatici romantici assolutamente innocui, senza poter fare alcun danno», aggiunge Giorgetti, che definisce «un danno d’immagine enorme per Salvini» l’intera vicenda sul caso Metropol.
Dichiarazioni, quelle di Giorgetti, che non convincono il sottosegretario agli Esteri Manlio Di Stefano (M5s): «Secondo Giorgetti, Salvini sarebbe stato solo incauto a farsi accompagnare in Russia da Savoini. Dice che per Salvini fosse innocuo. Ma come si spiega che Savoini, secondo quanto emerso dall’indagine, abbia trattato a nome e per conto di Salvini e della Lega durante la riunione al Metropol? Perchè Salvini non querela Savoini? Se Savoini era soltanto un “simpatico romantico”, perchè Salvini non l’ha detto in Parlamento da dove è scappato?».

(da agenzie)

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NUMERI IDENTIFICATIVI SUI CASCHI DELLA POLIZIA: L’ITALIA E’ INDIETRO RISPETTO AL’EUROPA

Novembre 1st, 2019 Riccardo Fucile

LA BECERODESTRA INSORGE, MA IN 21 SU 28 PAESI UE LA NORMA E’ VIGENTE

L’Italia è uno dei pochi Paesi europei che non ha preso provvedimenti definitivi per l’identificazione degli agenti in servizio
Era il 7 aprile del 2015 quando la Corte di Strasburgo condannò l’Italia per i fatti di Bolzaneto durante il G8 di Genova del 2001. Le violenze, gli abusi e le umiliazioni subite dai ragazzi e dalle ragazze della scuola Diaz da parte di alcuni esponenti delle forze dell’ordine furono «atti di tortura». Molti degli autori materiali rimasero impuniti anche per l’impossibilità  da parte della magistratura di identificarne le generalità . Da quel momento in poi, il dibattito italiano sull’introduzione di codici di riconoscimento sulle divise è tornato a più riprese sui banchi del Parlamento.
Proprio in questi giorni è arrivata in Commissione affari costituzionali la proposta di legge della deputata Giuditta Pini in merito all’identificazione delle forze dei polizia.
In un’intervista a Open, ha spiegato di aspettarsi un appoggio compatto da tutta la maggioranza, perchè «i fatti di Genova restano una ferita aperta per il nostro Paese»
L’urgenza di porre rimedio a un’evidente difficoltà  giudiziaria torna ciclicamente alla luce in diversi fatti di cronaca. L’ultimo episodio di violenze risale al 23 maggio di quest’anno, quando piazza Marsala, sempre a Genova, venne blindata da centinaia di agenti della polizia in occasione di un comizio di Casapound. Durante gli scontri di quella giornata, il giornalista di Repubblica Stefano Origone venne preso a manganellate dalla polizia.
Dalle opposizioni sono già  arrivati i primi altolà : secondo Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia si tratterebbe di una vera e propria «schedatura» delle autorità . Le forze dell’ordine, dal canto loro, hanno parlato di un «pericolo»: «è una vergogna — dicono — venir marchiati come il bestiame».
In realtà , se si guarda al resto d’Europa, la vera anomalia è proprio il caso italiano.
Su 28 Paesi membri, sono 21 gli Stati dell’Unione europea che hanno deciso di introdurre i codici identificativi sulle divise dei singoli ufficiali della polizia: si tratta del Belgio, della Bulgaria, della Croazia, della Danimarca, dell’Estonia, della Finlandia, della Francia, della Grecia, dell’Irlanda, della Lettonia, della Lituania, di Malta, della Polonia, del Portogallo, del Regno Unito, della Repubblica Ceca, della Romania, della Slovacchia, della Slovenia e della Spagna
In forme e modalità  diverse, l’obbligo consente una gestione più efficace dei fenomeni di violenza e degli abusi durante le più diverse manifestazioni. In Svezia, pur non essendo previsto un obbligo, gli agenti di polizia espongono nome, carta d’identità  e grado sull’uniforme, oltre che un codice quando indossano equipaggiamento speciale.
Ancor prima, dei codici alfanumerici visibili sulla divisa o sui caschi servirebbero a scoraggiare comportamenti che violerebbero i diritti umani. Ma nè l’Italia, nè Cipro, nè l’Austria, nè l’Olanda nè il Lussemburgo hanno fatto passi in questa direzione.
Nel 2012, il Parlamento europeo emanò una risoluzione nell’ambito della situazione de diritti fondamentali dell’Unione Europea. In merito ai diritti delle vittime e all’accesso alla giustizia, l’Istituzione esprimeva «preoccupazione per il ricorso a una forza sproporzionata da parte della polizia durante eventi pubblici e manifestazioni nell’UE
A tal proposito, il Parlamento europeo invitava gli Stati membri a prendere provvedimenti «affinchè il controllo giuridico e democratico delle autorità  incaricate dell’applicazione della legge e del loro personale» fosse «rafforzato», esortandoli a «garantire che il personale di polizia” si dotasse di “un numero identificativo» .
Qualche tempo dopo, nel 2016, anche il Consiglio sui diritti umani della Nazioni Unite si era espresso affinchè gli Stati provvedessero ad arginare e prevenire episodi di abusi e violenze. Come ricordato da Amnesty International, il relatore speciale per il diritto alla libertà  di assemblea pacifica e di associazione Maina Kiai, insieme al Relatore speciale sulle esecuzioni extragiudiziali, sommarie o arbitrarie Christof Heyns, raccomandarono che «i funzionari delle forze di polizia» risultassero «chiaramente e individualmente identificabili, ad esempio esponendo una targhetta col nome o con un numero».
Sulla stessa linea si inserisce proprio l’operato dell’ong Amnesty International, che da anni si batte a favore del provvedimento. «È vero, le persone sono tutte uguali. Ma da alcune pretendiamo qualcosa di più», si sente in un video realizzato per la campagna Forza polizia, mettici la faccia. «E allora perchè affidiamo la nostra sicurezza a persone che non possiamo riconoscere?».
«Il fatto che i singoli agenti e funzionari siano identificabili — scrivono dall’ong — è un messaggio importante di trasparenza che mostrerebbe la volontà  delle forze di polizia di rispondere delle proprie azioni e allo stesso tempo accrescerebbe la fiducia dei cittadini».
Le bodycam
Nella proposta presentata in Commissione dalla deputata Pini, viene proposta anche l’introduzione di una body cam sui caschi degli agenti: una soluzione richiesta anche dai sindacati della polizia e che consentirebbe di ricostruire al meglio quando accaduto durante scontri o manifestazioni.
«Accanto al tema dell’identificazione degli operatori delle Forze di polizia impegnati in operazioni di ordine pubblico e di sicurezza dei cittadini durante le manifestazioni di piazza o sportive — si legge nel testo della proposta di legge — esiste quello, altrettanto sensibile e richiesto dagli stessi operatori delle Forze di polizia, dell’utilizzazione delle cosiddette bodycam, ossia delle telecamere sulle divise».
In merito all’introduzione delle telecamere, esistono già  diverse sperimentazioni in Italia, approvate dal Garante per la protezione de i dati personali nel 2014, e i cui risultati «sono stati considerati in modo positivo».
Le bodycam saranno presto utilizzate dalla regione Lombardia, dove è stato presentato un piano dall’assessorato alla sicurezza che prevede l’uso delle telecamere per la polizia locale durante il pattugliamento o durante le operazioni di controllo del territorio. Lo stesso accadrà  nella città  di Palermo, dove, per espressa richiesta del capo della polizia municipale, saranno sperimentate circa 100 bodycam per registrare gli interventi.

(da agenzie)

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I FIGLI DI BERLUSCONI GLI CHIEDONO DI CHIUDERE CON FRANCESCA PASCALE: SIAMO AI TITOLI DI CODA?

Novembre 1st, 2019 Riccardo Fucile

ALLA FESTA DI COMPLEANNO DI SILVIO I FIGLI HANNO IMPOSTO L’ASSENZA DELLA PASCALE

Ugo Magri su La Stampa oggi racconta un retroscena che riguarda Francesca Pascale, l’eterna fidanzata del Cav. Nei suoi confronti è scattato l’ostracismo totale dei figli di lui (Marina, Piersilvio, Barbara, Eleonora e Luigi).
Tutti e cinque stanno premendo perchè l’anziano babbo metta fine a questa relazione giudicata ingombrante.
In questo caso, però, la politica non conta (sebbene nelle ultime settimane Francesca si sia parecchio esposta su Instagram a difesa di lesbiche e gay). Nemmeno c’entrano le indigestioni di dolciumi e bollicine che l’ex premier troppo spesso si concede quando cena a Villa Maria (la dimora della Pascale).
Ciò che viene rimproverato a Francesca è lo stress cui sottopone Silvio con le scenate di gelosia, unite a un eccesso di presenzialismo sui social. E Berlusconi? Per ora non cede, ma la resistenza pare sempre più fiacca.
Ha accettato di partecipare senza Francesca alle nozze della nipote Lucrezia, e addirittura ha lasciato che venisse esclusa dalla sua festa di compleanno.
Siamo quasi ai titoli di coda.

(da agenzie)

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LILIANA SEGRE: “DOPO L’ASTENSIONE MI HA CHIAMATO LA MELONI, MA IL SUO NON E’ AMORE PER L’ITALIA”

Novembre 1st, 2019 Riccardo Fucile

“MI HA DETTO CHE SI SONO ASTENUTI PERCHE’ DIFENDONO LA FAMIGLIA. LE HO RISPOSTO CHE IO DIFENDO COSI’ TANTO LA FAMIGLIA CHE SONO SPOSATA DA 60 ANNI CON LO STESSO UOMO E CHE LA FAMIGLIA NON C’ENTRA NULLA CON UNA COMMISSIONE CONTRO L’ODIO”

Liliana Segre, sopravvissuta ad Auschwitz e senatrice a vita, non ha dubbi sulle polemiche generate dall’astensione della destra dal voto sull’istituzione della Commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza e razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza.
E in un’intervista a Repubblica spiega: “Credevo che la stagione d’odio fosse finita dopo la guerra. Ma quando una democrazia è fragile, si possono ripetere situazioni del passato”.
La Segre, che ha posto la prima firma sulla mozione di maggioranza per l’istituzione della Commissione contro l’odio razziale, ha parlato di “un profondo senso di stupefazione, come difficilmente ci si può sorprendere” alla sua età .
“Il mio — ha continuato la senatrice a vita, nominata il 18 febbraio del 2018 dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella — era un appello etico che parlava alle coscienze, alle anime e ai cervelli dell’intero ceto politico italiano, senza distinzione tra destra e sinistra. Davo per scontato che il Senato della Repubblica l’avrebbe accolto come si accoglie un principio fondamentale di civiltà ”.
Invece così non è stato, o almeno in parte. I senatori di Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia si sono astenuti nelle procedure di voto. E sono rimasti seduti durante l’applauso dell’Aula dopo l’approvazione della mozione, con 151 voti a favore e 98 astensioni.
A questo proposito, Liliana Segre decide di vedere il bicchiere mezzo pieno: “Ho sentito però degli applausi che partivano da quella parte dell’aula — ha dichiarato — e Mara Carfagna ha preso le distanze dall’astensione”.
Tuttavia, la senatrice a vita non ha risparmiato una stilettata a Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, che ha dichiarato che la Commissione potrebbe colpire gli italiani patriottici: “Ma come può venirle in mente? Mi ha telefonato l’altra sera: ‘Sa, ci siamo astenuti perchè noi difendiamo la famiglia’. Le ho risposto: ‘Cara signora, io difendo così tanto la mia famiglia che sono stata sposata per sessant’anni con lo stesso uomo’. Qualcuno mi dovrà  spiegare cosa c’entri tutto questo con la Commissione contro l’odio”
Non è mancata, durante l’intervista, una battuta anche su Matteo Salvini, che ha citato 1984 di George Orwell, paragonando la Commissione all’organo di uno Stato di polizia per l’imposizione del pensiero unico: “Mi sfugge cosa c’entri tutto questo con la commissione contro l’odio razziale — ha ribattuto Liliana Segre — Il nazionalismo aggressivo è cosa diversa dal patriottismo”.
Infine, dalla senatrice a vita è arrivato un altro chiaro messaggio: “No, il razzismo non è una cosa di cui si può discutere. Avendolo provato sulla mia pelle, pensavo che sulle discriminazioni razziali non ci fossero margini per i distinguo. Ma evidentemente i tempi sono cambiati. Oggi sono morti i carnefici e pure le vittime. La storia si può riscrivere”.

(da agenzie)

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LAMORGESE: “PROVO TRISTEZZA E SDEGNO PER L’ASTENSIONE SUL RAZZISMO IN SENATO”

Novembre 1st, 2019 Riccardo Fucile

“INACCETTABILE PER UN PAESE CHE HA COSTRUITO LA PROPRIA CARTA DI VALORI SUL RIFIUTO DI OGNI FORMA DI DISCRIMINAZIONE”

Che ne pensa degli insulti alla senatrice a vita Liliana Segre?
“Provo uno sdegno profondo per le parole d’odio indirizzate sui socia alla senatrice. L’ho voluta incontrare personalmente per rinnovarle tutta la mia solidarietà . E il voto del Senato sulla commissione rappresenta sicuramente un passo in avanti, che pero’ andava condiviso da tutti i partiti”.
Lo dice la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese a ‘Repubblica’
I voti di astensione, aggiunge Lamorgese, “mi hanno profondamente rattristata. È inaccettabile che in un Paese che ha costruito la propria Carta dei Valori sul rifiuto di ogni forma di discriminazione, si tenti riportare, anche con una inaudita violenza verbale, le lancette dell’orologio a una tragica e vergognosa pagina della storia”.

(da agenzie)

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“UNGHERIA, POLONIA E REPUBBLICA CECA SUI RICOLLOCAMENTI DEI MIGRANTI HANNO VIOLATO IL DIRITTO INTERNAZIONALE”

Novembre 1st, 2019 Riccardo Fucile

LA DENUNCIA DELL’AVVOCATURA UE ALLA CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA

Rifiutando di conformarsi al meccanismo temporaneo per la ricollocazione obbligatoria dei richiedenti protezione internazionale, la Polonia, l’Ungheria e la Repubblica Ceca non hanno adempiuto agli obblighi previsti dal diritto internazionale.
È quanto si legge, scrive l’Ansa, nelle conclusioni dell’avvocata generale della Ue, Eleanor Sharpston, che proporrà  il suo parere alla Corte di giustizia europea.
In risposta alla crisi migratoria che ha colpito l’Europa nell’estate del 2015, il Consiglio dell’Unione europea aveva infatti adottato due decisioni per aiutare l’Italia e la Grecia a gestire l’afflusso di migranti.
Si trattava dei cosiddetti ricollocamenti, e l’Ue aveva fornito disposizioni dettagliate per il trasferimento rispettivamente di 40mila e 120mila richiedenti protezione internazionale.
Solo che Slovacchia e Ungheria hanno respinto e contestato la legalità  di una di tali decisioni. Posizioni rigettate il 6 settembre 2017 dalla Corte in una sua sentenza. Nel dicembre 2017 la Commissione ha poi avviato un procedimento di infrazione dinanzi alla Corte contro tre Stati membri — la Polonia, l’Ungheria e la Repubblica ceca: la tesi è che abbiano violato gli obblighi sui ricollocamenti.
Secondo il parere dell’avvocata generale Eleanor Sharpston, gli Stati membri non possono invocare le loro responsabilità  per il mantenimento dell’ordine pubblico e la salvaguardia della sicurezza interna al fine di non applicare un atto dell’Unione valido con cui non sono d’accordo.
Nel parere di oggi si ricorda, scrive ancora l’Ansa, che la legge dell’Unione europea fornisce allo Stato membro gli strumenti adeguati per proteggere i suoi legittimi interessi di sicurezza nazionale e di ordine pubblico nei confronti di un richiedente specifico nel contesto di i suoi obblighi ai sensi del diritto dell’Ue. Il diritto dell’Ue non consente tuttavia esplicitamente a uno Stato membro di non rispettare tali obblighi. Inoltre, è possibile tutelare efficacemente gli interessi legittimi degli Stati membri a preservare la coesione sociale e culturale.

(da agenzie)

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