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LA LUNA DI MIELE E’ FINITA: TRE SONDAGGI SGONFIANO DRAGHI

Marzo 20th, 2021 Riccardo Fucile

LA FIDUCIA NEL GOVERNO DRAGHI E’ CROLLATA AL 40%

Il primo tagliando del governo Draghi a un mese abbondante dal giuramento al Quirinale non è entusiasmante per il premier e i suoi ministri.
I sondaggi danno un responso unanime: il consenso attorno all’ex presidente della Bce è in flessione, la luna di miele con l’opinione pubblica sembra già  agli sgoccioli.
La fiducia degli elettori nel nuovo governo è in calo secondo tre diversi istituti demoscopici: per Euromedia Research di Alessandra Ghisleri è al 47% (e partiva dal 57), secondo Aqua Group di Fabrizio Masia è al 40% (una settimana fa era al 42), anche per Antonio Noto (Noto Sondaggi) è al 40, in discesa di circa 4 punti dall’ultima rilevazione.
Anche il carisma personale del presidente del Consiglio sembra meno luminoso di come era stato percepito all’esordio a Palazzo Chigi: la fiducia in Draghi scende dal 57 al 52% secondo i numeri di Noto, dal 64 al 57% per quelli della Ghisleri.
Le ragioni? “Più il tempo passa, più le persone aspettano qualcosa di concreto”, riflette la direttrice di Euromedia Research.
Per Ghisleri, “Draghi fa bene a comunicare poco, è la sua cifra e il suo stile, credo si sia imposto di parlare solo nel momento in cui c’è qualche risultato effettivo da presentare all’opinione pubblica. Al tempo stesso però la gente sente il bisogno di essere tranquillizzata, sia sui ristori che sull’evoluzione della pandemia. La gestione del caso AstraZeneca, ad esempio, poteva essere affrontata in modo più limpido e rassicurante”.
L’impressione complessiva che si ricava dai sondaggi di Draghi è che il sostegno praticamente unanime del sistema mediatico non sia stato sufficiente a mascherare le lacune del suo basso profilo comunicativo.
“Mettendo insieme destra e sinistra — sottolinea Noto — il premier partiva da un bacino potenziale di consenso vicino al 70%, se si sommano le percentuali dei partiti di maggioranza. Un potenziale altissimo. È difficile mantenere un consenso di questo livello. La grande attesa iniziale e l’aspettativa alimentata dal racconto dei media possono diventare un boomerang”.
Per i bilanci è ancora presto, i numeri di maggio o giugno racconteranno una tendenza più solida e significativa. Intanto però si è accesa una prima spia d’allarme attorno alla reputazione quasi sacrale di un uomo presentato come il salvatore della Patria: “Credo Draghi stia scaldando ancora i motori — aggiunge Noto —, di certo finora ha parlato davvero troppo poco. Visti i numeri di partenza molto alti, un calo può essere anche considerato fisiologico. Resta il fatto che gli italiani per adesso non hanno percepito nessun cambiamento concreto rispetto alla situazione precedente”.

(da “Il Fatto Quotidiano”)

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IN ITALIA CHI PAGA LE TASSE E’ UN FESSO, ORA ABBIAMO ANCHE IL TIMBRO DI DRAGHI

Marzo 20th, 2021 Riccardo Fucile

DAL MOTTO “PER PAGARE E PER MORIRE C’E’ SEMPRE TEMPO” AL “NON PAGARE, TANTO ARRIVA IL CONDONO”

Non chiamatelo stato di necessità . Quando si fa un condono perchè il Fisco non funziona la necessità  è aggiustare l’amministrazione finanziaria e non fare regali a chi non ha pagato.
Ma in tempi di pandemia il consenso è merce rara e così a prevalere sono le necessità  della politica, che ieri nel decreto ristori ha infilato il più classico dei condoni fiscali.
Un dono del tutto inutile per svuotare il magazzino delle scartoffie perdute nelle società  di riscossione, in quanto lo stralcio circoscritto a chi dichiara fino a 30mila euro di reddito lascia in vita la stragrande maggioranza delle cartelle esattoriali.
Dunque il minimo risultato con il massimo costo, se nel conto mettiamo il messaggio che viene dato ancora una volta agli italiani: per pagare e per morire c’è sempre tempo, ma se si parla di tasse di tempo ce n’è molto di più, perchè in un modo o nell’altro un condono arriva sempre.
Lasciamo allora ogni speranza di vedere aumentare i cittadini onesti, e finiamola con cashback e lotterie degli scontrini. Fare la lotta all’evasione in questo Paese è come togliere l’acqua con un cucchiaino da una nave che affonda.
Giusto sarebbe stato in questo momento difficile per molte famiglie e imprese aiutare che vuole pagare e non riesce a farlo, azzerando gli interessi e allungando le rateizzazioni, ma far passare il concetto che oggi diventa carta straccia quanto dovuto fino a cinquemila euro — e domani magari sarà  lo stesso per diecimila e più — è la pietra tombale di ogni promessa di rendere la vita difficile ai furbi che fanno fesso l’Erario.
Perchè qui il vero fesso è chi paga.

(da Infosannio)

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TI PAREVA CHE SI ACCONTENTASSERO: PER LE PARTITE IVA “LE RISORSE SONO INSUFFICIENTI”

Marzo 20th, 2021 Riccardo Fucile

“TROPPA DISTANZA TRA QUANTO PERSO E I RISTORI STANZIATI”: MA QUALCUNO LI HA OBBLIGATI A FARE I LAVORATORI AUTONOMI?

Criteri giusti, risorse insufficienti. Il popolo degli autonomi e delle partite Iva accoglie con un sospiro di sollievo il Decreto Sostegni, appena varato dal Consiglio dei MInistri, anche perchè, ricorda il presidente di Confprofessioni Gaetano Stella, “per noi professionisti l’ultimo intervento di ristoro è arrivato a maggio, e il decreto appena varato dal governo prevede che il prossimo contributo ci arrivi non prima di aprile: siamo stati “dimenticati” per un anno”.
Ma a fronte di tanta attesa, e della stretta del Covid a partire dallo scorso ottobre, i ristori messi a disposizione dal governo appaiono una goccia nel mare: “I parametri per ottenere gli indennizzi sono troppo selettivi, e le risorse sono insufficienti. Le speranze sono appese ai vaccini ma, intanto, le imprese non hanno più riserve per andare avanti”, rivendica il presidente di Confcommercio Carlo Sangalli.
L’ultimo calcolo di Unimpresa stima in quasi 320 miliardi di euro la perdita complessiva di fatturato per le aziende e le partite Iva in Italia, nell’arco del 2020.
Nel complesso, la contrazione degli incassi è del 12,4%: il calo maggiore si è registrato per alberghi, bar e ristoranti (-40,3%), mentre è stato del 27,1% per il settore dell’intrattenimento e dello sport.
In controtendenza sia il comparto informazione e comunicazione (+1,6%) sia quello dell’agricoltura (+1,8%).
In termini percentuali, a livello territoriale è la Sardegna ad aver avuto l’impatto più forte sulla sua economia (-25,2%), seguita da Friuli-Venezia Giulia (-20,3%), Valle d’Aosta (-17,4%) e Lazio (-16,3%). “Il decreto non ci sembra adeguato nè dal punto vista delle tempistiche, perchè i fondi arriveranno almeno ad aprile, nè da quello delle risorse”, conclude Unimpresa.
“Sui ristori alle imprese apprezziamo il metodo applicato dal governo con il superamento del criterio dei codici Ateco, l’attenzione alle piccole imprese con la rimodulazione dell’intensità  dei contributi, la rapidità  dell’erogazione. Tuttavia va incrementata la quantità  di risorse da destinare agli imprenditori, in particolare per i settori più colpiti, dalla moda al legno-arredo fino alla filiera del turismo”, ribadisce il presidente di Confartigianato, Marco Granelli.
Cna ritene ingiusto aver escluso coloro che “hanno subito pesanti cadute del fatturato pur al di sotto del 30% e non percepiranno alcun ristoro.
In attesa di avere maggiori ristori e contributi a fondo perduto, si sarebbe potuto dare una seconda opportunità  di prestiti agevolati a imprese e partite Iva, suggerisce Gaetano Stella.
Tra le organizzazioni più critiche c’è Confesercenti, che stima tra il 5 e il 7 per cento la quota di copertura delle perdite subite dalle imprese a causa del Covid. Stime simili quelle di Fipe: secondo l’associazione un bar che nel 2019 fatturava 150mila euro e ne ha persi 25mila a causa delle restrizioni, avrà  diritto a un bonus di 1.875 euro, il 4,7% della perdita media mensile. Tutti chiedono comunque al governo di fare in fretta: la preoccupazione è che i tempi di erogazione dei nuovi contributi, già  previsti non prima di aprile, possano ulteriormente slittare.

(da “Huffingtonpost”)

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STOP AI TRASFORMISTI, TOGLIENDOGLI IL MALLOPPO: LA PROPOSTA DI ENRICO LETTA PER FERMARE I CAMBI DI CASACCA IN PARLAMENTO

Marzo 20th, 2021 Riccardo Fucile

CHE SE NE VA DA UN GRUPPO FINISCE TRA I “NON ISCRITTI” SENZA PRENDERE SOLDI, COME AVVIENE NELLA UE

La richiesta è arrivata giovedì pomeriggio, l’incontro si dovrebbe tenere forse già  lunedì: sarà  in quella sede che il nuovo segretario del Pd Enrico Letta presenterà  alla presidente del Senato Maria Elisabetta Casellati la sua proposta di modifica dei regolamenti parlamentari in chiave “anti-trasformismo”.
Letta ne ha già  parlato con il presidente della Camera Roberto Fico ma la vera moral suasion dovrà  farla sulla seconda carica dello Stato perchè è il Senato l’ala del Parlamento che in questi anni ha creato più problemi ai governi — basti pensare solo a quello di Giuseppe Conte caduto per 18 senatori di Italia Viva — per le maggioranze più risicate rispetto a Montecitorio.
Ognuna delle due Camere ha la facoltà  di approvare un proprio regolamento e l’occasione arriverà  presto: il Parlamento dovrà  modificare i regolamenti alla luce del taglio degli eletti che, dopo la vittoria del “Sì” al referendum, dalla prossima legislatura passeranno da 945 a 600. Ed è in quel contesto — si dovranno tarare nuove soglie per le votazioni, lo scrutinio segreto e le maggioranze — che il segretario del Pd ha intenzione di incidere: “Ora il trasformismo parlamentare deve finire” ha detto domenica nel suo discorso di insediamento.
La bozza Il modello è quello del parlamento europeo
Per redigere la proposta si stanno muovendo gli esperti in materia del Pd insieme a quelli della giunta per il Regolamento del Senato che stavano già  discutendo su come cambiare i testi per dare attuazione al taglio dei parlamentari.
L’obiettivo lo ha indicato Letta nella conferenza con la stampa estera: “I cambi di casacca e il gruppo Misto non sono capiti all’estero” ha detto il segretario dem. La proposta non andrà  a imporre divieti o forzature che rischiano di collidere con il divieto di mandato imperativo dell’articolo 67 della Costituzione ma si baserà  sul principio del “disincentivo” a cambiare gruppo: chi lo farà , nel corso della legislatura, non conterà  più niente in termini politici e soprattutto economici.
La proposta si ispira al regolamento del Parlamento Ue dove il gruppo Misto non esiste e gli eurodeputati che non vogliono iscriversi ad alcun gruppo o decidono di andarsene finiscono tra i “non iscritti”. Completamente ininfluenti e senza potere politico. “Non iscritti” Non contano più e zero fondi pubblici.
In Italia il gruppo Misto — ormai ingrossato così tanto da diventare la quinta componente del Parlamento (78 alla Camera e 39 al Senato) — non si potrà  abolire ma la proposta del Pd prevede di permettere l’ingresso nel Misto solo all’inizio della legislatura nel caso in cui deputati e senatori eletti non riescano a raggiungere la soglia per formare un gruppo autonomo: il caso più tipico è quello di LeU che a inizio legislatura aveva 14 deputati e 3 senatori.
Nel corso della legislatura, però, chi deciderà  di cambiare gruppo finirà  nel limbo dei “non iscritti” senza la possibilità  di formare un gruppo autonomo perdendo tutti i benefici: non potranno partecipare alla conferenza dei capigruppo ma soprattutto non avranno quella quota di finanziamento pubblico che oggi permette loro di restare in piedi o di assumere personale, per esempio i collaboratori parlamentari.
In questo modo, sostengono dal Pd, i cambi di casacca sarebbero fortemente disincentivati: gruppi come Italia Viva o gli “Europeisti/Maie” senza i fondi farebbero difficoltà  a stare in piedi. Se i parlamentari “ribelli” decidessero di continuare a stare nel gruppo di appartenenza pur votando in dissenso, alla fine sarebbero espulsi tra i “non iscritti”.
Norma anti-Renzi Basta gruppi senza il simbolo.
Inoltre, il Pd è pronto a presentare anche una norma cosiddetta “anti Italia Viva”, per evitare che si ripeta un caso come quello di Renzi del 2019.
Il regolamento del Senato del 2017, rispetto a quello della Camera, prevede già  che non si possa formare un gruppo senza un simbolo che abbia concorso alle elezioni ma, per aggirare questa norma, nel Renzi e i suoi formarono Iv grazie all’apporto di Riccardo Nencini eletto con il simbolo del Psi.
Ora i dem vorrebbero stringere le maglie introducendo un principio: ci si potrà  spostare solo in gruppi che hanno presentato il proprio simbolo alle elezioni. Come fare? Almeno dieci senatori del gruppo devono aver corso alle elezioni con quel simbolo evitando l’apparentamento con singoli senatori come nel caso di Nencini.
A ogni modo, nuovi gruppi parlamentari si potranno formare con una soglia più bassa: dai 10 attuali a 7, proporzionalmente con la riduzione dei parlamentari.
Il progetto “anti voltagabbana” convince i costituzionalisti. Il professore dell’Università  Kore di Enna Salvatore Curreri spiega che “il trasformismo parlamentare è una malattia congenita del nostro sistema politico” e ritiene che disincentivare il cambio di casacca vada “nella giusta direzione”.
Ma ci vuole qualcosa in più: in primo luogo, spiega Curreri, si deve “alzare le soglie minime per formare un gruppo nuovo: non più 10 al Senato e 20 alla Camera ma un numero più alto”.
Curreri vorrebbe anche una soluzione politica: “Bisognerebbe fare come in Spagna: un patto anti-transfughi di tutte le forze politiche che si impegnano a non ricandidare chi cambia gruppo. Così i cambi di casacca diminuirebbero molto”.
Anche il professore di Diritto Costituzionale della Luiss Nicola Lupo pensa che il meccanismo di “incentivi e disincentivi” sia migliore di “norme draconiane che potrebbero andare a intaccare l’art. 67”: “Oggi abbiamo un regolamento che premia la frammentazione per cui un unico gruppo di centro conta meno di dieci piccoli gruppi — dice — vanno alzate le soglie per formare gruppi. Il problema è che molte scissioni sono l’effetto e non la causa della possibilità  di cambiare gruppo: se IV non avesse potuto formare un gruppo autonomo, la scissione ci sarebbe stata?”.
Il costituzionalista dell’Università  di Pisa Andrea Pertici pensa che la proposta dem “sia in linea con l’art. 67” ma il problema rischia di essere organizzativo: “Con 20-30 non iscritti i lavori parlamentari e le maggioranze rischiano il caos — spiega — è fondamentale alzare la soglia per evitare la formazione di nuovi gruppi”.

(da “Huffingtonpost”)

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DON BEN, CHI E’ IL VESCOVO AUSILIARE DI ROMA SCELTO DA PAPA FRANCESCO: “I POVERI CI INSEGNANO LA VITA”

Marzo 20th, 2021 Riccardo Fucile

IL PRETE DI STRADA SEMPRE ACCANTO AI POVERI: “E’ LA SCUOLA DEL VANGELO”

Una scelta rivoluzionaria e senza precedenti nella diocesi del Papa. Francesco ha nominato vescovo ausiliare di Roma per i migranti il sacerdote romeno Benoni Ambarus.
Don Ben, come ama farsi chiamare, ha 46 anni e dal settembre 2018 è direttore della Caritas diocesana.
In questo incarico è succeduto a monsignor Enrico Feroci, recentemente nominato cardinale, di cui è stato il numero due per alcuni mesi. La scelta di Bergoglio è altamente significativa perchè, proprio nella sua diocesi di Roma, ha voluto affidare a un giovane sacerdote la cura pastorale dei migranti promuovendolo all’episcopato.
Il segno eloquente di come Francesco, in questi otto anni di pontificato, ha decisamente cambiato i criteri per la scelta dei nuovi vescovi chiamando a questo incarico dei preti di strada.
Benchè nominato al vertice della Caritas diocesana dal cardinale vicario del Papa per la diocesi di Roma, Angelo De Donatis, in questi ultimi anni don Ben ha costruito un rapporto saldo e diretto con Bergoglio che fin dalla sua elezione al pontificato ha evidenziato il suo sentirsi prima di tutto vescovo della Capitale d’Italia.
Proprio rivolgendosi a Francesco durante l’assemblea diocesana del maggio 2019, don Ben aveva sottolineato che “la povertà  non è una passeggiata o un divertimento; è una realtà  che segna duramente e graffia nel profondo. Ma credo che non sia neppure una colpa che si deve tramandare di padre in figlio. E anche se attorno a noi ci sono voci che vorrebbero far spazio solo ad una lettura negativa sui poveri, voci che beffeggiano o addirittura ci accusano perchè ci dedichiamo agli ultimi, vorrei dire con forza: servire i poveri per noi è sempre occasione di ricevere una buona notizia in modo fresco e autentico!”.
E aveva spiegato il senso del servizio agli ultimi: “Loro ci insegnano il valore della vita, terrena ed eterna. Ci insegnano cosa significhi resilienza di vita, dignità  e capacità  di vivere con ciò che si ha. Sì, caro Papa, ci insegnano la vita”.
Don Ben è nato il 22 settembre 1974 a Somusca-Bacau in Romania. Nel 1990 entra nel seminario minore. Quattro anni dopo consegue la maturità  classica e nel 1996 entra nel seminario maggiore sempre in Romania. Alla fine di quell’anno arriva in Italia per completare gli studi presso il seminario romano maggiore e consegue il baccalaureato in teologia. Nel 2000 viene ordinato sacerdote, ma già  l’anno successivo rientra a Roma dove consegue la licenza in teologia dogmatica alla Pontificia Università  Gregoriana.
Dal 2001 al 2004 svolge il servizio di educatore al seminario romano maggiore. Dal 2004 è collaboratore parrocchiale a San Frumenzio di cui dal 2007 diviene viceparroco. Dal 2010 al 2012 è, invece, viceparroco di Santa Maria Causa Nostrae Laetitie. Nel 2012 diviene parroco dei Santi Elisabetta e Zaccaria, la prima parrocchia romana a ricevere la visita pastorale di Bergoglio appena due mesi dopo la sua elezione, il 26 maggio 2013.
Infine, nel 2017, la nomina a vicedirettore della Caritas di Roma di cui l’anno successivo diviene direttore.
“Sono consapevole — disse don Ben in quell’occasione — di arrivare a svolgere un servizio impegnativo e delicato con la certezza di poter contare sull’esperienza e la dedizione di molti operatori, volontari e di tutti i poveri. L’esperienza di vicedirettore, vissuta negli ultimi mesi, è stata per me la scuola del Vangelo della vita attraverso gli occhi e il cuore dei poveri. La Caritas continuerà  il suo percorso al fianco delle tante comunità  parrocchiali e di tutto quel vasto mondo della chiesa di Roma in cui la carità  si realizza attraverso la difesa della dignità  e della giustizia: esperienze che sempre più debbono operare in comunione”.

(da agenzie)

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MARINE LE PEN ORA SI TRAVESTE DA ECOLOGISTA DOPO AVER IN PASSATO DEFINITO L’AMBIENTE “ROBA DA SNOB DI SINISTRA'”

Marzo 20th, 2021 Riccardo Fucile

COSA NON SI FA PER UNA POLTRONA… SECONDO GLI ULTIMI SONDAGGI PERO’ MACRON LA BATTEREBBE ANCORA AL BALLOTTAGGIO

Sorridente e con l’aria di una che sta affermando la cosa più ovvia del mondo, Marine Le Pen è comparsa qualche giorno fa in televisione e ha detto: “Io penso che vincerò le elezioni presidenziali, ed è la mia responsabilità  rassicurare i francesi. Su di me hanno sentito molte cose false e caricaturali. Mi resta un anno per far capire il mio progetto che non è solo ragionevole ma ridarà  senso alla politica”.
Il papà  Jean-Marie, storico leader dell’estrema destra patriottica e colonialista, non aveva mai pensato fosse suo dovere “rassicurare” ma piuttosto terrorizzare gli elettori scommettendo sul voto della paura. E anche adesso, a 93 anni, interrogato dalla stessa BFM Tv, dichiara irriducibile: “Marine non deve cedere all’attrazione centrista”.
Ma la figlia, che ha costruito il suo successo su una linea di continuità -discontinuità  dall’ingombrante papà , tanto per cominciare propone un referendum sull’ecologia, anzi un contro-referendum, dal momento che anche il presidente della Repubblica Macron ne sta proponendo uno per “costituzionalizzare” le buone intenzioni della stagione verde ora appannata dall’emergenza.
Si pensa che sull’ambiente – esiti della pandemia a parte – si giocherà  la battaglia più simbolica del 2022.
Ne esce un quadretto eco compatibile e sostenibile del lepenismo. Quindici domande, un po’ tecniche un po’ no, sullo sfondo un’ecologia “paysanne”, popolare e populista, contro l’eolico, iconica battaglia del Front National, da sempre a favore del nucleare nazionale a suon di dati, nell’immancabile confronto-scontro con la Germania, raffigurata come il rovescio della Mecca della politica verde: la Francia delle centrali atomiche scarica nell’atmosfera ogni ora 7.500 tonnellate di CO2, la Germania 36 mila…
Per la Le Pen il progetto costituzionale macronista di “protezione dell’ambiente e della diversità  biologica dai cambiamenti climatici” sono soltanto parole vuote. È lei a riempirle di contenuti con le sue allusive contro-domande. Volete che tutti i prodotti alimentari siano etichettati in modo dettagliato? La Francia deve continuare a investire nel nucleare, la sola energia libera dall’inquinante carbone? Siete favorevoli a sospendere l’installazione di nuovi grandi supermercati? Siete favorevoli a vietare l’importazione di prodotti agricoli manifatturieri la cui produzione è vietata in Francia? Eccetera, eccetera.
Se alcune di queste questioni possono sembrare tecniche, lo sfondo è chiaro e traducibile per tutti, il sostegno alle piccole patrie, a un’economia di produzione e consumo locale, essendo “il localismo” lo slogan che ha ormai guadagnato la stessa importanza di sicurezza e immigrazione nelle gerarchie politiche lepeniste. “On est chez nous”, siamo a casa nostra.
Ha detto Marine Le Pen di essere rimasta molto colpita da un recente sondaggio in cui una grande parte di francesi dichiara di sentirsi “isolata” e di non appartenere a nessuna comunità , nemmeno quella nazionale: “Ecco, il mio obiettivo è di rassicurare questi francesi. E faccio mio lo slogan dei tifosi del Liverpool: non camminerete mai soli”. (Naturalmente lo dice in francese, l’originale è: You’ll never walk alone).
Fino a un paio di anni fa il partito di madame Le Pen considerava ecologia e ambientalismo “roba da bobò” e cioè buona per gli snob della sinistra parigina, agiati progressisti immaginari. La svolta ambientalista dell’estrema destra è diventata definitiva dalle europee dell’anno scorso quando il Rassemblement National (questo è il nome attuale dell’ex Front lepenista) ha mandato a Strasburgo Hervè Juven, un sessantacinquenne uomo d’affari, autore Gallimard di saggi suggestivi su sensualità  e desiderio (in Italia Feltrinelli ha pubblicato il “Trionfo del corpo”) divenuto guru e teorico dell’ “ecologia identitaria”, un localismo giacobino già  attuato da qualche sindaco. Per esempio a Hènin Beaumont, nel Nord, in uno dei comuni simbolo vinti dall’ex Front, dove l’illuminazione di quasi tutti gli edifici è a led, un migliaio di alberi sono stati impiantati negli spazi pubblici e nei parchi si sperimenta la manutenzione degli spazi verdi con il pascolo libero delle pecore.
A questa sfida verde e femminile si sta avvicinando a piccoli passi la sindaca di Parigi Anne Hidalgo, eletta nel 2014 con il marchio del partito socialista, divenuto ormai un simbolo di antiquariato politico, al punto che alle municipali dell’anno scorso la sindaca si è presentata con la lista “Paris en commun”, liberata da tossici riferimenti al passato novecentesco e idealmente proiettata sull’idea della difesa dei “beni comuni”, aria, acqua, ambiente in generale.
Piste ciclabili non solo sui boulevards, i quai della Senna vietati al traffico, scooter e monopattini elettrici ovunque. Hidalgo annuncia oggi sul Journal du dimanche la pubblicazione della sua agenda che tutti considerano   l’anticipazione dell’annuncio della candidatura all’Eliseo (nelle à‰ditions de l’observatoire sono già  usciti “Respirare” e “I luoghi del possibile”) che procede secondo il suo “ritmo”.
L’altro giorno ha presentato a un quotidiano del Nord, vale a dire nelle terre di Marine, la piattaforme di “Idèes en commun”, la rete che la sostiene è inevitabilmente quella dei sindaci socialisti, alcuni dei quali autentici “elefanti” del vecchio partito come Martine Aubry a Lille o Franà§ois Rebsamen a Digione.
Ma intanto lei si tiene al passo con i tempi e fa approvare dal Consiglio di Parigi la “Carta per la telefonia mobile” per regolare le installazioni del 5G, tema oggi molto sensibile. Hidalgo lo definisce il regolamento più “protettivo” d’Europa, secondo le richieste della Convenzione cittadina dei 150 estratti a sorte, istituita da Macron nel 2020 per sperimentare forme nuove di democrazia deliberante.
Dopo la crisi dei gilets gialli, il governo della pandemia ha rivelato la fragilità  di un sistema presidenziale che appariva invece stabile nella forma gollista della Quinta Repubblica. Christian Salmon, lo studioso dello storytelling e del grottesco in politica (ultimo libro La Tyrannie des buffons) ha spiegato così su slate.fr il momento: “Il declino della sovranità  ha prodotto un nuovo tipo di presidente che non sembra più capace di reagire. È diventato il commentatore di una situazione che gli è sfuggita di mano, prodotta da un duplice fenomeno: una governance senza sovranità  e un democrazia senza deliberazioni”. Lo zigzag della politica di Macron nell’ultimo anno lo dimostra: mentre la Le Pen diventa centrista e moderata – ha scritto il Financial Times –   il presidente perde lo zelo riformista.
Secondo l’ultimo sondaggio Ifop pubblicato venerdì, Macron vincerebbe ancora 53 a 47 contro la Le Pen (nel 2017 fu 66 a 33), mentre nella sfida tra signore Anne Hidalgo perderebbe di misura, 51 a 49. Ma il dato più impressionante di tutte le ultime inchieste d’opinione è la quantità  di cittadini che non si sente più rappresentata da nessuno

(da “Huffingtonpost”)

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CENTINAIA DI NO MASK E NO VAX IN PIAZZA A TORINO SENZA MASCHERINE: “DITECI COSA METTETE NEL VACCINO”

Marzo 20th, 2021 Riccardo Fucile

MANIFESTAZIONE NON AUTORIZZATA, COSA ASPETTA LA POLIZIA A CARICARE E FERMARE QUESTI SOGGETTI?

Centinaia di No Mask e No Vax si sono radunati oggi, 20 marzo, in piazza Carignano e in piazza Castello, nel cuore di Torino. «Diteci cosa ci mettete dentro il vaccino» contro il Coronavirus, hanno urlato mentre nessuno di loro portava con sè la mascherina.
I manifestanti si sono dati appuntamento tramite alcuni gruppi su Telegram, diversi di loro accompagnati anche dai bambini. Nel corso del pomeriggio, sono andate in scena due manifestazioni parallele: il Revolution Day e il World Wide Demo Torino 2021. I partecipanti hanno recitato gli stessi slogan: «Siamo qui per i diritti e per la libertà ».
Oltre quaranta multe, ferito un agente
Poi sono scattate decine di sanzioni. In 24 sono stati multati perchè senza mascherina e 20 perchè arrivati da altri Comuni, violando le norme anti-Covid.
Ad essere multata anche l’organizzazione degli eventi. Un uomo è stato anche denunciato per resistenza a pubblico ufficiale: il 36enne si è rifiutato di fornire i documenti agli agenti e ha fatto resistenza quando l’hanno afferrato per portarlo in questura. Nelle tensioni che ne sono scaturite, un agente è rimasto ferito a una mano ed è stato accompagnato in ospedale.
Per la Questura la manifestazione non è stata autorizzata
Marco Liccione, operaio di 31 anni con un recente passato in Fratelli d’Italia, ha preso il microfono per primo. Lui che durante il primo lockdown aveva già  cercato di organizzare cortei di protesta. «Chi ha organizzato? Meglio tacere. Nessuno si può prendere la paternità  di questa iniziativa perchè c’è il rischio di finire in prigione. Ma le autorizzazioni ci sono» ha detto Liccione, anche se le forze dell’ordine la pensano diversamente. La Questura nega di avere dato il permesso.
Quando gli è stato fatto notare che i contagi continuano ad aumentare e le terapie intensive sono sempre più affollate, Liccione ha risposto sostenendo che quelle sono «invenzioni mediatiche».
Nella folla anche due dipendenti in divisa di Fs (senza mascherina)
Ad animare la folla anche il giurista Ugo Mattei, professore di diritto privato nel capoluogo piemontese, che ha parlato di «giuste perplessità  e critiche radicali alla gestione della pandemia». Identificate dalla Digos anche due dipendenti, in divisa, di Ferrovie dello Stato, in mezzo alla manifestazione: sono state invitate a indossare la mascherina. «Abbiamo finito di lavorare e siamo venute qui», hanno risposto.

(da agenzie)

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REGIONE LOMBARDIA, A CREMONA NON PARTONO GLI SMS PER GLI ANZIANI DA VACCINARE: I MEDICI CI SONO, I VACCINANDI NO

Marzo 20th, 2021 Riccardo Fucile

MESSE A RISCHIO 500 DOSI… “FOLLE, MANCA UNA STRATEGIA, DALLA REGIONE TANTI PROCLAMI E POI SOLO DISGUIDI”… CASI SIMILI ANCHE A COMO E IN BRIANZA

Medici pronti a vaccinare ma mancano i destinatari delle dosi. Succede a Cremona «dove l’Asst ha rischiato di buttare via circa 500 dosi di vaccino anti-Covid, destinati agli over 80, perchè nessuno degli aventi diritto ha ricevuto il messaggio per la convocazione nell’hub».
A denunciarlo è Attilio Galmozzi, medico di pronto soccorso che ha portato a galla quanto successo oggi a Cremona (e non solo, visto che si sono registrati casi simili anche in Brianza e a Como).
«Stamattina i miei colleghi, intorno alle 8.30-9, hanno capito che qualcosa non andava — dice a Open Galmozzi -. Non si è presentato praticamente nessuno (solo 80 su 600 aventi diritto, ndr). Così, anche tramite le istituzioni locali, hanno iniziato a spargere la voce e con il tam tam si sono presentate centinaia di persone, anche in un numero maggiore rispetto alle dosi disponibili, al punto che l’Asst ha dovuto mandarne via qualcuno». Un vero e proprio caos, «una follia che evidenza una mancanza di strategia da parte di Regione Lombardia», aggiunge.
«Abbiamo rischiato di buttare via migliaia di euro»
«Oggi abbiamo rischiato di sperperare migliaia di euro perchè, è bene che si sappia, se i vaccini vengono scongelati vanno utilizzati entro 6 ore, altrimenti vanno buttati via», dichiara Galmozzi a Open.
E lui lo sa bene visto che è volontario vaccinatore a Crema (dove è anche assessore comunale): «Da noi la situazione è seria, non è più sotto controllo pur non essendoci i numeri di marzo o aprile dello scorso anno, quando l’Italia è andata in lockdown».
In Lombardia, la campagna vaccinale prosegue tra polemiche e problemi al sistema come è accaduto oggi. Un intoppo che è riconducibile alla piattaforma Aria, la società  che gestisce per la Regione le prenotazioni per i vaccini. «Tante conferenze stampa, tanti proclami e poi solo disguidi.
Senza considerare, poi, gli over 80 rimbalzati da un posto all’altro, anche a distanza di 80-100 km, con comunicazioni che arrivano persino la notte prima dell’appuntamento. C’è gente che da Crema viene spostata a Mantova, altri a Casalmaggiore», spiega Galmozzi.
In questo caso — dichiara a Open Piloni, consigliere regionale in Lombardia, tra i primi a sollevare il caso Cremona — si è evitato il peggio solo perchè «il territorio è riuscito ad auto-organizzarsi per sopperire da una parte alla mancanza della Regione Lombardia e dall’altra per evitare in tutti i modi di sprecare dosi preziosissime. Merito del sindaco, dei sanitari e dei volontari che hanno recuperato subito la situazione».

(da agenzie)

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NOVE SETTIMANE E MEZZO

Marzo 20th, 2021 Riccardo Fucile

DUE MESI PER FOTOCOPIARE IL DECRETO RISTORI DI CONTE E CHIAMARLO SOSTEGNI

No, dà i, sarà  uno scherzo, non può essere vero.
La maggioranza di extralarge intese impiega due mesi a fotocopiare e ritoccare il dl Ristori scambiandolo per nuovo solo perchè lo chiama Sostegni; e poi, proprio sul filo di lana, si blocca per altre 3 ore.
Il Governo dei Migliori litiga su un condonetto come un qualsiasi governo dei peggiori.
Il premier Migliore convoca la stampa per la prima volta in un mese alle 17.30 e poi si presenta alle 20 col favore delle tenebre e a favore di tg, come il Conte Casalino (avvertire Mieli).
Intanto il suo staff s’arrampica sugli specchi delle nuove misure anti-Covid (al posto del decreto Draghi e del Dpcm Draghi in scadenza il 6 aprile) per trovare strumenti normativi diversi dal Dpcm: sennò poi dicono che è tutto come prima e Cassese s’incazza (e, tra i Cassesi che s’incazzano e i giornali che svolazzano, sono cassi).
Così si pensa a un secondo decreto. Ma c’è un problema: essendo impossibile convertire in legge il primo dl Draghi entro il 6, farne un secondo che assorbe e supera il primo significa impedire al Parlamento di discutere il primo e passare al secondo, semprechè si faccia in tempo a discutere il secondo prima che sia sostituito dal terzo, ad libitum.
Perciò il governo dei peggiori faceva un decreto e poi vari Dpcm attuativi, illustrandoli al Parlamento ogni 14 giorni. Cosa impossibile coi dl perchè, prima che ne venga convertito uno in 60 giorni, ne arriva un altro al posto, e poi chi lo sente Cassese?
Dunque i cervelloni di Palazzo Chigi pensano a un’ordinanza di Speranza, che però sarebbe molto meno democratica e garantista di un Dpcm: la farebbe solo il ministro della Salute, anche su materie sociali ed economiche che competono ad altri; invece il Dpcm lo firma il premier, ma “sentiti i ministri competenti e la Conferenza Stato-Regioni”, che invece sarebbero tagliati fuori da un’ordinanza Speranza.
Voi direte: ma con 400 morti al giorno, boom di ricoveri e terza ondata ti scaldi tanto per così poco? Non è per me.
È per le ministre italovive, anzi per l’unica superstite: Elena Bonetti. Nove settimane e mezzo fa lasciò il governo precedente con “Teresa” e “Ivan” perchè “non vogliamo renderci complici di delegittimare il metodo democratico”, del “mancato rispetto delle forme parlamentari”, delle “mancate convocazioni del pre-Consiglio” dei ministri, dell’“abitudine di governare con decreti” e dell’“utilizzo ridondante del Dpcm”, per non parlare della “scelta di non accedere al Mes”.
Ora, siccome i decreti e i Dpcm continuano, il pre-Consiglio non c’è stato neppure ieri e il Mes è sparito dai radar, non vorremmo che la Bonetti ci lasciasse di nuovo. O che l’Innominabile la ritirasse.
O, peggio, che tutto ciò fosse già  accaduto e nessuno se ne fosse accorto.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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