Novembre 2nd, 2019 Riccardo Fucile
DOPO IL SUO ATTACCO A CONTE SI RITROVA M5S E PD A FARE QUADRATO
I più arrabbiati sono i parlamentari di “Base riformista”. Sono gli ex renziani, ora tutti in coro contro Matteo. Il mood è “non lo sopportiamo più. Vuole solo distinguersi per avere visibilità ”.
L’ex segretario del Pd, ora leader di Italia Viva, che ogni giorno pianta bandierine e alza paletti, è riuscito a ricompattare le varie anime del mondo dem. Ma anche e soprattutto nell’impresa quasi impossibile di far esporre il Movimento 5 Stelle in maniera netta a favore del premier Giuseppe Conte. L’aggettivo, ormai trasversale, che riguarda Renzi è il seguente: “Irresponsabile”.
Base riformista, la corrente che fa capo ai due ex fedelissimi Luca Lotti e Lorenzo Guerini, considera una “bomba Molotov” quella sganciata da Renzi con l’ultima intervista rilasciata al quotidiano Il Messaggero, nella quale l’ex premier si spinge a tal punto da mettere in dubbio la permanenza di Conte a palazzo Chigi. E ad annunciare modifiche alla legge di bilancio.
Dietro questa mossa ci sarebbe la volontà , è il dubbio che circola con insistenza in queste ore, di voler colpire e quindi sostituire il capo dell’esecutivo. “Renzi pensa a Mario Draghi”, ipotizza qualcuno.
Ed è per questo che inizia la corsa alla blindatura di Conte. Inaspettatamente il Movimento 5 Stelle si espone in maniera secca: “Se qualcuno ha strane intenzioni sappia che l’alternativa è il voto”.
E anche il capo della delegazione Pd, Dario Franceschini, parla dell’esecutivo Conte come l’ultimo di questa legislatura. Insomma, niente scossoni e ribaltoni, soprattutto in sessione di bilancio.
Anche per gli ex fedelissimi di Renzi la misura è colma. “Se stai in maggioranza ci devi stare, non puoi fare l’opposizione. E poi, quando in Cdm si è approvata la manovra i tuoi dov’erano?”.
È il ragionamento che rimbalza nelle varie chat in queste ore. Proprio perchè il leader di Italia Viva, che ad agosto scorso era stato lo sponsor principale del governo giallorosso, ora mina la sua sopravvivenza. Pochi giorni fa aveva puntato il dito contro Quota 100 e adesso sposta l’attenzione su quelli che definisce “i tre principali errori da eliminare dalla manovra: le tasse su
zucchero, plastica e soprattutto auto aziendali che sono una inspiegabile mazzata alla classe media”. E quindi, nel giro di poche ore, partono in batteria una raffica di comunicati contro l’ex premier, pur non nominandolo.
“Gualtieri ha fatto un mezzo miracolo dopo la fuga di Salvini dalle sue responsabilità . Il problema è che oggi chi vota i provvedimenti in consiglio dei ministri dopo 12 ore fa lo gnorri e fa partire il fuoco amico. Quanto può durare questo giochino?”, twitta sibillina Alessia Morani, sottosegretaria al Mise. La collega al governo Simona Malpezzi è sulla stessa linea: “Il ministro Gualtieri ha fatto un miracolo. Se si governa insieme, si fa squadra. Altrimenti non è contributo ma fuoco amico”.
E ancora Piero De Luca, un tempo fedelissimo di Maria Elena Boschi: “La manovra varata dal governo è positiva. Tutto è migliorabile in Parlamento. Ma si lavora meglio in maggioranza senza rincorrersi o giocare al rialzo ogni giorno”.
Il portavoce di Base riformista, Andrea Romano, fa nomi e cognomi e lancia un’accusa che punta a far male. “Che senso ha picconare ogni giorno il governo di cui si fa parte? Italia Viva partito di lotta e di governo, stile Turigliatto?”, scrive su Twitter, rievocando il caso del senatore del PdCI che contribuì, con la sua astensione sulla mozione dell’allora ministro degli Esteri Massimo D’Alema sulla politica estera, alla caduta del Governo Prodi II. Per il responsabile organizzazione Dem Stefano Vaccari
“Renzi oggi sembra indossare i panni del Matteo sbagliato”.
No tax significa niente ospedali, niente scuola e niente servizi ai cittadini. Il Pd lo ricorda a Matteo Renzi con una nota in cui viene spiegato: “C’è qualcosa che sfugge a Matteo Renzi che, in linea con un certo populismo fiscale che da tempo contagia una certa politica, continua a rivendicare la sua presunta crociata contro le tasse.
“No Tax – scrive il membro della segreteria Nicola Oddati -vuol dire no ospedali pubblici, no istruzione pubblica, no trasporti, no servizi sociali, no case popolari, no sostegno ai comuni. Ovvero minare alle fondamenta dello stato sociale repubblicano. Un grave errore metterla su questo piano per chi è stato segretario di un partito di centrosinistra”.
Nicola Zingaretti ufficialmente non commenta e osserva un partito che si compatta attorno al segretario, grazie al “nemico” esterno, grazie a colui che nel settembre scorso ha voluto spaccare il Pd. E il premier Conte fa lo stesso. Anche Luigi Di Maio non si espone direttamente, ma una nota firmata Movimento 5 Stelle prende la distanza da Renzi e frena qualsiasi altra ipotesi oltre il quadro attuale.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 2nd, 2019 Riccardo Fucile
IL RACCONTO DEL PESCATORE DIVENTATO COMANDANTE PER LA MISSIONE MEDITERRANEA NEL LIBRO “IO NON SPENGO NESSUN MOTORE”
È il racconto di un pescatore divenuto comandante per la missione Mediterranea, quello di
Pietro Marrone. Il suo libro “Io non spengo nessun motore” (editore Solferino) esce oggi: eccone un’anticipazione.
“La Guardia di Finanza è salita a bordo all’alba. Come ci aspettavamo. Mi ha notificato il sequestro della nave e l’avviso di indagine nei miei confronti per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e della violazione dell’articolo 12 del testo unico del codice della navigazione, per il mancato rispetto dell’alt intimato nella notte tra lunedì e martedì dalla Gdf. Sono stato invitato a seguirli in caserma, dove mi aspetta il procuratore aggiunto di Agrigento Salvatore Vella per un interrogatorio. All’inizio le gambe hanno tremato, ma poi sono andato con lo sguardo alto. Posso avere paura anch’io come tutti, ma mi dà fastidio che si veda. Tutto l’equipaggio di terra e di mare di Mediterranea è sceso con me e mi ha accompagnato per farmi coraggio e dimostrare che non ero solo. Ho pensato che dall’esterno dovevamo sembrare un drappello un po’ patetico, soli contro tutti. Ma questo drappello ha salvato cinquanta vite, signori. Chi di voi può dire lo stesso? (…)
Sono in diversi a chiedermi perchè non abbia rispettato l’alt, perchè non abbia fermato le macchine. Anche ripensandoci dopo, non riuscirò del tutto a capire cosa mi è successo in quel momento: non sono un tipo sentimentale e nella mia vita ne ho viste di ogni tipo, però mi è salito tutto un groppo in gola. La risacca delle ultime 48 ore senza sonno, delle emozioni incredibili a getto continuo, l’angoscia di non potere spiegare che mai in vita mia mi sarei messo contro la legge se non avessi avuto la paura di mettere a rischio delle vite. Tutte queste cose mi escono dagli occhi in forma di lacrime. Non è paura, non è vergogna, è semplicemente…che è troppo. Smetto di parlare per paura di singhiozzare ma lo vedono, che sto piangendo. Così è troppo. Come faccio a spiegare a queste persone una cosa così evidente e che pure non capiscono? Cerco di controllarmi, respiro, ma la voce mi esce strozzata mentre formulo la risposta più chiara a cui riesco a pensare, quella che contiene tutto. «Mio cugino è morto in un mare simile a quello in cui si trovava la Mare Jonio» dico semplicemente. «La gente in mare bisogna soccorrerla». Chi sta in mare lo sa. Chi ha un senso di umanità lo sa. Che i motori non si spengono e che le vite si salvano.
(da agenzie)
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Novembre 2nd, 2019 Riccardo Fucile
INTERVISTA AL “MAESTRO” DEL PREMIER, ORDINARIO DI DIRITTO CIVILE ALLA SAPIENZA, UNO DEI PIU’ QUOTATI AVVOCATI ITALIANI
«Giuseppe Conte vuole sempre mantenere il ruolo di super partes nelle coalizioni di cui è stato premier, ma prima o poi sarà costretto a schierarsi». Guido Alpa, uno dei più importanti avvocati italiani, l’ex presidente del Consiglio nazionale forense, ordinario di diritto civile alla Sapienza, è considerato il “padre” professionale del premier. Una delle persone, da sempre, a lui più vicine.
Anche oggi, i due continuano periodicamente a sentirsi. «Lui – racconta Alpa – è molto impegnato. Però rivelo una cosa: mi chiama la domenica, per chiedermi come sto, come mi vanno le cose. Non gli do alcun consiglio, non ne ha bisogno».
La politica è un argomento di conversazione?
«No, non ne parliamo mai. Anche perchè la pensiamo diversamente, io sono sempre stato socialista e morirò socialista».
Però oggi Conte guida un esecutivo dalle tinte diverse dal passato: fuori la Lega, dentro il Pd.
Alpa ne è convinto: «Ad un certo punto – ribadisce – si dovrà schierare». Sin dall’inizio della carriera politica del premier le attenzioni dei detrattori si sono concentrate proprio sui suoi rapporti con Alpa. Anche nelle ultime settimane, con la vicenda del parere legale per l’affare Retelit, che s’intreccia con le attività del finanziere Raffaele Mincione e con la vicenda Carige.
Ma in precedenza con le polemiche sul curriculum di Conte, sul suo concorso universitario, per arrivare ai rapporti dello stesso Alpa con la Link, l’Università messa in piedi dall’ex ministro democristiano Enzo Scotti, salita agli onori della cronaca mondiale per la scomparsa di uno dei suoi soci, Joseph Mifsud, uomo chiave del Russiagate.
Qual è la sua impressione sulle polemiche che coinvolgono il suo nome?
«La più semplice è che vogliano colpire me, per colpire il premier. Ma è penoso vedere come siano costruite ad arte fake news sulla base di una tecnica semplicistica, l’associazione casuale di immagini e parole. Questa tecnica è stata condannata dalla corte di Cassazione, già dal 1984»
Accostamenti suggestivi, dice..
«A questo punto, ci sono diverse cose che vanno chiarite. A partire dall’assistenza che ho prestato al dottor Mincione nella vicenda relativa alla acquisizione di una posizione di maggior peso nel cda di Carige».
Partiamo dai rapporti con Mincione. Prima della questione Carige vi conoscevate già ?
«Fino a poche settimane precedenti l’assemblea di Carige (il 20 settembre 2018, ndr) non conoscevo Mincione, non l’avevo mai incontrato nè avevo avuto modo di interessarmi alle sue attività ».
Come andò il vostro incontro?
«Mincione mi chiese assistenza professionale e io lo aiutai, sia in giudizio, vista l’opposizione del socio di maggioranza alla sua partecipazione all’assemblea con un numero di voti superiore a quelli direttamente detenuti, acquisiti per delega, sia nel corso dell’assemblea stessa, in cui si esprimeva l’intenzione del voto».
I vostri rapporti sono proseguiti?
«Dopo quella vicenda non l’ho più incontrato. È del tutto improprio quindi accostare il mio nome a Mincione nella vicenda degli acquisti immobiliari a Londra da parte del Vaticano».
Conte ha detto di non aver mai avuto contatti diretti con i vertici del fondo di Mincione nella vicenda Retelit. Qualcuno ha sospettato che la pratica possa avergliela girata lei.
«Non è andata così. Per una circostanza chiara. Io ho conosciuto Mincione due settimane prima dell’assemblea di Carige. L’incarico a Conte è precedente. Poi c’è un altro elemento».
I rapporti passati tra lei e Conte sono da tempo studiati al microscopio. Quando vi siete conosciuti?
«Quando fui chiamato a Roma, alla Sapienza nel 1991, ebbi modo di apprezzare il professor Conte, allora assistente di un collega, e di coinvolgerlo nelle ricerche e nelle attività della mia cattedra».
Poi però c’è il concorso universitario sul quale si accentrano le attenzioni degli oppositori del premier…
«Al concorso la commissione era stata estratta a sorte: era composta da me e da altri quattro membri. Data la mia giovane età , sto parlando dell’inizio del Duemila, non ne ero il presidente. Conte ebbe l’unanimità dei giudizi positivi. Anche se non lo avessi votato, avrebbe avuto quattro voti e gli altri candidati ne ebbero zero: Conte avrebbe vinto egualmente. Quindi tutte le illazioni sul concorso sono assolutamente infondate».
(da “il Secolo XIX”)
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Novembre 2nd, 2019 Riccardo Fucile
NUOVA POLIZIA FISCALE, INCROCIO DEI DATI E NOMI DEGLI EVASORI ONLINE
Mentre il governo italiano vara nuove misure di contrasto all’evasione, la Francia raccoglie i
primi frutti della nuova legge contro le frodi fiscali varata ad ottobre del 2018.
La ricetta? Una nuova polizia fiscale, il raddoppio delle sanzioni, l’incrocio dei dati per indirizzare i controlli e la pubblicazione dei nomi dei condannati, Nei primi nove mesi dell’anno, le casse pubbliche d’Oltralpe sono riuscite a recuperare 5 miliardi e 600 milioni, il 40% in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
Per il ministro francese dei conti pubblici, Gèrald Darmanin, la somma rappresenta un successo dello Stato nella lotta all’evasione. Anche se la cifra include anche un assegno da 465 milioni staccato da Google per patteggiare con il fisco d’Oltralpe, oltre a 30 milioni versati dalla gruppo di asset management Carmignac per chiudere un contenzioso con lo Stato.
Al netto dei soldi sborsati dal colosso di Mountain View e dalla società di gestione francese, il risultato è comunque positivo perchè il fisco francese ha strappato all’evasione il 25% in più rispetto all’anno prima.
Su un totale sottratto all’erario stimato in circa 100 miliardi l’anno, cifra non molto lontana da quella italiana (110 miliardi). Ma come è riuscita Parigi a ingranare la marcia giusta nel recupero dell’evasione?
A seguito di uno scandalo per frode fiscale in cui era coinvolto l’ex ministro al Budget Jèrà’me Cahuzac, lo scorso anno il governo francese ha deciso di cambiare le regole del gioco approvando una legge ad hoc.
Innanzitutto la nuova legge (2018-898 del 23 ottobre 2018) ha istituito la “polizia fiscale”. Contrariamente al vecchio sistema di controlli, gli agenti del fisco hanno il diritto di fare delle vere e proprie indagini, esattamente come un normale corpo di polizia.
A regime saranno 200 gli agenti impegnati sul fronte evasione sotto il coordinamento di un magistrato che può autorizzare atti come perquisizioni o intercettazioni. Il legislatore d’Oltralpe ha inoltre rafforzato i poteri delle Dogane in materia di lotta ai software che consentono di effettuare frodi o dissimularle e ha incremento lo scambio di informazioni all’interno dei diversi rami della pubblica amministrazione.
Secondo la radio francese Europe1, solo sfruttando le nuove frontiere dell’intelligenza artificiale le casse pubbliche sono riuscite a recuperare 640 milioni attraverso il “data mining”, cioè l’incrocio dei dati già in possesso dell’amministrazione.
La nuova legge ha poi previsto anche l’adozione del “naming and shaming”, cioè la pena accessoria della pubblicazione e diffusione delle sentenze di condanna per frode fiscale (come avviene negli Stati Uniti) che in precedenza era decisa in via facoltativa dal giudice.
E’ stato introdotto anche una sorta di Daspo per i consulenti fiscali, una sanzione amministrativa per i professionisti “complici” della frode.
A livello penale, sono state raddoppiate le sanzioni e accelerati i procedimenti, oltre ad essere stato rinforzato il sistema di ammende applicabili nel caso di offese ai pubblici ufficiali impegnati sul fronte
dell’evasione. Così oggi, nel caso di frode fiscale, in Francia si rischia un’ammenda fino a 500mila euro e fino a 5 anni di prigione.
“Queste pene possono arrivare fino a 3 milioni di multa e 7 anni di carcere se i fatti sono commessi in maniera organizzata”, spiega il sito del ministero delle finanze francesi. Inoltre, Parigi ha stabilito l’obbligo a carico delle piattaforme internet di trasmettere al fisco il fatturato dei loro utilizzatori al fine di assicurarsi che non siano utilizzati da professionisti che evadono il fisco: a tal fine è stata fissata la soglia minima di 3mila euro e di 20 transazioni per anno e per piattaforma da cui poi scatta la comunicazione obbligatoria. Infine è stata adottata una lista francese degli Stati e dei territori “non cooperativi”.
Per concludere Parigi ha poi cancellato il “Verrou de Bercy”, una sorta di monopolio accordato, nel diritto francese, all’amministrazione fiscale per avviare procedimenti penali in casi di frode.
Il “Verrou de Bercy” è stato cassato in seguito allo scandalo di cui è stato protagonista l’ex ministro del budget Cahuzac, che si era ritrovato nella paradossale situazione di dover decidere se procedere contro se stesso per evasione fiscale.
Oggi in caso di frode fiscale l’amministrazione francese è tenuta a trasferire il dossier in procura senza più chiedere l’autorizzazione di Bercy. Insomma anche la politica ha perso il suo scudo di protezione.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 2nd, 2019 Riccardo Fucile
“CARA UE, INTEGRAZIONE E’ SENTIRSI AMATO”… IL MISSIONARIO DI PALERMO HA CAMMINATO PER 116 GIORNI, ARRIVANDO STREMATO
Fratel Biagio è arrivato a Bruxelles: 1.500 chilometri a piedi per raggiungere la sede del Parlamento europeo e lì parlare di diritti umani con gli eurodeputati dei vari Stati. Fra’ Biagio ha camminato a piedi, sulle rotte dei migranti, partendo da Palermo con il traghetto fino a Genova per poi arrivare a piedi a Milano.
Poi, «sempre rigorosamente a piedi», spiega il suo portavoce, è andato in Svizzera, ha percorso tratti in Germania e in Francia, a Strasburgo, dove ha incontrato il presidente del Parlamento Europeo David Sassoli a cui ha consegnato una lunga lettera.
«Ogni uomo e donna è da rispettare, ha diritto di mangiare, di una casa, di un lavoro, vale per ogni emarginato, emigrante, immigrato e profugo. Ogni essere umano è nostro dovere aiutarlo senza fare distinzioni di colore, nazione, religione, di chi crede e di chi non crede. La vera integrazione inizia dal sentirsi accolto e amato[…] Carissima e amata Unione Europea, ricordiamoci che la storia ci insegna che siamo frutto di tanti popoli, non possiamo permettere che vinca il male» si legge nella missiva «tradotta in sette lingue» (inglese, francese, spagnolo, tedesco, polacco, romeno e greco).
Fra’ Biagio poi è andato nella sede Ue di Lussemburgo dove ha incontrato alcuni funzionari. E infine ha percorso il Belgio fino ad arrivare a Bruxelles.
In queste settimane Fratel Biagio ha parlato con vescovi, sacerdoti, politici e italiani all’estero. Il missionario di Palermo — spiega il suo portavoce — è arrivato «stremato» a Bruxelles dove è stato accolto in un convento francescano dopo 116 giorni di cammino in cui ha affrontato «freddo, pioggia e vento».
Ora, dopo un riposo forzato — «ha i piedi spaccati a causa del freddo, ferite che ha fasciato con delle garze» — andrà al Parlamento Europeo per incontrare gli europarlamentari di vari stati per sensibilizzarli circa il rispetto dei diritti umani.
Solidarietà , accoglienza e attenzione ai più deboli sono gli argomenti a lui più cari.
Fra’ Biagio Conte della Missione Speranza e Carità — comunità di Palermo che accoglie oltre 1.100 persone in difficoltà da ogni parte del mondo — ha scelto la strada della povertà all’età di 26 anni
(da agenzie)
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Novembre 2nd, 2019 Riccardo Fucile
VOGLIONO FARLA PASSARE CONE UN TRIBUNALE SPECIALE MA LA MOZIONE DICE BEN ALTRO… SEMMAI HA IL DIFETTO DI NON AVERE POTERE REALE
Imbavagliare il popolo come dice Salvini, criminalizzare il dissenso come dicono gli amici di
Putin (altissimo esempio di democrazia al potere…)
Tutte bufale e tutte scuse
Perchè si vuol far passare le Commissione straordinaria proposta della Segre come una sorta di Tribunale speciale che manda in galera chi dissente. E invece no. La Commissione non manda in galera nessuno nè crea nuovi reati penali (per questo ci sono magistratura e Parlamento) ma semplicemente “ ha compiti di osservazione, studio e iniziativa per l’indirizzo e controllo sui fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza”.
Capito? La semplice osservazione e studio di questi fenomeni, la semplice possibilità che dalla Commissione possano arrivare suggerimenti per nuove normative o azioni spaventa.
Ma chi spaventa? Chi campa sull’odio, sulla discriminazione. Chi concede spazi a gruppi che si richiamano espressamente a Hitler.
O spaventa quelli che cavalcano la paura del diverso. Gli omofobi, Gli ultra-tradizionalisti.
Ecco perchè c’è questo tentativo di denigrare una commissione che semmai ha pochi poteri, mentre in Italia, in Europa e nel mondo crescono a dismisura gli episodi di intolleranza, di razzismo e di xenofobia.
(da agenzie)
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Novembre 2nd, 2019 Riccardo Fucile
NEL 90% DEI CASI GLI OMICIDI SONO RIMASTI IMPUNITI
Negli ultimi 10 anni, almeno 881 giornalisti sono stati uccisi nel mondo per aver raccontato la verità . In nove casi su 10, gli omicidi restano impuniti.
Le uccisioni sono aumentate del 18 per cento nel mondo nel quinquennio 2014-2018 rispetto ai cinque anni precedenti, e il 55% degli omicidi ha avuto luogo in Paesi “in pace”. Quasi il 90% dei responsabili delle uccisioni dei 1.109 giornalisti assassinati tra il 2006 e il 2018 non è stato punito.
I Paesi con il più alto tasso di vittime tra i giornalisti sono gli Stati Arabi, seguiti da America Latina, Caraibi e Asia. L’Unesco, registra tuttavia un calo del numero di omicidi nei primi 10 mesi del 2019 rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, con 44 omicidi di giornalisti segnalati al 30 ottobre 2019, rispetto ai 90 della stessa data del 2018.
Sono i dati diffusi dall’Unesco nella Giornata mondiale per mettere fine all’impunità per i crimini contro i giornalisti.
La direttrice generale dell’organizzazione delle Nazioni unite per l’educazione, la scienza e la cultura, Audrey Azoulay, li definisce “preoccupanti”. Quest’anno il 2 novembre si concentra sui giornalisti locali, sottolinea, attraverso la campagna #KeepTruthAlive per sfidare la percezione che gli omicidi avvengano solo lontano dagli occhi del pubblico, colpendo principalmente i corrispondenti di guerra stranieri.
“Accende i riflettori sui giornalisti locali che lavorano sulla corruzione e sulla politica in situazioni non conflittuali, che hanno rappresentato il 93% delle morti dei giornalisti negli ultimi 10 anni. L’Unesco chiama a rispondere tutti coloro che mettono a rischio i giornalisti, che li uccidono e che non fanno nulla per fermare questa violenza. La fine della vita di un giornalista non dovrebbe mai essere la fine della ricerca della verità “, dichiara Azoulay in una nota.
Anche il presidente del Parlamento europeo David Sassoli ha voluto partecipare alla celebrazione di questa Giornata. “Non c’è democrazia senza la libertà di stampa – scrive su Twitter -. Nel giorno internazionale per porre fine all’impunità dei crimini contro i giornalisti, rendiamo omaggio a Daphne Caruana Galizia, Jan Kuciak e a tutti quelli in tutto il mondo che hanno perso la vita e hanno subito attacchi per aver svolto il loro lavoro”.
Daphne Caruana Galizia, giornalista e blogger maltese, impegnata in numerose inchieste e attiva contro la corruzione, è stata assassinata in un attentato dinamitardo nel 2017, mentre Jan Kuciak, giornalista slovacco, impegnato in indagini sulla gestione di fondi strutturali dell’Unione europea nel suo paese è stato trovato ucciso nella sua abitazione nel febbraio 2018.
“Quando i giornalisti sono presi di mira, la società nel suo complesso paga il prezzo” ha dichiarato il Segretario Generale dell’Onu, Antonio Guterres. “Se non riusciamo a proteggerli, sarà estremamente difficile per noi rimanere informati e contribuire al processo decisionale. Se i giornalisti non riescono a fare il loro lavoro in sicurezza, il mondo di domani sarà segnato da confusione e disinformazione”, ha aggiunto. Infine, ha detto “senza libertà d’espressione e media liberi sarà impossibile far progredire la democrazia e raggiungere gli obiettivi di sviluppo durevole che ci siamo preposti”.
(da agenzie)
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Novembre 2nd, 2019 Riccardo Fucile
MANIFESTAZIONE A GLASGOW
Sono state almeno 20mila le persone che hanno sfilato per le strade di Glasgow per chiedere
l’indipendenza della Scozia dal Regno Unito.
Alla manifestazione ha partecipato anche Nicola Sturgeon, leader dello Scottish National Party e first minister scozzese. E’ stata la sua prima partecipazione ad un evento indipendentista negli ultimi cinque anni
“Una Scozia indipendente è più vicina che mai. E’ veramente a portata di mano”, ha affermato la Sturgeon in una dichiarazione diffusa prima della manifestazione di oggi.
Ieri, la first minister scozzese ha affermato che intende chiedere entro la fine dell’anno un nuovo referendum per l’indipendenza da Londra
Le elezioni anticipate del 12 dicembre, chieste dal premier Boris Johnson per uscire dall’impasse politica legata alla Brexit, secondo la Sturgeon sono per la Scozia “la possibilità di sfuggire alla Brexit e mettere il nostro futuro nelle nostre mani”.
La leader dell’Snp ha invitato gli elettori scozzesi a votare in massa per il partito, per rafforzare le chance di indipendenza della Scozia
Nel 2014, nel primo referendum per l’indipendenza, il 55 per cento degli scozzesi votarono contro il distacco dal Regno Unito. Tuttavia, nel referendum del 2016 sulla Brexit, il 62 per cento degli elettori in Scozia si pronunciarono a favore della permanenza nell’Unione europea.
(da agenzie)
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Novembre 2nd, 2019 Riccardo Fucile
IL CLAN DI SILVIO APPOGGIAVA TRIPODI, DIVENTATO CAPOGRUPPO DELLA LEGA IN REGIONE LAZIO E FATTO SALIRE SUL PALCO DA SALVINI QUANDO ERA MINISTRO DEGLI INTERNI
Il clan Di Silvio — legato al gruppo dei Casamonica — aveva trovato l’accordo giusto per tenere sotto scacco Latina: I manifesti li attaccavano per la Lega, i voti li raccoglievano per il candidato sindaco di Forza Nuova, poi passato con il partito di Salvini.
Lo scrive il GUP nella sentenza che li condanna e lo racconta oggi Repubblica in un articolo a firma di Andrea Palladino:
Non era simpatia politica quella dei Di Silvio per la destra e la Lega. Un voto, 30 euro. Un affare come un altro. L’attacchinaggio avveniva solo dove decidevano i capi bastone. Scrive il Gup Annalisa Marzano: «Il clan dei Di Silvio estendeva la propria influenza anche nelle campagne elettorali (…) si erano impegnati ad attaccare i manifesti “Noi con Salvini”». Il riferimento è alle elezioni del 2016 a Terracina. Il controllo poteva poi arrivare fino alle urne, con una sorta di accompagnamento coatto per gli elettori.
Tra i candidati sostenuti dal clan per le elezioni a Latina c’era anche Orlando Tripodi (non indagato nell’ambito di questa inchiesta). Nel giugno del 2016 era l’aspirante sindaco del capoluogo pontino per una coalizione di estrema destra, sostenuta, tra gli altri, da Forza Nuova.
Dopo l’insuccesso — ha ottenuto il 4,6% — è passato con la Lega ed oggi è il capogruppo in Regione Lazio del partito di Salvini.
I Di Silvio — scrivono i magistrati — raccolsero i voti per lui tre anni fa: «Mi hanno ordinato, con tono imperativo, di votare per il candidato sindaco Tripodi (…) perchè avrebbero ricevuto la somma di 30 euro per ogni voto acquisito», racconta un testimone.
Dichiarazioni confermate — annota il giudice di Latina — da una perquisizione. In un carteggio di uno degli uomini del clan c’era l’elenco dei candidati, con il conteggio dei voti. «La politica l’avevamo presa quasi tutta noi», ha raccontato agli investigatori uno dei collaboratori di giustizia, Agostino Riccardo, confermando l’influenza del clan nelle elezioni. Alla fine nel 2016 a Latina venne eletto Damiano Coletta, esponente di una lista civica.
Lo attendeva una città sopraffatta da un clan «capace di esercitare il controllo di tutte le categorie professionali e di governare le competizioni elettorali», scrivono i magistrati. E quando il 29 settembre del 2018 Matteo Salvini è arrivato a Latina da ministro dell’Interno Coletta ha provato a chiedere aiuto. Aveva in mano un dossier che raccontava chi erano quei parenti feroci dei Casamonica. Salvini non lo ha mai ricevuto. Sul palco ha preferito far salire Tripodi, l’ex di Forza Nuova sponsorizzato dai capi bastone.
(da “NextQuotidiano“)
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