Destra di Popolo.net

LA GIUSTIZIA DEI RICCHI

Febbraio 16th, 2022 Riccardo Fucile

LO SQUALLIDO CASO DEL PRINCIPE ANDREA

Il principe Andrea, figlio della regina Elisabetta, non andrà a processo perché ha trovato un accordo economico con la donna che lo accusava di abusi sessuali, e farà anche una generosa donazione a un ente che si occupa delle vittime di violenza. Evviva, lo scandalo è rientrato, la legge è stata rispettata e tutti sembrano soddisfatti, compresa l’augusta genitrice.
Eppure, non trovate che ci sia qualcosa di stonato? E non mi riferisco alla scelta della donna riguardo all’indennizzo, che non ho alcun diritto di commentare.
Piuttosto vorrei portare la vostra attenzione su un altro aspetto della vicenda.
I ricchi possono comprarsi tutto quello che vogliono, dalla libertà ai capricci: Jeff Bezos sta facendo smontare un ponte storico in Olanda per consentire al suo yacht di passarci sotto. È sempre stato così, lo so.
Ma la novità, almeno rispetto agli anni della mia giovinezza, è che adesso viene considerato assolutamente normale.
Il sole scalda, la pioggia bagna, il ricco fa ciò che gli pare. E chi si ostina a stupirsene, non dico a indignarsene, passa per invidioso, per moralista o per comunista, quando magari è soltanto un liberale che gradirebbe un minimo di equità in certi campi essenziali del vivere come la sanità e la giustizia.
Infatti, da nessuna parte sta scritto: «Gli yacht e i diamanti sono uguali per tutti», mentre nei tribunali si legge ancora: «La giustizia è uguale per tutti».
Non avevo capito che era una battuta.
(da Il Corriere della Sera)

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EUTANASIA E SUICIDIO ASSISTITO: PERCHE’ SERVE UNA LEGGE

Febbraio 16th, 2022 Riccardo Fucile

COME FUNZIONA IN EUROPA

La Corte Costituzionale ha bocciato il referendum sull’eutanasia, ma il problema resta. Se una persona volesse porre fine alla propria vita perché colpita da malattia terminale con dolori atroci e nessuna cura disponibile, cosa le consente di fare la legge?
In Italia dal 2017 è legale la sospensione delle cure (eutanasia passiva), che permette al malato di rifiutare qualsiasi trattamento sanitario, alimentazione e idratazione comprese.
Tuttavia se il paziente fosse ridotto irreversibilmente allo stato vegetativo, dovrebbe aver già espresso le sue volontà attraverso un biotestamento. Significa che avrebbe dovuto pensarci prima.
Sono almeno 15 anni che il tema del fine vita spacca l’opinione pubblica e le forze politiche. Le divisioni sono riemerse lo scorso 9 febbraio quando il disegno di legge sul suicidio assistito è tornato alla Camera dopo un esame di due anni nelle Commissioni Giustizia e Affari sociali, e sono destinate a riaccendersi con la decisione della Corte Costituzionale che ha dichiarato inammissibile il referendum sull’eutanasia attiva promosso dall’Associazione Luca Coscioni.
LE TRE STRADE DEL FINE VITA
Ovunque nel mondo sia stata definita una legge chiara sul fine vita, le condizioni del paziente per usufruirne sono queste: invalidità irreversibile o malattia terminale, dolori insopportabili, nessuna cura disponibile e sempre il consenso del malato. Oltre all’eutanasia passiva che è legale o tollerata in quasi tutti i Paesi europei, ci sono altre due strade: l’eutanasia attiva e il suicidio assistito. La prima è praticata da un medico, di solito attraverso iniezione endovenosa. Secondo l’attuale legislazione italiana questa modalità è assimilabile all’omicidio volontario. Nel suicidio assistito è invece il malato, con l’assistenza del medico, a compiere autonomamente l’ultimo atto che porta alla morte.
DOVE SONO LEGALI EUTANASIA ATTIVA E SUICIDIO ASSISTITO
In Europa sono legali in Olanda, Belgio, Lussemburgo e Spagna. Il primo Paese a muoversi è stato l’Olanda dove entrambe le vie, tollerate fin dal 1985, sono state legalizzate completamente nel 2002. Possono ricorrervi anche i minori, ma sotto i 16 anni c’è bisogno del consenso dei genitori. In 18 anni i casi di eutanasia e suicidio assistito sono stati 75.360. Anche il Belgio ha legalizzato le due pratiche nel 2002. Dal 2014 l’eutanasia è stata estesa a bambini e minori. In 18 anni vi hanno fatto ricorso 24.520 malati.
La Spagna ha reso legale l’eutanasia dallo scorso giugno. Prima del varo della legge, aiutare qualcuno a morire in Spagna era potenzialmente punibile con una pena detentiva fino a 10 anni.
Al di fuori dei confini europei, eutanasia e suicidio assistito sono legali in Canada, Colombia, Nuova Zelanda e in alcuni stati australiani (Queensland, Tasmania, Victoria, South Australia e Western Australia). In Svizzera, Austria, Germania e in undici stati Usa (California, Colorado, Hawaii, Montana, Maine, New Jersey, Nuovo Messico, Oregon, Washington, Vermont e District of Columbia) è consentito il solo suicidio assistito. In Germania, dove resiste la memoria delle 300 mila vittime con disabilità mentali e fisiche dei medici nazisti, non è stata ancora formulata una legge, ma la Corte Costituzionale federale ha stabilito nel febbraio 2020 la legittimità della pratica in determinate circostanze.
IL CASO SVIZZERA
La Svizzera ha legalizzato il suicidio assistito nel l 1942 e la legge tollera la pratica quando i pazienti agiscono in autonomia, e chi li aiuta non ha alcun interesse nella loro morte. I suicidi assistiti rappresentano circa l’1,5% dei 67 mila decessi registrati in media ogni anno. A differenza di ciò che accade altrove, le cliniche della Confederazione elvetica offrono il servizio anche ai cittadini stranieri.
La più grande organizzazione per il suicidio assistito in Svizzera si chiama Exit, è stata fondata nel 1982 e aiuta soltanto i residenti nel Paese: oltre mille persone ogni anno ricevono assistenza e quasi tutte (98% nel 2019) scelgono di morire a casa propria o nella casa di cura in cui vivono. Nel 2020 circa 1.282 malati gravi hanno utilizzato i servizi dell’organizzazione, 68 in più rispetto al 2019. L’età media era di 78,7 anni, il 59% era composto da donne. Dignitas, la seconda più grande organizzazione per il suicidio assistito, accetta anche stranieri non residenti (costo medio 10 mila euro). Come Exit, offre i propri servizi solo a persone con malattie gravi, che soffrono dolori «insopportabili» oppure che hanno una menomazione insostenibile. Dal 1998 al 2020 Dignitas ha portato a termine 3.248 suicidi assistiti. La maggior parte erano tedeschi (1.406), britannici (475), francesi (405), svizzeri (200) e italiani (159). Nel 2020 i suicidi assistiti sono stati 221, e 14 malati erano italiani.
IL SUICIDIO ASSISTITO IN ITALIA
Negli ultimi sei anni gli italiani che hanno contattato l’Associazione Luca Coscioni per avere informazioni sul fine vita sono stati in totale 1.725. L’attuale legge sul suicidio assistito in discussione alla Camera è appoggiata da Pd, Leu, Italia viva e Cinque Stelle: composta di 8 articoli, nasce da una proposta di iniziativa popolare depositata nel 2013 e più volte riformulata accogliendo anche modifiche suggerite da partiti di destra. Il disegno di legge però continua a dividere il Parlamento e trova l’opposizione di Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia.
Prevede la possibilità per il malato di autosomministrarsi la sostanza letale fornita da un medico che non è punibile. Il testo include anche l’obiezione di coscienza dei medici e un precedente percorso di cure palliative da parte del paziente per alleviare le sofferenze.
La proposta di legge è arrivata per la prima volta in Parlamento a dicembre, tre anni dopo l’invito della Corte Costituzionale a legiferare sul tema e due anni dopo la sentenza 242 con la quale la Consulta ha riconosciuto il diritto al suicidio medicalmente assistito per persone capaci di intendere e volere, affette da malattie irreversibili che procurano sofferenze insopportabili, tenute in vita da trattamenti di sostegno vitale. Finora nulla però è riuscito finora a sbloccare l’azione parlamentare, e c’è già chi teme che il disegno di legge dopo tanto impegno possa essere affondato come il decreto Zan.
IL REFERENDUM
Ad accelerare i tempi per una legge sul tema poteva essere ancora l’intervento della Corte Costituzionale che però martedì 15 febbraio ha ritenuto inammissibile il referendum per l’abrogazione parziale dell’art. 579 del Codice penale (omicidio del consenziente) e dunque per l’eutanasia attiva. La Consulta ha bocciato il quesito perché «non sarebbe preservata la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana, in generale, e con particolare riferimento alle persone deboli e vulnerabili». La raccolta firme a favore del referendum era stata sottoscritta da oltre 1,2 milioni di cittadini. Analizzando i dati sulle firme digitali pubblicati dall’Associazione Coscioni si scopre che ad approvare il referendum erano stati 221 mila donne e 171 mila uomini e i più attivi risultavano i giovani con età tra i 21 e i 30 anni (154.360 firme). Decisamente inferiori le firme dei più anziani, probabilmente anche per una minore propensione all’uso del digitale.
I promotori del referendum sostenevano che la depenalizzazione dell’eutanasia attiva avrebbe permesso di non creare discriminazioni tra malati e di accompagnare verso il fine vita anche quelle persone sofferenti che non possono ricorrere ad aiuti esterni. I critici invece temevano che l’approvazione di una legge sull’eutanasia avrebbe legittimato in tutto e per tutto l’omicidio del consenziente, creando le condizioni per «liberarsi del malato» violando il principio della sacralità della vita.
Dopo la bocciatura della Corte Costituzionale, appare sempre più necessaria una legge che delimiti con chiarezza confini e responsabilità, affinché non si ripetano situazioni come quella di Mario, il 43enne tetraplegico che, pur avendo ottenuto il permesso di ricorrere al suicidio assistito, è rimasto ostaggio di ricorsi e ordinanze contrapposte in attesa che una commissione medica individuasse il farmaco da utilizzare. Un calvario durato 18 mesi.
(da Il Corriere della Sera)

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MILLEPROROGHE, SPUNTA LA SOLITA MAREA DI MARCHETTE

Febbraio 16th, 2022 Riccardo Fucile

DAI FONDI ALL’IPPICA A QUELLI PER ALLEVARE POLLI E MAIALI: SOVRANISTI IN PRIMA LINEA NELLA MANGIATOIA

C’è la proposta di rafforzare il settore dell’ippica, con una norma ad hoc. Poi l’iniziativa del presidente di una squadra di calcio, a sostegno delle società sportive. E ancora: qualche misura qua e là, di interesse locale, per proroghe e interventi speciali sui territori. Che, guarda caso, corrispondono a quelli d’elezione.
Fino all’allevamento di polli e maiali, a cui la Lega vorrebbe concedere sospensione temporanea dei pagamenti delle imposte per un valore di oltre 200 milioni di euro. Come da tradizione non manca mai niente nella discussione sul decreto Milleproroghe, in esame in commissione alla Camera, dopo che il governo lo ha varato a fine anno.
La prossima settimana dovrebbe approdare in Aula a Montecitorio, con tanto di voto di fiducia e passaggio immediato al Senato. Dove è prevedibile un’altra blindatura del testo.
Già i relatori, in accordo con il governo, hanno inserito nel Milleproroghe una misura che ha le sembianze di un gradito regalo ai sindaci più importanti.
Un emendamento vuole consentire ulteriori assunzioni negli staff nei Comuni con oltre 250mila abitanti, sotto l’ombrello dell’applicazione del Pnrr. La tesi è che in questo modo si possono “dotare gli uffici di diretta collaborazione degli organi di governo delle professionalità necessarie per accelerare la programmazione e la realizzazione dei predetti interventi”.
Certo, la gestione della spesa è lasciata ai Comuni stessi per “l’invarianza della spesa complessiva del lavoro flessibile e dall’altro la tutela l’autonomia organizzativa degli enti interessati”. Al momento non è previsto alcun esborso maggiore per le casse pubbliche, ma il sospetto è che la mossa sia propedeutica a un allargamento dei cordoni della borsa nei prossimi mesi.
Del resto l’ex ministro, il dem Francesco Boccia, fornisce un indizio, proponendo di stanziare in totale 225 milioni di euro in favore nelle città metropolitane. Nel dettaglio si tratta di “75 milioni di euro per il 2022 e di 150 milioni di euro annui a decorrere dal 2023”. Un impegno orientato “alle funzioni esclusive delle città metropolitane”, appunto. Insomma, si vedrà. Intanto il Cts, il ben noto comitato che suggerisce al governo le strategie anti-Covid, si garantisce qualche mese di esistenza aggiuntiva. Resta in carica fino al 30 giugno.
Peraltro, quest’anno, nel Milleproroghe c’è una misura alquanto divisiva: lo spostamento di 575 milioni di euro per le bonifiche dell’ex Ilva su altri capitoli di spesa. Sulla questione più deputati, da Forza Italia al Movimento 5 Stelle, passando per il Pd, ancora con Boccia, hanno chiesto di sopprimere quell’articolo. Sarebbe così cancellatala legge voluta e approvata dal governo.
Ma gli appetiti dei deputati si sono scatenati in varie direzione in materia di presentazione degli emendamenti, alcuni già votati, altri in calendario nelle prossime ore.
Raffaele Nevi, di Forza Italia, si è soffermato sulla necessità di potenziale il settore ippico. Ha chiesto di ampliare “la dotazione organica dirigenziale del Ministero delle politiche” con la creazione di una nuova figura di dirigente apicale. Il tutto al costo complessivo di 260mila euro all’anno.
Il capogruppo della Lega alla Camera, Riccardo Molinari, si è invece intestato la battaglia per garantire vantaggi fiscali agli allevatori di polli e maiali. In un emendamento propone di stoppare, per tutto il 2022, una serie di pagamenti, “dalle trattenute relative all’addizionale regionale e comunale” fino “ai contributi previdenziali e assistenziali, e ai premi per l’assicurazione obbligatoria”, come si legge nel testo depositato. Lo Stato dovrebbe coprire i 205 milioni necessari.
Salvatore Caiata, di Fratelli d’Italia ha sentito il richiamo della foresta, quello da presidente del Potenzia calcio, seppure fresco dimissionario. In un suo emendamento alla Camera ha immaginato un pacchetto di interventi “per sostenere le federazioni sportive nazionali, gli enti di promozione sportiva e le associazioni e società sportive professionistiche e dilettantistiche”. L’idea sarebbe quella di sospendere alcuni termini di pagamenti.
E nel Milleproroghe non poteva mancare un grande classico: il sostegno alle realtà locali. Il deputato salentino, Mauro d’Attis, ha pensato di cercare il blitz per un “un contributo straordinario di 3,5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2022, 2023 e 2024 per la stabilizzazione dei lavoratori socialmente utili” per il Comune di Manfredonia. Per un totale di oltre 10 milioni.
(da La Notizia)

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LA GUERRA DELLA COMUNICAZIONE TRA CONTE E DI MAIO

Febbraio 16th, 2022 Riccardo Fucile

PER CONTE LA CURA CASALINO MENTRE DI MAIO SI AFFIDA A MARICI

Una battaglia a colpi di spin, condotta dietro le quinte. Con lo scopo di orientare la comunicazione attraverso veline e “retroscena” costruiti ad hoc da far raccontare sui giornali.
Dietro il grande scontro nel Movimento 5 stelle tra Giuseppe Conte e Luigi Di Maio ci sono i consiglieri di comunicazione, una sfida tra personalità diverse. Ma unite nell’ambizione di emergere.
«A volte sembra che le liti tra i due siano innescate più dagli staff che dalle distanze politiche», spiegava una fonte interna che conosce la struttura del M5s.
L’ex presidente del Consiglio conta sempre sull’inseparabile Rocco Casalino, suo stratega fin dall’approdo a Palazzo Chigi. Il ministro degli Esteri ha come portavoce Giuseppe, “Peppe”, Marici, che da qualche mese ha sostituito Augusto Rubei, passato nella comunicazione di Leonardo.
In mezzo c’è una schiera di comunicatori che gravitano nel corpaccione dello staff pentastellato. Suddiviso tra gli uffici di Camera e Senato.
La corazzata di Rocco Casalino
Nel duello il volto più noto resta quello di Casalino. Di lui si conosce tutto, dai trascorsi al Grande Fratello fino alla scalata di ruoli nel Movimento. Checché se ne dica, è l’uomo più ascoltato da Conte. Suggerisce la strategia, indica la rotta. Si mormora che dietro l’annuncio della “donna presidente”, nelle ore più infuocate della trattativa per il Quirinale, sia stata sua l’idea di spedire Conte a intestarsi la candidatura femminile, che portava a Elisabetta Belloni.
La miccia che ha fatto esplodere il caos politico con Di Maio, che con una nota ha bruciato il nome della direttrice del Dis. Vai a capire se in questo gioco di spin, sia una cattiveria o una realtà. Un fatto è però certo: Casalino non ha mutato lo stile “rumoroso”, appariscente della sua comunicazione, che tanti mal di pancia provoca negli interlocutori. Lo si vede nelle mosse di Conte, nel modo di approcciarsi ai media.
Alle spalle dell’ex presidente del Consiglio, il portavoce si muove come un cingolato. Nei giorni di scontro con Di Maio, ha veicolato diversi “spin”, veline al veleno verso il numero uno della Farnesina. È storia nota che quando non gradisce qualche articolo, si faccia sentire con messaggini o telefonate ai diretti interessati, se non addirittura ai vertici dei giornali.
Lo stile felpato e istituzionale di Giuseppe Marici
Marici è l’esatto opposto di Casalino. Pacato nei toni, felpato, sembra il perfetto alter ego del “nuovo” Di Maio versione istituzionale. Marici, da poco convolato a nozze con la sottosegretaria al Mef Laura Castelli, ha raccolto l’eredità di Rubei, primo ideologo della svolta moderata del ministro degli Esteri.
Per mesi Rubei è stato al suo fianco, ne ha studiato le mosse, curando principalmente il lavoro da ufficio stampa. Era addetto a diffondere gli appuntamenti sul broadcast di Whatsapp e pubblicare le note. Ha appreso l’arte del portavoce che diventa spin doctor. A differenza di Rubei, Marici è meno fumantino, veicola le informazioni con pochi mirati spifferi. Non inonda le redazioni con fiumi di veline, indica i desiderata di Di Maio, rispondendo colpo su colpo a Casalino, in maniera stringata.
Il resto viene affidato ai dimaiani, i fedelissimi del ministro. Una strategia che gli ha garantito la piena fiducia di Di Maio che non ha mai avuto rimpianto per la partenza di Rubei.
Le sponde alla Farnesina sono Fulgione e Dettori
Ma la comunicazione dei 5 stelle è un magma in movimento, nel vero senso della parola. I più attenti hanno notato la conversione casaliniana degli staff comunicativi di Camera e Senato.
Al ritorno di “Rocco” in Parlamento, dopo il periodo sabbatico speso per la promozione del suo libro, era stato accolto con ostilità. E la conseguente promessa di un fuoco di fila. «Curerà solo i rapporti con le tv e la preparazione delle ospitate», garantiva chi era nella struttura, rivendicando e promettendo la difesa dell’indipendenza. Dopo pochi mesi, la situazione è cambiata: l’allineamento è diventato totale.
Nel corso della battaglia, la filiera della comunicazione di Casalino ha potuto contare sugli staff in Parlamento, mentre Marici ha dovuto fare leva sulla cerchia della Farnesina. Le sue sponde sono Pietro Dettori, uno dei primi consulenti di Beppe Grillo, e ancora di più con Teodoro Fulgione, una lunga carriera da giornalista Ansa e poi portavoce di Virginia Raggi negli anni al Campidoglio. Una war room comunque ristretta in confronto alle truppe a disposizione di Casalino.
(da tag43.it)

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SUPERBONUS E SUPERTRUFFE

Febbraio 16th, 2022 Riccardo Fucile

L’IMPRENDITORE ACCUSATO DI FINTI LAVORI PER UN MILIARDO DI EURO

Maurizio De Martino di San Severo in provincia di Foggia è indagato per false fatturazioni e cessione di crediti farlocchi. E la sua storia è emblematica
Aziende edili con tre dipendenti che accumulano crediti d’imposta per un miliardo di euro.
Nell’inchiesta sulle truffe sul Superbonus 110% ci sono storie come quella di Maurizio De Martino, imprenditore di San Severo in provincia di Foggia. Ovvero l’uomo da un miliardo di bonus. 250 milioni sono stati già incassati dalle sue ditte, racconta oggi Repubblica.
Gli altri soldi sono bloccati perché sotto Natale è arrivata la Guardia di Finanza. E oggi De Martino è indagato con altre quattro persone per emissione di fatture false e cessione di crediti farlocchi.
«Fa parte – si legge nel capo di imputazione secondo quanto riporta il quotidiano – di un’organizzazione criminale che ha pianificato un articolato sistema finalizzato alla creazione e monetizzazione di falsi crediti di imposta per circa un miliardo di euro».
Il sequestro è stato convalidato dal tribunale del Riesame di Foggia, che ha concesso la liberazione solo di alcuni crediti relativi a società satellite.
De Martino però fa notare che si è mosso all’interno del perimetro della legge. Anche se i suoi fabbricati non paiono idonei per le ristrutturazioni che quei crediti d’imposta milionari sottendono. «Mama ha 1.152 immobili — scrivono gli inquirenti — ma per l’87 per cento sono stalle e autorimesse, con rendita catastale media di 50 euro. Vallè non possiede immobili. Ha 85 contratti di locazione ma si tratta di negozi e cantine tra Foggia e San Severo con canoni irrisori».
(da agenzie)

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L’INPS NEL 2020 HA RISPARMIATO UN MILIARDO DI EURO PERCHE’ LA PANDEMIA HA UCCISO MOLTI ANZIANI

Febbraio 16th, 2022 Riccardo Fucile

FINO AL 2029 MINORE SPESA PER 11,9 MILIARDI

L’Inps ha risparmiato 1,1 miliardi a causa dell’eccesso di mortalità per Covid. Una nitizia tristissima. È quanto emerge dal nono Rapporto di Itinerari previdenziali secondo il quale si avrà fino al 2029 una spesa minore per 11,9 miliardi.
“Il 96,3% dell’eccesso di mortalità registrato nel 2020 – si legge – ha riguardato persone con età uguale o superiore a 65 anni, per la quasi totalità pensionate. Considerando per compensazione l’erogazione delle nuove reversibilità,si quantifica in 1,11 miliardi il risparmio,tristemente prodotto nel 2020 da dal Covid a favore dell’Inps,e in circa 11,9 miliardi la minor spesa nel decennio”
Secondo il Nono Rapporto Itinerari Previdenziali, sono 476.283 gli assegni previdenziali pagati dall’Inps da 40 anni o più a persone andate in pensione nel lontano 1980 o ancora prima: 423.009 le prestazioni riguardanti il settore privato, 53.274 quelle relative ai dipendenti pubblici.
La durata delle pensioni più remote ancora oggi vigenti è in media di quasi 46 anni nel settore privato e di 44 per il pubblico: prestazioni corrette sotto il profilo attuariale non dovrebbero superare i 20/25 anni.
Un monito fortissimo alle forze politiche e sociali che, a fronte di una delle più elevate aspettative di vita, continuano a proporre forme di anticipazioni Donne e prepensionati di anni Ottanta e Novanta tra i principali beneficiari delle rendite di lungo corso. L’analisi delle decorrenze pensionistiche evidenzia un sistema previdenziale sin troppo generoso tra 1965 e 1980: saltata la relazione contributi e prestazioni, con effetti che gravano tuttora sul welfare.
All’1 gennaio 2021 risultavano in pagamento presso l’Inps ben 476.283 prestazioni pensionistiche – comprese quelle ex Inpdap relative ai dipendenti pubblici – liquidate da oltre 40 anni, e quindi erogate a persone andate in pensione nel 1980, o anche prima. Nel dettaglio, si tratta di 423.009 prestazioni del settore privato, fruite sia da lavoratori dipendenti che autonomi, di cui 343.064 donne (l’81,1%) e 79.945 (il 18,9%) uomini, e di 53.724 pensione fruite da dipendenti pubblici, di cui 36.372 (il 68,3%) donne e 16.902 (il 31,7%) uomini. Lo scorso anno erano nel solo comparto privato 502.327, con un decremento rispetto all’1 gennaio 2020 del 16%, pari a 79.318 prestazioni eliminate, e in buona parte tristemente imputabile agli effetti di Covid-19.
Se si considera che prestazioni corrette sotto il profilo attuariale dovrebbero essere correlate alla durata della vita contributiva attiva, che in media in Italia è di circa 20 anni per le pensioni di vecchiaia e di 35 anni per le anticipate, quelle evidenziate dal Nono Rapporto sul Bilancio del Sistema Previdenziale italiano, sono “sono cifre destinate a far riflettere”. Attraverso l’esame in serie storica delle pensioni ancora in vigore all’1 gennaio 2021, a partire da quelle decorrenti dal 1980 (o anni precedenti), il documento – formulato tenendo conto delle età medie rilevate dagli Osservatori Statistici dell’Inps- consente infatti di ricavare alcuni importanti indicatori sull’evoluzione della normativa italiana in ambito pensionistico e sugli effetti prodotti dalle diverse leggi in materia sulla spesa pubblica del Paese.
(da agenzie)

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LA CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA BOCCIA IL RICORSO DI POLONIA E UNGHERIA

Febbraio 16th, 2022 Riccardo Fucile

”GIUSTO CONDIZIONARE I FONDI AL RISPETTO DELLO STATO DI DIRITTO”… LE SANGUISUGHE SOVRANISTE VOGLIONO I CONTRIBUTI EUROPEI MA NON RISPETTARNE I VALORI… CACCIARLI A CALCI IN CULO

La Corte di Giustizia dell’Ue ha respinto il ricorso di Ungheria e Polonia contro il meccanismo di condizionalità che lega l’erogazione dei fondi europei al rispetto dello stato di diritto.
Budapest e Varsavia chiedevano di annullare il regolamento, varato nel 2020, che permette all’Ue di sospendere i pagamenti provenienti dal bilancio europeo agli Stati membri in cui lo stato di diritto è minacciato.
La Commissione europea, incaricata di attivarlo, aveva accettato in accordo con i 27 di aspettare la decisione della Corte prima di agire, nonostante il regolamento a lungo avversato dal blocco di Visegrad sia entrato in vigore a gennaio 2021.
“Accolgo con favore la sentenza che conferma la legittimità del regolamento sulla condizionalità”, ha commentato la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen. “La Commissione difenderà il bilancio dell’Unione dalle violazioni. Agiremo con determinazione”.
La ministra della Giustizia ungherese, Judit Varga, ha bollato il verdetto come “abuso di potere” da parte di Bruxelles. La Polonia dal canto suo – con un tweet del vice ministro della Giustizia Sebastian Kaleta – grida all”attacco contro la nostra sovranità“.
L’Ungheria e la Polonia avevano proposto ricorso alla Corte chiedendo l’annullamento del regolamento adottato da Parlamento e Consiglio in cui si istituisce appunto un regime di condizionalità per la protezione del bilancio dell’Unione in caso di violazioni dei principi dello Stato di diritto negli Stati membri.
Il regolamento consente al Consiglio, su proposta della Commissione, di adottare misure di protezione quali la sospensione dei pagamenti a carico del bilancio dell’Ue o la sospensione dell’approvazione di uno o più programmi a carico di tale bilancio.
I ricorsi di Ungheria e Polonia erano fondati sostanzialmente sull’assenza di una base giuridica adeguata nei Trattati e, tra l’altro, sul superamento dei limiti delle competenze dell’Unione, oltre a sostenere la violazione del principio della certezza del diritto.
Nelle cause oltre a Ungheria e Polonia che si sono reciprocamente sostenute nel ricorso, sono intervenuti a sostegno del Parlamento e del Consiglio Ue anche il Belgio, la Danimarca, la Germania, l’Irlanda, la Spagna, la Francia, il Lussemburgo, i Paesi Bassi, la Finlandia, la Svezia e la Commissione.
La Corte Ue ha ricordato tra l’altro che il rispetto da parte degli Stati membri dei valori comuni sui quali l’Unione si fonda, che sono stati identificati e condivisi e che definiscono l’identità stessa dell’Unione quale ordinamento giuridico comune a tali Stati, tra i quali lo Stato di diritto e la solidarietà, giustifica la fiducia reciproca tra tali Stati.
Questo costituisce una condizione per il godimento di tutti i diritti derivanti dall’applicazione dei Trattati a uno Stato membro e l’Unione deve essere in grado, nei limiti delle sue attribuzioni, di difendere tali valori. Il cui rispetto, aggiungono i giudici, non può essere ridotto a un obbligo cui uno Stato candidato è tenuto per aderire all’Unione ma dal quale può sottrarsi dopo l’adesione.
Dall’altro lato, il bilancio dell’Unione è uno dei principali strumenti che consentono di concretizzare, nelle politiche e nelle azioni dell’Unione, il principio fondamentale di solidarietà tra Stati membri. Quindi un meccanismo di condizionalità orizzontale, come quello istituito dal regolamento, che subordina il beneficio di finanziamenti provenienti dal bilancio dell’Unione al rispetto da parte di uno Stato membro dei principi dello Stato di diritto, può rientrare nella competenza prevista dai Trattati di stabilire ‘regole finanziarie’ relative all’esecuzione del bilancio dell’Unione.
(da agenzie)

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MELONI ALL’ATTACCO DI SALVINI: “CON LUI NON E’UN’INCOMPRENSIONE BANALE. DICE UNA COSA, NE FA UN’ALTRA”

Febbraio 16th, 2022 Riccardo Fucile

”MELONI DEVE SMETTERE DI ATTACCARE LA LEGA, ALTRIMENTI CI CAUTELEREMO”… TRA I BECERO-SOVRANISTI VOLANO GLI STRACCI

La direzione nazionale di Fratelli d’Italia è convocata per venerdì. Nell’ordine del giorno si accenna solo alla necessità di valutare la situazione politica e di organizzare le prossime iniziative del partito. La riunione è allargata a tutti i parlamentari. È già successo in altre occasioni, «di solito spiega un deputato accade nei momenti più importanti».
E questo sicuramente lo è perché Fdi, dopo la lite sul dossier Quirinale, deve prendere una posizione sulle amministrative e cominciare a discutere delle prossime Politiche.
È vero che sui territori c’è una spinta a tenere unito il centrodestra e già alcune intese sono state siglate ma i rapporti con la Lega si sono logorati. Ieri Giorgia Meloni è tornata ad alzare il tiro: «Con Salvini non è un’incomprensione banale». È inutile quindi che il leader della Lega lo ha fatto proprio il giorno di San Valentino invii messaggi di pace. La leader di Fdi vuole un chiarimento politico.
«C’è un problema di posizionamento ha spiegato ieri -. Il centrodestra deve decidere se essere orgogliosamente portatore delle sue idee, questo non si può fare con il Pd, con M5S, facendo tutti insieme il governo Draghi o eleggendo un presidente della Repubblica del Pd». Concetti ripetuti più volte ma che in assenza di un faccia a faccia con il segretario leghista tracciano un solco sempre più grande dentro l’alleanza.
LA REPLICA
«Visti i problemi che hanno gli italiani non perdo neanche 30 secondi in polemiche», ha tagliato corto l’ex ministro dell’Interno. «Noi ha ribadito – siamo in un governo che deve portare l’Italia fuori dalla pandemia. È una nostra precisa scelta essere protagonisti della ricostruzione del paese. Se qualcun altro preferisce stare fuori, è libero di farlo».
Berlusconi punta a mediare. Ma se Fratelli d’Italia dovesse procedere allo strappo venerdì il rischio è che sarà poi difficile ricomporre i cocci.
«Meloni deve smettere di attaccare la Lega, altrimenti ci cauteleremo», osserva un big del Carroccio. Al momento né il partito azzurro né quello di via Bellerio hanno aperto ad una nuova legge elettorale. E per ora non c’è intenzione di farlo, ma le sirene sul proporzionale stanno risuonando da un bel po’.
«Fdi tiene la barra dritta. Sono gli altri che ci devono dire cosa vogliono fare…», osserva il capogruppo di Fdi, Lollobrigida. Meloni elenca tutti gli errori che a suo dire ha commesso Salvini.
«La Lega non voleva l’obbligo vaccinale che invece c’è, era contraria al Green Pass come strumento di discriminazione e c’è anche questo, sono contrari all’immigrazione illegale di massa e continuano a sbarcare migliaia di immigrati, non volevano la revisione del catasto e c’è la revisione, erano d’accordo con noi sui balneari e votano per mettere all’asta ed espropriare 30.000 aziende».
Sulla liberalizzazione delle concessioni andrà in scena un nuovo braccio di ferro. Perché gli ex lumbard non hanno intenzione di votare la mozione di FdI in Parlamento anche se chiedono che ci sia una posizione unitaria del centrodestra. Ieri Salvini era orientato a far saltare l’intesa raggiunta in Cdm, avrebbe voluto che il provvedimento fosse rimasto aperto almeno fino al Consiglio dei ministri di venerdì. Poi nel governo si è trovato il compromesso con la virata sulla legge delega.
Ma nel partito è sempre più marcata la differenza tra i governisti e l’ala che ha nel Capitano il punto di riferimento. Anche Forza Italia si è spostata su una linea maggiormente barricadera. Anche perché i sondaggi al momento stanno premiando FdI. Ma Salvini non ci sta, qualora dovessero continuare gli affondi potrebbe accelerare sulla federazione del centrodestra, con l’obiettivo di presentare una lista unica tra Lega e Forza Italia.
Il Cavaliere ha frenato l’ex responsabile del Viminale ma al momento i rapporti restano freddi soprattutto con la Meloni. «Noi costruiamo, uniamo», la linea di Salvini che, seppur critico con Draghi, non intende uscire dall’esecutivo. Il prossimo banco di prova sarà sui referendum sulla giustizia.
(da il Messaggero)

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“VORREI CHE QUALCHE GIUDICE DELLA CONSULTA VENISSE A CASA MIA A VEDERE COME SI VIVE CON DUE MALATI DI SLA”

Febbraio 16th, 2022 Riccardo Fucile

L’INTERVISTA A UNA MAMMA

Nella tarda serata di ieri la Corte costituzionale ha giudicato inammissibile il quesito da sottoporre a referendum che proponeva l’”Abrogazione parziale dell’articolo 579 del Codice penale (omicidio del consenziente)”.
La decisione è arrivata perché i giudici hanno ritenuto che, a seguito dell’abrogazione “non sarebbe preservata la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana, in generale, e con particolare riferimento alle persone deboli e vulnerabili”.
“Il cammino verso la legalizzazione dell’eutanasia non si ferma”, ha commentato dopo il pronunciamento dei giudici l’Associazione Luca Coscioni. “La cancellazione dello strumento referendario da parte della Corte costituzionale renderà il cammino più lungo e tortuoso, per molte persone ciò significherà un carico aggiuntivo di sofferenza. Ma la strada è segnata”.
Parole che possono rappresentare un parziale conforto per chi sperava nell’esito positivo della consultazione popolare per chiedere una fine dignitosa alla propria vita avvolta ormai da gravi sofferenze o per auspicarla ai propri cari.
È il caso – tra tantissimi – di Sabrina Bassi, mamma di due uomini malati di Sla fin da piccoli.
“Chi ha preso questa decisione non deve avere idea di che cosa sia la sofferenza, quella vera”, dice in un’intervista al Corriere della Sera. Carlo e Marco, 38 e 34 anni, hanno già dato disposizioni anticipate sulle loro intenzioni nell’eventualità di un ulteriore aggravamento delle loro condizioni: “Non vogliono la tracheotomia. Non vogliono in alcun modo venire attaccati ad una macchina per vivere come dei vegetali. Quando sarà il momento rifiuteranno la macchina e moriranno o per soffocamento o, mi auguro, dopo una sedazione”.
“Mi dispiace davvero molto – prosegue la donna – perché sono sempre più convinta che chi ha scritto questa sentenza non ha idea di cosa siano le persone deboli e vulnerabili che non hanno più una vita degna di essere vissuta. Vorrei capire se su quindici giudici almeno uno si è opposto a questo giudizio”. E ancora: “Vorrei che qualche giudice della Consulta venisse a casa mia a vedere come si vive”.
(da agenzie)

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