Novembre 10th, 2021 Riccardo Fucile
DAI RITARDI SULLA MANOVRA AI RINVII SULLA CONCORRENZA: LA SPINTA PROPULSIVA SI E’ ATTENUATA
Non è una novità, da che mondo è mondo, che la manovra economica sia uno dei parti più travagliati che, di anno in anno, si riproduce uguale a se stesso.
Ma proprio quello che non è una novità per governi ordinari, segnala una “notizia”, e con essa una anomalia, per un governo di emergenza come quello Draghi, nato all’insegna del decisionismo.
E se è vero che i primi segni di appannamento si sono visti sin dall’inizio del semestre bianco, contraddistinto da una prevalenza dell’elemento politico e partitico del governo rispetto alla capacità di autonomia del premier, le ultime settimane segnalano che il passaggio dalla trattativa al più classico dei rischi di palude può essere assai breve, anche per i migliori.
In altri tempi si sarebbe registrata assai meno indulgenza da parte degli attori in campo verso una manovra approvata formalmente lo scorso 28 ottobre, scomparsa dai radar anche dei ministri per una quindicina di giorni e ricomparsa con 219 articoli rispetto ai 185 di quando è stata licenziata dal cdm.
E che approderà in Parlamento, fanno sapere, entro venerdì. Ovvero in ritardo di oltre venti giorni rispetto al termine previsto del 20 ottobre.
Non una questione formale, ma sostanziale che attiene alla compressione dei tempi di discussione e approfondimento da parte delle Camere, argomento su cui non è assolutamente fuori luogo la richiesta di Giorgia Meloni rivolta ai presidenti delle Camere, di “difendere le prerogative del Parlamento”.
Lo avrebbe chiesto, come lo chiedeva, il centrosinistra quando era all’opposizione del centrodestra e lo avrebbe chiesto, come lo chiedeva, il centrodestra quando era all’opposizione del centrosinistra.
Ritardo dovuto a un vizio di origine temporale, ma anche alle modalità di una sorta di “trattativa” riservata dei singoli ministeri col Tesoro, dopo la prima approvazione e senza un successivo passaggio di nuovo in cdm.
Il punto ulteriore, rivelatore anch’esso di una difficoltà, è che, nell’ambito di questo percorso un po’ singolare, ci sono ancora da sciogliere tutti i nodi più delicati dal punto di vista politico su cui, proprio nell’ambito di una faticosa mediazione, il premier ha scelto il “rinvio”, antica consuetudine cui non è riuscito a sottrarsi nemmeno il “migliore”.
Tale è la mossa, politicamente anche comprensibile, di rinviare proprio al Parlamento la discussione sui 8 miliardi di riduzione fiscale, evitando di scegliere a monte se destinarli più al cuneo come chiede il centrosinistra o a principi di flat tax, come chiede il centrodestra.
E non è malizioso registrare una certa simmetria tra rinvii, o comunque meno polso nell’azione di governo, e discussione sul Quirinale, cui il premier, tirato pubblicamente in causa anche da autorevoli esponenti del suo governo, non si è sottratto, confermando implicitamente di essere pienamente nella contesa.
Vale anche per il decreto concorrenza, provvedimento che sostanzialmente si limita a conservare la concorrenza esistente, senza particolare vigore riformatore come fu, ad esempio, per le famose lenzuolate di Bersani: e non solo perché è stata rimandata la questione dei balneari, su cui è poi arrivata pure una sentenza del Consiglio di Stato a sancire la necessità di un intervento prorogando le concessioni solo fino al 2023.
Più in generale si è deciso di non incidere su tutti i settori più divisivi, dal trasporto pubblico locale alla telefonia, dalle assicurazioni ai notai, il che segnala un cedimento al realismo – l’amministrazione più che le riforme – proprio su un provvedimento dove meglio poteva tradursi la cultura liberale del premier.
Insomma, diciamo le cose come stanno: il rischio è la normalizzazione.
Se un governo, nato per scegliere in base a una visione dell’interesse nazionale, riproduce le classiche dinamiche di un governo di coalizione poco coeso finisce per dare l’idea di una spinta propulsiva attenuata.
O che resta affidata solo alla gestione sanitaria dell’emergenza, dossier perfettamente funzionante ma anche alibi che copre la fatica sul secondo corno della missione di questo governo, l’emergenza economica.
L’emergenza sanitaria, con l’accelerazione sulla terza dose e la proroga della legislazione speciale, è una cappa che copre il tutto, ma il tutto può anche essere il passaggio dal governo per le riforme all’ordinaria amministrazione, peraltro proprio in un momento cruciale nella gestione del Recovery, in cui si chiude la fase propedeutica e si passa alla fase della messa a terra, per nulla scontata come si evince dal grido di allarme dell’Anci sull’inadeguatezza delle strutture esistenti, in termini di personale, nel garantire capacità di spesa.
E se la prospettiva del Quirinale, e con essa la necessità di un’ampia maggioranza, può indurre a una gestione dell’esistente, il governo implica scelte, mettendo in conto di scontentare anche qualche grande elettore.
Il bivio di Draghi, che dà un po’ non parla dell’orizzonte temporale del suo governo, è questo: se considerare, con la finanziaria, concluso il ciclo o investire politicamente sulla nuova fase, con lo stesso vigore dimostrato sull’emergenza sanitaria.
(da Huffingtonpost)
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Novembre 10th, 2021 Riccardo Fucile
CONSENSI ALLA LINEA LAMORGESE, MENTRE SALVINI CONTINUA AD ATTACCARLA
Quant’è bello fare il No Vax da Trieste in giù. Il fronte del Nord guidato dai
governatori (leghisti) di Lombardia, Friuli e Veneto spinge Salvini a un’acrobatica presa di distanza dalle proteste. Ieri, sulla prima pagina di “Libero” tuonava a caratteri cubitali: “Basta cortei selvaggi. Si può manifestare ma senza disturbare il prossimo, se lo Stato non riesce a garantire il rispetto delle regole siamo messi male. Se uno cambia il percorso ne subisce le conseguenze”.
Un’inequivocabile svolta nel segno “legge e ordine”, con un elemento di continuità: nel mirino del leader leghista restano le direttive del Viminale e l’azione della Lamorgese.
Arriva la nuova restrittiva circolare che vincola prefetti e questori già dal prossimo week end: orari concordati, vie dello shopping vietate, piazze defilate e non centrali, mascherine ben calzate.
Un giro di vite che fa esultare il questore di Milano: “Sabato si vedrà un altro film, ora le regole le dettiamo noi”. Il governatore veneto Zaia sospira di sollievo: “La manifestazione è un diritto democratico, deve essere tollerata nella misura in cui non sia una privazione della libertà degli altri”.
Salvini invece si cimenta in un esercizio di contorsionismo: “Se vietiamo le manifestazioni perché non siamo in grado di far rispettare le regole, allora il ministro dell’Interno non sa fare il suo lavoro”. Insomma, cambiando l’ordine degli addendi l’ostilità verso Lamorgese non scema.
Tutto il resto, invece sì. Trieste e Milano sono l’avamposto del fronte che si è stufato delle intemperanze No Green Pass con le conseguenze economiche attuali (il 30% degli incassi di un sabato sfumati secondo Confcommercio lombarda) e soprattutto prospettiche (dal Black Friday al Natale).
E che, più che sussurrare, ha cominciato a scandire a Salvini poche semplici parole: così non si può andare avanti, non ne possono più gli esercenti ma nemmeno i poliziotti esposti al rischio di contagio, men che mai quell’80% di cittadini vaccinati. In buona parte, in quelle regioni, elettori leghisti.
E’ il messaggio che il governatore lombardo Attilio Fontana ha fatto recapitare al leader: sulla gestione dell’ordine pubblico sotto la Madonnina il governatore va a braccetto senza incrinature con il sindaco Beppe Sala.
Sugli incassi in zona feste non si scherza (a Milano a dicembre si festeggia anche Sant’Ambrogio) e non c’è fede politica che tenga.
Stessa linea da parte del governatore friulano Fedriga, furibondo per essersi ritrovato Trieste promossa a capitale dei contagi, con i turisti in fuga nonostante abbia sventato il blocco del porto.
Così dopo aver concordato con le forze dell’ordine la chiusura di piazza dell’Unità e applaudito al loro operato, oggi è uno dei 60mila firmatari della petizione per la fine delle proteste “stile Puzzer”. E lancia un ulteriore messaggio: “Non credete alle pagliacciate sui social, vaccinatevi”.
Raccontano che anche il ministro del Turismo Garavaglia abbia dovuto incassare (e riportare) le proteste delle associazioni di categoria.
A lamentarsi sono poi i sindaci. Quello di Padova Sergio Giordani (centrosinistra) dopo 19 cortei in tre mesi consentirà solo sit “statici” in e 400 euro di multa a chi trasgredisce. Quello di Gorizia Rodolfo Ziberna (forzista) che trema all’idea di ritrovarsi nelle condizioni triestine.
Quello di Novara, Alessandro Canelli, leghista appena rieletto al primo turno e vicinissimo al capogruppo alla Camera Molinari, che dopo essersi (giustamente) indignato per i manifestanti vestiti da deportati ha chiesto alla questura di valutare il divieto di manifestazioni per motivi di ordine pubblico.
Amministratori locali che rappresentano un mondo commerciale e produttivo restio a vedere l’ancora esile ripresa azzoppata da serrande abbassate o peggio prese a sassate. E che a Salvini lo hanno detto forte e chiaro.
(da Huffingtonpost)
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Novembre 10th, 2021 Riccardo Fucile
IL CONCETTO DEL “GUARDARE DAL BUCO DELLA SERRATURA” VIENE SMENTITO NEL GIRO DI TRE MINUTI
Dice di non digerire i “guardoni”, quelli che osservano dal buco della serratura per attaccare l’avversario politico.
Poi prosegue dicendo di non voler commentare presunti “scandali” che coinvolgono i partiti rivali, ma nel farlo li elenca uno a uno facendo spallucce.
Insomma ne parla (anche di affari che non sono al centro di indagini) facendo finta di non parlarne.
Poi la chicca sull’estratto conto di Matteo Renzi – con annessa polemica che parte da Il Fatto Quotidiano per arrivare a tutti gli altri giornalisti (e non per questo caso specifico) -, quando afferma di non essere interessato all’argomento ma decide di commentarlo lo stesso. Anche oggi, dunque, è andato in scena quel fenomeno chiamato “Matteo Salvini che smentisce se stesso).
Durante la sua conferenza stampa alla Camera dei deputati per parlare delle proposte della Lega per la prossima Manovra, il leader del Carroccio risponde alla domanda di un giornalista che gli aveva chiesto di commentare il caso dell’estratto contro di Matteo Renzi pubblicato da Il Fatto Quotidiano lo scorso fine settimana.
La risposta inizia dicendo di non voler commentare fatti che sono al di fuori della politica. Sostiene che questo sia il suo mantra: sconfiggere l’avversario politico con la politica, “senza l’aiuto della magistratura o di giornalisti compiacenti”.
Insomma, una cortina di ferro per un fortino inespugnabile. E invece.
Nel giro di pochissimi secondi, ecco che il leader della Lega passa dal “no comment” al “commento tutto”.
Si parte dal caso dei presunti finanziamenti dal Venezuela per il MoVimento 5 Stelle (indagini in corso) fino alla citazione dei pagamenti ricevuti da Letta quando era professore in Francia (su cui, ovviamente, non c’è e non ci sarà indagini visto che non era parlamentare – quindi decade anche il principio dell’indignazione – ed era tutto documentato e legittimo).
Poi, nel circolo magico di Salvini, si torna alla risposta alla domanda originale. Ed è lì che, dopo essere partito con la voglia di non commentare, si china per guardare dal buco della serratura e commentare: “Renzi guadagna in un anno quello che io, probabilmente, guadagno in una vita”.
Ma lo dice, sottolinea, “senza alcuna invidia”.
Dice.
(da Next Quotidiano)
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Novembre 10th, 2021 Riccardo Fucile
SI CREDEVA ROOSEVELT, MA ERA SOLO UN SALVINI
È forse tempo di chiedere scusa a Matteo Salvini. Qualche giorno fa, per la prima
volta, mi ha fatto quasi tenerezza. Ho avuto la netta percezione di avere a che fare con un politico al livello minimo di se stesso. E tenendo conto che in questo caso anche il suo massimo è di fatto un minimo, significa che il Salvini attuale viaggia costantemente sottoterra.
Salvini, di per sé mai stato Churchill, dall’harakiri del Papeete 2019 è imbarazzante un giorno sì e l’altro pure. Disastri, suicidi, autogol. Con la pandemia è ulteriormente peggiorato, ora flirtando coi no-vax e ora passando dalla feroce opposizione a Conte all’azzerbinamento patetico a Draghi.
La Waterloo mediatica di Luca Morisi, suo belluino Richelieu propagandistico, lo ha tramortito. I rapporti con la Meloni sono ai minimi termini. La fronda giorgettiana è sempre più forte. Salvini ha la sindrome dell’accerchiato, in tivù appare fuori fuoco e nel governo conta meno di niente. Anche alle Amministrative non ne ha beccata una. A Milano è riuscito a candidare un personaggio con zero chance di vittoria e a Roma ha accettato l’imbarazzante “Michetti Chi”, genialmente imposto dalla sedicente statista Meloni. L’unica fortuna attuale di Salvini è che esiste Renzi, e dunque c’è sempre qualcuno peggiore di lui. Ma è anche vero che Renzi fa storia a sé, e dunque per il Matteo lombardo c’è poco da ridere.
Per quanto in caduta libera, Salvini non dà segnali di ravvedimento. Anzi. Sul ddl Zan ha nuovamente mostrato il peggio di sé, incarnando quella parte di Paese più becera, retrograda, egoista e ignorante. Incapace di modulare la sua politica in base agli eventi, Salvini continua a inseguire la pancia del Paese per arginare la crescita di Fratelli d’Italia e perché adora gli Orbán (che non a caso ha definito Salvini “il mio idolo”) e i Bolsonaro.
Ecco: Bolsonaro. La scorsa settimana, dopo il G20, questo personaggio politicamente abietto e moralmente irricevibile riceve la cittadinanza onoraria dalla giunta a trazione leghista di Anguillara Veneta, paese nel Padovano da cui proviene la famiglia Bolzonaro (sì, in origine nel cognome c’era la “z” e non la “s”).
La scelta politica, semplicemente riprovevole, viene rivendicata da Salvini che decide di incontrare Bolsonaro a Pistoia. E qui, tanto per cambiare, Salvini raccatta un’altra figuraccia planetaria. Già è vergognoso voler abbracciare un omofobo razzista, sterminatore di Indios e negazionista Covid con colpe eterne nella gestione della pandemia, ma Salvini va oltre e chiede addirittura scusa a Bolsonaro per le polemiche “a nome del popolo italiano” (a nome mio no di sicuro).
Nelle sue tenere e patetiche speranze, Salvini crede che inginocchiandosi di fronte a Bolsonaro ne trarrà un giovamento politico internazionale. La realtà sarà appena diversa. Il giorno dopo chiedono a Bolsonaro come sia andata la trasferta italiana. E lui, seraficamente, risponde così: “Ho incontrato anche un politico, mi pare abbia fatto il primo ministro, si chiama Salvati…”.
Meraviglioso: dopo neanche 24 ore, Bolsonaro non si ricordava già neanche più chi fosse Salvini. Al punto da sbagliarne ruolo (mai stato primo ministro) e nome (Salvati). Praticamente lo ha trattato come un pezzente qualsiasi, e farsi umiliare da Bolosonaro non è facile.
Ecco perché ho quasi voglia di chiedere scusa al tramontante leader leghista: perché c’è un limite a tutto, ma lui continua a scavare. Un’agonia indicibile.
Povero Matteo: si credeva Roosevelt, ma era solo un Salvini qualsiasi. Anzi: un Salvati.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Novembre 10th, 2021 Riccardo Fucile
SOTTO LA SOGLIA PSICOLOGICA DEL 15% VERRA’ SFERRATO ILCOLPO DI GRAZIA
Per Matteo Salvini è buio pesto. Non riesce a riprendere le redini del partito e i sondaggi lo danno sempre più giù. Addirittura a rischio 15%. Un dramma per uno come lui abituato a primeggiare nell’opinione pubblica degli Italiani. Adesso poi sente il “rumore dei nemici” sempre più vicino: non per niente sta cercando con le unghie e con i denti di ribadire che è lui il leader del Carroccio. Ma non sarà facile perché una volta che il partito sarà sceso sotto la soglia psicologica del 15% verrà sferrato il colpo di grazia.
Giancarlo Giorgetti è il “grande regista” dell’operazione in atto anche se GG non ha nessuna intenzione di prendere il posto del Capitano leghista: meglio lasciare spazio ad altri (Zaia e Fedriga non avrebbero problemi a farsi trovare pronti) e ritagliarsi, per se stessi, un ruolo alla “Bettini”, da king maker per intenderci. Perché le partite che interessano veramente a Giorgetti sono altre: Presidenza del Consiglio se Mario Draghi salisse al Colle oppure un ruolo da commissario europeo.
Scenari a dir poco “inquietanti” per Matteo Salvini che rischierebbe di perdere, nell’ordine, sia il partito che qualsiasi chances di sedere un domani sulla poltrona di capo del governo. Ma le vicende in casa leghista andranno a cozzare inevitabilmente anche con la grande partita che si sta per aprire, quella della corsa al Quirinale.
Prima di tutto perché l’eventuale “promozione” del premier Mario Draghi sul Colle potrebbe aprire dentro ai partiti dei ragionamenti sul ritorno anticipato alle urne.
Al momento, solo Fratelli d’Italia, di Giorgia Meloni, ha detto apertamente che senza Draghi a Palazzo Chigi sarebbe “folle” non andare subito a votare. Salvini invece ha detto che la Lega è pronta a votare in ogni momento, ma proprio alla luce dei sondaggi negativi che stanno cominciando a circolare sono pochi quelli che ormai credono che alla Lega convenga andare a votare
I parlamentari del Carroccio sono già in fibrillazione ben consapevoli che in caso di elezioni, complice anche il taglio dei parlamentari, molti sarebbero costretti a trovarsi un “vero” mestiere.
Altro problema per Salvini: Draghi al Quirinale guarderebbe a Giorgetti, non certo a lui sia per motivi di affinità caratteriale che di posizionamento politico sia sul fronte interno che europeo. Oltretutto avrebbe più feeling persino con Giorgia Meloni che nell’incontro riservato tenuto nei giorni scorsi a Palazzo Chigi, tra una richiesta e l’altra sulla legge di bilancio, ha dato all’ex presidente Bce “luce verde” per la scalata al Quirinale. Insomma, il “generale inverno” non promette nulla di buono per il capitano leghista.
(da TPI)
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Novembre 10th, 2021 Riccardo Fucile
NELL’ANNO DEL COVID UN INCREMENTO DEL 3%
Cresce sempre di più la comunità di italiani residenti all’estero. Questo è
indubbiamente il dato più significativo che emerge dalla XVI edizione del Rapporto Italiani nel Mondo redatto dalla Fondazione Migrantes.
I cittadini, con passaporto italiano, che vivono oggi all’estero, sono oltre 5milioni e mezzo (5.652.080) il 9,5% degli oltre 59,2 milioni di italiani residenti in Italia.
Il nostro Paese ha perso quasi 384 mila residenti sul proprio territorio (dato Istat), mentre ne ha guadagnati 166 mila all’estero (dato AIRE): un aumento di presenza all’estero del 3% nell’ultimo anno.
Degli oltre 5,6 milioni di italiani all’estero, il 45,5% ha tra i 18 e i 49 anni (oltre 2,5 milioni), il 15% è un minore (848 mila circa di cui il 6,8% ha meno di 10 anni) e il 20,3% ha più di 65 anni (oltre 1,1 milione di cui il 10,7%, cioè circa 600 mila, ha più di 75 anni).
Sono tre le grandi comunità di cittadini italiani iscritti all’Aire: al primo posto troviamo l’Argentina (884.187, il 15,6% del totale), quindi la Germania (801.082, 14,2%), poi la Svizzera (639.508, 11,3%). Seguono, a distanza, le gli italiani in Brasile (sono poco più di 500 mila, 8,9%), Francia (circa 444 mila, 7,9%), Regno Unito (oltre 412 mila, 7,3%) e USA (quasi 290 mila, 5,1%).
Sicilia, regione con più partenze
La Sicilia, con quasi 800mila iscrizioni, è la regione con la maggiore comunità di residenti all’estero. La seguono, a distanza, la Lombardia (+561 mila), la Campania (quasi 531 mila), il Lazio (quasi 489 mila), il Veneto (+479 mila) e la Calabria (+430 mila).
Significativo è il caso del Regno Unito che nell’anno del Covid ha registrato un aumento del +33,5% di connazionali iscritti all’Aire.
Delle oltre 33 mila iscrizioni in UK, il 45,8% riguarda italiani tra i 18 e i 34 anni, il 24,5% interessa i minori e il 22,0% sono giovani-adulti tra i 35 e i 44 anni.
A seguire troviamo la Germania (13.990 di iscritti) e la Francia (10.562) che, da sole, coprono il 52,8%. Aggiungendo anche il dato della Svizzera (8.189), che quest’anno, diversamente dal precedente, precede il Brasile (7.077), l’incidenza “europea” sul totale nelle prime posizioni arriva al 60,3%. In totale c’è stato un aumento del 3% degli italiani che hanno lasciato
L’Italia che cresce solo all’estero
“È dunque vero che l’Italia sta vivendo da poco più di un decennio una nuova stagione migratoria, ma le conseguenze di questo percorso sono apparse, in tutta la loro evidenza, nell’ultimo quinquennio aggravando una strada che l’Italia sta pericolosamente percorrendo velocemente e a senso unico, caratterizzata da svuotamento e spopolamento, dove alle partenze non corrispondono i ritorni – commenta il Rapporto di Migrantes – Se, peraltro, a lasciare l’Italia inesorabilmente sono i giovani nel pieno della loro vitalità personale e creatività professionale, è su questi che si deve concentrare l’attenzione e l’azione. Urgono analisi e politiche finalizzate a un cambiamento di rotta nell’interesse dell`Italia tutta, dei suoi sempre più numerosi anziani che restano e dei suoi territori sempre più abbandonati e deserti”.
(da agenzie)
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Novembre 10th, 2021 Riccardo Fucile
“VEDERE QUELLA GENTE ESULTARE PER AVER NEGATO UN DIRITTO E’ STATO UN COLPO AL CUORE”
“Vedere quella gente che gridava è stato veramente un colpo al cuore, mi sono arrabbiato e ho quasi pianto”, ha dichiarato a Fanpage.it Raffaele Brusca, che nel 2016 è stato il primo poliziotto ad unirsi civilmente con il compagno.
“Possiamo anche parlare delle modifiche al ddl Zan, se aggiustarla non aggiustarla, è quella scena al Senato che ci ha ferito, non tanto l’approvazione o meno della legge”.
Raffaele e Antonio si sono uniti civilmente nel 2016 in Campidoglio grazie alla legge Cirinnà approvata pochi mesi prima.
Raffaele è stato il primo poliziotto a compiere questo passo e per di più lo ha fatto indossando la divisa ufficiale. Una scelta che non sarebbe stata possibile senza l’autorizzazione dei vertici della polizia.
“Sono entrato in polizia nel 1987 a Palermo. Fare il poliziotto a Palermo ed essere gay non era proprio una cosa semplice… Sono venuto a Roma nel 2001, ma non ho fatto un vero e proprio coming out in ufficio. Piano piano ho cominciato a parlare della mia vita con tranquillità e i miei colleghi non hanno avuto alcun tipo di problema, anzi ho avuto delle complicità in ufficio che non mi aspettavo”, ha dichiarato ai microfoni di Fanpage.it.
Raffaele e Antonio hanno assistito dal divano del loro appartamento all’affossamento in Senato del disegno di legge Zan.
Hanno assistito all’approvazione, con il voto segreto, della cosiddetta ‘tagliola’ e agli applausi e alle celebrazioni sguaiate per il risultato ottenuto arrivate dai senatori del centrodestra. “Mi sono sentito offeso per quelle scene e mi sono sentito offeso per tutti quei ragazzi che sono sottoposti ad atti di violenza, che hanno subito atti di violenza”, ha detto Antonio.
E Raffaele ha commentato: “Vedere quella gente che gridava è stato veramente un colpo al cuore, mi sono arrabbiato e ho quasi pianto. Però dopo qualche minuto ci siamo detti che dovevamo fare qualcosa, scendere in piazza, poi il giorno dopo abbiamo fatto la manifestazione a Roma. Possiamo anche parlare delle modifiche al ddl Zan, se aggiustarla non aggiustarla, è quella scena al Senato che ci ha ferito, non tanto l’approvazione o meno della legge. Il giorno dopo sono arrivato in ufficio la mattina, ero scuro in viso, mi è arrivata la solidarietà dei colleghi, di parecchi colleghi che sono venuti a dirmi ci dispiace per quello che è successo ieri, era una cosa che non mi aspettavo e che non era scontata”.
(da Fanpage)
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Novembre 10th, 2021 Riccardo Fucile
IL FONDATORE DEL MARIO NEGRI: “RISCHI DI CONTAGIO CONCRETI ANCHE AL BAR E ALLO STADIO”
Quella cominciata mesi fa come una graduale ripresa, è ormai diventata una
nuova normalità che sembra aver cancellato dalla mente di molti che la pandemia di Coronavirus sia scomparsa da sé.
Eppure, dice con amarezza il decano degli scienziati italiani, Silvio Garattini: «Siamo ancora dentro al tunnel, ma non ce ne stiamo accorgendo».
Ospite di Un giorno da pecora su Radio1, il fondatore dell’Istituto Mario Negri ha spiegato quanto il comportamento ormai sempre più diffuso tra gli italiani non trovi neanche giustificazione nei dati, che restano allarmanti: «Tutti pensano che la pandemia sia finita, ma eravamo a 1.000 contagi al giorno e ora siamo a 6 mila e i morti sono sempre tanti. Sono preoccupato – ha aggiunto – perché non vedo da parte della popolazione l’attenzione che ci dovrebbe essere». Un effetto di rilassamento diffuso accentuato indubbiamente con l’aumento della copertura vaccinale, e poi con la convinzione che ogni attività all’aperto tenga alla larga da ogni rischio di contagio. Garattini però ricorda che anche della mascherina c’è ancora bisogno, oltre che del rispetto del distanziamento sociale, tanto al chiuso quanto all’aperto: «La gente gira senza mascherina, c’è la movida e poi gli stadi, che sono pericolosi perché si urla e ci si abbraccia, in mezzo a un forte affollamento».
(da agenzie)
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Novembre 10th, 2021 Riccardo Fucile
E IN 100.000 PRENOTANO LA TERZA DOSE DEL VACCINO
“A dicembre terza dose per tutti gli over 50”, ha annunciato, “se sei vaccinato da più di sei mesi ti chiedo quindi di andare a prendere un appuntamento. La campagna di richiamo va accelerata. Ed è per questo che dal 15 dicembre gli over 65 avranno bisogno di questo rafforzamento affinché il loro pass sanitario resti valido”.
Con queste parole il presidente francese Emmanuel Macron ha convinto oltre 100.000 persone a prenotare la terza dose del vaccino in Francia. Il richiamo sarà necessario per rinnovare la validità del Green Pass.
Il messaggio principale è sull’urgenza di aderire in maniera ancora più forte alla campagna vaccinale contro il virus. “La pandemia non è finita, dovremo vivere con l virus e le sue varianti fino quando la popolazione mondiale non sarà vaccinata”, ha detto il presidente francese, lanciando un forte appello a tutta la popolazione. “Vaccinatevi, vaccinatevi. Conto su di voi”.
Macron ha poi rimarcato la necessità di tornare a rispettare in maniera più rigida i comportamenti anti Covid di sicurezza: “Avevamo allentato i nostri sforzi, ora dobbiamo riprenderli”, ha detto, sottolineando come il vaccino in questa fase epidemica non sia sufficiente per evitare la circolazione del virus.
“In questo contesto di ripresa, dobbiamo essere estremamente vigili. Tutti gli allentamenti saranno rinviati per mantenere in vigore le regole. Il vaccino non basta”.
Un tema delicato per la Francia, che ha visto negli ultimi mesi migliaia di persone riversarsi per le strade di Parigi protestando contro il governo e l’obbligo di Green pass
(da agenzie)
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