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IL PIANO VACCINI DEL GENERALE FIGLIUOLO NON CONSIDERA DUE ELEMENTI: LA RIDUZIONE DELLE DOSI DISPONIBILI E IL TASSO DI ADESIONE DEI CITTADINI CHE POTREBBE NON ESSERE COSTANTE

Marzo 13th, 2021 Riccardo Fucile

IL PIANO TEORICO PREVEDE DI VACCINARE L’80% DI ITALIANI ENTRO SETTEMBRE CON 500.000 INOCULAZIONI AL GIORNO (OGGI SONO 170.000)… MA PFIZER E MODERNA COPRIREBBERO SOLO UN TERZO DEGLI ITALIANI DA VACCINARE, ASTRAZENICA E’ AFFIDABILE?… CUREVAC E JOHNSON ARRIVERANNO NEI TEMPI PREVISTI? TROPPI DUBBI

Eccolo il piano del (nuovo) commissario straordinario all’emergenza Coronavirus, il generale Francesco Paolo Figliuolo, per l’esecuzione della campagna vaccinale nazionale.
«I due pilastri per condurre una rapida campagna sono la distribuzione efficace e puntuale dei vaccini e l’incremento delle somministrazioni giornaliere», spiega una nota diffusa da palazzo Chigi. L’obiettivo è di raggiungere a regime le 500 mila somministrazioni al giorno su base nazionale, vaccinando (con almeno una dose) almeno l’80% della popolazione entro settembre: di fatto tre volte quante somministrazioni sono state effettuate nelle scorse settimane, ovvero 170 mila al giorno.
La Fondazione Gimbe ha già  prontamente evidenziato i lati deboli del progetto:   non considera riduzioni approvvigionamento vaccini e considera tasso adesione cittadini costante nel tempo (ovvero che ogni giorno esistano 500.000 persona a ricevere il vaccino)
“Puntiamo a chiudere la campagna entro l’estate, se faremo prima saremo stati più bravi. Se andrà  male, tornerò a fare quello che facevo prima”
Entro l’estate tutti gli italiani saranno vaccinati?
I problemi a livello di fornitura — prevede il commissario, citato dal Corriere – li risolveremo quando arriverà  Johnson&Johnson. Ci consegneranno 25 milioni di dosi e, poichè se ne fa una soltanto, è come se ne arrivassero 50 milioni.
Quello che non torna:
1) 500.000 somministrazioni al giorno vuol dire 15 milioni al mese, 45 in tre mesi, quindi dovrebbe finire tutto a fine giugno se si trattasse del vaccino monodose Johnson. Se fossero invece quelli con il richiamo siamo a fine settembre. Ma esistono le dosi necessarie? Solo in teoria
Astrezenica dovrebbe consegnare 10 milioni di dosi nel secondo trimestre e 25 nel terzo trimestre, ma finora ha consegnato solo un terzo delle dosi che aveva garantito
Pfizer ha promesso 9 milioni nel secondo trimestre e 10 nel terzo
Moderna 4,6 nel secondo trimestre e 14 nel terzo
La Johnson deve ancora iniziare e ha promesso 7 milioni nel secondo trimestre e 16 nel terzo
Curevac che per ora non ha fornito nulla ha promesso 7 milioni nel secondo trimestre e 7 nel terzo.
Se tutti mantenessero la parola avremmo 110 milioni di dosi a due fasi e 20 a una sola somministrazione, in teoria si potrebbero vaccinare 70 milioni di persone.
Ma siamo cosi’ sicuri che arrivino, visti i precedenti?
2) Per vaccinare occorre personale sanitario reale, non teorico: ce li vedete 60.000 dentisti che mollano studio e pazienti per andare a inoculare il vaccino anti-Covid? O tutti i farmacisti? Diciamo realisticamente che da 170.000 attuali vaccinati al giorno si può arrivare a 300.000, forze 400.000, ma in certe Regioni rimarra’ una quota giornaliera fuori dal mondo.
In ogni caso vaccinare tutti entro settembre era lo stesso obiettivo dichiarato da Conte, addirittura Bertolaso ha parlato di fine giugno.
Ma sì, facciamo finta di credergli.

(da agenzie)

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SONDAGGIO GHISLERI: IL GRADIMENTO DEGLI ITALIANI PER DRAGHI E’ SCESO DAL 61,3% AL 55,1%, PIU’ DI SEI PUNTI IN UN MESE

Marzo 13th, 2021 Riccardo Fucile

LEGA E PD IN CALO, STABILE FORZA ITALIA, SALGONO M5S   E FDI

La Lega resta il primo partito con il 22,9%. Berlusconi e la sua Forza Italia sono stabili intorno all’8.0%, mentre Fratelli d’Italia si conferma in crescita attestandosi al 16.7% superando di poco il PD (16.5%) e a 0.5% punti dal Movimento 5 Stelle con a capo Giuseppe Conte (17.2%).
Con l’addio del segretario Nicola Zingaretti, il PD perde quasi 2 punti percentuali: tutti consensi transitati nel miraggio di un Movimento 5 Stelle a guida Giuseppe Conte (17.2%), che realizza in una settimana +2.7%. È quanto emerge dai sondaggi di Alessandra Ghisleri per La Stampa.
Nelle ultime due settimane, cala la fiducia in Mario Draghi, pur rimanendo molto alta: si passa dal 61,3% al 55,1%, perdendo 6,2 punti percentuali.
Emerge anche la frustrazione degli italiani per la pandemia, mentre: il 28.4% degli intervistati (+4.2% rispetto a 2 settimane fa) dichiara di essere arrivato al limite della sopportazione; il 32.1% (+1.9% rispetto a due settimane fa) denuncia i primi segni di cedimento, mentre il 27.0% (-5.7% rispetto a due settimane fa) senta ancora la forza per andare avanti.

(da agenzie)

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IL RINVIO DELLE AMMINISTRATIVE GIOVA A TUTTI I PARTITI

Marzo 13th, 2021 Riccardo Fucile

IL DIETRO LE QUINTE DEGLI SCHIERAMENTI A ROMA, NAPOLI, BOLOGNA, TORINO E BOLOGNA

Il rinvio delle Amministrative in autunno, causa emergenza pandemica, potrebbe essere un assist per le coalizioni. Da un lato c’è una destra ancora senza grandi nomi nelle principali città , dall’altra Pd e M5S che potranno approfittare di qualche mese in più per costruire un’alleanza, dove possibile, e farla accettare ai propri attivisti locali.
Qualcosa si muove, insomma: basti pensare che nel Lazio i 5 Stelle sono entrati nella giunta Zingaretti, un segnale niente male in vista delle comunali a Roma.
Roma Zinga sveglia il Pd, Raggi ha l’ok di Grillo
Le manovre di Nicola Zingaretti hanno scompaginato il quadro delle candidature a sindaco di Roma. L’ingresso in giunta regionale delle due assessore pentastellate, Roberta Lombardi e Valentina Corrado, sembra sancire due cose.
La prima è che il segretario uscente del Pd quasi certamente non scenderà  in campo in prima persona. Il nome ufficioso, per ora, resta quello di Roberto Gualtieri.
La seconda è che si punta a riunire la coalizione giallorosa per il Campidoglio. “Con o senza Virginia Raggi”, continuano a dire i dem, mentre ieri Lombardi si è augurata addirittura che un giorno a Roma ci siano “primarie aperte” tra Pd e M5S.
La sindaca, che ha chiesto invano il voto su Rousseau, nei giorni scorsi ha ricevuto un solo endorsement, ma forse il più pesante: quello di Beppe Grillo. E qui casca l’asino.
L’ “Aridaje” del fondatore ha allarmato il Nazareno, che teme il derby al ballottaggio. L’ex dirigente Figc, Andrea Abodi, nome caro a Fratelli d’Italia e in pole per il centrodestra, sembra stentare nei sondaggi e in alcuni è addirittura terzo.
I dati hanno infastidito Matteo Salvini, che è tornato a rilanciare Guido Bertolaso, che aveva già  declinato. Ci spera l’ex ministro Maurizio Gasparri, coordinatore romano di Forza Italia, nonostante gli azzurri ormai stiano perdendo pezzi anche nei municipi. In generale, l’idea è quella di capire come evolverà  la situazione fra Pd e M5S. “Vediamo cosa fanno loro e poi decidiamo”, dicono nel centrodestra.
Napoli Dema apre a Fico, Maresca divide la destra
L’ultima tentazione è tra le pieghe di una frase del sindaco di Napoli Luigi de Magistris a Radio Crc: “Se è vera la proposta della candidatura di Roberto Fico, l’avanzassero e dicessero ‘cosa ne pensate?’. E se ne parla”. Pare un’apertura.
Se tale fosse, l’ultima tentazione è quella di costruire intorno a Fico un campo largo del centrosinistra che metta dentro di tutto e di più: gli arancioni di De Magistris, il M5S a cui appartiene la terza carica dello Stato, il Pd che da mesi lavora a un accordo giallorosa simile a quello del governo Conte, la sinistra che con Fico ha condiviso le battaglie per l’ambiente e l’acqua comune quando i 5 Stelle erano meetup attivi sul territorio.
Una tentazione dalle fondamenta fragili, però. Sia perchè nel frattempo De Magistris un candidato già  ce l’ha in campo, da cinque mesi, ed è il suo assessore Alessandra Clemente, e come ne spieghi il ritiro? Sia perchè quando si parla di Pd a Napoli, non si è sicuri di cosa si sta parlando: del Pd di Marco Sarracino e Paolo Mancuso, traghettatori di un’intesa Pd-M5S, o del Pd di Vincenzo De Luca, che guarda invece nella direzione della replica della coalizione vincente in Regione Campania, dove i grillini stanno all’opposizione, e che di De Magistris non vuole nemmeno sentire parlare?
Il sindaco intanto si divide tra Napoli e la Calabria dove si è candidato a governatore. Circostanza che non aiuta ad allargare il tavolo di un centrosinistra dove, al momento, l’unica cosa certa è la candidatura a sindaco di Antonio Bassolino.
In casa del centrodestra tutto ruota intorno agli incontri informali del pm anticamorra Catello Maresca, candidato sindaco in pectore della Lega, di FI e di un pezzo di società  civile napoletana. Si ragiona sulla possibilità  di rinunciare ai simboli di partito. FdI invece potrebbe candidare Sergio Rastrelli.
Torino Salizzoni lascia, guerra interna a sinistra
Dopo l’uscita di scena di Mauro Salizzoni, il “mago dei trapianti” che ha lasciato la corsa a candidato sindaco Pd perchè non ha riscontrato, sul suo nome, “l’unità  del partito”, la gara, tra i dem, per contendersi il ruolo, si fa sempre più ristretta.
Sembra concretizzarsi la sfida tra due consiglieri comunali: Stefano Lo Russo, docente del Politecnico di Torino, che nel Pd ha il sostegno di Sergio Chiamparino e Piero Fassino, e Enzo Lavolta, 42 anni, zingarettiano del Pd che, dopo avere incassato l’appoggio dei Verdi, non nasconde la volontà  di dialogare con Leu e M5S: “Il mio obiettivo è costruire un asse progressista, ambientalista e femminista”, dichiara definendosi aperto al “Movimento di Conte”.
Il motivo dell’ipotetica alleanza con i 5S sta anche nella forza del candidato del centro destra, Paolo Damilano, messo in campo dalla Lega ma considerato in grado di attrarre voti da altri partiti. Il fatto che sia un imprenditore, titolare di locali in centro e presidente della Film Commission, fa pensare che possa attingere a bacini nuovi.
Fatto sta che Damilano è l’unico nome sceso in campo ufficialmente. E se sul Pd pesa l’incognita delle primarie, il M5S resta in subbuglio, tra sostenitori di Conte e puristi della prima ora, alla ricerca di un candidato.
Bologna Lepore per i dem, il Movimento ci pensa
Matteo Lepore ce l’ha fatta. O quasi. L’assessore alla Cultura bolognese, da tempo in modalità  “campagna elettorale”, ha ricevuto l’endorsement del deputato dem Andrea De Maria: “Ci sono le condizioni per individuare unitariamente una proposta di candidatura a sindaco per la coalizione, sarebbe un bel messaggio di unità  di grande valore anche per il Pd a livello nazionale”. Unico a invocare le primarie nel partito è Alberto Aitini, l’assessore alla Sicurezza sponsorizzato dal deputato Francesco Critelli, ex renziano della corrente Base riformista.
Non è da escludere che il M5S alla fine accetti Lepore. La capogruppo in Regione, Silvia Piccinini, ha indicato “la linea del dialogo con le forze progressiste come la strada giusta da percorrere”. Poi ci sono i civici (più di centrodestra che di sinistra), guidati dal direttore dell’Associazione dei commercianti Giancarlo Tonelli, che stanno pensando invece all’ex ministro Gian Luca Galletti: “Una persona con grande qualità , esperienza, professionalità ”. La speranza è di ripetere il “miracolo” di Giorgio Guazzaloca, unico sindaco di centrodestra mai eletto a Bologna.

(da “Il Fatto Quotidiano”)

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DA ESPONENTE DI FRATELLI D’ITALIA INSULTI SESSISTI ON LINE A ALESSIA MORANI (PD)

Marzo 13th, 2021 Riccardo Fucile

HA INVITATO PURE I SUOI FOLLOWERS A FARE ALTRETTANTO, LA MORANI CHIEDE ALLA MELONI DI ESPELLERLO

Ancora insulti online, sempre ai danni di una donna. Dopo le offese, in una trasmissione radiofonica, di un professore universitario contro Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, a essere vittima di parole oltraggiose è questa volta Alessandra Morani, deputata del Pd. Ad attaccarla con insulti postati sulla sua pagina Facebook, un esponente   di Fratelli d’Italia (il partito di cui è leader Meloni).
A denunciare il fatto è la stessa Morani. “Succede – scrive – che un esponente di Fdi di Pesaro, Fabiano Arcangeli, dalla sua pagina Facebook continua a scrivere post contro di me e ieri sera ha a chiesto ai suoi followers di aiutarlo ad insultarmi poichè ‘ha finito gli aggettivi dispregiativi’ nei miei confronti e chiede ‘una mano per coniarne di nuovi'”.
Gli insulti a Morani
Un attacco contro cui la deputata dem chiede ora immediati provvedimenti da Giorgia Meloni, che,dice, “dovrebbe espellerlo da Fdi”. Agli insulti di Morani si sono però aggiunti quelli dei simpatizzanti di Arcangeli.
“I suoi amici – racconta Morani – hanno preso alla lettera la sua richiesta d’aiuto e tra di loro abbiamo chi si augura che io abbia ‘la bocca tappata con qualcosa di lungo e duro’ oppure che io vada ‘al ponte di Loreto a guadagnarmi il pane'”. Ma c’è anche chi definisce la deputata del Pd come “una povera scema” “vomitevole” e altri, come ricorda Morani stessa, secondo cui è una “stronza” e “demente” che “serve solo da concime”.
Parole inaccettabili contro cui la Dem sta ora valutando se sporgere querela.
“Credo – ribadisce – che Giorgia Meloni debba espellere questo signore dal suo partito e mi auguro che ne prendano le distanze anche gli altri esponenti di Fratelli d’Italia delle Marche, a partire dal presidente Acquaroli, dall’assessore Baldelli e dal consigliere regionale Baiocchi che compare spesso in foto con Arcangeli. Non si possono più tollerare questi comportamenti. Ora basta davvero”.
Le reazioni
A Morani è arrivata la solidarietà  di altri esponenti politici. “Chiedo a Giorgia Meloni di prendere provvedimenti. Se la politica per prima non smette di usare il linguaggio misogino, l’odio verso le donne non avrà  mai fine”, scrive su twitter la deputata dem Laura Boldrini.
” La politica anche da parti contrapposte si deve confrontare sul terreno delle idee e mai travalicare il rispetto delle persone”, dice il commissario regionale Marche di Fdi, Emanuele Prisco. “Per la gravità  di quanto accaduto – prosegue – prenderemo i dovuti provvedimenti nei confronti del nostro iscritto, rispetto a comportamenti incresciosi che Fratelli d’Italia vuole censurare e che sono quanto di più lontano dal nostro modo di interpretare la politica”.

(da agenzie)

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MINISTRA PER IL SUD MA SENZA PARTITO

Marzo 13th, 2021 Riccardo Fucile

LO SCONTRO SENZA FINE TRA MARA CARFAGNA E FORZA ITALIA

Del Sud è diventata ministra. Ma quando arriva al Sud Mara Carfagna è costretta a guardarsi le spalle. Da un po’. Soprattutto nel suo partito.
Lontani i tempi in cui tutti la cercavano, tutti correvano alla sua corte, quando era il volto nuovo di Forza Italia campana, candidabile a ogni elezione possibile.
Ormai si fa presto tra i berlusconiani a dire “io sono contro Mara”. L’ultimo a farlo al cospetto del neo coordinatore nazionale Antonio Tajani è stato Stefano Caldoro, candidato governatore alle ultime Regionali, già  ministro del governo Berlusconi, già  presidente della Regione: “Non voglio ruoli in Forza Italia per lei e per quelli che sono con lei – avrebbe fatto presente Caldoro – Ma come faccio ad accettare nel partito una che ha votato contro di me alle Regionali?”.
Coi tradimenti, si sa, la politica va a nozze. Ma la parabola di Carfagna – salernitana, un passato da Miss e personaggio televisivo – che fa fortuna a Roma mentre gli altri tirano la carretta del partito in regione, diventa ministro del governo Berlusconi, poi deputata, fonda una sua corrente “Voce libera” nel partito-azienda che non ha mai conosciuto il fenomeno sinistrorso del correntismo, dopo aver minacciato finanche la scissione se Forza Italia avesse accettato l’abbraccio mortale della Lega, sono in tanti, troppi in Campania a non mandarla giù.
Lo scontro si accende alle varie elezioni politiche quando Carfagna diventa il volto “presentabile” da candidare a Napoli, per coprire i guai giudiziari di quelli che nel partito i voti ce li hanno. E con i loro consensi tirano la volata ai volti come Mara. A partire dalla famiglia Cesaro, granaio dei berlusconiani a Napoli, accusata dalla Procura di rapporti con la camorra locale.
A furia di divisioni il partito campano ormai si è spezzato in tre: i Cesaro’s, forti nell’hinterland napoletano, che esprimono il coordinatore regionale Domenico De Siano, l’area di Fulvio Martusciello, eurodeputato, e Carfagna.
Gli effetti sulla stabilità  del gruppo dirigente si vedono, eccome: partito commissariato a Salerno e ad Avellino, l’assalto alla guida di Napoli, e il tentativo di defenestrare De Siano.
Entro un mese dovrebbero definirsi gli assetti di in Campania, anche in vista delle elezioni amministrative. Ed è guerra aperta. Con la ministra per il Sud che potrebbe lanciare un’Opa seria coi suoi sul partito. Già , ma chi sono i suoi? Un gruppo di parlamentari: dal napoletano Paolo Russo, al salernitano Gigi Casciello, fino all’avellinese Cosimo Sibilia.
“Se Berlusconi dà  il partito in mano a Mara, Caldoro molla, è incompatibile con lei”, dice una fonte interna ai forzisti.
Già , Cesaro, Caldoro e Martusciello potrebbero trovare la quadra per spartirsi la direzione delle province ed esiliare la ministra. Ma bisognerà  convincere Berlusconi che tutto perdona a Carfagna e non le risparmia mai elogi, come nell’ultima iniziativa del partito sull’8 marzo.
Intanto se per lei il gioco si fa duro in regione, sarebbe pronta a sparigliare, fedele alla regola della politica per cui “il nemico del mio nemico è mio amico”.
Le assurde sembianze sarebbero quelle dell’avversario di Caldoro alle Regionali: il presidente della Regione Vincenzo De Luca.
Salernitano come Mara, è stato tra i primi governatori con cui la neo ministra si è incontrata il 3 marzo. Poche ore prima non era passata inosservata la nomina come consigliere del ministro di Piercamillo Falasca di Più Europa, sostenitore di De Luca alle Regionali.
Se davvero Carfagna abbia fatto il tifo per De Luca alle Regionali, non è dato saperlo. I maligni sono pronti a ricordare un incrocio di interessi tra i due.
Una decina di anni fa, la Salernitana correva il rischio di sparire dall’empireo del calcio, e l’ex sindaco De Luca doveva valutare a chi cedere il titolo per rifondare la squadra. Fortuna che arrivò l’offerta di Gianni Mezzaroma, papà  di Marco, allora marito della ministra Mara Carfagna.

(da “Huffigntonpost”)

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CONTE DIMETTITI! CONTE VERGOGNA! AH NO, C’E’ MARIO

Marzo 13th, 2021 Riccardo Fucile

NON E’ CAMBIATO NULLA, MA E’ BASTATO SILENZIARE L’OPPOSIZIONE IN CAMBIO DI POLTRONE (E I MEDIA SI ADEGUANO)

Basta con la vergognosa dittatura sanitaria.
Basta con la galera del lockdown che ha trasformato la democrazia in un gulag.
Basta con i Dpcm illegali, anticostituzionali.
Basta con la buffonata delle regioni rosse, arancioni e gialle.
Basta con lo stato di polizia.
Basta con la didattica a distanza che sottrae l’avvenire ai nostri giovani.
Basta con le lezioni online quando gran parte delle famiglie italiane non possiede un computer.
Basta con le umilianti autocertificazioni da esibire anche per andare a prendere il latte. Basta con i bar e i ristoranti chiusi. Basta con l’asporto.
Basta con i giri del palazzo con la scusa che il cane deve pisciare.
Basta con le palestre chiuse e i parrucchieri pure.
Basta con il grido di dolore degli albergatori con gli hotel sprangati.
Basta con i ristori che ritardano sempre e che non bastano neppure per un caffè, anche perchè i bar sono chiusi.
Basta con i vaccini insufficienti. Basta con gli Arcuri, vogliamo i colonnelli.
Basta con il governo degli incompetenti e degli incapaci.
Basta con il governo Conte. Basta con Giuseppi. Basta con il favore delle tenebre.
Il governo Conte non c’è più. Giuseppi è stato mandato a casa. Lo ha sostituito il governo dei migliori guidato da Mario Draghi.
Come mai l’opposizione non scende in piazza a protestare? Perchè Salvini e Berlusconi sono al governo. Sì, con il Pd e i 5Stelle.
Alla logistica c’è un generale. La campagna di vaccinazione procede come prima ma con grande entusiasmo, e il problemino con AstraZeneca è roba da nulla.
La Juve è stata di nuovo eliminata dalla Champions. A Sanremo hanno vinto i Maneskin con Zitti e buoni. No, non è il nuovo inno nazionale.
E poi ci sono ancora i Pooh. I Puuuh.

(da “IlFatto Quotidiano”)

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RISTORANTI PIENI, FILA DAL PARRUCCHIERE, SHOPPING E FESTE PRIMA DEL LOCKDOWN

Marzo 13th, 2021 Riccardo Fucile

FOLLA NELLE GRANDI CITTA’, COSI’ LA VARIANTE SI DIFFONDE MEGLIO… LA FOTO DEL PARCO DEL VALENTINO A TORINO: ASSEMBRAMENTI SENZA MASCHERINA

Mezza Italia in lockdown da lunedì 15 marzo fino a Pasqua. E allora, nelle (tante) Regioni che stanno per passare in zona rossa a causa delle restrizioni contro i contagi da Coronavirus, è corsa all’aria aperta, all’ultimo taglio dal parrucchiere, all’ultimo pranzo fuori, in spiaggia magari, all’ultimo — di fatto — assembramento.
Accade da nord a sud, da Milano e Torino fino a Roma, per quello che viene percepito a tutti gli effetti come l’ultimo fine settimana di libertà  prima del debutto dei nuovi cambi di colore regionali.
Il rischio — come già  visto nelle precedenti vigilie di lockdown — è il caos e il tripudio dell’assembramento: per questo il Viminale ha schierato 50 mila agenti in tutta Italia per l’intero weekend. Lo scopo è quello di poter fare più controlli su strade e piazze, entrare in azione contro le feste private e in eventuali locali che vìolano le norme vigenti.
Lombardia
Sono ore di verifiche da parte delle forze dell’ordine a Milano, che passerà  come tutta la Lombardia in zona rossa a partire da lunedì: i controlli hanno prodotto come effetto non poche multe causate dal mancato rispetto delle norme anti-Covid.
Non sono mancate le segnalazioni di party casalinghi e cene in casa con tanto di karaoke, mentre si fa l’aperitivo in strada nel quartiere Isola ma non solo.
Solo nella giornata di ieri — 12 marzo — sono scattati i controlli su una 90ina di ragazzi — 17 di loro di età  tra i 16 e i 20 anni — che si sono visti comminare una multa. Oggi, sabato 13 marzo, le vie del centro di Milano si sono riempite di persone in giro per shopping, tra i negozi di piazza Duomo, via Torino o corso Buenos Aires che da lunedì chiuderanno nuovamente causa area rossa. Non è mancato l’aperitivo (da asporto) alla Darsena.
Lazio
Aperitivi e pranzi all’aperto anche a Roma, con il pienone nell’area pedonale del quartiere Pigneto, alla vigilia di quel lunedì che vede il Lazio tornare per la prima volta alle regole del lockdown dai tempi di quello nazionale dell’anno scorso. In centro a Roma gli agenti della polizia locale del I gruppo Trevi hanno chiuso l’area di Fontana di Trevi in ragione della folla presente. Chiusa anche al traffico pedonale via del Corso, da largo Goldoni a Largo Chigi.
Sold out nei ristoranti al mare di Fiumicino e in generale del litorale. «Oggi tutto esaurito in tanti ristoranti romani. E anche domani ci sono ottime prospettive, in quanto è slittata anche la domenica ecologica», dice il presidente della Fiepet Confesercenti Roma Claudio Pica. «La sensazione è che la gente stia cercando di fare in questi due giorni quello che non potrà  più fare in zona rossa. Si rischia si facciano più danni così…», commenta.
Le forze dell’ordine sono intervenute nella zona del Pontile, sul litorale di Ostia, ma anche a piazzale dei Ravennati e piazza Anco Marzio.
Secondo Confesercenti gli ultimi due giorni hanno registrato in tutta Italia un aumento del +100% di richieste e prenotazioni per parrucchieri e barbieri (+70% per le donne per pedicure e manicure, ricrescita, colore, ceretta).
«Le richieste di appuntamenti sono raddoppiate, rispetto ai ‘normali’ fine settimane dell’ultimo anno, e per accontentare tutte le clienti avrei bisogno del 30% in più di personale», racconta il presidente di Confesercenti immagine e benessere, Sebastiano Liso. Sembra quasi una di quelle giornate che anticipano la chiusura estiva, con la differenza che domani non andiamo al mare. In molti, anzi, hanno pensato a un’apertura straordinaria per domani ma non in tanti non sono riusciti a organizzarsi.

(da Open)

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LULA SCAGIONATO ORA E’ FAVORITO ALLE PRESIDENZIALI 2022, IN VANTAGGIO DI 12 PUNTI SU BOLSONARO

Marzo 13th, 2021 Riccardo Fucile

STRAVOLTO LO SCENARIO POLITICO SE LULA DECIDESSE DI PRESENTARSI… ACCERTATE LE ACCUSE COMPLETAMENTE FALSE CHE BOLSONARO E LA SUA GANG CRIMINALE AVEVANO POSTO IN ESSERE PER ELIMINARLO DALLA CORSA PRESIDENZIALE QUATTRO ANNI FA

L’annullamento delle condanne a carico dell’ex presidente della Repubblica del Brasile Luiz Inacio “Lula” da Silva da parte della Corte suprema rimuovono i limiti rispetto a una candidatura del leader del Partito dei Lavoratori (Pt) alle prossime elezioni presidenziali, previste per ottobre 2022.
La notizia giunta a sorpresa è destinata a stravolgere lo scenario politico brasiliano già  caotico a causa della discutibile gestione della pandemia di Covid-19 e del relativo piano di immunizzazione da parte del governo di Jair Bolsonaro.
Appena poche ore prima che la decisione del giudice Edson Fachin fosse divulgata, un sondaggio dall’istituto Intelligence ricerca e consulenza (ex Ibope), mostrava infatti un vantaggio di 12 punti percentuali di Lula, ancora molto amato dalle fasce più deboli della popolazione, sul presidente in carica in caso di scontro diretto alle elezioni presidenziali.
E adesso la possibilità  di tornare a candidarsi porta le lancette indietro di alcuni anni, quando cioè, nel 2018, Lula fu estromesso dalla campagna elettorale in cui pure era considerato in vantaggio contro Bolsonaro a causa proprio delle condanne annullate ieri.
Lo scenario sociale, politico, economico e giudiziario è completamente diverso. Il giudice Fachin ha annullato le condanne relative alle inchieste dell’operazione anti-corruzione Lava Jato, per incompetenza territoriale e materiale del giudice federale del Paranà¡, Sergio Moro, che si era espresso sul caso.
Al pool Lava Jato di Curitiba era infatti permesso di giudicare relativamente solo ai casi di corruzione legati al filone principale del giro di mazzette che coinvolgeva i vertici della compagnia petrolifera statale nazionale Petrobras. Non Lula quindi.
La decisione di Fachin, ristabilisce un concetto fondamentale del diritto e dà  ragione dopo 4 anni alla difesa di Lula che, sin dall’avvio delle indagini chiedeva un trasferimento del processo. Con l’annullamento ora il processo dovrebbe essere nuovamente istituito e ricominciare delle indagini preliminari a Brasilia. Tuttavia prima di una condanna dovrebbe intervenire la prescrizione.
L’ipotesi di un nuovo processo
Soprattutto in un nuovo processo mancherebbero le prove per condannare di nuovo Lula per corruzione. Le condanne per Lula erano già  destinate all’annullamento. La decisione della Corte suprema arriva infatti in mezzo a una bufera causata dalla diffusione di messaggi scambiati tra i procuratori di Curitiba, tra cui l’accusatore di Lula Deltan Dallagnol, il giudice Moro che aveva condannato Lula e altri magistrati più o meno coinvolti nei processi da cui è emerso che l’ex presidente Lula è stato condannato con prove e accuse completamente false, costruite ad arte in combutta tra procura e giudice giudicante.
L’obiettivo del piano criminale denunciato lo scorso anno in un’inchiesta giornalistica del giornale “The Intercept” era quello di evitare la candidatura e la vittoria di Lula da Silva, e favorire l’elezione del suo sfidante, Jair Bolsonaro.
La tesi del giornale era stata poi confermata dall’acquisizione legale dei messaggi da parte della Corte suprema che ha avviato a sua volta un’inchiesta su richiesta della difesa di Lula per provare che il giudice Moro e il procuratore Dallagnol abbiano architettato il complotto.
Sfumano le teorie ‘antipetiste’
Questa circostanza cambia radicalmente lo scenario rispetto al 2018. Mentre all’epoca molti cittadini erano stati portati a credere in una possibile colpevolezza di Lula per corruzione ora le indagini della Corte suprema ne provano il contrario.
Provano inoltre l’esistenza di un piano portato avanti di pezzi del settore giudiziario, politico, imprenditoriale del paese di eliminare Lula dalla competizione elettorale. Elemento destinato a rafforzare certamente la posizione di Lula che, dopo l’odissea giudiziaria e 580 giorni di carcere potrebbe mostrarsi come un martire agli occhi dell’elettorato.
L’accanimento dei giudici della Lava Jato contro il Partito dei lavoratori, favorito dal sostegno complice della stampa nazionale impegnata in una campagna contro i governi di Lula e Dilma Rousseff, aveva visto nascere il così detto sentimento ‘antipetista’. Ora le basi di questa teoria vengono meno. Anzi, mostrano il partito di Lula come la vittima di una campagna illegale.
La parabola di Bolsonaro
Altro elemento innovativo rispetto al 2018 è credibilità  politica di Jair Bolsonaro. Mentre nel 2018 Bolsonaro si presentava come alternativa anti-sistema, il nuovo rispetto alla vecchia politica in grado di allontanare il governo dai meccanismi del compromesso parlamentare per favorire un governo di tecnici, dopo due anni ha mostrato esattamente il contrario.
L’accordo siglato a gennaio con i partiti di centro dopo l’elezione dei presidenti di Camera e Senato, lo scambio di favori e l’allargamento a esponenti centristi nel governo e sottogoverno ne sono la prova. Inoltre negli ultimi mesi è emersa una incapacità  di fondo del governo nella gestione della politica economica.
Di certo l’elemento più dannoso per Bolsonaro è tuttavia la gestione della pandemia che sta attirando pesanti critiche sul governo, accusato a livello domestico e internazionale di essere riduzionista, negligente e non intenzionato a difendere la vita adottando misure di contenimento del virus.
Previsioni di campagna elettorale
Lo scenario politico-elettorale caotico dipende di fatto solo da Lula che dovrà  decidere se candidarsi o se guidare la transizione politica nel suo partito e della sinistra puntando a un successore. A caldo, dopo l’annullamento delle sentenze, Lula ha preferito lasciare tutte le opzioni sul tavolo, sottolineando di voler puntare all’unione delle forze di centro sinistra su un unico nome.
“In questo momento la mia testa non ha tempo per pensare a una candidatura”, ha dichiarato il 10 marzo. La campagna elettorale è destinata a essere dura, violenta e fortemente polarizzata. Facilmente prevedibile è una radicalizzazione di Bolsonaro, con l’obiettivo di aggrapparsi alla linea più intransigente delle sue controverse e reazionarie politiche, in grado di mantenere stretto a sè lo zoccolo duro del suo elettorato.
Per il quotidiano “Folha de San Paolo” questo rappresenta una preoccupazione per i mercati, inquieti per un eventuale spinta populista in grado di favorire un’agenda più elastica in tema di spesa pubblica per cercare di ottenere i favori della popolazione più povera, pesantemente colpita dalla pandemia. Il tutto a discapito di un’agenda liberale che sempre più sotto i colpi della pandemia e della difficoltà  di gestione, rischia di non decollare mai.
Il ruolo dei militari
Tuttavia c’è da attendersi che tra Lula e Bolsonaro compaiano altre alternative. In questo contesto a garantire l’agenda liberale sarebbe il governatore dello stato di San Paolo, Joao Doria, che già  da mesi lavora per scalzare Bolsonaro dal cuore dei mercati e delle imprese. Artefice dell’avvio della campagna vaccinale, Doria ha sin dal principio sostenuto che solo il vaccino sarebbe stato in grado di garantire la ripresa delle attività  economiche. Ora che la sua previsione si mostra come una solida realtà  in molti paesi, potrebbe portargli ulteriori vantaggi. Cruciale per gli equilibri politici elettorali sarà  l’appoggio del partito occulto delle Forze armate. Mai così dominatori dello scenario politico dopo la dittatura, i militari potrebbero decidere di puntare di nuovo sul cavallo vincente pure di mantenere il proprio potere. E non è certo che questo sia Bolsonaro.

(da agenzie)

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ALTRO CRAC BANCARIO IN GERMANIA: ORA 50 CITTA’ TEMONO IL COLLASSO

Marzo 13th, 2021 Riccardo Fucile

500 MILIONI DI EURO PERSI, IN GERMANIA VENGONO GARANTITI I PRIVATI MA NON LE AMMINISTRAZIONI LOCALI

Wifi comunale per le vie della città , trasporto pubblico gratis, pressione fiscale relativamente bassa: Monheim am Rhein è un tranquillo centro di circa 40mila anime che sorge sulle rive del Reno pochi chilometri a nord di Colonia ma la serenità  del municipio si è improvvisamente rotta qualche giorno fa quando un nuovo scandalo finanziario ha investito in pieno l’ennesima banca tedesca senza che nessuno fino ad allora battesse ciglio.
E ora gli abitanti di circa 50 municipi come Monheim, o di Emmerich, Colonia o Bad Duerrheim temono di doverci rimetterci di tasca propria migliaia di euro. §
Mentre il clamore per l’affare Wirecard ancora non si è sopito, la Germania si ritrova a dover fare nuovamente i conti con l’ennesimo crac di un istituto che fa piovere nuove ombre sull’ente di vigilanza tedesco, la Bafin.
Tutto inizia dall’australiana Greensill Capital, una delle principali società  di finanziamento della supply chain con sede a Londra, che una settimana fa ha presentato domanda di insolvenza a causa del mancato rinnovo da parte di una società , la Bond and Credit Company (Tokyo Marine), di garanzie assicurative su 4,6 miliardi di dollari di prestiti.
La società , fondata dall’ex banchiere Lex Greensill, finanzia il capitale circolante delle imprese, di cui si fa carico di pagare i fornitori, lucrando sullo sconto che applica alle loro fatture, poi incassate integralmente.
L’assenza di garanzie, minacciando la capacità  di funding di Greensill, ha spinto Credit Suisse a sospendere a inizio marzo i fondi di investimento di propri clienti in supply chain contenenti i suoi prestiti, a causa delle incertezze sulla loro valutazione, seguita a stretto giro di ruota da Gam.
Si è innescato il più classico degli effetti domino. Pochi giorni prima del collasso, Greensill Bank, la controllata tedesca con sede a Brema, si è vista congelare le operazioni dall’autorità  di vigilanza federale. L’ente regolatore ha anche depositato una denuncia in procura per manipolazione dei bilanci e nel mentre anche la Bce si è attivata sondando l’esposizione degli istituti di credito.
L’impatto della crisi in cui è sprofondata Greensill è stato dirompente, costringendo il colosso Credit Suisse a congelare quattro fondi da 10 miliardi di dollari che ne contenevano i prestiti, oltre a far emergere un finanziamento diretto di 140 milioni di dollari che in pochi ritengono recuperabile.
Tre manager della banca elvetica sono saltati mentre un hedge fund australiano ha scommesso al ribasso sul Credit Suisse, convinto che dovrà  indennizzare i clienti dei suoi fondi.
Pochi giorni il tentativo del fondo Apollo di rilevare una parte degli asset della banca anglo-australiana è deragliato per effetto indiretto dell’intervento di Taulia, cliente di Greensill Capital, entrato in scena con un consorzio (con J.P. Morgan, UniCredit, UBS e BBVA) per finanziare i fornitori sulla sua piattaforma che sono collegati ai clienti dell’istituto britannico.
Di fronte all’eventualità  di ritrovarsi a gestire i creditori meno affidabili, Apollo si è perciò tirato fuori. Ora però il crac rischia di estendersi anche a clienti di dimensioni imponenti come la GFG Alliance, l’impero del magnate indiano dell’acciaio Sanjeev Gupta.
Proprio durante una verifica relativa al colosso indiato, BaFin ha riscontrato che Greensill Bank AG non era in grado di fornire la prova dell’esistenza di crediti nel suo bilancio che aveva acquistato dal GFG Alliance Group. Da qui l’ente tedesco ha preso la decisione di congelare le attività  dell’istituto di credito.
Greensill in Germania ha tra i suoi clienti una marea di soggetti istituzionali, Comuni come Monheim, lander come la Turingia, la città  di Colonia che lì aveva depositato circa 15 milioni da utilizzare per la ristrutturazione del teatro dell’opera. Sono più di 50 gli attori pubblici che hanno scelto di rivolgersi a Greensill Bank e la ragione è nella caccia spasmodica a tassi di interesse convenienti: Greensill Bank offriva commissioni vantaggiose sui depositi in un periodo storico caratterizzato dai tassi negativi imposti dalla Bce per garantire adeguata liquidità  e prestiti a imprese e famiglie.
Basti pensare che le casse di risparmio tedesche (Sparkassen) applicano un tasso dello 0.5% sui depositi di investitori istituzionali.
Qui nasce il problema: come in altri Paesi anche in Germania i depositi sono garantiti dall’assicurazione dello Stato ma questo non vale, dal 2017, per i soggetti pubblici, esclusi per legge dallo schema di tutela di depositi.
Circa l′85% dei 3,5 miliardi di euro depositati fanno capo a investitori retail, e quindi garantiti, ma ci sono circa 500 milioni di euro di clienti istituzionali, principalmente i Comuni che ora hanno un solo timore: dover dire ai cittadini di aver perso i loro soldi.
La città  di Monheim sul Reno ha investito 38 milioni di euro nella banca ora a rischio crac, circa mille euro che ogni abitante rischia di rimetterci. Anche Emmerich, un paesino di trentamila anime, ne aveva investiti sei: “Se la banca fallisce, la maggior parte dei soldi andrà  probabilmente persa”, ha dovuto ammettere il sindaco Peter Hinze pochi giorni fa. Ma le casse del suo municipio già  da tempo versano in cattive acque e ora il Comune deve fare i conti anche con una denuncia per appropriazione indebita arrivata dalla cittadinanza. Wiesbaden, capitale dell’Assia, ha investito circa 20 milioni in Greensill, mentre la città  ai margini della Foresta Nera Bad Duerrheim ne aveva messi due, la città  universitaria di GieàŸen circa una decina.
“Se dovessimo depositare tutta la nostra liquidità  di 200 milioni di euro presso la nostra cassa di risparmio locale, ci costerebbe circa un milione di euro all’anno”, ha detto al Financial Times Axel Imholz, tesoriere della città  di Wiesbaden. D’altonde, il rating di Greensill Bank è sempre stato elevato e sul suo operato doveva vigilare la Bafin, la Consob tedesca, si sono subito giustificati gli amministratori locali, già  in fila per chiedere al Governo Merkel di ripianare i crediti contratti con la banca in procinto di finire gambe all’aria. Mentre circa due dei tre miliardi e mezzo verranno attinti dal fondo di tutela dei depositi.

(da Huffingtonpost)

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