Marzo 25th, 2022 Riccardo Fucile
“SIAMO SOTTO TIRO, SENZA CARBURANTE E SENZA SUPPORTO AEREO” – I MILITARI DISCUTONO CON AGITAZIONE DEGLI ERRORI DURANTE L’AVANZATA VERSO MAKARIV… SECONDO IL “NEW YORK TIMES” LE REGISTRAZIONI RIVELANO COME LE TRUPPE SIANO ALLE PRESE CON PROBLEMI LOGISTICI E FALLIMENTI DI COMUNICAZIONE
Sotto tiro, senza carburante e senza supporto aereo.
A raccontare come le truppe di Mosca stiano vivendo le difficoltà dell’invasione dell’Ucraina sono alcune intercettazioni radio pubblicate dal New York Times: l’esercito russo parla degli obiettivi mentre nei giorni scorsi avanzava verso la città di Makariv.
Negli audio delle reti radio non protette ottenute dal Times si sente un russo che ordina a un membro dell’esercito di «coprire» le aree residenziali «con l’artiglieria». Ma un’altra clip spiega ancora meglio quale sia lo stato d’animo delle milizie: «La mia situazione è molto tesa, i carri armati si stanno avvicinando – si ascolta negli audio -. Non so di chi siano i carri armati, non riesco a identificarli. C’è un drone in aria e l’area è sotto tiro da tutte le direzioni».
All’ufficiale che raccontava di essere sotto tiro e bloccato, non è mai arrivato il supporto aereo che richiedeva. Secondo le traduzioni del Times, un altro membro dell’esercito gli ha risposto dicendo: «Ti sei dimenticato del fott… supporto aereo! Te ne sei dimenticato! È finita!».
Gli investigatori audiovisivi hanno collaborato con operatori radioamatori e gruppi open source per ottenere le trasmissioni radio, spiega il giornale. «Le registrazioni rivelano un esercito alle prese con problemi logistici e fallimenti di comunicazione», ha spiegato il New York Times.
(da agenzie)
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Marzo 25th, 2022 Riccardo Fucile
SCOPPIA LA PROTESTA PER LE GRAVI PERDITE SUBITE, OLTRE 700 SOLDATI SU 1.500… IL GENERALE MESSO SOTTO UN TANK
Secondo quanto riferito da Roman Tsymbaliuk, ritenuto l’ultimo giornalista di Kiev ad
aver lasciato la Russia a gennaio, il colonnello Yuri Medvedev, comandante della 37/ma brigata fucilieri motorizzati, è stato travolto da un suo sottoposto con un tank. Sarebbe stata una protesta per via dell’alto numero di perdite della sua unità nel conflitto. Dei circa 1.500 componenti con cui il suo battaglione aveva iniziato la guerra, tra morti e feriti ne avrebbe perso la metà
Secondo il reporter ucraino Roman Tsymbaliuk, il soldato avrebbe travolto il comandante della 37ma brigata , il colonnello Yuri Medvedev, in un gesto d’ira per le gravi perdite subite dalla sua unità. Il Guardian cita fonti di intelligence occidentali secondo cui l’ufficiale sarebbe morto per le gravi ferite riportate alle gambe.
Le immagini del comandante trasportato in un ospedale in Bielorussia con gravi ferite alle gambe hanno fatto il giro dei social, dopo essere state condivise anche da un account del leader ceceno Ramzan Kadyrov, fedelissimo del presidente Vladimir Putin.
Fonti russe hanno elogiato l’alto ufficiale, cui sarebbe stata promessa una medaglia al valore e un risarcimento in denaro. Ma ad alcune ore dall’incidente, l’intelligence occidentale, citata da media britannici, ne avrebbe confermato la morte.
Non ci sono invece informazioni sulla sorte del militare che lo ha investito.
La ricostruzione arriva mentre appaiono sempre più forti le tensioni tra le truppe di Putin. Le notizie sulle perdite in battaglia sono sempre più gravi
I russi avrebbero poi lasciato sulle strade dell’Ucraina anche decine di tank e altri mezzi corazzati. Dei 115-120 Gruppi tattici di battaglione con cui aveva iniziato la guerra, almeno una ventina sarebbero fuori dai giochi.
Una situazione di difficoltà che anche gli alti comandi di Mosca sembrano propensi a riconoscere: l’orizzonte del 9 maggio per la fine del conflitto – giorno simbolico della vittoria sovietica sul nazismo – potrebbe servire anche a calmare le truppe con una data-limite per il ritorno a casa.
Secondo le stime del giornalista ucraino Tsymbaliuk, il battaglione del soldato autore del gesto contro il suo comandante avrebbe già perso circa 750 uomini tra morti e feriti, circa la metà dei 1500 che lo componevano.
(da agenzie)
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Marzo 25th, 2022 Riccardo Fucile
LA PAROLA È UN AMMICCAMENTO ALLE PIAZZE, IN PARTICOLARE A QUELLE DEL “NÉ CON PUTIN NÉ CON LA NATO”
«Ucraina nazista», «denazificare l’Ucraina». Putin lo ripete a ogni piè sospinto: il progetto politico dell’«operazione militare speciale» ha, tra le sue motivazioni più urgenti, quella di «smantellare il pensiero neonazista degli ucraini».
Lo ha gridato il nuovo zar anche nella kermesse allo stadio di Mosca: bisogna fermare il genocidio compiuto dal «nazista» Zelensky. Poco importa che il presidente ucraino venga da una famiglia di origine ebraica, che alcuni suoi parenti siano stati vittime della Shoah.
Come mai l’autocrate russo si riempie la bocca parlando della minaccia nazista che sarebbe rappresentata dagli ucraini? E come mai usa questo argomento come uno degli elementi fondamentali nella sua strategia di informazione (o disinformazione)? Innanzitutto l’evocazione della lotta contro i seguaci di Hitler rimanda al successo della guerra patriottica contro l’Asse nazifascista che per i russi costituisce un elemento unificante e basilare per l’identità nazionale.
La parola nazista, inoltre, è un ammiccamento alle piazze, ai politici e agli intellettuali di tutta Europa, in particolare a quelli italiani del «né né», «né con Putin né con la Nato», e rammenta che stare con Putin vuol dire stare dalla parte giusta della storia, essere antifascisti e antinazisti.
Infine lo slogan della «denazificazione» dell’Ucraina richiama al popolo russo, inclusa quella parte meno colta e priva di una memoria storica, un tema ricorrente nei libri di scuola, enunciato nelle aule e che risuona nei dibattiti.
L’appellativo di nazista viene rivolto agli ucraini da più 70 anni, segna la storia dei rapporti russo-ucraini dalla fine della seconda guerra mondiale.
È un richiamo propagandistico che affonda nella falsificazione della memoria. Terminato il secondo conflitto mondiale, l’Ucraina fu considerata negli anni dell’Impero del male come il più terribile covo di ribelli, il cuore fascista dell’Urss.
Come mai? Ogni più piccolo segnale di dissenso o di critica espresso dagli abitanti di questo Paese fu designato come il verbo dei «disfattisti», dei nemici e dei «controrivoluzionari».
Gli ucraini erano rei di essersi ribellati, prima alla collettivizzazione di Lenin e poi al diktat di Stalin che negli anni 30 aveva perseguitato i kulaki, i contadini che coltivavano la terra con lavoratori alle loro dipendenze. Ma nel secondo dopoguerra non erano «fascisti» solo per questo. Durante l’occupazione nazista le armate di Hitler sterminarono circa 1,6 milioni di ebrei ucraini.
Al termine, nella seconda metà degli anni 40, i cittadini ucraini s’ illusero di poter dare testimonianza delle atrocità di cui erano stati vittime tra il 1931 e il 1932: nelle loro drammatiche traversie, infatti, non c’era da ricordare solo la ferocia nazista ma anche l’Holodomor, la carestia che, provocata intenzionalmente da Stalin, causò milioni di morti. Il sogno ucraino di raccontare tutto durò poco: dall’autunno del 1945 venne sbattuto in prigione chiunque in Ucraina pensasse di portare alla luce le proprie memorie. Il divieto di parlare venne in parte aggirato da ricerche storiche sulla carestia e sui morti di stenti finanziate dagli emigrati ucraini.
Solo nel 1991 venne fatta chiarezza: il Partito comunista dell’Ucraina riconobbe, prima che si dissolvesse l’Unione Sovietica, che la carestia era stata dovuta a «un percorso criminale seguito da Stalin e dalla sua cerchia più stretta» anche perché temeva di «perdere» questo Stato che con la sua forte vocazione all’autonomia e il suo sguardo rivolto all’Europa era una minaccia per l’Urss e per il suo stile di vita.
L’epiteto spregiativo per gli ucraini, nazisti, tornò in grande spolvero nel 2010, dopo che il filorusso Viktor Janukovy divenne presidente del paese. Di nuovo chi voleva ricordare la tragedia della morte per fame fu chiamato nazista e Putin bloccò in Russia le ricerche d’archivio. Nel 2014 i media russi definirono i militari che invasero la Crimea e l’Ucraina orientale «patrioti separatisti» in lotta contro «i fascisti e i nazisti ucraini».
Il governo russo ripercorre ancora oggi le orme di quello sovietico. Parte dell’intellighenzia e dei politici italiani che sposano la causa del «né né» fingono di credere che l’appellativo nazista sia stato attribuito al popolo ucraino solo di recente, cioè da quando hanno ripreso fiato nel paese formazioni di estrema destra come il noto battaglione Azov.
Ma chiamare gli ucraini nazisti per via di queste presenze è una metonimia: la parte non vale per il tutto ed equivarrebbe a dire che le nazioni democratiche in cui esistono frange simili devono essere «defascistizzate». Putin, trasformando gli ucraini in «nazisti» per antonomasia, ha fatto un’abile operazione di disinformazione. Un falso che attraversa i decenni e che guida la mano di chi preme il bottone dei missili russi.
(da la Stampa)
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Marzo 25th, 2022 Riccardo Fucile
L’AVVOCATO DI GIULIA SCHIFF: “E’ PUNIBILE IL RECLUTAMENTO, NON CHI FA UNA SCELTA PERSONALE“
Il caso dell’ex pilota dell’aeronautica militare italiana aveva spinto il ministero degli Esteri
a lanciare un richiamo per gli italiani intenzionati a combattere per Kiev. La legge italiana però punirebbe chi organizza il reclutamento e non chi partecipa, dice l’avvocato di Schiff
Giulia Schiff non è una mercenaria e quindi non dovrebbe essere punita dalla legge italiana. Ne è sicuro l’avvocato dell’ex pilota dell’Aeronautica militare italiana, dopo che la Farnesina aveva diffuso un richiamo per chi avesse avuto intenzione di partecipare al conflitto in Ucraina dall’Italia.
La vicenda della pilota raccontata dal programma di Italia 1 Le Iene e ripresa da diversi media italiani aveva spinto la Farnesina a chiarire che: «tali condotte possono essere considerate penalmente rilevanti ai sensi della normativa vigente».
Ma secondo l’avvocato di Schiff, Massimiliano Strampelli, l’ex pilota dell’aeronautica, espulsa dopo aver denunciato casi di nonnismo, non rientra nei casi citati dagli articoli 244 e 288 del codice penale, cioè quelli dei mercenari e di: «reclutamento non autorizzato nello Stato italiano».
Proprio in quest’ultimo caso, spiega Strampelli, a essere puniti dovrebbero essere gli organizzatori del reclutamento. E nel caso di Schiff sarebbe il governo ucraino, visto che l’ex pilota dell’aeronautica ha deciso di combattere come volontaria nelle Forze speciali della Legione internazionale in Ucraina.
(da agenzie)
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Marzo 25th, 2022 Riccardo Fucile
IL SOLITO VILE SOVRANISTA CHE SI NASCONDE
Le Scarpe sulla riva del Danubio sono una delle sculture più note di Budapest, in Ungheria.
Create dal regista Can Togay insieme allo scultore Gyula Pauer sono state inaugurate nell’aprile del 2005.
Sono un’opera dedicata all’Olocausto e si riferiscono a uno dei massacri che hanno segnato la storia di Budapest in cui i cittadini ebrei sono stati uccisi e gettati nelle acque del Danubio.
È a questo monumento che ha fatto riferimento il presidente ucraino Volodymyr Zelensky quando si è rivolto a Viktor Orbán durante un discorso ai leader del Consiglio Ue: «Ascolta, Viktor. Per favore, guarda quelle scarpe. E vedrai come le uccisioni di massa possono ripetersi nel mondo di oggi. Ed è quello che sta facendo la Russia oggi. Non c’è tempo per esitare, è tempo di decidere. Voglio fermarmi qui ed essere onesto. Una volta per tutte. Devi decidere tu stesso con chi stare». A riportare le parole di Zelensky è il Daily News Hungary.
Il ministro degli Esteri ungherese Péter Futsal Szijjártó ha spiegato nei giorni scorsi che sul terreno dell’Ungheria non passeranno armamenti: «Il transito delle armi comportava il rischio di trasformare l’Ungheria in un obiettivo militare e ci rifiutiamo di mettere in pericolo la vita e l’incolumità del popolo ungherese. Dobbiamo stare fuori da questa guerra».
Alla richiesta di Zelensky di estendere le sanzioni contro la Russia anche dal punto di vista energetico, Orban ha risposto: «È inaccettabile, contraria agli interessi del popolo ungherese»
(da agenzie)
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Marzo 25th, 2022 Riccardo Fucile
LO STREET ARTIST PALOMBO: “LA DENAZIFICAZIONE DI PUTIN E’ UNA GRANDE MISTIFICAZIONE”
Anna Frank sui muri a Milano. Il suo abito stavolta è colorato di giallo e di blu, i colori
dell’Ucraina. E stavolta la piccola ebrea che non riuscì a sfuggire all’Olocausto dà fuoco alla Z, simbolo degli invasori russi.
Così lo street artist aleXsandro Palombo interviene con le sue opere nel conflitto russo-ucraino.
Come già avevano fatto altri suoi colleghi in altre città europee.
“Stiamo assistendo – scrive Palombo sulle sue pagine social, pubblicando le foto di questo suo ultimo progetto, – a un modello di guerra che si evolve con molteplici mezzi tra cui quelli delle fake news e della propaganda sui social network per influenzare i sentimenti e l’opinione pubblica”.
“La ‘denazificazione’ di Putin – aggiunge – è una pesante operazione di propaganda e mistificazione condotta per giustificare la barbara invasione dell’Ucraina. La memoria è uno degli anticorpi più potenti che ci permette di difenderci dai pericoli del presente”.
(da agenzie)
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Marzo 25th, 2022 Riccardo Fucile
L’AGENZIA DI STAMPA DELLA PROPAGANDA RUSSA NE TESSE LE LODI
Dopo essere stato nei principali salotti televisivi italiani di approfondimento giornalistico, il direttore dell’Osservatorio sulla Sicurezza Internazionale della Luiss Alessandro Orsini, noto (e invitato) per le sue controverse posizioni sulla guerra della Russia in Ucraina, è apparso lo scorso 22 marzo in un articolo dell’agenzia di stampa russa Tass, che funge da megafono per la propaganda di Vladimir Putin.
In particolare, in un servizio dal titolo “L’esperto italiano accusa l’Unione europea di intensificare il conflitto in Ucraina invece di cercare la pace”, vengono riprese le dichiarazioni di Orsini che aveva attaccato le istituzioni comunitarie additandole di avere una colpa nella dilatazione dei tempi del conflitto.
“Finora Bruxelles ha lavorato solo per una guerra, fornendo armi all’Ucraina, diffondendo propaganda occidentale e usando sanzioni. Questo non fa nulla per raggiungere la pace”, scrive l’agenzia citando il sociologo. E ancora: “Ursula von der Leyen (la presidente della Commissione europea, ndr) gestisce la crisi in modo inadeguato e non tutela gli interessi degli europei”.
Tass riporta come Orsini sia stato “tra i primi a formulare una condanna motivata del ruolo dell’Occidente nella crisi ucraina. È stato attaccato da media e politici, mentre la prestigiosa Università LUISS di Roma lo ha sospeso dal lavoro”.
Nelle sue apparizioni in tv si è subito detto contrario alla cessione di armi all’Ucraina da parte del governo italiano, perché – secondo lui – alzerebbe il livello dello scontro, causando di conseguenza un numero maggiore di vittime. Le sue posizioni, che in sostanza lo fanno propendere per una resa ucraina prima che Putin minacci di utilizzare armi ben più potenti di quelle messe in campo fino ad ora, hanno sollevato non poche polemiche alla scoperta di un contratto stipulato tra lui e la Rai per sei apparizioni a Cartabianca pagate 2mila euro l’una.
(da agenzie)
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Marzo 25th, 2022 Riccardo Fucile
RICICCIA L’INGRESSO DEL CARROCCIO NEL PPE, MA CI SONO ANCORA MOLTE RISERVE: SIA DAI FALCHI POPOLARI SIA DALLO STESSO “CAPITONE”, CHE FA UN PASSO AVANTI E TRE INDIETRO PER PAURA DI ESSERE SCAVALCATO A DESTRA DALLA MELONI (È GIÀ TROPPO TARDI)
Dietro una facciata di silenzi, i movimenti dentro quel che resta del centrodestra sono
febbrili. Il più attivo è il leader della Lega, Matteo Salvini: il tempo stringe, i sondaggi parlano di un Fratelli d’Italia sempre più in ascesa e sta arrivando il tempo delle decisioni sul futuro.
Il progetto sul tavolo, di cui Salvini ha già discusso in più incontri riservati con il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, ha due dimensioni.
La prima è quella di consolidare l’alleanza in qualcosa di più: si sono vagliate le ipotesi della fusione, della federazione e della confederazione, ma ora si sta scommettendo su quella del listone unico, da testare prima in Sicilia e poi a livello nazionale.
La seconda è quella europea, con Salvini tentato dall’ingresso nel Partito popolare europeo e spinto in questa direzione dall’alleato, che punta a completare l’opera di “normalizzazione” della Lega in un perimetro che tenda più al centro che a destra.
Le iniziative, però, sono tutt’altro che semplici da portare a termine. Con una convitata di pietra: la leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, che rischia di essere il vero elemento di disturbo a entrambi i progetti.
L’INGRESSO NEL PPE
Caldeggiato in più occasioni da Berlusconi, l’ingresso della Lega nel Ppe sarebbe il primo vero passo verso una nuova forza politica di centrodestra che raccolga Lega, Forza Italia e tutte quelle forze che negli anni si sono scisse guardando in direzione del centro. I passi di avvicinamento ci sono stati, il più importante dei quali è stato il voto favorevole della Lega all’elezione della nuova presidente del parlamento europeo, Roberta Metsola del Ppe.
Da tempo questa è la speranza di Forza Italia, che considera ormai definitivamente passato il tempo del sovranismo e considera questo passaggio necessario in ottica di creare poi un solo partito.
Attualmente il partito di Matteo Salvini fa parte del gruppo Identità e democrazia, insieme ai leader europei sovranisti. Per questo il passaggio nel Ppe non sarebbe semplice, viste anche le resistenze di alcuni membri, ma i buoni uffici di Silvio Berlusconi permetterebbero di sciogliere le riserve.
Una garanzia, questa, che il leader di Fi ha dato a Salvini, spiegandogli di essere pronto ad alzare il telefono per spiegare e convincere i colleghi in Europarlamento.
A mancare, però, è una volontà precisa di Salvini, che «rimane il peggior consigliere di se stesso», dicono in Forza Italia. Il racconto è quello di un leader indeciso, che un giorno è pronto a dare il via libera a Berlusconi e il giorno dopo gli telefona per chiedere ancora del tempo.
«Ci sono ancora troppe resistenze interne, i miei non mi seguirebbero», sarebbero le motivazioni addotte da Salvini nell’ultimo incontro con l’alleato. Nelle ultime ventiquattro ore, ad alimentare queste incertezze è stato anche l’altro livello su cui la Lega si sta muovendo, in vista sia delle prossime amministrative che delle politiche del 2023.
PRIMA L’ITALIA
Da mesi, ormai, si parla di una confluenza di Lega e Forza Italia in un unico partito: per la prima sarebbe il modo di egemonizzare il centrodestra, per la seconda un passaggio necessario per sopravvivere politicamente all’anziano leader. Dopo i tentativi andati a vuoto di fusione, federazione o confederazione, la nuova versione di questo patto è quella di partire da un listone unico ed stata annunciata all’indomani del consiglio federale della Lega
Il contenitore si chiamerà Prima l’Italia, ma il rischio più che concreto è che si sia scelta una sfida troppo complicata per testarlo. Il campo, infatti, è quello delle elezioni amministrative – comunali e regionali – in Sicilia. Il centrodestra sull’isola, che è anche la seconda regione per popolazione e da sempre “civetta” degli andamenti politici nazionali, però è a un passo dall’implosione.
Risultato: a due mesi dal voto a Palermo il centrodestra ha ancora almeno cinque candidati sindaci in campo, mentre per le regionali d’autunno si sta consumando lo scontro intorno alla ricandidatura dell’uscente Nello Musumeci, caldeggiata da Meloni e non voluta da Lega e Forza Italia.
In questo clima, la proposta di Prima l’Italia è stata accolta con una freddezza che ha stupito lo stesso Salvini, che sperava invece di poter risolvere almeno parzialmente lo scontro offrendo a tutti posti in lista e un nuovo contenitore unitario in vista del futuro.
Invece, sono immediatamente arrivati i distinguo: «Ottima iniziativa, ma noi alle comunali correremo con le nostre liste», è stata la risposta sia di Forza Italia in Sicilia che degli autonomisti di Raffaele Lombardo.
Non esattamente l’accoglienza auspicata, soprattutto visto che il test siciliano – nemmeno troppo velatamente – dovrebbe servire ad aprire la strada per un percorso analogo a livello nazionale, per le politiche. «Il rischio è che sia un esperimento che viene ucciso in culla, quando invece l’idea sarebbe buona», dice un maggiorente di Forza Italia sull’isola.
In questo quadro, il grande non detto riguarda la capacità di leadership di Salvini. Il timore, soprattutto dentro Forza Italia ma anche tra i moderati dell’ala leghista legata a Giancarlo Giorgetti, è che «ce la stiamo mettendo tutta per perdere non solo le prossime amministrative, ma anche le prossime politiche».
Alla finestra rimane Meloni, che ha subito dato mandato ai suoi in Sicilia di attaccare il progetto di Prima l’Italia – nonostante Salvini lo abbia aperto anche a loro – e rimane a guardare, forte dei sondaggi in continua ascesa. Il derby sotterraneo tra i due leader prosegue, ma per ora nessuno dei due vuole essere il responsabile della rottura formale dell’alleanza.
Tuttavia, sanno che andare divisi alle amministrative sarebbe il colpo di grazia: anche nei periodi di divisione al governo, il collante sono sempre stati i territori. Se anche lì il patto salta, il centrodestra per come è stato fino ad ora conosciuto sparirà.
(da “Domani”)
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Marzo 25th, 2022 Riccardo Fucile
ERA FUGGITO DALLA RUSSIA CON LA FIGLIA DI 25 ANNI
Lui si chiama Iria, è uno dei “paperoni” russi che, a differenza di tutti gli altri, però, è scappato dalla Russia il 3 marzo scorso insieme alla figlia ricercata per aver manifestato in piazza.
Adesso mette a disposizione la sua casa a Montecatini per ospitare i profughi in fuga dall’Ucraina assediata dall’esercito russo.
Il magnate anti Putin, come racconta oggi Il Tirreno, che non vuole essere chiamato oligarca, è fuggito non solo con la figlia di 25 anni ma anche col più piccolo di 17 che altrimenti rischiava di essere inviato al fronte.
Una volta arrivati in Toscana, i tre hanno raggiunto la loro casa tra Montecatini e Forte dei Marmi che, dunque, nelle prossime ore verrà aperta ai profughi ucraini. Degli oligarchi russi si è parlato a lungo in queste settimane perché l’Ue, Italia in primis, ha applicato pesanti sanzioni verso gli uomini più vicini al presidente russo arrivando a sequestri di ville e yacht di loro proprietà.
(da agenzie)
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