Ottobre 11th, 2021 Riccardo Fucile
FDI 20,7% (-0,3%), LEGA 19,2% (-0,8%), PD 19% (+0,3%), M5S 16,9% (+1,1%), AZIONE 4,1% (+0,7%), MDP 2,6%, SINISTRA 2,4%, ITALIA VIVA 2,3%,VERDI 1,8%, + EUROPA 1,6%
Fratelli d’Italia si conferma il primo partito e ormai ha un margine abbastanza netto sulla Lega. I 5 stelle sono la forza che guadagna di più, mentre Azione compie un balzo, installandosi saldamente sopra la soglia di sbarramento del 3%.
Sono questi i numeri fondamentali contenuti dall’ultimo sondaggio di Swg per il Tg di La7. A una settimana dalle amministrative Giorgia Meloni si conferma leader della prima forza del Paese, nonostante un calo rispetto alla ultima rilevazione del 13 settembre: era al 21%, ora è al 20,7.
Il distacco dalla Lega, però, aumenta: il partito di Matteo Salvini, infatti, ha perso quasi un punto (0,8%) e adesso è al 19,2.
Guadagna tre decimi il Pd, che è la terza forza del Paese col 19%. Nell’ultimo mese, invece, i 5 stelle hanno guadagnato addirittura l’1,1% e oggi sfiorano i 17 punti percentuali.
Praticamente stabile Forza Italia, al 7,1, mentre la sovraesposizione mediatica di Carlo Calenda – candidato sindaco di Roma rimasto fuori dal ballottaggio – fa bene al suo partito: Azione, infatti, guadagna uno 0,7% ed è ormai al 4,1%.
Identico – rispetto all’ultima rilevazione – il risultato di Mdp Articolo 1, che è al 2,6: col 2,4 di Sinistra Italiana sarebbe sopra i 5 punti percentuali, e dunque supererebbe Azione.
Italia viva, invece, perde altri due decimi ed è ora al 2,3%, mentre i Verdi calano sotto i due punti percentuali. Idem + Europa, all’1,6%.
Da segnalare che il 40% degli intervistati non si esprime.
Per quanto riguarda il Green pass, invece, il 65% degli intervistati si dice favorevole all’obbligo per i lavori pubblici e privati, il 25% è contrario, il 10% non lo sa.
(da agenzie)
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Ottobre 11th, 2021 Riccardo Fucile
IN UN PAESE NORMALE, DOPO AVER INSINUATO TAGLI E MANOMISSIONI DA PARTE DEI GIORNALISTI, LA SIGNORA MELONI DOVREBBE RASSEGNARE LE DIMISSIONI
Le due video-inchieste pubblicate sul sito di FanPage e mandate in onda a
Piazza Pulita sono una sintesi aderente a quello che è il totale delle ore di filmato girate dal giornalista che ha lavorato sotto copertura.
Fonti della procura confermano così che non sarebbero stati fatti tagli o omissioni particolari nel lavoro di montaggio che ha portato alle versioni pubblicate.
Un elemento che smentisce l’ipotesi, sostenuta dai vertici di Fratelli d’Italia, che quanto mandato in onda fosse una versione travisata dei fatti.
All’indomani dell’inchiesta, Meloni aveva detto, per rinviare qualsiasi decisione sull’europarlamentare indagato Carlo Fidanza: “Prima voglio vedere tutto il girato, non giudico i miei dirigenti in base a un filmato montato da FanPage”.
I pm Giovanni Polizzi e Piero Basilone sono al lavoro nell’ambito dell’inchiesta, coordinata dal procuratore aggiunto Maurizio Romanelli, che punta a far luce sui sistemi di finanziamento del partito di Fratelli d’Italia e di eventuali sistemi di riciclaggio che passano per la cosiddetta galassia nera. Il fascicolo vede indagati l’europarlamentare Carlo Fidanza e il “barone nero” Jonghi Lavarini e le ipotesi di reato sono il finanziamento illecito e il riciclaggio.
Nelle immagini riprese con la telecamera nascosta, si vedono e si sentono i due parlare di finaziamenti in “black” e di “lavatrici”. Per cercare di ricostruire il quadro, i militari del nucleo di Polizia Economico Finanziaria della Guardia di Finanza di Milano stanno anche lavorando su documenti e dispostivi sequestrati nel corso delle perquisizioni a Jonghi Lavarini.
Nei giorni scorsi, una volta scoperta la copertura del giornalista che si presentava ai vertici milanesi di Fratelli d’Italia come un fantomatico finanziatore, il cronista ha subito anche una serie di minacce da parte di Jonghi Lavarini. “Dammi una spiegazione entro un’ora o ti vengo a cercare”. Aveva scritto così al giornalista infiltrato, dopo l’episodio della valigia in cui credeva ci fossero i soldi in nero dei quali lui si stava facendo tramite con importanti esponenti dei partiti di destra, ma dove aveva trovato solo dei libri. “Prima di emettere una mia sentenza e avviso pubblico nei tuoi confronti (ma poi devi lasciare Milano), attendo spiegazioni, di qualunque genere”, si legge in un’altra chat riportata da Fanpage e attribuita a Jonghi Lavarini. E in un’altra ancora: “Ho bloccato sei iniziative su nove, ora mi toccherà pagare personalmente le altre promesse. Oltre il danno, la beffa”.
(da agenzie)
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Ottobre 11th, 2021 Riccardo Fucile
FORZA NUOVA AGISCE PER CONTO DI SERVIZI STRANIERI CHE VOGLIONO DESTABILIZZARE L’ITALIA? VADA A RIFERIRE IN PROCURA SE NON HA NULLA DA NASCONDERE
L’assalto alla Cgil non è una parentesi, una fiammata di follia. Dopo le manifestazioni di solidarietà mandate a Landini difficilmente tornerà tutto a posto come prima, si tratta di uno spartiacque: o si sta di qua o di là.
In questi giorni le dichiarazioni di Giorgia Meloni prima dei fatti del 10 ottobre si sono mosse sempre sul filo dell’ambiguità.
Non c’è spazio in Fratelli d’Italia per nostalgie fasciste – ha detto sul Corriere della Sera -, ma poi va in Spagna a sostenere Vox, che della nostalgia franchista ha fatto la propria bandiera.
La Meloni si ostina a dichiararsi diversa e distante dai gruppuscoli NO Green Pass che hanno messo a fuoco e fiamme Roma, ma poi sostiene che certamente si tratta di squadrismo, ma la matrice non è chiara.
Dubito che Fiore e Castellino fossero dei passanti che casualmente quel pomeriggio si trovavano davanti alla sede della Cgil in Corso Italia per chiedere la tessera del sindacato. Sono fascisti, lo hanno sempre dichiarato e rivendicato, va dato a Cesare quel che è di Cesare.
Se dunque la matrice non è chiara, la Meloni ha il dovere di dire agli italiani cosa sa, quale pensa che sia la verità.
Pensa che ci sia di mezzo qualcun altro? E’ convinta che di mezzo ci siano anche apparati dello stato infedeli o servizi segreti stranieri?
Se ha informazioni di questo tipo, se pensa che Forza Nuova sia manovrata da qualche agente esterno alla pura e semplice dimensione politica, deve dirlo al Paese, prove alla mano però.
E poi recarsi alla magistratura a rivelare le fonti che le hanno insinuato questi dubbi atavici.
La storia italiana è troppo ricca di episodi opachi, di commistioni oscure tra pezzi dello stato ed eversione per continuare a reggere messaggi in codice non lineari, parole pronunciate a mezza bocca, distinzioni millimetriche per non scontentare nessuno.
Un parlamentare della Repubblica che dovesse avere informazioni diverse da quelle che ufficialmente sono emerse dalla fredda cronaca dei fatti e persino dall’azione conseguente della magistratura non può limitarsi a gettare il sasso nello stagno e nascondere la mano.
Ha il dovere di essere leale davanti all’opinione pubblica e trasparente nei confronti delle istituzioni.
Dunque, se la matrice non è fascista, devi dirci quale è la matrice secondo lei.
Altrimenti intende coprire qualcuno.
(da Huffingtonpost)
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Ottobre 11th, 2021 Riccardo Fucile
IL TESTIMONE HA CONFERMATO DURANTE L’INCIDENTE PROBATORIO QUANTO HA VISTO IN PIAZZA A VOGHERA
L’ex assessore comunale alla Sicurezza Massimo Adriatici avrebbe sparato a
Youns El Bossettaoui, “estraendo la pistola dopo essere caduto a terra”.
Lo aveva già dichiarato lo scorso luglio ai legali della famiglia della vittima, e ieri il testimone presente in piazza Meardi, a Voghera, la sera del 20 luglio scorso, lo ha confermato in incidente probatorio davanti a un giudice
Per il testimone, marocchino come la vittima e irregolare sul territorio italiano, il colpo non sarebbe partito accidentalmente durante la colluttazione tra il politico e il magrebino.
Era stato Adriatici subito dopo la sparatoria a spiegare che lo sparo era esploso dalla sua Beretta calibro 22 nel momento in cui era stato colpito ed era rovinato a terra a seguito dell’aggressione di Youns, in questo modo ammettendo di avere la pistola in mano, senza sicura e con il colpo in canna.
Il testimone aveva raccontato – in un documento depositato in procura – di essersi trovato prima dentro al bar Ligure insieme a Youns, poi a circa sei o sette metri dalla scena del crimine, quando entrambi erano fuori dal locale, dove si trovava anche Adriatici.
Ora quella ricostruzione è stata ribadita davanti al gip Maria Cristina Lapi. Il marocchino ascoltato ha anche mimato il gesto dell’ex assessore, cercando di replicare la dinamica da lui vista.
Dopo il suo esame, i legali dei famigliari di Youns, gli avvocati Debora Piazza e Marco Romagnoli, hanno chiesto l’aggravamento delle accuse per il leghista. “Chiederemo la modifica del capo d’imputazione da eccesso colposo di legittima difesa a omicidio volontario”, ha dichiarato l’avvocato Romagnoli.
Dopo i due testi sentiti ieri, l’incidente probatorio riprenderà il prossimo 6 dicembre quando una donna presente quella sera in piazza Meardi verrà sentita in videoconferenza dalla Romania.
(da agenzie)
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Ottobre 11th, 2021 Riccardo Fucile
LE NORME DI UN CONGRESSO SONO TUTTE DA SCRIVERE, SALVINI HA NOMINATO COMMISSARI, LA BASE NON E’ RAPPRESENTATA PERCHE’ NON HA VOTATO
Per quanto il fantasma del congresso sia stato evocato in questi giorni di crescente difficoltà per Matteo Salvini, la strada della Lega verso la sua prima riunione a livello nazionale è ancora lunga.
Innanzitutto perché si dovrà prima passare per i congressi locali, in un partito che è nato dalla personalizzazione di un vecchio apparato che ha in larga parte mantenuto.
E poi perché la composizione dell’assemblea che dovrà riconfermare o meno la leadership di Salvini non è ancora chiara, né si sa chi ne definirà le regole. Nemmeno all’interno del partito.
DUE LEGHE, UNA NUOVA LEGA
La Lega per Salvini premier (LSp) è stata fondata nel 2017 e per anni ha convissuto parallelamente all’indebitata Lega nord, della quale Salvini era stato rieletto segretario sempre nel 2017.
A differenza della vecchia Lega, che aveva fin dagli inizi una sede fisica, il nuovo partito è nato con un’ambiguità di fondo: per i primi anni il domicilio coincideva non con una sede reale, dove fare riunioni e incontri politici, ma con lo studio di un commercialista di Milano, poi condannato di recente nell’inchiesta sui fondi regionali dirottati a società private appartenenti ai contabili del partito di Salvini.
Dopo il congresso nazionale della Lega nord a dicembre 2019, la LSp è diventata attiva su tutto il territorio nazionale. Formalmente la Lega nord esiste ancora, ma è ormai rimasta solo uno scheletro, una struttura cui Salvini ha imposto un commissario, da tenere in vita perché in debito di 49 milioni con lo stato italiano.
Nel 2017, infatti, il tribunale di Genova ha condannato Umberto Bossi, fondatore della Lega nord, e Francesco Belsito, ex tesoriere del partito, per truffa ai danni dello stato, a seguito di un’indagine sull’uso dei rimborsi elettorali per spese personali.
I procedimenti contro Bossi e Belsito sono poi finiti in prescrizione, ma il tribunale di Genova aveva comunque chiesto la confisca di 49 milioni dalle casse del partito, come risarcimento per l’uso personale dei rimborsi. Al nord gli apparati e la maggior parte degli iscritti sono passati al nuovo partito: una modifica allo statuto adottata nel 2019 permette ai militanti della Lega nord il doppio tesseramento.
Lo stesso statuto permette di cedere a partiti o movimenti «affini» il simbolo con Alberto da Giussano (anche se il suo utilizzo da parte di LSp è stato contestato da due ex dirigenti, Gianni Fava e Gianluca Pini). Diversi membri della dirigenza di quello che resta della Lega nord, come Giulio Centemero, Roberto Calderoli e Lorenzo Fontana, hanno anche ruoli di rilievo all’interno della Lega per Salvini premier.
LA STRUTTURA DI LSP
Dal punto di vista dell’organizzazione politica lo statuto della Lega per Salvini premier, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale prima nel 2017 e poi nel 2018, quando il partito ha spostato la sua sede legale dal via delle Stelline a via Bellerio, ricalca sostanzialmente quello della Lega nord del 2015.
Come la Lega nord, anche LSp si definisce un «movimento politico confederale». Nonostante la metamorfosi da movimento indipendentista a partito nazionale, mantiene una struttura interna simile, per quanto “epurata” nel linguaggio: al posto di essere formata da varie «nazioni», la Lega per Salvini premier chiama le proprie sezioni regionali «articolazioni territoriali».
E, soprattutto, le ex «nazioni» sono passate da 13 (Alto Adige, Emilia, Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Lombardia, Marche e Piemonte, Romagna, Toscana, Trentino, Umbria, Valle d’Aosta e Veneto), a 22, andando a comprendere tutte le altre regioni della penisola.
Per il resto, però, la struttura interna è rimasta in larga parte analoga. C’è un organo rappresentativo degli iscritti, il consiglio federale: da statuto, è responsabile delle modifiche ai regolamenti e della scelta dei candidati per le liste. Ma soprattutto dovrebbe stabilire il numero di delegati che votano al congresso, da suddividere poi fra le varie sezioni regionali.
Il consiglio può tuttavia scegliere di affidare questi compiti ad altri organi interni al partito e di nominare tra i propri membri un comitato esecutivo (del quale fa parte di diritto il responsabile federale organizzativo e del territorio).
Cosa succederà nel caso di un congresso della Lega per Salvini premier sembra non essere chiaro nemmeno alla dirigenza del partito. «Non so se sarà il consiglio a occuparsene o se affiderà il compito a un comitato esecutivo più ristretto», dice una fonte autorevole interna alla Lega.
Da statuto, il consiglio è composto dal segretario federale, cioè Matteo Salvini, dall’amministratore federale, il tesoriere Giulio Centemero, che ricopre lo stesso ruolo anche per la Lega nord, dal responsabile federale organizzativo e del territorio, cioè il vicepresidente del Senato Roberto Calderoli, dai segretari delle articolazioni territoriali regionali che abbiano almeno 50 soci militanti e da 22 membri eletti dal congresso federale assegnati alle articolazioni territoriali regionali «seguendo le modalità previste da apposita norma regolamentare».
Attualmente nel consiglio siedono i commissari regionali nominati da Salvini. A oggi, infatti, gli apparati regionali della LSp sono in mano a commissari o coordinatori pro tempore perché dalla sua nascita il partito non ha ancora celebrato congressi regionali. Deve essere il segretario ad autorizzarli e Salvini ha detto che lo farà dopo le amministrative.
Per ora, quindi, fanno le veci dei segretari i commissari scelti da Salvini. Come Alberto Stefani, nominato a dicembre 2020 commissario della Liga veneta per Salvini premier, in sostituzione del vicesegretario federale, Lorenzo Fontana.
La nomina di Stefani, vicino all’ex sindaco di Padova Massimo Bitonci e a Fontana, è stata vista come un tentativo da parte del leader di mantenere il controllo nella terra di uno dei suoi principali rivali, Luca Zaia. Nella stessa occasione Salvini ha nominato commissari anche per altre regioni dove è più forte l’anima della vecchia Lega nord: Trentino, Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia.
Ci sono state poi le nomina di Claudio Durigon nel Lazio e di Roberto Marti al posto del deputato abruzzese Luigi D’Eramo in Puglia. Da gennaio del 2020 Marti è anche stato nominato commissario per la Basilicata, mentre D’Eramo è diventato segretario in Abruzzo.
Il valzer delle nomine in questi anni non si è limitato ai passaggi di regione: c’è chi, come Jacopo Morrone in Romagna, era segretario della Lega nord prima di diventarlo di LSp. O chi, come Marialice Boldi, era stata nominata da Salvini commissario della Lega nord valdostana prima di diventare segretaria regionale della Lega per Salvini premier.
In primavera è diventato commissario della Lega lombarda Fabrizio Cecchetti, mentre coordinano il partito in Piemonte e Liguria gli onorevoli Riccardo Molinari e Edoardo Rixi. Ci sono poi il veneto Andrea Ostellari per l’Emilia, Mario Lolini in Toscana, Virginio Caparvi in Umbria, Jari Colla in Molise, Valentino Grant in Campania, Francesco Saccomanno in Calabria, Nino Minardo in Sicilia ed Eugenio Zoffilli in Sardegna.
Ma se Salvini, come ha promesso, autorizzerà i congressi regionali dopo le amministrative, entreranno nel consiglio federale i nuovi segretari (che potrebbero essere diversi dagli attuali commissari). Non ci sono invece attualmente, né ci saranno prima di una riunione nazionale, i membri del consiglio eletti perché LSp non ha ancora tenuto un congresso.
Sempre per lo stesso motivo, non è ancora esplicitato né da statuto né da regolamento con quali criteri verranno ripartiti i voti dei membri eletti al consiglio fra le varie articolazioni territoriali.
I DELEGATI AL CONGRESSO
Questa stessa incognita si ripete anche per quanto riguarda il numero di delegati che saranno inviati al congresso dalle varie regioni. In entrambi i casi la mancanza di una norma nello statuto di LSp dipende da un semplice fatto: sono regole che vengono stabilite in vista di un congresso nazionale e la Lega per Salvini premier non ha mai tenuto un congresso.
Non è chiaro in questo momento come i delegati espressi dalle segreterie regionali saranno suddivisi fra le varie articolazioni territoriali, né quanti saranno. Diventa quindi complicato prevedere gli scenari di un possibile congresso nazionale, anche perché difficilmente potrebbe essere celebrato prima dei congressi provinciali e regionali che i leghisti sul territorio chiedono da tempo e che, come dicono dalla Lega piemontese e da quella ligure, hanno subìto ritardi per via dell’emergenza sanitaria.
Da statuto, però, sono indicate una serie di figure che di diritto possono votare al congresso per l’elezione del segretario federale.
Sono «i membri del consiglio federale, i segretari provinciali per le articolazioni territoriali con più di 50 soci ordinari militanti, i parlamentari, i consiglieri regionali, i presidenti di provincia e i sindaci di capoluoghi di provincia o delle aree metropolitane, purché in regola con le norme sul tesseramento dei soci».
Ci sarebbero quindi i 22 segretari regionali (che, come spiegano, a oggi sono tutti commissari ma potrebbero cambiare dopo i congressi locali), poco più di un centinaio di segretari provinciali e i parlamentari leghisti, i 133 deputati della Lega alla Camera e i 64 senatori, oltre che i 24 europarlamentari. A questi si aggiungono sette presidenti di provincia, oltre duecento consiglieri regionali e 14 sindaci.
I SEGRETARI PROVINCIALI
Nell’ottica di un possibile congresso, i segretari regionali sono figure chiave, che non solo hanno diritto di voto, ma sono anche membri di diritto del consiglio federale.
Finora le nomine dei commissari e coordinatori regionali sono state importanti per Salvini, perché gli hanno permesso di controllare direttamente un partito che è strutturalmente organizzato come una federazione. Ma prendendo per buona l’ipotesi di un imminente congresso bisogna guardare soprattutto ai numeri.
E se non c’è ancora modo di calcolare quanti potrebbero essere i delegati delle varie regioni, si può iniziare a fare i conti sui segretari provinciali.
Le sezioni provinciali corrispondono perlopiù ai territori delle singole province italiane, anche se lo statuto prevede la possibilità di organizzarle con altri criteri. In Lombardia, ad esempio, al momento le sezioni provinciali sono 16: oltre a quelle delle 12 province della regione, ci sono anche le sezioni di Crema, della Martesana, della Vallecamonica e del Ticino.
In questa fase i referenti provinciali non sono eletti, ma sono commissari, espressione diretta dei coordinatori regionali.
Attualmente quelli con diritto di voto per l’elezione del segretario sono 106. Di questi 47 sarebbero provenienti dalle regioni del centro e del sud dove, prima di diventare un partito nazionale, la Lega non esisteva.
Delegati, quindi, che anche dopo i congressi locali dovrebbero essere più inclini a rimanere fedeli a Salvini rispetto a quelli di sezioni dove esisteva una forte presenza della vecchia Lega.
Tuttavia anche tra i “fedelissimi” si iniziano a intravvedere malumori o insofferenze per la mancanza di autonomia a livello locale.
È il caso della Calabria, dove ad agosto trecento fra militanti, iscritti e aderenti alla Lega hanno sottoscritto la lettera di uno dei fondatori del partito calabrese, Bernardo Spadafora, che lamentava l’avvicendamento dei diversi commissari regionali.
GLI ALTRI DELEGATI
Uno dei blocchi di voti più significativi, che rimarrà invariato se si arriverà al congresso senza scioglimento delle camere, è quello dei parlamentari eletti alle politiche del 2018 e alle europee del 2019: sono 133 deputati, 64 senatori e 24 europarlamentari, per un totale di 221. Qui i numeri sono decisamente sbilanciati verso il nord, con la Lombardia che da sola conta 45 deputati e 18 senatori.
L’altro grosso blocco è quello dei consiglieri regionali, più di duecento, più della metà del nord, provenienti da Valle d’Aosta, Piemonte, Liguria, Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Veneto e Lombardia. Quest’ultima ha la delegazione più consistente, con 32 consiglieri.
Al momento sono 14 i sindaci leghisti che avrebbero diritto di voto nel congresso nazionale: fra di loro c’è il sindaco di Ferrara, Alan Fabbri, che è entrato in contrasto con Salvini sul tema dell’accoglienza, il sindaco di Treviso, Mario Conte, gli ex An Leonardo Latini e Michele Conti, di Terni e Pisa. E anche Alessandro Canelli, sindaco di Novara, Pietro Fontanini di Udine, Fabrizio Fracassi di Pavia, Francesco Persiani di Massa, Sara Casanova di Lodi, Claudio Corradino di Biella, Gianfranco Cuttica di Revigliasca di Alessandria e Sandro Parcaroli di Macerata.
(da Editoriale Domani)
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Ottobre 11th, 2021 Riccardo Fucile
APERTE DUE INCHIESTE SULLE VIOLENZE DI ROMA
La Procura di Roma ha aperto due fascicoli sugli scontri avvenuti sabato nel
corso delle manifestazioni No Green pass.
I pm hanno diviso in due “livelli” l’azione di indagine: il primo riguarda sei arrestati, ritenuti promotori della rivolta, con l’irruzione nella sede della Cgil, tra cui Roberto Fiore e Giuliano Castellino di Forza Nuova, l’ex Nar Luigi Aronica, l’attivista Pamela Testa e il leader del movimento IoApro, Biagio Passaro.
I magistrati contestano, al momento, i reati di istigazione a delinquere, devastazione e saccheggio. I pm nel chiedere la convalida dell’arresto valuteranno ulteriori aggravanti.
Gli accertamenti sono affidati al gruppo di magistrati che si occupa dei delitti contro personalità dello Stato, coordinati dal procuratore Michele Prestipino.
Il secondo fascicolo riguarda gli altri sei arrestati, per i quali è già stata chiesta la convalida: a loro si contestano, a seconda delle posizioni, i reati di resistenza, lesioni a pubblico ufficiale e lesioni aggravati.
(da agenzie)
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Ottobre 11th, 2021 Riccardo Fucile
IL QUOTIDIANO DELLA CITY LODA IL PICCOLO MIRACOLO ECONOMICO ITALIANO
Il Financial Times online ha scritto che “l’Italia, primo paese europeo ad essere colpito dalla pandemia, sta ora cambiando marcia” nella fase della ripresa “dopo un diffuso programma di vaccinazione, robusti investimenti e esportazioni in crescita”.
“La crescita economica in Italia ha avuto il più grande miglioramento di qualsiasi altro paese del G7 negli ultimi cinque mesi”, ha precisato il Ft, citando uno studio del Consensus Economics. Si tratta di “un cambiamento marcato per un Paese che ha sofferto anni di stagnazione economica, trascinando il tenore di vita al di sotto della media Ue” e che secondo economisti potrebbe essere l’inizio di “cambiamenti più duraturi, con l’avvio di un ambizioso programma di riforme finanziate dall’Ue e della spesa pubblica”.
Il miracolo economico è stato possibile, secondo il quotidiano della City, grazie a un robusto programma di vaccinazione e all’introduzione del green pass che ha portato l’Italia ad avere “la seconda più grande” percentuale di persone tra i paesi del G7 che hanno completato il ciclo vaccinale. Il che ha consentito “la riapertura delle attività”, ed un aumento dei consumi delle famiglie, pari al 5,5% nel secondo trimestre. Anche gli investimenti sono “in forte espansione”, scrive il Ft, citando Emma Marcegaglia, mentre l’export di merci italiane è “cresciuto del 4% rispetto allo stesso periodo del 2019″.
Secondo gli analisti, l’Italia, infatti è “meno colpita rispetto ad alcuni paesi dall’interruzione della catena di approvvigionamento grazie a una minore dipendenza dalle importazioni di semiconduttori”. “La transizione verde e digitale – si legge ancora – potrebbe continuare a un ritmo molto più rapido” se “le riforme e gli obiettivi” contenuti nel piano di ripresa e resilienza da 205 miliardi Next Generation Eu, “saranno raggiunti”.
(da agenzie)
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Ottobre 11th, 2021 Riccardo Fucile
SUI SUOI PROFILI FOTO DI SALUTI ROMANI E SLOGAN
È stato appena eletto con la Lega in Consiglio a Milano e, sui social network,
non ha mai nascosto di simpatizzare per Forza Nuova e CasaPound.
Sui profili di Luigi Bragonzi, oltre agli slogan dei due movimenti di estrema destra, appaiono diverse foto di saluti romani.
Venerdì scorso, alla vigilia della protesta sfociata nelle violenze di Roma, Bragonzi ha pubblicato un post su Facebook: «Quando le cose non vanno come previsto, passare dal Green pass al manganello è un attimo. Dite di no? Ne riparliamo sabato in manifestazione…», ha scritto.
Subito dopo la manifestazione, un nuovo messaggio: «E anche oggi a Milano e a Roma ci si è battuti in difesa dei diritti dei cittadini, vaccinati e non!!!».
La campagna elettorale e l’arrivo in Comune
Nel giro di qualche ora la privacy del profilo Facebook è stata ristretta alla cerchia degli amici: nessun post di quelli citati è più visibile.
Ma, come raccontato da Fanpage.it, sulla pagina era possibile trovare foto di esponenti di Forza Nuova intenti a fare il saluto romano e slogan dello stesso movimento e di CasaPound, quali “italiani si nasce e non si diventa” e “difendi Milano“.
Bragonzi alle ultime Comunali è stato eletto consigliere nel Municipio 2 con 118 voti. Nonostante la sconfitta del centrodestra Bragonzi siederà dunque nel consiglio di zona: per la sua campagna elettorale ha ringraziato, tra gli altri, anche Silvia Sardone, l’europarlamentare il cui nome è finito nell’inchiesta sulla Lobby nera.
(da Open)
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Ottobre 11th, 2021 Riccardo Fucile
L’AMBIGUITA’ DEGLI ALLEATI MODERATI DEL DESTRA-CENTRO
Il problema è che l’ambiguità la aiuta a vivere, proliferare, persino arrivare ad un passo dal governo del paese. È questo che fa dell’ultradestra italiana un caso a parte in tutta Europa.
Parliamo innanzitutto dell’ambiguità degli alleati ‘moderati’ del centrodestra, così concentrati a tenere insieme la coalizione da non accorgersi che nel frattempo si è trasformata in un ‘destra-centro’, dove è l’idea più estrema a dettare la linea.
E così succede che dal ‘destra-centro’ unito ancora non arrivi una condanna dell’assalto di sabato scorso alla sede nazionale della Cgil come un assalto di matrice ‘fascista’, per dire.
In altri paesi d’Europa non succederebbe, benché tutti i paesi dell’Unione stiano conoscendo ormai da anni l’insorgenza di vecchi e nuovi movimenti e partiti di estrema destra.
Il problema è europeo, certo. E ha anche molto senso pensare che a livello europeo la competizione a destra sia stata risolta integrando nei sistemi democratici idee proprie dalla destra. Succede per esempio sull’immigrazione: in questo campo, la destra ha fatto scuola, la politica cosiddetta moderata ha praticamente fatto proprie le politiche della destra. Come per esempio la costruzione di muri ai confini esterni: ormai lo chiedono ben 12 paesi europei, tra cui persino la ‘civile’ Danimarca, e Bruxelles fa solo notare che non ci sono soldi, ma se vogliono prego, facciano pure con fondi nazionali.
Ma il successo della destra in quanto tale, nel suo solito brodo di cultura fascista che non è solo storia d’Italia ma anche presente, è cosa italiana. In Germania, quando l’anno scorso un pezzo della Cdu si è azzardato a fare accordi con l’ultradestra di ‘Alternative für Deutschland’ in Turingia, sono saltate diverse teste nel partito. A partire dalla guida, l’allora ‘delfina’ di Angela Merkel, Annegret Kramp-Karrenbauer. Per lei, carriera finita: prima del ‘fattaccio’, Akk era avviata a raccogliere il testimone della cancelliera, come candidata alle elezioni dello scorso 26 settembre. Invece l’ha pagata, eppure non era nemmeno direttamente responsabile dell’accordo, opera di esponenti locali della Cdu.
Insomma, almeno durante l’era Merkel certe ‘tentazioni’ non sono mai state permesse. L’Afd, pur forte nelle urne negli anni passati, ha continuato a restare isolata rispetto al centrodestra, di fatto trattata da ‘appestata’ dalla maggior parte dei suoi esponenti. A marzo 2020, l’Ufficio federale per la protezione della Costituzione (BfV) ha classificato la fazione ‘Der Flügel’, interna all’Afd, come ’un’organizzazione estremista di destra avversa all’ordine di base liberal democratico perciò non compatibile con la legge fondamentale della Repubblica Federale di Germania” e quindi attualmente posta sotto sorveglianza dell’intelligence. Nell’articolo 21 della Costituzione, la Germania ha piazzato una norma proibitiva contro i partiti anti-sistema, usata contro nazisti e comunisti negli anni ’50.
La Francia ha anticorpi politici. Alle presidenziali dell’anno prossimo, Marine Le Pen proverà ancora a piazzarsi al ballottaggio e a vincere contro l’avversario moderato chiunque sarà, ma il sistema dovrebbe garantire la sua estromissione dall’Eliseo. Finora è sempre andata così, come insegna la storica sfida a destra tra Jacques Chirac e il padre di Marine, Jean Marie Le Pen. Certo, un sistema del genere non assicura al cento per cento che le forze estremiste non prendano il potere: dipende dai voti, appunto. Ma in Francia il Rassemblement National è altra cosa rispetto ai Répubblicains, nessuna cinghia di trasmissione li collega, la distanza è tanto siderale da risultare quasi agli opposti del panorama politico.
La Spagna forse ha minori anticorpi. Ma anche lì, quand’anche i neo-franchisti di Vox, che ieri hanno ospitato e omaggiato Giorgia Meloni, diventassero alleati di governo del Partido Popular, lo sarebbero da partner di minoranza. Al contrario di quanto è (o era?) nei piani di Meloni o di Salvini rispetto alla debole, ma non per questo non responsabile, Forza Italia.
Per avere esempi di destra estrema di governo, bisogna andare nell’est Europa, come si sa. A partire dall’Ungheria di Viktor Orban, che pure è stato trattato con tanta ambiguità dai moderati del Ppe quando era nella famiglia popolare, coccolato nella loro grande cerchia europea, fino a quando le pressioni dei partiti del centrodestra del nord hanno vinto sulle reticenze del sud e il leader di Fidesz è finito fuori. Non a caso, ora Orban è punto di riferimento semi-esclusivo di Matteo Salvini e Giorgia Meloni. E indirettamente – qui sta il punto – anche di Forza Italia, per via di quella proprietà transitiva che in politica fissa le alleanze e anche le amicizie imbarazzanti.
Ci sono i polacchi del Pis, partito guida dei Conservatori e Riformisti europei di cui Meloni è presidente. Finora, l’Ecr non ha commento lo scandalo Fidanza, l’europarlamentare di Fratelli d’Italia ripreso in un’inchiesta di Fanpage a parlare di finanziamenti in nero, in compagnia non di nostalgici del fascismo, ma di gente orgogliosa di quel pezzo di storia d’Italia. Ma certo i polacchi che hanno appena sfidato Bruxelles con una sentenza della Corte Costituzionale che si erge al di sopra del diritto europeo non possono scagliare la prima pietra. Persino in Polonia però una grande manifestazione democratica ed europeista ha risposto alla provocazione ieri, piazza convocata dall’ex presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk, che pure non può dirsi innocente per come ha gestito la presenza scomoda di Orban nel Ppe negli anni scorsi.
L’Austria ha provato un governo di centrodestra, con l’ultradestra dell’Fpo in un ruolo dominante. Il cancelliere era Sebastian Kurz, moderato ma mica tanto, da farsi influenzare dagli alleati estremisti. Finì tutto con lo scandalo di Ibiza, sui contatti tra Fpo e Russia. Kurz ha fatto un altro governo con i Verdi, ora si è dimesso per un scandalo di corruzione molto pesante (accusato di aver usato di fondi statali per sondaggi politici).
Si diceva della Danimarca, a proposito dei muri anti-immigrati. Anche questa vecchia socialdemocrazia europea ha i suoi problemi con l’insorgenza della destra estrema: il Partito Popolare Danese, alleato di Salvini alle europee del 2019, grande successo alle politiche del 2015 quando si affermò come secondo partito con il 21,1 per cento delle presenze con 37 seggi in Parlamento, flop 4 anni dopo quando perse 21 seggi e quasi due terzi dei voti. Anche lì nessuno l’ha vezzeggiata: gli altri partiti ne hanno sussunto le politiche sui migranti. Più o meno grave che sia, a seconda di come la si voglia vedere, nemmeno lì c’è la connivenza politica tipica dell’Italia.
È questa l’anomalia italiana nell’emergenza estremista europea. Un’anomalia che la rende più insidiosa rispetto agli altri movimenti e partiti nazionalisti del continente. Tanto che, non a caso, la marea sovranista di tutti i paesi Ue trova i suoi punti di riferimento proprio in Italia. Prima, Salvini, acclamato come leader da tutta l’Europa ‘nera’ a ridosso delle europee 2019, non più da quando appoggia il governo Draghi. Ora, Meloni, alla guida dei Conservatori e Riformisti, che finora ha conquistato anche le copertine di eminenti magazine stranieri come nuovo ‘fenomeno’ della politica, in più donna, roba che oggigiorno è capace di cancellare qualunque macchia. Finora. Da sabato scorso non più? Dipende da quanto i ‘nuovi’ fascisti finiranno isolati. Nel ventennio, anche Giolitti si era messo in testa di inglobarli per educarli. Finì male.
(da Huffingtonpost)
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