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CALABRIA, LE INTERCETTAZIONI DEL SINDACO DI FRATELLI D’ITALIA CHE IMBARAZZANO LA MELONI

Aprile 10th, 2021 Riccardo Fucile

ENNESIMO CASO CHE RIGUARDA IL PARTITO SOVRANISTA: DUE ANNI E MEZZO DI SCANDALI E ARRESTI

Non c’è pace per Fratelli D’Italia in Calabria. Sotto la gestione commissariale della deputata catanzarese Wanda Ferro si son susseguiti in due anni e mezzo una sequela di scandali e arresti di esponenti del partito sovranista che hanno mandato su tutte le furie e a più riprese la leader Giorgia Meloni. E con l’anno nuovo la solfa non pare proprio essere cambiata.
Tra gennaio e febbraio scorso la Dda di Catanzaro guidata da Nicola Gratteri, nell’ambito dell’inchiesta denominata Eleo, ha inferto duri colpi alla ‘ndrangheta di Petilia Policastro, paese di 9mila persone del crotonese, effettuando 18 arresti “eccellenti”, tra cui quelli dei presunti esecutori dell’omicidio dell’allevatore Maurizio Vona, vittima di “lupara bianca” nel 2018.
Di questa inchiesta ha particolarmente risentito anche la politica locale (e, di riflesso, regionale), dato che sono contenute negli atti alcune intercettazioni con protagonisti il sindaco ed ex membri della giunta comunale ritenute “imbarazzanti” dalla Meloni stessa.
Già, perché il primo cittadino di Petilia Policastro, Amedeo Nicolazzi, dopo un passato da esponente Pd sia nel consiglio comunale della sua città che in quello della Provincia di Crotone, alle elezioni regionali calabresi del gennaio 2020 è planato proprio nella lista di Fdi (primo dei non eletti con ben 3.965 preferenze) col benestare del deputato salernitano Edmondo Cirielli, responsabile delle liste.
Nei confronti di Nicolazzi, che era anche componente dell’esecutivo provinciale di Fdi, è arrivato un provvedimento che non è giudiziario – il sindaco non è indagato – bensì politico.
“Sebbene lei non risulti coinvolto nell’inchiesta (Eleo, ndr.), attesa la gravità dei fatti emergenti dalle intercettazioni e il ruolo istituzionale da Lei ricoperto, considerato che la Sua permanenza nel nostro Partito possa rappresentare un grave danno per lo stesso, sono a comunicare con la presente (…) di adottare nei suoi confronti, con efficacia immediata (…) un provvedimento di sospensione da ogni incarico di partito”, si legge nella missiva firmata Giorgia Meloni.
Lo scorso 24 marzo è stata convocata in commissione parlamentare Antimafia la prefetta di Crotone, Maria Carolina Ippolito, affinché riferisse di presunti tentativi di ingerenza mafiosa a Petilia Policastro. L’audizione, unitamente alle domande della stessa Wanda Ferro, è stata secretata.
C’è da chiedersi, allora, cosa abbia fatto sobbalzare la Meloni dalla sedia al punto da provvedere a sospendere immediatamente dal partito uno dei “suoi” pochi sindaci in Calabria.
Le intercettazioni “shock” sulle elezioni comunali
In un documento sugli esiti degli sviluppi investigativi sulle elezioni amministrative del giugno 2018 (che hanno visto Nicolazzi rieletto sindaco con quasi mille voti di scarto), redatto dai carabinieri del nucleo investigativo del comando provinciale di Crotone, si legge che dalle attività tecniche espletate “appariva evidente che l’ingerenza della criminalità sia stata dapprima ambigua, senza far ben comprendere quale delle due parti politiche questa avesse deciso di sostenere, per poi appoggiare la lista Nicolazzi”.
“In tale contesto, Nicolazzi Amedeo, consapevole dell’appoggio della locale criminalità e di come Curcio Rosario alias ‘Pilirussu’ (ritenuto a capo del clan di Petilia dalla Dda di Catanzaro, ndr) avesse intimorito gli abitanti della loc. Paternise inibendo loro di votare per la lista facente capo a Vincenzo Calaminici, si limitava ad evitare di avere rapporti diretti con i ‘mafiosi’, istruendo in tal senso anche i neo-eletti vicesindaco e assessori”.
Una conversazione intercettata il 18 giugno 2018 tra Nicolazzi e i consiglieri comunali eletti, secondo i carabinieri “sembrerebbe confermare il sostegno elettorale ‘ricevuto’ dalla locale criminalità organizzata”.
In questa conversazione Nicolazzi – che, ripetiamo, non è indagato – afferma: “La giunta, l’unico rischio che può avere… è… se… noi… avviciniamo, o ci facciamo avvicinare… da gente equivoca, ho informatori dentro tutto il paese. Voi potete fare quello che volete… io vi copro tutte! L‘unica cosa che non posso coprire…è l’avvicinamento di questa gente di cazzo!…vi fanno le fotografie, e c’é il pericolo di scioglimento, di commissariamento per la mafia…”.
Lo stesso giorno, mezz’ora dopo, Nicolazzi “sbrocca” a colloquio con la “sua” vicesindaca Franca Costanzo, dopo che quest’ultima, parlando con lui dei concorsi per le assunzioni in Comune da bandire, gli chiede se sia possibile inserire una terza persona in un qualche posto. Il sindaco urla: “Ti devi stare zitta! Non devi parlare di queste cose… tieni la telecamera sulla testa!”, specificando subito dopo “… non è una telecamera… non ce n’é telecamere… l’ho fatto bonificare… pure mettono… ti mettono una spia direzionale… lo vedi che io sto sempre con le finestre chiuse”
Gli assessori “chiacchierati”
A comporre la giunta dell’amministrazione Nicolazzi nel 2018 vi erano tre soggetti che sono stati attenzionati dalle attività investigative dei carabinieri crotonesi. In particolare, Francesco Daniele, nominato assessore all’Agricoltura, è cognato di Antonio Grano, che dai documenti investigativi risulta essersi “speso” per cercargli voti sino al giorno delle votazioni. Grano, si legge negli atti, ha fatto anche da “autista” a “Pilurussu”, ossia Rosario Curcio, il capo clan di Petilia Policastro secondo la Dda di Catanzaro
Oggi Francesco Daniele non è più assessore perché, nel rispetto dell’obbligo di “quota rosa”, è stata nominata sua cugina, Francesca Daniele.
Un altro a “cadere” causa quota rosa è l’ormai ex assessore (esterno) allo Sport Mario Porchia, che in campagna elettorale è stato oggetto di una sfuriata del sindaco. Quest’ultimo, in una conversazione con il tipografo Salvatore Carvelli, fratello della capogruppo di maggioranza in consiglio comunale Paola Carvelli, racconta: “L’ho chiamato poco fa, l’ho fatto venire alla sezione e gli ho detto: ‘La prossima volta che tu sei nel paese… con quel signore… tu sei fuori dalla lista… sei fuori! Chiaro?… guai a te se vedo fotografie, o ti vedo girare insieme a lui, dove ci sono gli ambienti che ci siamo noi… poi quando siete soli la notte, andate dove cazzo volete!’”.
E ancora: ”Questo qua che io non lo so se è cioto o é davvero malavitoso, non lo so… Però… meno male che oggi non c’era… che questo cammina con il figlio di Topolino…”.
I carabinieri del comando provinciale di Crotone mettono nero su bianco che con l’espressione “quel signore” Nicolazzi si riferiva proprio al boss Curcio “Pilirussu”, mentre “Topolino” è il presunto boss (secondo gli inquirenti) di Mesoraca, Mario Donato Ferrazzo.
A creare i maggiori problemi a Nicolazzi, però, è stata Franca Costanzo, vicesindaca fino all’aprile del 2020 (e consigliera provinciale), prima delle elette alle comunali del 2018 con 745 preferenze. Cugina di Carlo Cosco, colui che uccise e sciolse nell’acido la collaboratrice di giustizia Lea Garofalo nel 2009, in una intercettazione datata 4 maggio, lamentandosi con il simpatizzante dello schieramento avverso, Giuseppe Miletta, per alcuni attacchi ricevuti sui social, dice: “Dico che fa Giuseppe Vona, dico che fa Calaminici, dico chi… chi… a chi danno soldi… so tutto di tutti! Vi rovino!… faccio venire la fine del mondo…
E ancora: “Mi siedo alla Procura… mi denuncio prima sola… mi vado a sedere alla Procura a Catanzaro!… Faccio Lea Garofalo faccio! Ok? Attacco… da sopra e faccio venire la fine del mondo… Do le dimissioni! Se entro domani non la smettete”.
In una intercettazione in cui conversavano i candidati alle amministrative della lista avversa a quella di Nicolazzi, Teresa Cervelli e Santo Scalise, quest’ultimo afferma: “Noi ci siamo sforzati di fare una lista, che l’abbiamo guardata con i raggi X… per esempio… Nicolazzi… c’ha messo a quella Franchinedda che… è con loro… Pilir..”, riferendosi al capoclan Rosario Curcio, “Pilirussu”.
Inoltre, nel decreto della Procura di Catanzaro dello scorso 20 gennaio è messo nero su bianco che la Costanzo dopo le elezioni amministrative aveva tentato (senza successo) di far ottenere una specifica autorizzazione per la gestione di un campo sportivo a Diego Garofalo, alias “Yogurtino”, arrestato nell’ambito dell’inchiesta Eleo per associazione mafiosa.
Dopo la sua revoca a inizio 2020, la Costanzo scrisse poi una pubblica lettera in cui, riferendosi a Nicolazzi, diceva: “Ti chiedo le dimissioni e se hai il coraggio ti ricandidi. Così vediamo se vinci senza di me ed i miei sostenitori”, ma dopo lo tsunami dell’inchiesta Eleo è stata lei a dimettersi da consigliera comunale, insieme al capo dell’opposizione Vincenzo Calaminici.
Al provvedimento di sospensione da Fratelli d’Italia, Amedeo Nicolazzi ha risposto annunciando le immediate dimissioni dal partito.
Infine, il sindaco ci ha annunciato la pubblicazione, a breve, di una lettera aperta indirizzata a Giorgia Meloni in cui svelerà ulteriori retroscena. Sono, infatti, in molti a ritenere che il provvedimento “preventivo” adottato dalla presidente di Fratelli D’Italia possa essere applicato, con motivazioni similari, alla “sua” pupilla, la deputata e commissaria regionale del partito, Wanda Ferro, il cui nome compare nelle inchieste della Dda di Catanzaro Jonny e Imponimento.
(da TPI)

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IL M5S VOLTA PAGINA, DIVORZIO DEFINITIVO DA ROUSSEAU

Aprile 10th, 2021 Riccardo Fucile

CONTI AUTONOMI, NUOVA PIATTAFORMA E UNA SEDE A ROMA

Casaleggio ha tirato troppo la corda e alla fine la corda si è rotta. Il M5s da ieri ha voltato pagina: addio a Rousseau, nuovo sistema delle rendicontazioni e pure una sede a Roma.
Le novità sono state annunciate dal reggente Vito Crimi in un’infuocata assemblea con i deputati pentastellati. C’è qualche mal di pancia, qualcuno che mostra ansie per l’ennesimo cambiamento, ma la strada ormai è segnata e sembra dar vita a un soggetto politico più maturo, di lotta quando serve ma anche strutturato per tener fede a impegni di governo.
SI VOLTA PAGINA
Parlando all’assemblea dei deputati, Crimi ha affermato che è stato deciso di modificare e semplificare il meccanismo di rendicontazione e restituzione. “L’obiettivo – ha detto – è consentire al Movimento di diventare un soggetto autonomo dal punto di vista organizzativo, in modo che possa direttamente interfacciarsi con i soggetti fornitori di servizi”.
Due settimane fa è stato aperto un conto corrente bancario a nome del M5S e lo stesso potrà così sostenere direttamente le spese per la piattaforma tecnologica, per la formazione, potrà dotarsi di uno strumento di comunicazione proprio, di una segreteria organizzativa che si occupi di gestire tanto gli iscritti quanto le relazioni con i comuni, le comunicazioni interne, e coordinare la formazione delle liste per le amministrative”.
Addio insomma a Rousseau e a Davide Casaleggio, figlio del cofondatore, che dovrà rinunciare alle entrate derivanti dai versamenti dei parlamentari 5S. Il Movimento sta inoltre cercando una sede fisica a Roma. Al centro del nuovo corso c’è però il cambiamento appunto nella piattaforma tecnologica, da gestire “in totale autonomia”, come molti 5S, ancor prima della prova di forza di Casaleggio, chiedevano.
Ogni eletto d’ora in poi verserà 1.500 per la restituzione alla collettività e 1.000 euro per il Movimento, “per l’organizzazione, la piattaforma, la tutela legale e tutto quello che serve per far funzionare al meglio il M5S”. Il reggente si è tolto anche qualche sassolino dalla scarpa.
“L’Associazione Rousseau – ha specificato – ha fatto delle attività, ha preso delle iniziative, relative anche alla piattaforma, in totale autonomia e senza coordinamento con il Movimento, come l’introduzione del sistema dei “mi fido” che ha fatto storcere il naso a tanti”. “Per poter avviare questa nuova macchina – ha aggiunto – serve un forte impulso di avvio e anche risorse economiche iniziali di avvio importanti”.
E le somme che reclama Rousseau? Sembra che i 5S con Casaleggio siano destinati a finire alle carte bollate (leggi l’ultimo post dell’associazione sul Blog delle Stelle). “Stiamo procedendo con tutte le interlocuzioni necessarie – ha precisato sempre Crimi – anche tramite i nostri legali, per definire le contestazioni di presunte inadempienze da parte del Movimento, inadempienze che ad avviso dei nostri legali non ci sono”.
I DUBBI
Qualche malumore c’è. “Ci chiedete di dare soldi al partito ma vogliamo sapere qual è il progetto del partito”, ha affermato la deputata Federica Dieni. “Non si possono fare errori del passato”, ha aggiunto Stefano Buffagni. “Io voglio che sia Giuseppe Conte a dirmi tutte queste cose, a ragionare con noi. Non verso, se non vedo il progetto di Conte”, gli ha fatto eco Filippo Gallinella. “Sul conto delle restituzioni ci sono 7,4 milioni di euro che non possiamo destinare ai progetti benefici perché Rousseau impedisce il voto sulla piattaforma”, ha invece dichiarato Davide Crippa. Il nuovo M5S è però ormai nato e indietro non si torna.
(da agenzie)

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AMMINISTRATIVE: CANDIDATURE IN ALTO MARE PURE NEL CENTRODESTRA

Aprile 10th, 2021 Riccardo Fucile

NIENTE ACCORDI SULLE GRANDI CITTA’

Forse sono percepite ancora come “lontane” e meno impellenti rispetto ad altri dossier legati alla pandemia o forse, più probabilmente, gli attriti degli ultimi giorni tra Lega e Fratelli d’Italia sul dossier Copasir non aiutano a trovare una quadra su un nome comune da proporre a candidato a sindaco comune della coalizione di centrodestra per le elezioni di autunno, con oltre mille comuni al voto comprese grandi città come Napoli, Bologna, Torino e Milano.
E naturalmente Roma, la sfida “capitale” in tutti sensi, non solo per il Pd – che per ammissione del segretario, rappresenterà un vero e proprio banco di prova, innanzitutto per lo schema di alleanze, con un centrosinistra “allargato” e i 5 Stelle, a cui Letta ha detto sin da subito di puntare, e poi come test per le politiche 2023 – ma anche per il fronte opposto, in cui in gioco c’è la tenuta stessa di un centrodestra al momento diviso a livello nazionale, con la Lega e Forza Italia che appoggiano l’esecutivo Draghi e FdI saldamente all’opposizione, e unito nelle intenzioni.
Che a dire il vero appaiono sempre più flebili.
Tant’è che un nome condiviso e ufficialmente in campo ancora non c’è praticamente da nessuna parte. Nella corsa al Campidoglio sono mesi che si fa il nome di Guido Bertolaso ma è il diretto interessato, al momento impegnato nel coordinamento della campagna vaccinale della Regione Lombardia, ad aver a più riprese ribadito la sua indisponibilità, nonostante anche ieri il commissario romano di FI Maurizio Gasparri abbia dichiarato che sia una risorsa “per le istituzioni” in riferimento “alla guida di una grande città”.
Bertolaso sarebbe fortemente caldeggiato e sostenuto anche da Matteo Salvini ma non gradito al partito di Giorgia Meloni – che su Roma vanta consensi e radicamento più ampi rispetto agli alleati – che gli preferisce il manager Andrea Abodi o il presidente della Croce Rossa italiana, Francesco Rocca.
Per la corsa a primo cittadino di Napoli il favorito sarebbe il pm anti camorra, Catello Maresca, che metterebbe d’accordo tutti, a cominciare da Silvio Berlusconi e dal segretario leghista. Il problema, però, è che il magistrato non ha sciolto la riserva.
Per Torino restano alte le quotazioni dell’imprenditore vinicolo Paolo Damilano, che piace molto alla Lega ma tarda ad arrivare il via libera dagli alleati.
FdI per il momento non si espone, mentre Forza Italia rilancia il nome della deputata torinese Claudia Porchietto, più che altro perché se alla fine dovesse spuntarla Damilano, sarebbe una candidatura da segnare in quota Lega, che comporterebbe qualche casella a favore di FI in altre città italiane.
Ma Salvini, forte del fatto che nei sondaggi è ancora a capo del primo partito della coalizione di centrodestra – sebbene tallonato da FdI in costante ascesa – vuole dettare le regole un po’ ovunque e ovviamente, vorrebbe piazzare un suo nome anche a Milano dove si parla con insistenza del manager Roberto Rasia, che però non entusiasma gli alleati.
Intanto c’è da segnalare che, secondo un sondaggio realizzato da Renato Mannheimer, tra i papabili candidati del centrodestra, Gabriele Albertini è il più conosciuto con l’89%, seguito da Paolo Del Debbio all’80, Maurizio Lupi al 77, Roberto Rasia al 32, Regina De Albertis al 29 e Simone Crolla al 27. Ma sono al momento solo “suggestioni”.
(da TPI)

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UNA LEGA DI LOTTA E DI POLTRONE

Aprile 10th, 2021 Riccardo Fucile

DUE PESI E DUE MISURE: FEDRIGA PRESIDENTE DELLA CONFERENZA DELLE REGIONI MA SENZA DOVER LASCIARE LA PRESIDENZA DEL COPASIR

Giurano di non volere le poltrone, ma poi chissà come mai i leghisti ne conquistano ogni giorno di nuove.
L’ultima è quella di presidente della Conferenza delle Regioni, passata ieri al governatore del Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga.
La maggioranza degli Enti – si dirà – è guidata dalle destre e quindi gli tocca. Invece al Copasir, la Commissione parlamentare sui Servizi segreti, la presidenza spetta alle opposizioni.
Qui però il deputato del Carroccio Raffaele Volpi non ci pensa proprio a dimettersi per far posto alla Meloni. Due pesi e due misure, insomma.
D’altra parte, quando la Lega uscì dalla maggioranza giallo-verde col tradimento del Papeete, i suoi presidenti di Commissione alla Camera e al Senato si asserragliarono per un anno nei loro uffici prima di cedere la mano.
Quello fu il periodo più nero per i notabili del partito di Salvini, perché una volta conosciuti gli agi degli scranni di ministri e sottosegretari del governo Conte I, lasciare tutto risultò durissimo, tanto che all’interno cominciarono a mettere in discussione il segretario, chi puntando su Giorgetti, chi su Zaia, più “democristiani” e per questo geneticamente incapaci di rinunciare a qualunque strapuntino di potere.
Rientrati in maggioranza con Draghi, i leghisti hanno appagato in parte la sete di poltrone, ma a prezzo di sacrificare molti consensi per la mancanza di vaccini e ristori. Da qui la strategia già usata con Di Maio: i meriti del governo si incassano e i demeriti si scaricano. Vittima sacrificale, questo giro, è il ministro Speranza, che però nell’ultima conferenza stampa è stato letteralmente blindato dal premier.
Per Salvini & C. che accusano il responsabile della Salute di tutto, a partire dalle limitazioni anti-Covid prese in base a una “logica miope dei dati sanitari” dovrebbe essere consequenziale prenderne le distanze e rinunciare a governarci insieme. Ma la lezione dev’essere bastata e stavolta con fischio che i leghisti lasciano le poltrone.
Tanto in passato gli elettori di destra non hanno fatto un plissé sul Carroccio di lotta e di governo. Un’incoerenza che però stavolta ha un alternativa nel campo attiguo. E non a caso Giorgia cresce nei sondaggi mentre Matteo scende.
(da La Notizia)

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LA LEGA IN PIEMONTE VUOLE LE SLOT MACHINE VICINO ALLE SCUOLE

Aprile 10th, 2021 Riccardo Fucile

VUOLE CAMBIARE LE REGOLE IN VIGORE DA 4 ANNI A TUTELA DEI GIOVANI

In Piemonte una legge regionale del 2016 impedisce a bar, tabacchi e sale slot di avere slot machine vicino a luoghi sensibili come scuole o ospedali. Ieri un consigliere della Lega durante il consiglio ha chiesto, e ottenuto, di far votare un provvedimento che lo permette
Si è trattato di una mossa a sorpresa, e ora il capogruppo Pd Raffaele Gallo ora promette le barricate per difendere l’attuale legge.
Racconta La Stampa:
È successo ieri, quasi a sorpresa, quando il consigliere della Lega Alberto Preioni ha chiesto e ottenuto di mandare al voto una nuova legge (il cui primo firmatario è il collega di partito Claudio Leone) già nella prossima seduta dell’assemblea regionale, prevista per mercoledì, come primo atto all’ordine del giorno. In sintesi, la svolta permetterà a bar, tabacchi e sale slot, che cinque anni fa avevano dovuto togliere gli apparecchi perché le loro attività erano troppo vicine a luoghi sensibili (come scuole o ospedali), di poter fare richiesta per installarle di nuovo. Il blitz cancella l’audizione delle associazioni che dovevano ancora essere sentite nelle varie commissioni. Non solo: negli scorsi mesi le istituzioni sanitarie avevano plaudito ai risultati ottenuti con la stretta del 2016 in termini di riduzione dei volumi di gioco
Leoni si difende spiegando che la storia non è nuova, ma sottolinea il capogruppo della Lega Cerutti “si tratta di una promessa fatta in campagna elettorale”; “è un testo che abbiamo depositato l’estate scorsa, che non è blindato, su cui la stessa maggioranza presenterà emendamenti. Le minoranze potranno difendere la legge del 2016”.
Ma anche nel giugno 2020, come scrivevano in una nota Giorgio Bertola e Ivano Martinetti, consiglieri regionali M5S Piemonte, la proposta era stata duramente criticata dall’opposizione: “Con un colpo di spugna nella legge Omnibus Cirio e la Lega vogliono cancellare la legge regionale sull’azzardo. L’emendamento presentato in queste ore dall’assessore Tronzano cancella, di fatto, i provvedimenti più importanti contenuti nella legge 9/2016. Una norma presa a modello da altre regioni. Non lo dice il Movimento 5 Stelle piemontese, che ha contribuito a scrivere il testo nella scorsa legislatura, ma lo raccontano i numeri delle analisi condotte da IRES Piemonte (Istituto di ricerca della Regione Piemonte) che fotografano un calo del giro d’affari di circa 500 milioni nel 2018. Cirio e Lega vogliono portare indietro le lancette dell’orologio. Non lo permetteremo, stiamo presentando una lunga serie di emendamenti per scongiurare questo pericoloso blitz”
(da NextQuotidiano”)

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CORTE DEI CONTI E BANKITALIA DEMOLISCONO IL CONDONO DI DRAGHI: “INCENTIVA GLI EVASORI FISCALI”

Aprile 10th, 2021 Riccardo Fucile

“DISPARITA’ DI TRATTAMENTO NEI CONFRONTI DEI CONTRIBUENTI ONESTI”

Non sono solo i sindacati a bocciare il condono fiscale voluto dal governo Draghi. Contro la cancellazione dei debiti col fisco si scagliano anche la Banca d’Italia, la Corte dei Conti e l’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb). Neanche i paletti fissati dall’ex banchiere per evitare che la sanatoria fiscale fosse dalle maglie troppo larghe convincono via Nazionale. Sempre un condono rimane.
L’eliminazione delle sanzioni per le irregolarità nelle dichiarazioni 2017 e 2018 delle partite Iva e la cancellazione delle vecchie cartelle fino a 5mila euro, osserva la Banca d’Italia nella memoria inviata alle commissioni Bilancio e Finanze del Senato sul decreto Sostegni, “si prospettano come condoni. Con le connesse conseguenze in termini di incentivi negativi per l’affidabilità fiscale degli operatori economici e disparità di trattamento nei confronti dei contribuenti onesti”. Giudizio negativo anche nella memoria inviata dalla Corte dei Conti, secondo cui la misura può rappresentare una spinta all’evasione.
Il decreto interviene a favore degli operatori economici con ulteriori slittamenti nei tempi di pagamento di debiti fiscali e l’annullamento di quelli di importo limitato, risalenti al decennio 2000-2010. Questa scelta, per la Corte, seppur giustificabile, “non appare condivisibile”.
Sia perché incide in modo significativo sulla futura azione di riscossione dei crediti pubblici ritardando attività operative fortemente condizionate dal requisito della tempestività. Sia perché si risolve “in un beneficio erogato a un vastissimo numero di soggetti, molti dei quali presumibilmente non colpiti sul piano economico dalla crisi”.
Generando “disorientamento e amarezza per coloro che tempestivamente adempiono e può rappresentare una spinta ulteriore a sottrarsi al pagamento spontaneo per molti altri”. Ma ancora più rilevanti perplessità – rilevano ancora i magistrati – derivano dal fatto che “questo è il terzo annullamento unilaterale di cartelle adottato nell’ultimo ventennio. A conferma di una sostanziale impotenza dello Stato a riscuotere i propri crediti, specie se di entità contenuta”.
Il condono dei condoni di Draghi
Secondo l’Upb, invece, vi è il rischio che “l’introduzione di forme di definizione agevolata, che costituiscono vere e proprie forme di condono, possa comportare in prospettiva anche una riduzione della riscossione ordinaria”. La previsione di un tetto sia ai carichi condonabili (cartelle fino a 5000 euro) sia al reddito imponibile (30mila euro) dei soggetti richiedenti limita la platea dei beneficiari.
Vanno tuttavia, rileva l’Upb, considerati due aspetti. Ovvero “In primo luogo, considerata la soglia di debito massimo annullabile, la quota capitale di ruoli relativi a imposte non pagate. Soprattutto per cartelle relativamente vecchie, potrebbe essere molto bassa. In secondo luogo, il riferimento ai singoli carichi comporta che potenzialmente per un contribuente con più debiti sotto soglia vi sia la cancellazione di somme rilevanti. Anche in riferimento al reddito dichiarato”.
Dunque se un singolo contribuente è stato oggetto di notifica di più cartelle al di sotto del limite previsto dal condono può comunque ottenere l’annullamento di tutte le singole cartelle. “Qualsiasi intervento che introduca forme di definizione agevolata o di annullamento dei debiti pregressi non può prescindere – conclude l’Upb – da considerazioni in merito agli effetti che misure deflattive e condoni hanno, da un lato, sull’efficacia dell’azione dell’amministrazione finanziaria in termini di accertamento e controllo e di riscossione”.
Alla lista dei critici si aggiunge l’Inps. “Una misura del genere è giustificabile nella pandemia ma non condivisibile per i conti e la tenuta dello Stato”. Lo dice il presidente Pasquale Tridico che quantifica in due miliardi i costi della sanatoria fiscale per contributi non versati.
(da La Notizia)

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DUE MILIONI DI ITALIANI HANNO SALTATO LA FILA PER IL VACCINO? IN REALTA’ LI HA AUTORIZZATI QUASI TUTTI IL DECRETO DRAGHI

Aprile 10th, 2021 Riccardo Fucile

VI SONO DICITURE SU CATEGORIE CHE PRIVILEGIANO PERSINO I FALEGNAMI

Due milioni, secondo alcune stime. Due e mezzo, secondo altre. Quel che si sa è che ci sono persone che hanno ricevuto il vaccino contro il coronavirus Sars-CoV-2 senza essere anziani over 80, insegnanti e militari. L’hanno ricevuto non si sa a che titolo, almeno secondo il portale del governo. E per questo sono accusati di aver saltato la fila.
Ma, come vedremo, se c’è qualche furbetto che avrà sicuramente usufruito di privilegi, la gran parte delle vaccinazioni dipende da regole decise dal governo Draghi. Che però sembra essersene dimenticato.
La Stampa fa sapere oggi che il commissario per l’Emergenza Francesco Figliuolo ha promesso alle Regioni che se ne lamentavano di allungare la lista delle categorie previste. Per sviare i sospetti sul fatto che tutti quelli che oggi si trovano nella categoria “altro” abbiano saltato la fila. Dentro infatti ci sono alcune categorie prioritarie ma non catalogate singolarmente. Tra questi, aggiunge il quotidiano, c’è persino Mario Draghi con la moglie Maria Serena Cappello detta Serenella.
Poi ci sono categorie fragili come disabili e malati cronici, così come le persone con patologie previste dal ministero della Salute. E i loro caregiver, parenti o persone che se ne occupano. In Campania per esempio la voce “altro” dei vaccinati è ben oltre la media nazionale. Sono 327mila, ovvero più degli over 80.
Ma, secondo i numeri forniti dall’Unità di crisi regionale, 128 mila sono anziani tra 70 e 79 anni, 98 mila tra «fragili» e disabili, 20 mila caregiver. Il resto sarebbe rappresentato, in buona parte, da lavoratori esterni (non dipendenti) di ospedali e Asl, che non rientrano nella categoria «personale non sanitario».
Tra caregiver e lavoratori non sanitari è possibile si siano verificate forzature, infiltrando parenti e amici degli amici, ma «è complicato sapere con esattezza chi e quanti, anche perché c’è un problema di privacy, di certo sono una minoranza», dicono dallo staff del presidente Vincenzo De Luca.
Poi ci sono vaccinati non prioritari che hanno ricevuto la prima dose in base alle linee guida delle regioni. Come magistrati e avvocati in Toscana, i sacerdoti di Taranto, i guardiaparco in Abruzzo e così via. E i dipendenti comunali, come è successo al Sud. Gli imbucati ci sono. Ma la gran parte di questi riguarda casi di cronaca che nel frattempo sono diventati inchieste giudiziari
I veri furbetti del vaccino sono 1000 e gli altri li ha autorizzati Draghi
Secondo La Stampa quasi mille persone hanno attirato l’attenzione di procure e carabinieri del Nas. La maggioranza al Nord, circa 640, forse per la maggior densità abitativa di alcune aree, forse perché si denuncia e si controlla di più. Al Sud si segnalano quasi 280 furbetti coinvolti in indagini, al Centro più o meno 60. Al Nord molti casi sono stati registrati in Piemonte, come gli ultimi 60 indagati a Biella, accusati di aver saltato la fila per vaccinarsi.
Ma c’è un però. Andrea Bottega, segretario nazionale del sindacato degli infermieri Nursind, in un’intervista rilasciata al Fatto Quotidiano, spiega oggi che la platea degli aventi diritto era larga dall’inizio, ma il decreto legge n° 44 del 1° aprile, con l’obbligo vaccinale del governo Draghi, l’ha estesa .
“Usa –osserva Bottega – una dicitura mai vista: non solo ‘gli esercenti le professioni sanitarie’ ma anche ‘gli operatori di interesse sanitario che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, parafarmacie e negli studi professionali’, anche – chiosa Bottega – se non hanno rapporti con i pazienti. La mia Asl ha comunicato impiegati amministrativi, falegnami, elettricisti. E gli informatori farmaceutici? Le donne delle pulizie non solo degli ospedali ma di cliniche, studi, laboratori privati, farmacie?”.
” Non è nemmeno verificabile – dice ancora Bottega –, se il farmacista vuole vaccinare la vicina o la figlia la Asl prende nota. E non c’è tempo per correggere il decreto – spiega il segretario di Nursind – perché è in vigore dal 1° aprile, prevede entro 5 giorni la trasmissione degli elenchi, poi le verifiche delle Regioni entro 10 giorni, altri 5 giorni e le Asl trasmettono gli inviti. Per la conversione in legge ci sono due mesi…”.
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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LOMBARDIA, A RISCHIO LA CANDIDATURA DELLA MORATTI PER IL DOPO FONTANA

Aprile 10th, 2021 Riccardo Fucile

PESANO I DISASTRI SULLA SANITA’

Se fosse un match di boxe, saremmo prossimi al no contest. La confusione che regna in Lombardia è simile a quella di un pugile “groggy”, come si evince da più elementi. Quelli macroscopici, come i clamorosi intoppi nella campagna vaccinale che tuttora si verificano nonostante il provvidenziale arrivo di Poste Italiane, ma anche quelli più squisitamente mediatici, che lasciano altrettanto basiti.
Solo pochi giorni fa Regione Lombardia si è beccata gli strali dei “Ferragnez” che, piaccia o meno, avevano perfettamente ragione a essere arrabbiati: è francamente inaccettabile che la nonna di Fedez abbia ottenuto la prestazione a cui aveva diritto solo per l’intervento diretto di Chiara Ferragni, con il potere datole dal ruolo di influencer. Casi simili vengono segnalati un po’ ovunque, con cittadini esasperati che contattano i giornalisti e chiunque possa potenzialmente dar loro un consiglio.
Tornando alla metafora del pugilato, c’è chi ha ipotizzato che dall’angolo siano pronti a gettare la spugna: si è infatti parlato della possibilità di dimissioni di Attilio Fontana, che tuttavia pare orientato a resistere fino a quando potrà, ma il vero problema sta nella sua successione.
Letizia Moratti? L’idea era quella, come ormai tutti hanno capito, ma siccome anche lei sta rosolando a fuoco lento per via dei continui casi di disservizi, a Palazzo Lombardia si teme che l’attuale assessora al Welfare non voglia andare a immolarsi in una battaglia difficile da vincere: giusto 10 anni fa, da sindaca di Milano, venne punita oltre i suoi demeriti per via della “onda arancione” che si abbatté su Palazzo Marino, chiudendo bruscamente un ciclo. Pare improbabile che si offra come vittima sacrificale per un bis, a meno che non cambino le circostanze.
Oggi la situazione della Regione è simile a quella di Milano 2011, anche se sul fronte opposto per il momento non c’è un Giuliano Pisapia ad unire il variegato fronte della protesta.
Proprio sulla possibile spaccatura tra Pd e M5S si ripongono alcune delle speranze conservative del centrodestra, ma l’anticipazione di TPI sull’idea grillina di proporre Danilo Toninelli come leader per la Lombardia è stata accolta serenamente dai Dem: “Se davvero ci fosse un interlocutore chiaro e legittimato – spiega una fonte molto rilevante in seno al Pd lombardo – sarebbe più semplice discutere col Movimento e trovare una quadra: abbiamo tutti ben chiaro che l’obiettivo è sconfiggere le destre, sia a Milano dopo l’estate che in Lombardia nel 2023… o magari anche prima! Siamo consapevoli del fatto che si debba cominciare a lavorare e lo faremo, per trovare una soluzione condivisa”.
Perché questo percorso giunga a un esito felice, serviranno certamente i programmi, ma come sempre ci sarà il dilemma sulla scelta del candidato presidente: una figura molto caratterizzata politicamente, in rottura col passato, viene da sempre considerata una scelta azzardata, ma d’altra parte non è che i candidati più moderati siano mai riusciti a sedurre l’elettorato di centro o indeciso, anzi.
Al momento, nel centrosinistra c’è un’unica figura che possederebbe il perfetto phsyique du role: Beppe Sala. Ma, mentre in Lombardia si cerca uno sfidante pronto a impegnarsi nella battaglia della vita, il Sindaco di Milano è impegnato nella pre-campagna più strana di sempre, col deserto assoluto tra i suoi avversari. Una situazione davvero paradossale.
(da TPI)

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QUASI LA META’ DEGLI ITALIANI NON VUOLE VACCINARSI CON ASTRAZENECA

Aprile 10th, 2021 Riccardo Fucile

SONDAGGIO EMG: SOLO IL 35% E’ DISPONIBILE

Un sondaggio di Fabrizio Masia ad Agorà sonda quanta fiducia c’è ancora nel vaccino Astrazeneca dopo il nuovo pronunciamento di EMA e la raccomandazione affinché venga somministrato agli over 60
Alla domanda “Quando sarà il suo turno lei accetterà di vaccinarsi con Astrazeneca?” ben il 43% degli intervistati risponde negativamente, e un’altra fetta significativa, il 22% preferisce non rispondere. Solo il 35% degli italiani coinvolti nel sondaggio è favorevole a vaccinarsi con il prodotto anglo svedese
Di poco diversi i risultati di un sondaggio di Pagnoncelli a Dimartedì: ben il 44% degli italiani rifiutava l’idea di vaccinarsi con le dosi della casa farmaceutica interessata dalla sospensione poi revocata.
(da agenzie)

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