Aprile 11th, 2021 Riccardo Fucile
“UNA CHE NON RICONOSCE NEANCHE IL COLOSSEO NON PUO’ RICANDIDARSI SINDACA DI ROMA”
«Un errore che non farebbe neanche un bambino delle elementari», dice
Nobili. «Può una persona – che dopo 5 anni in cui è stata sindaca non riconosce nemmeno il Colosseo – ricandidarsi alla guida di Roma?» è la domanda retorica di Casu
A essersene accorto e ad aver denunciato la gaffe è stato il deputato di Italia viva Luciano Nobili.
In una clip ufficiale pubblicata sui canali social della sindaca di Roma Virginia Raggi per pubblicizzare la Ryder Cup di golf è stata usata l’Arena di Nimes al posto del Colosseo. «Nel video la sindaca, che ha privato Roma della grande opportunità e dei miliardi delle Olimpiadi 2024 – sottolinea Nobili -, ha la faccia di provare a intestarsi la Ryder Cup. E già questo farebbe abbastanza ridere. Invece – sono le parole del deputato – c’è da piangere. Perché in quel video prodotto dal Comune di Roma, al posto del Colosseo, c’è l’Arena di Nimes in Francia».
«Un errore che non farebbe neanche un bambino delle elementari – polemizza -. Il simbolo di Roma scambiato con un anfiteatro romano che abbellisce una cittadina del sud della Francia».
E conclude: «Resisti Roma, che è quasi finita».
Il Pd romano cavalca l’onda e sale a bordo della polemica: «Se non riconosce neanche il Colosseo – titola un post Facebook – non può pensare di ricandidarsi sindaca». «Può una persona che dopo 5 anni in cui è stata sindaca non riconosce nemmeno il Colosseo ricandidarsi alla guida di Roma? No – si legge nel post a firma del segretario del Pd di Roma Andrea Casu -. «Oggi sui Social di Virginia Raggi l’ennesimo esempio della follia che la Capitale sta vivendo. P.S. Tra l’altro la Ryder Cup si svolgerà a Guidonia».
(da Open)
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Aprile 11th, 2021 Riccardo Fucile
RITORNERA’ A GUIDARE LA GUARDIA COSTIERA DI AL-ZAWIJA NONOSTANTE UN MANDATO DI CATTURA INTERNAZIONALE E NESSUNO SAPRA’ MAI DEI SUOI CONTATTI CON I SERVIZI ITALIANI
In Libia se ne parlava già da qualche giorno, oggi è arrivata la conferma: Abd al-Rahman al-Milad, noto come Bija, è stato scagionato da ogni accusa dal procuratore generale di Tripoli ed è stato scarcerato; uscito da una prigione della capitale, sarebbe già rientrato ad Al-Zawija, la città nella quale per anni avrebbe gestito il traffico di uomini pur vestendo una divisa della Guardia costiera.
«Mancanza di prove», hanno detto le autorità libiche e, certo, come atto del nuovo governo di unità nazionale, il segnale fuori dal Paese africano non è dei migliori.
O forse è uno dei prezzi da pagare per ottenere la tanto agognata pacificazione del Paese. Bija era stato arrestato lo scorso ottobre perché ritenuto tra i trafficanti più pericolosi e feroci; fu bloccato da una milizia del governo di Tripoli poco fuori la capitale, a Janzour.
L’Onu e la Corte internazionale dell’Aja lo considerano uno dei maggiori organizzatori del traffico di migranti nella zona di Al-Zawija, a ovest di Tripoli, e per questo era stato spiccato un mandato di arresto internazionale nei suoi confronti.
E’ accusato di avere organizzato e gestito le connection houses dove rinchiudere i migranti per poi ammassarli sui pericolosi gommoni e far loro affrontare la traversata del Mediterraneo centrale, di fatto abbandonandoli al loro destino, compreso quello di lasciarli annegare.
Accusato di crimini contro i diritti umani, aveva continuato, indisturbato, a svolgere la sua lucrosa e spregiudicata attività, in un primo momento addirittura come ufficiale di una delle sezioni locali della cosiddetta Guardia costiera libica.
Ora, con la sua scarcerazione e il suo ritorno nella sua città, Bija potrebbe riprendere in mano tutti i suoi lucrosi affari che all’epoca comprendevano anche il traffico di petrolio. Secondo fonti locali, potrebbe essere riammesso nella Guardia costiera libica e addirittura promosso di grado. Media libici riferiscono di festeggiamenti al suo rientro a Zawija.
Il nome di Bija è diventato di pubblico dominio in Italia nel 2019, quando il quotidiano Avvenire svelò una missione in Italia di una delegazione libica, organizzata dall’Oim (l’Organizzazione per le migrazioni delle Nazioni Unite) e finanziato dall’Unione europea, alla quale partecipò lo stesso Bija.
La missione dei libici in Italia avvenne nel 2017: prima tappa il Cara di Mineo, ormai chiuso, poi Roma, con incontri alla Guardia costiera, alla Croce Rossa, al ministero della Giustizia e perfino a quello dell’Interno, secondo quanto successivamente raccontò lo stesso Bija.
Le rivelazioni del quotidiano della Cei furono «commentate» dallo stesso Bija che sui social minacciò di morte sia l’autore dell’articolo, Nello Scavo, che oggi vive sotto scorta, sia altri giornalisti che si erano occupati di lui.
Che poi sono gli stessi di cui si parla in questi giorni, tra coloro che sono stati intercettati dalla procura di Trapani nel 2017 nell’ambito dell’inchiesta sulla Ong tedesca Jugend Rettet e la loro nave Iuventa, pur non essendo indagati.
(da “La Stampa”)
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Aprile 11th, 2021 Riccardo Fucile
CONTE: “RAPPORTI VANNO CHIARITI DA CHI C’E’ DA TEMPO”
Una tensione sempre più alta all’interno e uno scontro pubblico fatto di botta
e risposta tramite agenzie stampa e interviste.
Continua il braccio di ferro tra l’associazione Rousseau e il Movimento 5 stelle. E, proprio al termine del weekend in cui Giuseppe Conte ha incontrato deputati e senatori per portare avanti il progetto di rifondazione del M5s, Davide Casaleggio ha rilasciato un’intervista a Lucia Annunziata a “In Mezz’ora” (Rai3) nella quale ha accusato duramente i parlamentari grillini.
Da una parte il leader, di fronte all’assemblea degli eletti di Montecitorio, si è limitato a dire che “aspetta che il M5s chiarisca con Rousseau” perché lui “è l’ultimo arrivato”: “I rapporti vanno chiariti da chi c’è da tempo”, e l’importante è che “l’attività politica sia gestita dal Movimento”.
Dall’altra Casaleggio non solo ha parlato dell’importanza che il sistema di partecipazione diretta sia “gestito da una figura terza” e che sia “indipendente dalla parte politica”, perché così, ha sottolineato, “volle anche mio padre”.
Ma alla domanda se ci si dovrà aspettare una rottura definitiva, ha ribattuto: “Penso che ci sia un grande dibattito su tante tematiche politiche come è giusto che ci sia. Altra questione è entrare nel merito delle regole, come per esempio mettere in difficoltà finanziaria Rousseau, per mettere sul tavolo il terzo mandato o le candidature dal basso, in sostanza per mettere in discussione le caratteristiche fondamentali del M5s. Spero che non sia così, ma a pensar male si fa peccato ma…, come diceva Andreotti”, ha detto.
Crimi: “Da Casaleggio frasi false, diffamatorie e misere”
Parole molto nette alle quali i vertici M5s, hanno deciso di replicare immediatamente, segno che ormai i rapporti sono ridotti ai minimi termini e che i tentativi di ricucire in privato sono ormai falliti. “Non mi sono mai prestato ad alimentare pubblicamente polemiche”, ha detto il capo reggente Vito Crimi parlando proprio all’assemblea dei deputati 5 stelle. “Ma ho appena appreso che Davide Casaleggio avrebbe detto che ci potrebbe essere stata una azione volontaria da parte del Movimento di mettere in difficoltà economica l’associazione Rousseau al fine di poter derogare al limite dei due mandati. Sto chiedendo di verificare se queste affermazioni sono state fatte davvero. Mi auguro di no perché sarebbero non solo false, ma diffamatorie e misere a fronte del fatto che i portavoce del Movimento 5 Stelle hanno versato oltre 3 milioni e mezzo di euro per la piattaforma Rousseau”.
Al tempo stesso però Crimi ha precisato: “Non c’è nessuna intenzione di andare per le vie legali con Rousseau… Il M5s è titolare degli iscritti e di tutto quello che ciò comporta, andremo avanti qualunque sia la piattaforma”. Difficile però immaginare, a questo punto, come sia possibile non dover finire in tribunale per risolvere la questione. Tanto che il capogruppo alla Camera Davide Crippa, sempre durante l’assemblea, non ha usato parole più morbide: “Ricordo a tutti che abbiamo 7 milioni e 400mila euro bloccati nel conto delle restituzioni da fare perché la piattaforma Rousseau non ci fa votare”.
Conte: “La gestione delle tematiche politiche deve restare in seno al Movimento” Conte dal canto suo ha cercato di scaricare la responsabilità sui vertici M5s e di evitare (o ritardare) lo strappo definitivo: “Aspetto che il Movimento 5 stelle chiarisca con Rousseau”, ha detto, “io sono l’ultimo arrivato e non posso intervenire in un rapporto consolidato negli anni, ma la democrazia digitale rimarrà al fondo del nuovo Movimento. È fondamentale garantire la modalità di partecipazione ad un ampio numero di partecipanti: la democrazia digitale presuppone assoluta trasparenza e chiarezza, criteri di accesso”.
Quindi ha lasciato uno spiraglio sul quale potrebbe essere possibile costruire un accordo: “Il voto online può essere demandato a una società esterna, ma tutto il resto deve essere gestito dal Movimento a cominciare dalla formazione”. Cioè Conte ha spiegato che ci sarà ancora il voto online degli iscritti, sempre tramite una piattaforma privata, ma la gestione delle tematiche politiche – sarebbe questo il succo del suo ragionamento – devono restare in seno al Movimento.
Casaleggio: “Anche mio padre pensava che fosse necessaria un’organizzazione indipendente per il voto”
Il nodo è cruciale per il M5s e per i suoi futuri iscritti che, proprio nell’ultimo mese, sono cresciuti di oltre 10mila unità: l’ex premier ha garantito già più volte che il Neo Movimento avrà tra le sue fondamenta la democrazia diretta, ma se l’associazione Rousseau insisterà nel chiedere il saldo economico degli arretrati (450mila euro) è impossibile che l’accordo avvenga con la stessa struttura.
E’ su questo punto che al momento non si è trovato una mediazione: Casaleggio e Rousseau hanno fissato il 22 aprile come data limite per i versamenti, i vertici M5s hanno fatto sapere di essere pronti a creare una propria piattaforma. Nessun passo avanti nelle trattative è stato fatto finora.
Ecco perché le parole di Davide Casaleggio, intervistato da Lucia Annunziata a “Mezz’ora in più” su Rai3, hanno molto peso in questa fase così difficile e complicata per i 5 stelle. Senza dimenticare che sono davvero rare le volte in cui il figlio del cofondatore accetta di intervenire in programmi televisivi o rilasciare interviste. E proprio sull’indipendenza dalla politica della piattaforma,
Casaleggio ha dichiarato: “Su questo aspetto abbiamo ragionato parecchio con mio padre, soprattutto negli ultimi anni: anche lui pensava che fosse necessario avere un’organizzazione indipendente, costituita da professionisti che potessero portare avanti la gestione complessa delle votazioni, dei dati ma anche indipendente dalla parte politica che è, per sua natura, in conflitto di interesse con qualunque domanda si voglia sottoporre agli iscritti. In realtà questo è stato proprio progettato e voluto in modo distinto rispetto alla parte politica”.
Secondo Davide Casaleggio è questo uno dei principi che dovrebbe essere ancora rispettato. In altre parole, il figlio del cofondatore del M5s ha bocciato l’ipotesi che il Movimento decida di mollare una struttura come Rousseau per affidarsi a una piattaforma dipendente direttamente dal Movimento.
Esattamente il piano che hanno in mente i vertici. “Mi riferisco”, ha specificato ancora, “alla parte di consultazione degli iscritti e non sto parlando dei quesiti, sui quali c’è stato un grande dibattito, ma sto parlando dell’organizzazione stessa che permette la consultazione degli iscritti. E’ ovvio che, per fare questo, ci deve essere una figura ‘terza’ che si fa garante rispetto alla parte politica”, ha detto.
“La natura stessa dell’associazione Rousseau, che io ho fondato insieme a mio padre, associazione senza scopo di lucro, non ha altra finalità se non quella di garantire la partecipazione digitale. Una delle accuse che sono state rivolte a mio padre era quella di volersi arricchire con questa iniziativa. In realtà lui ha sacrificato gran parte della sua vita, degli affetti, proprio per portare avanti l’idea del Movimento. Se avesse voluto arricchirsi avrebbe potuto accettare i 42 mln di euro che erano dovuti per il finanziamento pubblico dei partiti nel 2013, distribuire lauti stipendi e anche io avrei potuto percepirlo in questi 15 anni ma invece abbiamo deciso di farlo gratuitamente, come impegno civico”.
E proprio parlando di soldi, Casaleggio ha anche aggiunto: “Io non ho mai percepito stipendi, né all’interno dell’associazione Rousseau né in precedenza per il supporto che abbiamo fornito” al M5s e “nemmeno lo ha fatto mio padre. Questo è un aspetto, poi ci sono dei costi di gestione, delle persone che sono assunte e alle quali dobbiamo pagare lo stipendio”.
Casaleggio ha anche parlato del futuro del M5s. E alla domanda se si immagina che il Movimento diventi un partito tradizionale, ha replicato: “Io penso che non sia la direzione giusta pensare a un’organizzazione di questo tipo è pensare a un’organizzazione dell’altro secolo, una cosa che non è più di attualità. Forse oggi non sono più di attualità nemmeno i movimenti, per come sono stati strutturati 10 anni fa. Oggi si parla di una Platform Society, di un nuovo modo di interagire sulle singole battaglie per dare modo alle persone che voglio impegnarsi o voglio dare il proprio contributo civico”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Aprile 11th, 2021 Riccardo Fucile
“LUNEDI’ INVADIAMO MONTECITORIO CON 130 PULMANN”… SI TEME LA REPLICA DI SCONTRI CON LA POLIZIA FOMENTATI DAI SOLITI NOTI
La manifestazione organizzata sui social network dal movimento ‘Io Apro’ e in programma per domani, lunedì 12 aprile, davanti a Montecitorio contro le chiusure delle attività commerciali non è stata autorizzata dalla Questura di Roma.
Lo sottolinea in una nota la stessa Questura di Roma che precisa che “a differenza di quanto affermato e diffuso sui social, però, si segnala che, con formale provvedimento redatto dalla Questura di Roma in data 9 aprile, la piazza di Montecitorio è stata formalmente vietata per la giornata di domani ai rappresentanti del movimento ‘IoApro’, in quanto già concessa e, quindi occupata da un’altra manifestazione regolarmente preavvisata nei giorni precedenti, che si svolgerà nella stessa fascia oraria con la prevista partecipazione di 100 persone”.
Ma i promotori non si arrendono. E annunciano: “130 pullman partiranno da tutta Italia, invaderemo Montecitorio”.
Questi pullman sono confermati – viene aggiunto – Utilizzate anche auto e treni per spostarvi, nessuno può fermarvi per riconquistare i vostri diritti. Circonderemo il Parlamento in maniera pacifica e lì costringeremo ad uscire dal palazzo. 20.000 o 50.000 dipende da voi. Facciamo la storia insieme”. I manifestanti saranno prima al Pantheon, alle 14:30 e poi a Montecitorio.
Il tam tam di ristoratori e commercianti, era partito sui social subito dopo il 6 aprile, quando ristoratori, ambulanti e commercianti diedero vita a una giornata di tensione con scontri, tafferugli e lanci di lacrimogeni.
Tra loro alcuni senza mascherina, bandiere blu di Italexit, il movimento del senatore ex M5s Gianluigi Paragone, e un ristoratore modenese, vestito come Jake Angeli, l’appartenente al movimento Q-Anon che fece irruzione al Congresso Usa a Washington. In piazza pure i militanti di CasaPound, organizzazione di estrema destra
“Domani andremo lo stesso in piazza a supporto di un’altra ristoratrice che ha il permesso di manifestare a piazza Montecitorio.. Saremo assolutamente pacifici e non ci sarà alcuna volontà di scontro”
“Noi domani andremo comunque a Roma, non capiamo il motivo di questo stop. Manifestare è un diritto, la colpa di ciò che è successo l’ultima volta non è nostra”, aggiunge Antonio Alfieri, uno dei fondatori del gruppo ‘Io apro’
“Vogliamo riaprire in sicurezza già domani, noi siamo pronti. Non so se il governo vuole dialogare con noi, noi stiamo fallendo tutti – ha aggiunto – Ci hanno dato due lire per i ristori, le banche non ci finanziano perchè siamo catalogati come soggetti a rischio”
(da agenzie)
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Aprile 11th, 2021 Riccardo Fucile
CENTINAIA DI METRI DI FILA DAVANTI ALLA ONLUS “PANE QUOTIDIANO”
Una fila lunga centinaia di metri sul marciapiede di viale Toscana, a Milano: è
la scena che si ripete da mesi fuori dalla sede della onlus ‘Pane Quotidiano’, che distribuisce pasti ai bisognosi. Molte delle persone in coda fino a qualche mese fa lavoravano, ma ora si trovano in difficoltà. “Mi trovo in un dormitorio perché ho perso casa dopo che ho perso il lavoro con il Covid”, racconta a Fanpage.it una ragazza di 25 anni.
“Vengo qua per un aiuto in più. Attualmente non lavoro e mi trovo in un dormitorio perché ho perso casa dopo che ho perso il lavoro con il Covid. Dall’inizio della pandemia mi sono trovata piegata in questa situazione”. A parlare è una ragazza di 25 anni, che come tantissime altre persone è in coda il sabato mattina fuori dalla sede di “Pane Quotidiano”, la onlus che distribuisce ogni giorno migliaia di pasti a chi ne ha necessità.
Una fila lunga centinaia di metri sul marciapiede: questa la scena che si ripete ormai da mesi in viale Toscana, a Milano. Il serpentone di nuovi poveri si allunga sempre più man mano che il tempo passa e gli effetti della pandemia si fanno sentire.
“Da tre mesi a questa parte abbiamo avuto un aumento dei nostri ospiti, da 3.000-3.500 siamo passati a circa quattromila”, spiega Luigi Rossi, vicepresidente della onlus.
Un aumento tra il 10 e il 15 per cento in pochi mesi, spia di un disagio che cresce nel capoluogo lombardo. “Però purtroppo temo che il vero problema lo dovremo andare a monitorare questo autunno, quando ci sarà lo sblocco dei licenziamenti e termineranno gli ammortizzatori sociali”.
Pane Quotidiano si sostiene con le donazioni dei privati e delle aziende che regalano gli alimenti prodotti in eccedenza, con l’impegno quotidiano dei volontari. Nel sacchetto ci sono pane, latte, yogurt, pasta, sugo, formaggi, frutta e verdura e a volte anche dolci.
Tra le persone in coda molti milanesi che fino a qualche mese fa lavoravano e ora si trovano in difficoltà a pagare l’affitto, comprare i vestiti e anche da mangiare. “Non ho più niente e sono costretto a venire qua a chiedere un pezzo di pane”, spiega un uomo di 55 anni, “e non è roba per me”.
(da Fanpage)
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Aprile 11th, 2021 Riccardo Fucile
I BENETTON USCIREBBERO DALLA PORTA PER RIENTRARE DALLA FINESTRA
Nove mesi fa, 15 luglio 2020. Blog delle Stelle: “Gli italiani si riprendono le proprie autostrade”. Giuseppe Conte: “Ha vinto lo Stato, hanno vinto i cittadini”. Luigi Di Maio: “I Benetton non gestiranno più le nostre autostrade”. Alessandro Di Battista: “Non ricordo una famiglia di potenti presa a schiaffi come è stata presa a schiaffi la famiglia Benetton”.
Nove mesi dopo, 10 aprile 2021: le autostrade sono ancora in mano ai Benetton. Oggi come allora le vogliono sempre vendere, ma alla fine potrebbero cederle non alla cordata “statale” guidata da Cdp, ma alla Acs di Florentino Pérez. Spagnola. Quindi autostrade spagnole. Non autostrade in mano agli italiani. Conte: nessun commento. Di Maio: nulla. Di Battista: mutismo.
Qualcuno avvisi i 5 stelle e i fuoriusciti ancora più corsari che i festeggiamenti finali su Autostrade, quelli che contano, rischiano di farli altri.
Non attraverso una leva pubblica, ma attraverso quel mercato tanto vituperato, considerato l’agorà dei poteri forti.
Certo l’offerta della Cassa depositi e prestiti, insieme ai fondi Blackstone e Macquarie, è quella decisamente più credibile perché è vincolante, perché i soldi messi sul piatto da Pérez non sono di più o tanto di più, ma soprattutto perché la Cassa ha studiato ogni file di Autostrade prima di presentare un’offerta. Ma sul tavolo dei Benetton e degli altri soci di Atlantia (quest’ultimi ostili all’offerta di Cdp) l’offerta degli spagnoli comunque c’è. Con tanto di 10 miliardi.
Poi qualcuno avvisi i 5 stelle anche di un’altra cosa.
Pérez ha in mente una fusione: tra Abertis, la società delle autostrade spagnole, e Autostrade, non più per l’Italia ma con bandiera rosso-oro. Dentro Abertis c’è Atlantia, la società attraverso cui i Benetton controllano oggi Autostrade. Quindi i Benetton potrebbero vendere Autostrade a Acs.
Le autostrade italiane diventerebbero così spagnole, poi europee con la fusione tra Abertis e Autostrade. Dentro il nuovo polo ci sarebbe ancora Atlantia. Tradotto: i Benetton uscirebbero dalla porta e rientrerebbero dalla finestra. Da azionisti.
Se di maggioranza o di minoranza è un dettaglio di un dato più grande e certo: continueranno a incassare dalle macchine che andranno su e giù lungo le autostrade spagnole. E lungo quelle italiane. In mano loro. Non agli italiani.
Ps: alle 15.23, due ore dopo la pubblicazione di questo articolo, Di Battista ha rilasciato una dichiarazione all’Adnkronos per dire che per lui “resta solo la revoca e la nazionalizzazione di Autostrade l’unica soluzione” e che “i proprietari delle autostrade devono essere i cittadini”. Siamo felici di avere ricordato a Di Battista che esiste Autostrade e di averlo informato dell’offerta di Pérez. Pubblica già da due giorni.
(da “La Notizia”)
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Aprile 11th, 2021 Riccardo Fucile
DIETRO LA DIFFUSIONE DEL PROGETTO “RACCONTIAMO LA POLONIA AL MONDO”
Si chiama “Raccontiamo la Polonia al mondo” e, in sostanza, si tratta di una
campagna dello stato polacco per proporre una narrazione diversa della Polonia nel Novecento – in particolare per i fatti relativi alla Seconda guerra mondiale e al ruolo del paese rispetto al nazismo -.
Di questa iniziativa fanno parte una serie di pubbliredazionali – contenuti che un giornale decide di pubblicare ricevendo soldi in cambio – pubblicati sul numerose testate di altri paesi e promossi in patria come contributi espressamente richiesti dalle testate.
Sono almeno 110 i giornali nel mondo che hanno aderito all’iniziativa e, tra questi, figurano anche alcune testate italiane di spicco.
Le testate italiane che pubblicano a pagamento la propaganda nazionalista polacca
Ad avere aderito a questa iniziativa, che mira a fare revisionismo storico del Novecento promuovendo una narrazione diversa del ruolo della Polonia nel passato ma anche di quello che viene fatto nel presente, sono almeno quattro testate italiane – identificate nell’inchiesta di Valigia Blu che spiega la nascita e lo sviluppo “Raccontiamo la Polonia al mondo” -: Il Sole 24 Ore, Avvenire, La Stampa e Il Messaggero.
In particolare, Il Sole lo scorso 5 febbraio ha pubblicato un intervento di Andrzej Duda, presidente della Repubblica di Polonia ed esponente del partito conservatore nazionalista Diritto e Giustizia.
In fondo al pezzo – che vede il politico fare affermazioni molto diverse da quelle che solitamente gli sono proprie – si legge: “L’intervento del presidente della Repubblica di Polonia viene pubblicato in contemporanea con il mensile di opinione Wszystko Co Najważniejsze (Tutto quello che è più importante) nell’ambito del progetto “La decade dell’Europa centrale” realizzato con la Borsa dei Valori di Varsavia”.
Nel mondo sono più di un miliardo i lettori raggiunti
Questi i numeri, secondo gli organizzatori di quella che può definirsi a tutti gli effetti una vera e propria campagna geopolitica nel mondo. Varsavia, in sostanza, sta vendendo un mito al mondo.
Finora sono stati pubblicati nel mondo una serie di contributi e non sono solo i grandi giornali italiani ad aver concesso il proprio spazio a pagamento: abbiamo Washington Post e Chicago Tribune negli Stati Uniti, Sunday Express nel Regno Unito, Die Welt in Germania, Le Figaro e L’Opinion in Francia, Le Soir in Belgio e El Mundo in Spagna (solo per citarne alcuni).
Gli scopi di “Raccontiamo la Polonia al mondo”
Il progetto è stato lanciato nel settembre 2019 definendolo «la più grande iniziativa mai concepita per promuovere la narrazione polacca nel mondo». Da quando esiste, in sedici mesi, l’operazione di revisionismo storico e di propaganda politica si è ampliata in tutti i sensi: più testate hanno aderito, più autori sono stati coinvolti, più temi sono stati toccati e il budget a disposizione è aumentato.
Quello che non è mai cambiato sono le finalità: far sì che gli elettori polacchi vedano in questi articoli pubblicati da testate importanti in tutto il mondo come contributi voluti e richiesti spontaneamente da questi giornali al fine di dare valenza alla versione storica promossa dal partito che governa. Così facendo, ovviamente, si vanno ad influenzare anche le opinioni in merito all’estero, fornendo interpretazioni alternative non solo ad alcuni eventi storici relativi alla Polonia ma anche all’azione politica del governo in carica.
La sola analisi critica del progetto in questione è uscita sul giornale investigativo polacco Oko.press a settembre 2019 tramite la voce dello storico Piotr Osęk: «La storia della Polonia presentata da PiS al mondo occidentale è stata plasmata da rancore, risentimenti, vittimismo e compiacimento. E il tutto intriso con il grottesco pathos delle accademie scolastiche»
Perché i giornali del mondo narrano il “mito della Polonia”
Nell’articolo di Valigia Blu gli autori riportano di aver contattato in merito alla questione una serie di testate nel mondo e che solamente un paio hanno risposto. L’osservazione fatta è che tutti i giornali sembrano voler celare il più possibile questi contribuito, evitando di dar loro evidenza sui propri siti e – quando possibile – non far capire chiaramente che si tratta di contenuti pubblicati a pagamento. Solo Chicago Tribune e Die Welt hanno risposto per smentire che – da parte loro – ci sia interesse nel pubblicare questi contenuti al di là del denaro guadagnato. La collaborazione sarebbe sempre rimasta di carattere commerciale, quindi, e Die Welt ha anche voluto specificare che la redazione non è stata coinvolta.
A prescindere da queste dichiarazioni e ricordando che anche i quotidiani italiani sono coinvolti, rimane più che mai imperativo avere delle chiare risposte sul perché redazioni straniere diano spazio a contenuti del genere, voluti da un esecutivo autocratico e, per moltissimi versi, lontano dalla linea progressista europea, senza revisionarli in alcuno modo.
Anche e soprattutto perché molte delle testate nominate si definiscono liberali e europeiste, criticando anche aspramente l’esecutivo polacco.
(da agenzie)
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Aprile 11th, 2021 Riccardo Fucile
“PRODURREMO 300 MILIONI DI DOSI NEL 2021”
A Tubinga sperano che il mese buono sia quello di giugno: circa sei mesi dopo il via libera a Pfizer/Biontech, dalla città universitaria tedesca potrebbe arrivare il terzo vaccino a Rna messaggero contro il Covid, quello sviluppato dall’azienda di biotecnologie CureVac.
Il processo di approvazione da parte dell’Ema è già cominciato a febbraio: “Il candidato vaccino di CureVac, CVnCoV, è in una fase avanzata della sperimentazione clinica a seguito di ampi studi sulla sicurezza e sulla tollerabilità. Ci aspettiamo nuovi dati nel corso del secondo trimestre e li utilizzeremo come base per far avanzare il processo di approvazione del nostro vaccino che è già iniziato“, spiega a ilfattoquotidiano.it Franz-Werner Haas, amministratore delegato di CureVac.
Per l’Unione europea e l’Italia l’autorizzazione sarebbe una boccata d’ossigeno nella campagna di vaccinazione: il candidato vaccino tedesco utilizza la tecnologia dell’Rna messaggero come quelli Pfizer o Moderna, che finora hanno avuto altissime performance in termini di efficacia e creato meno grattacapi dal punto di vista della sicurezza.
Inoltre, come confermato dall’azienda, il vaccino di CureVac non utilizza mRna modificato chimicamente: i vantaggi sono l’impiego di un dosaggio inferiore e la possibilità di una conservazione a una temperatura di 5 gradi per almeno tre mesi. Un fattore che facilita notevolmente la gestione delle fasi di trasporto e stoccaggio.
DOSI, TEMPI E ACCORDI
“Prevediamo una produzione fino a 300 milioni di dosi nel 2021 e un miliardo di dosi il prossimo anno”, afferma Haas. L’accordo con la Commissione europea è già stato firmato, in Italia dovrebbero arrivare in totale quasi 30 milioni di dosi.
Il piano stilato a inizio marzo dal commissario all’emergenza Francesco Paolo Figliuolo ne prevede 7,3 già entro giugno: un obiettivo difficile da raggiungere, ma entro settembre è previsto l’arrivo complessivo di 14 milioni di dosi. Le altre 16 saranno a disposizioni, salvo intoppi, tra fine anno e il primo trimestre 2022.
Il fattore tempo, come sappiamo, è determinante: il piano vaccinale italiano all’origine prevedeva l’arrivo di 2 milioni di dosi del vaccino di CureVac già entro marzo.
Ora la speranza è riuscire a scongiurare ulteriori ritardi, dopo che già le altre aziende farmaceutiche hanno avuto seri problemi nell’approvvigionamento delle materie prime, nella produzione e infine nella consegna delle dosi.
“La fornitura delle materie prime è davvero una sfida perché le catene di approvvigionamento globali sono interrotte dalla pandemia”, ammette l’amministratore delegato dell’azienda di Tubinga. “Ad esempio – spiega Haas – a volte non è possibile ottenere l’attrezzatura o i materiali necessari per la produzione di vaccini, in quanto soggetti a divieti di esportazione. Il governo tedesco e la Commissione europea ne sono a conoscenza e si stanno impegnando per aiutarci“.
L’azienda tedesca ha già siglato accordi di collaborazione per la produzione del vaccino con Bayer e GlaxoSmithKline, ma anche con Fareva, Rentschler e Wacker: l’obiettivo è istituire una rete europea per la produzione delle dosi.
L’Unione europea dovrebbe anche essere la principale area di distribuzione del vaccino: “Oltre al fatto che la Germania è partner di CureVac – sottolinea Haas – abbiamo ricevuto fondi per lo sviluppo e la produzione del nostro vaccino, con un finanziamento di 252 milioni di euro dal governo tedesco. Abbiamo anche firmato un contratto con la Commissione europea per la fornitura di dosi di vaccino, che ci ha a sua volta fornito un sostegno finanziario per lo sviluppo del vaccino”.
“Senza questo finanziamento, non saremmo stati in grado di gestire gli investimenti associati allo sviluppo del vaccino”, ammette l’amministrato delegato di CureVac, che in passato aveva indicato proprio nella carenza di fondi la causa del “ritardo” rispetto a Pfizer/Biontech.
Inoltre, l’azienda sta sviluppando insieme a Tesla una “mini-fabbrica mobile e flessibile di m-Rna”, chiamata The RNA Printer®. Questa tecnologia consentirà alle stesse strutture sanitarie di produrre dosi di vaccino: “L’obiettivo è utilizzare The RNA Printer® in tutto il mondo, ad esempio direttamente sul luogo di un focolaio locale, per riuscire a riportarlo rapidamente sotto controllo. Allo stesso tempo, The RNA Printer® può anche implementare rapidamente le modifiche necessarie al vaccino a causa di eventuali varianti”, spiega Haas.
CHE TIPO DI VACCINO È? COME FUNZIONA?
CVnCoV, il candidato vaccino di CureVac, è come detto un vaccino a Rna messaggero: una tecnologia innovativa che consiste nell’utilizzare la sequenza del materiale genetico del coronavirus, ossia l’acido ribonucleico (Rna), che rappresenta il messaggero molecolare che contiene “le istruzioni” per costruire la proteina Spike del virus, contro la quale si vuole scatenare la reazione del sistema immunitario.
“La tecnologia Rna consente lo sviluppo di vaccini sicuri ed efficaci“, assicura Haas. La “rolling review” dell’Ema, come detto, è cominciata a febbraio, ma sull’efficacia del vaccino di CureVac ancora non esistono dati: “La sperimentazione clinica è ‘in doppio cieco‘ (sia i soggetti esaminati che gli sperimentatori ignorano le informazioni fondamentali, ndr) e quindi non sappiamo chi dei soggetti testati ha ricevuto un placebo o il nostro vaccino”. Per questo, spiega l’amministratore delegato, “non siamo ancora in grado di rilasciare alcuna dichiarazione sull’efficacia del vaccino”.
La grande differenza ad esempio con il vaccino Pfizer e Moderna sta invece nell’approccio tecnologico: “A differenza di altri, non utilizziamo alcun mRNA modificato chimicamente”, chiarisce Haas.
“Attraverso una ottimizzazione della sequenza la produzione di proteine può essere migliorata, così possiamo lavorare ad esempio con basse dosi di mRNA e generare comunque una risposta immunitaria equilibrata”.
In pratica, il vaccino contiene un dosaggio di Rna molto inferiore. Infine, il Ceo di CureVac assicura che l’azienda è già al lavoro anche sul contrasto alle varianti del Covid: “Stiamo conducendo studi in vitro mirati sulle varianti critiche per confermare l’efficacia del nostro attuale candidato vaccino. Recentemente siamo stati in grado di dimostrare nei test preclinici che è efficace contro la variante sudafricana“, afferma Haas. Che poi evidenzia un altro vantaggio della tecnologia a mRna: “Offre la flessibilità di adattare i futuri candidati vaccini alle varianti“.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Aprile 11th, 2021 Riccardo Fucile
META’ DEI PROF SENZA LA PRIMA DOSE
Per lo staff del Commissario Francesco Figliuolo si tratta di uno stop di poche
settimane. Dipende da regione a regione.
Di fatto potrebbe essere la fine del programma di vaccinazione dei docenti. La sera del 9 aprile il generale a capo del piano vaccinale ha firmato un’ordinanza che ridefinisce i criteri di priorità: prima gli anziani e tutti i soggetti fragili, poi tutti gli altri.
Fra chi scende nella classifica delle persone da vaccinare con più urgenza ci sono anche gli insegnanti per cui un fermo di qualche settimana vuol dire rimandare tutto alla fine dell’anno scolastico.
Una notizia che è stata accolta con parecchie critiche dal mondo della scuola, visto che proprio in questi giorni molti studenti stanno tornando a scuola, tanto che ora dovrebbero essere in presenza 8 studenti su 10, quasi un milione in più rispetto alla scorsa settimana, per un totale di 6,5 milioni.
Da lunedì 12 aprile torneranno in classe tutti i bambini degli asili, delle scuole elementare e l’87% delle scuole medie. Per le superiori è previsto il rientro del 38% degli studenti, con l’alternanza del 50 e del 70% nelle regioni in cui è previsto.
I sindacati protestano
Gli effetti dell’ordinanza di Figliuolo si definiranno nel concreto nelle prossime settimane. Domani i sindacati incontreranno il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi per chiarire cosa succederà ai docenti nel piano di vaccinazione. Dalle informazioni diffuse insieme all’ordinanza chi ha già fatto la prima dose dovrebbe poter fare anche la seconda senza problemi. Non è chiaro invece cosa succederà ai docenti che hanno già un appuntamento.
I dati: personale scolastico, insegnati e dosi ricevute
Il personale scolasticolo è composto da 1.493.334 persone. In base agli ultimi dati a disposizone il numero dei docenti è di 729.668. Di questi la maggior parte, oltre 600 mila sono donne. L’età media invece è oltre i 54 anni. Dall’inizio della campagna vaccinale a questa categoria sono arrivate 1.106.170 dosi. Secondo Orizzonte Scuola, ad aver completato il ciclo di vaccinazioni però solo una piccola parte di loro: parliamo di meno di 6 mila. In totale quindi ha ricevuto almeno una dose di vaccino il 56% del personale scolastico ed è stato completamente vaccino solo lo 0,87%.
I ritardi nella campagna vaccinale
A motivare la scelta di Figliuolo sono stati i ritardi nella campagna vaccinale per gli anziani. L’intenzione ben annunciata del Governo Conte II era quella di chiudere la prima fase della campagna vaccinale entro il mese di marzo e proteggere così gli anziani e le categorie più fragili. Non è andata esattamente così: solo il 38,8% degli over 80 ha ricevuto tutte e due e dosi di vaccino, completando così il ciclo di immunizzazione. Percentuale che si annulla se si guarda alla fascia tra i 70 e i 79 anni. Di questi solo il 2,5% è completamente vaccinato. Va meglio per gli ospiti delle Rsa: il 91,2% ha ricevuto almeno uno dose e il 75,5% ha completato il ciclo di immunizzazione. In tutto in Italia sono 12.820.510 le dosi somministrate. Sono state completamente vaccinate 3.882.469 persone.
I sindacati: «Per tornare a scuola in sicurezza servono le vaccinazioni»
«Se vogliamo riaprire la scuola in sicurezza è indispensabile che tutto il personale scolastico possa vaccinarsi», spiega Maddalena Gissi, segretario nazionale della Cisl scuola. L’accusa dei sindacati al governo Draghi è quella di essersi mossi troppo tardi, tanto da compromettere ora la ripartenza della didattica in presenza. Sulla stessa linea anche Antonello Giannelli, dell’Associazione nazionale dei presidi: «Fermare la campagna vaccinale per il personale scolastico è un provvedimento illogico. Siamo pronti a protestare con tutto il nostro dissenso: i docenti non sono dei privilegiati. Devono rientrare nelle categorie a rischio perché ogni giorno incontrano anche oltre 100 studenti diversi: possono diventare un facile veicolo di virus. Sarebbe assurdo non metterli in sicurezza».
(da agenzie)
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