BIDEN SCEGLIE IL DIPLOMATICO BLINKEN COME SEGRETARIO DI STATO PER IL RITORNO ALLE GRANDI ALLEANZE: “IN POLITICA ESTERA GLI STATI UNITI DEVONO AVERE PIU’ UMILTA'”
Novembre 23rd, 2020 Riccardo FucileSULLIVAN SARA’ CONSIGLIERE PER LA SICUREZZA E THOMAS-GREENFIELD ALL’ONU… LE NOMINE ACCOLTE FAVOREVOLMENTE ANCHE DA AMBIENTI REPUBBLICANI
Antony Blinken, veterano della politica estera e consigliere di lunga data di Joe Biden, sarà il segretario di Stato della prossima amministrazione Usa.
L’annuncio ufficiale arriverà martedì, ma la stampa americana ha anticipato la notizia assieme ad altri due nomi destinati a comporre il tridente delle relazioni di Biden con l’esterno: Jake Sullivan, nel ruolo di consigliere per la sicurezza nazionale, e Linda Thomas-Greenfield, come ambasciatrice degli Stati Uniti all’Onu.
Tutte e tre le scelte riflettono una chiara volontà da parte di quello che sarà il 46esimo presidente americano: tornare all’era delle alleanze globali, archiviando il pilastro trumpiano dell’America First e dando spazio a una visione del mondo in cui gli Stati Uniti possono essere leader di “un’azione positiva e collettiva” per risolvere problemi globali.
La definizione è dello stesso Blinken, che in un evento organizzato da Axios a ottobre aveva incluso “l’umiltà ” tra gli ingredienti della politica estera di Biden, partendo dalla consapevolezza che “la maggior parte dei problemi del mondo non riguarda noi, anche se ci riguardano”.
“Non possiamo semplicemente attivare un interruttore e risolverli”. Allo stesso tempo — ha aggiunto – “dobbiamo avere fiducia nel fatto che l’America, al suo meglio, ha ancora una capacità maggiore di qualsiasi altro Paese sulla Terra di mobilitare gli altri in un’azione positiva e collettiva”.
Quali saranno le prime mosse di questo ritorno alle grandi alleanze Biden lo ha già detto: il ritorno agli accordi di Parigi sul clima e il rientro nell’Organizzazione Mondiale della Sanità .
Eccola, dunque, l’alba di questa nuova era. Le tre scelte di cui si parla in queste ore — scrive Politico — metterebbero tre funzionari di grande esperienza al timone della politica estera americana. I nomi sono stati accolti con favore anche da importanti voci del partito repubblicano, il che segnerebbe un punto di contatto nel difficile rapporto tra i due schieramenti. La sua conferma al Senato dovrebbe essere un passaggio scontato.
Blinken, 58 anni, è considerato un moderato molto stimato dai diplomatici stranieri. Durante la campagna elettorale, ha svolto un ruolo da intermediario tra Biden e i membri dell’ala progressista del partito, raccogliendo le loro richieste su come dovrà essere la politica estera della nuova amministrazione.
La sua biografia mostra come sia stato allevato per una vita nel regno diplomatico. Ha frequentato il liceo a Parigi, ha conseguito una laurea ad Harvard e successivamente una laurea in Giurisprudenza alla Columbia University.
Il padre, Donald Blinken, anch’egli laureato ad Harvard, era un banchiere di investimenti che ha servito come ambasciatore degli Stati Uniti in Ungheria.
Il giovane Blinken ha lavorato come avvocato e (brevemente) giornalista. Ha prestato servizio nel Consiglio di sicurezza nazionale durante l’amministrazione Clinton e ha trascorso del tempo a Capitol Hill, dove era direttore del personale democratico per il Comitato per le relazioni estere del Senato quando Biden ne era presidente.
Durante gli anni di Obama, Blinken è stato vice consigliere per la sicurezza nazionale e vice segretario di Stato.
Chi lo conosce lo descrive con aggettivi come “lucido”, “calmo” e “gentile”, dotato di una certa abilità musicale alla chitarra. Di sicuro è stato il volto principale della politica estera di Biden durante la campagna del 2020, sostenendo posizioni come la necessità per gli Stati Uniti di ricostruire alleanze logorate dall’approccio America First di Donald Trump. È stato anche uno dei principali sostenitori del ritorno degli Usa all’accordo sul nucleare iraniano. Sulla Cina, vede di buon occhio una “alleanza soft” con i partner europei e asiatici per convincere Pechino a osservare gli standard internazionali sul commercio, la moneta, i diritti intellettuali, bocciando la strategia dello scontro frontale e l’escalation a colpi di dazi.
Sullivan è forse meglio conosciuto per il suo ruolo di aiutante dell’ex segretaria di Stato Hillary Clinton e come figura chiave nella sua campagna per la presidenza del 2016. Ha poco più di 40 anni, ma si è guadagnato la reputazione di mago nel regno della politica estera. Ha svolto un ruolo importante nella creazione dell’accordo nucleare iraniano e ha servito come consigliere per la sicurezza nazionale di Biden durante la sua vicepresidenza. Dopo la sconfitta di Clinton, Sullivan ha dedicato del tempo alla ricerca di strategie per rendere la politica estera statunitense più pertinente ai bisogni interni dell’America. Ha scritto o co-scritto una serie di saggi che cercano di colmare le lacune che spesso hanno separato la politica estera da quella economica.
Thomas-Greenfield ha trascorso 35 anni al Servizio Esteri, anche come ambasciatore in Liberia e assistente del segretario di Stato per gli Affari africani. È una delle diplomatiche nere più importanti di Washington. Ha trascorso del tempo come alto funzionario delle risorse umane presso il Dipartimento di Stato e potrà fornire preziosi consigli a Biden nel suo tentativo di ricostruire il morale tra i diplomatici statunitensi che si sono spesso sentiti tagliati sotto l’amministrazione Trump.
Prima delle elezioni del 3 novembre, Susan Rice, ex consigliera per la sicurezza nazionale di Barack Obama, era stata considerata in pole per il posto di Segretario di Stato. Ma il probabile controllo repubblicano del Senato — ricostruisce Politico – ha suscitato preoccupazioni sul fatto che non sarebbe sopravvissuta a una battaglia per la conferma.
La Rice era diventata un parafulmine tra i conservatori per il suo ruolo dopo l’attacco del 2012 alla missione statunitense a Bengasi, in Libia, così come per i suoi legami con lo “smascheramento” degli aiutanti di Trump. La nomina di Blinken, da questo punto di vista, riflette la volontà di Biden di voler evitare polemiche e scontri non necessari. Già così il lavoro da fare è immane, sia dentro i confini nazionali che fuori.
(da “Huffingtonpost”)