Marzo 29th, 2022 Riccardo Fucile
ZOCCATELLI E’ PRESIDENTE DELL’ASSOCIAZIONE VENETO-RUSSIA
«Lasciamo perdere Salvini. È un rinnegato! Dalla maglietta di Vladimir Putin in Piazza Rossa all’atlantismo di circostanza. Ma si può?».
A parlare è Palmarino Zoccatelli, presidente dell’associazione Veneto-Russia, riportato da Il Foglio.
Zoccatelli – che è un leghista ma che non vuole dire se è iscritto al Carroccio («Non chiedetemelo, perché non ve lo dico») – è un tradizionalista cattolico, un indipendentista veneto e da due anni è responsabile dell’ufficio territoriale veronese della Repubblica Popolare di Donetsk.
«In Italia l’apologia al fascismo è reato, e poi mandiamo armi ai neonazisti ucraini?», dice utilizzando la retorica putiniana sull’invasione dell’Ucraina. L’associazione difende il secessionismo del Donbass da due anni prima dell’operazione di Putin, che ha firmato il decreto di riconoscimento solo il 21 febbraio scorso (tre giorni prima dell’invasione).
Zoccatelli ha criticato il cambio di rotta di Salvini, che ha pubblicamente condannato la guerra in Ucraina. Il voltafaccia era stato evidenziato (seppur con intenti opposti) anche dal sindaco di Przemysl, in Polonia, dove il segretario leghista era andato per supportare la popolazione ucraina. In quell’occasione, il primo cittadino Wojciech Bakun aveva srotolato davanti a Salvini una maglietta con il volto di Putin e la scritta «Esercito russo», la stessa che l’ex vicepremier aveva indossato nel 2015 durante la sua visita a Mosca.
Per Zoccatelli, l’Italia è oggi una roccaforte zarista in feudo americano. Una certa anima filorussa del Veneto indipendentista era già emersa nel 2016, quando il consigliere Valdegamberi e il presidente del Consiglio regionale Roberto Ciambetti (l’uno Lista Zaia, l’altro Lega) avevano riconosciuto per primi nel mondo la Crimea russa. «Fu un pronunciamento di grande valore simbolico e politico», ha detto Zoccatelli citato dal Foglio. «Prima di dirottare sull’autonomia, qui era già pronta la legge sull’indipendenza. Ma fu cassata dalla Corte costituzionale».
(da agenzie)
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Marzo 29th, 2022 Riccardo Fucile
BOOM DI GRADIMENTO PER ZELENSKY
La fiducia nei confronti di Vladimir Putin in Italia è crollata ai minimi storici. Non è certo
una sorpresa, vista la guerra scatenata in Ucraina.
Ma se da un lato il presidente russo crolla sotto i dieci punti, dall’altro Volodymyr Zelensky vola nell’indice di gradimento riservato ai leader stranieri, fermandosi al secondo posto dietro la presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen. I dati raccolti da Demos per Repubblica, nel sondaggio pubblicato sul quotidiano, si differenziano in base all’elettorato dei vari partiti. È impressionante anche la variazione dei dati nell’ultimo anno, con il crollo di Putin, ma anche quello di Joe Biden.
Partiamo dalla fine: solo l’8% dei cittadini italiani dice di avere fiducia in Putin, contro il 42% di un anno fa.
A guidare la testa della classifica, invece, non è più il presidente americano Biden – che passa dal 58% ad appena il 36% – ma Von der Leyen con il 58%, ben oltre il 47% di un anno fa.
Al secondo posto c’è il presidente ucraino Zelensky, che raccoglie il 53%, seguito dal presidente francese Macron con il 42%. Poi, dopo Biden, troviamo Boris Johnson al 31% – in calo dal 38% di un anno fa – e il cancelliere tedesco Scholz al 29%. Il boom di Zelensky è impressionante, soprattutto se consideriamo che, ad esempio, il presidente Draghi secondo l’ultimo sondaggio di Ipsos ha un gradimento del 60%.
Se andiamo a guardare la fiducia in Putin tra gli elettori dei vari partiti politici italiani, alcune differenze sono ancora più marcate. Un anno fa l’elettorato più vicino al presidente russo era quello di Fratelli d’Italia, che esprimeva un gradimento del 67%. Praticamente due su tre. Oggi è crollato al 9%. Tra gli elettori della Lega la fiducia in Putin è passata dal 65% al 13%, che – per quanto bassissimo – resta il dato relativo più alto. Tra chi vota Forza Italia il gradimento è passato dal 55% al 7%, tra gli elettori del Movimento 5 Stelle dal 38% al 9%, mentre tra quelli del Partito Democratico dal 29% all’8%.
(da Fanpage)
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Marzo 29th, 2022 Riccardo Fucile
PD 21,7% , FDI 21% , LEGA 16,7%, M5S 13,2%
Partito democratico e Fratelli d’Italia continuano a crescere nei sondaggi, staccando Lega e Movimento 5 stelle.
Secondo la media delle rilevazioni di Termometro Politico, nella settimana dal 20 al 26 marzo, il partito guidato da Enrico Letta si sarebbe portato al 21,7%, quasi un punto percentuale davanti alla formazione di Giorgia Meloni, ferma al 21%.
Una situazione, per i due partiti, non molto diversa dalla media dei sondaggi di un mese fa.
Al terzo posto la Lega segna un nuovo record negativo nella media dei sondaggi, posizionandosi al 16,7%,
Molto debole anche il Movimento 5 stelle, che si posiziona al quarto posto con il 13,2% dei voti potenziali. La rinnovata leadership dell’ex premier Giuseppe Conte, quindi, ha il compito di ridare linfa a una formazione politica che oramai appare distante dai primi due partiti italiani.
Si conferma poi stabile all’8,5% Forza Italia, così come è ferma al 4,7% la federazione tra Azione e +Europa.
Tra i piccoli partiti, invece, l’unico a perdere punti percentuali è Italia Viva, che scende al 2,3%, mentre le formazioni che facevano parte di LeU non si muovono più di tanto, e ora, sommati, sono al 3,5%.
Con questi risultati ad eventuali elezioni politiche il centrodestra totalizzerebbe almeno il 47% dei consensi, contro il 40,5% del centrosinistra (esteso ai Verdi). A queste formazioni si sommerebbe la galassia liberal-democratica, che raggiungerebbe il 7% dei consensi, facendo da possibile ago della bilancia tra i due schieramenti.
Di certo, però, se quest’area centrista si unisse con l’asse PD-M5s, la distanza con il centrodestra verrebbe colmata.
Uno scenario del genere, tuttavia, è plausibile immaginarlo soltanto post-elezioni, contrariamente a quel campo largo voluto e inseguito da Letta.
La media dei sondaggi di Termometro Politico è ottenuta mettendo a confronto le rilevazioni di 6 istituti di statistica: SWG, Tecnè, TP, Ipsos, Ixé, Euromedia.
(da Fanpage)
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Marzo 29th, 2022 Riccardo Fucile
ALCUNI CON ESITO FATALE
Roman Abramovich, multimilionario proprietario del Chelsea e amico di Putin, sarebbe
stato avvelenato a inizio marzo insieme ad un alcuni esponenti della delegazione ucraina alle trattative di pace con la Russia.
La notizia, lanciata dal Wall Street Journal, è stata rilanciata anche dal sito Bellingcat, ma non ha trovato conferme ufficiali, anzi Mosca ha smentito parlando di “informazione di guerra”: l’oligarca, come riferiscono le fonti, avrebbe manifestato sintomi da avvelenamento dopo un incontro a Kiev, come occhi rossi, lacrimazione costante e dolorosa, desquamazione della pelle sul volto e sulle mani, gli stessi sintomi manifestati da due negoziatori ucraini, ma nessuno sarebbe stato in pericolo di vita.
Non si tratta di una novità: i casi di sospetti avvelenamenti russi sono stati molto frequenti negli ultimi anni, alcuni dei quali diventati anche particolarmente famosi, da Alexei Navalny a Alexander Litvinenko e all’ex presidente ucraino Viktor Yushchenko.
Alexander Litvinenko avvelenato con polonio
Come non ricordare, infatti, proprio Alexander Litvinenko, ex agente dei servizi russi dell’Fsb assassinato con il polonio: era il 2006 quando si ammalò improvvisamente e venne trasferito in ospedale.
Sei anni prima era fuggito a Londra dopo aver accusato i suoi superiori di aver ordinato l’assassinio dell’oligarca Boris Berezovsky. Non solo. Dalla Gran Bretagna aveva anche tirato in ballo Putin per l’omicidio della giornalista Anna Politkovskaya. La sostanza, a quanto pare, venne versata in una tazza di tè da due russi durante un incontro nella City. Per la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo la Russia è responsabile del suo assassinio spiegando che “Mosca non ha fornito alcuna altra spiegazione soddisfacente e convincente degli eventi o capace di invalidare i risultati dell’inchiesta condotta dal Regno Unito”.
Yushchenko e la diossina nella minestra
Prima di lui è toccato a Viktor Yushchenko, candidato alle elezioni presidenziali ucraine e leader dell’opposizione, che nel 2004 venne ricoverato in Austria dopo essere stato vittima di un misterioso avvelenamento da diossina, forse versata nella minestra, nel 2004. Ma l’esito non fu letale. Yushchenko andò al ballottaggio quell’anno con il leader filo-russo Yanukovych, uscendone perdente.
Avvelenamento con agente nervino per Skripal e Navalny
Ancora, nel 2018 l’ex agente dell’intelligence militare russa Sergei Skripal e sua figlia Yulia vennero trovati riversi su una panchina della città britannica di Salisbury. Si scoprì in seguito che erano stati avvelenati con un agente nervino, il novichok. Entrambi sono guariti dopo un lungo ricovero in terapia intensiva in ospedale.
Con un agente nervino è stato avvelenato anche Alexei Navalny, tra i principali oppositori del presidente Putin: il 20 agosto 2020 perse conoscenza in aereo durante un volo da Tomsk a Mosca. L’aereo fece uno scalo d’emergenza a Omsk, dove venne ricoverato in ospedale in coma. Su pressione di Francia e Germania, Navalny venne trasportato a Berlino due giorni dopo all’ospedale la Charitè, dove gli venne salvata la vita. Una volta guarito, è tornato in Russia, dove è stato arrestato per violazione della libertà vigilata e dove è stato di recente condannato ad altri 9 anni di reclusione in una colonia penale di massima sicurezza.
Cosa sappiamo sull’avvelenamento di Abramovich
Ieri, infine, è stata diffusa la notizia del tentativo di avvelenamento nei confronti di Roman Abramovich. In base a quanto indicato dal Wall Street Journal e dall’agenzia di investigazione Bellingcat, l’oligarca e due negoziatori ucraini si sarebbero sentiti male i primi di marzo, nelle fasi iniziali dei colloqui tra i due Paesi in conflitto. I principali indiziati dell’avvelenamento sarebbero presunti “falchi / estremisti russi” che avevano l’obiettivo di far naufragare i suddetti negoziati, ma non di uccidere i bersagli. Tutti avrebbero bevuto cioccolata e acqua prima di accusare i sintomi. Un quarto negoziatore, che ha consumato le stesse cose, non avrebbe invece sviluppato conseguenze.
Alla luce di questi dettagli alcuni esperti hanno avanzato l’ipotesi che il possibile avvelenamento si sia verificato attraverso radiazioni elettromagnetiche, agenti chimici o biologici di natura non confermata.
(da Fanpage)
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Marzo 29th, 2022 Riccardo Fucile
“NON POSSO RESTARE IN SILENZIO“
Melicina Stanjuta non ha paura di usare le parole giuste. Al telefono con TPI definisce senza esitare “guerra” quella che per il governo russo e il suo alleato, la Bielorussia di Alexander Lukashenko, è “l’operazione militare speciale” in Ucraina.
Ex ginnasta olimpica bielorussa, vincitrice di numerose medaglie nella ginnastica ritmica prima del suo ritiro nel 2016, oggi allenatrice, Stanjuta non può più vivere nel suo Paese da quando nel 2020 si è schierata apertamente sui social contro il regime bielorusso.
Ha dovuto lasciare Kiev, diventata la sua seconda casa, quando ormai sembrava evidente che Mosca avrebbe invaso l’Ucraina. Oggi vive tra Italia e Spagna con un visto turistico, che tuttavia a breve scadrà e che non le permette di trovare un lavoro stabile.
Qual è stato il momento in cui hai deciso di prendere posizione sulle violenze contro i manifestanti in Bielorussia?
«Prima delle elezioni in Bielorussia di agosto 2020 il presidente Lukashenko ha messo in prigione gli altri candidati. Anche persone che manifestavano pacificamente, semplicemente stando in piedi, sono state incarcerate. Ho deciso di parlare quando una sera, mentre ero fuori con i miei amici, e ho visto la polizia usare la forza contro persone che stavano ferme e battevano le mani, che è un modo che abbiamo in Bielorussia per protestare. In quel momento ho visto con i miei occhi quanto potessero essere violenti gli agenti. Ero scioccata».
Cosa è successo dopo?
«L’indomani ho visto delle persone venire arrestate solo perché erano in fila fuori da un negozio per comprare la storica bandiera bielorussa, quella bianca-rossa-bianca, usata prima dell’Unione sovietica e ora diventata simbolo della protesta. In quel momento ho scritto un post, per dire che in un Paese democratico questo non sarebbe successo, perché non stavano facendo nulla contro la legge».
Hai capito dall’inizio che scrivere quel post poteva essere rischioso per te?
«Sì, l’ho pensato dall’inizio. Ma non riuscivo a dormire al pensiero di quelle persone in prigione. Era davvero troppo, non potevo continuare a restare in silenzio».
Quali sono state le conseguenze?
«All’epoca lavoravo da tre anni come giornalista per la tv bielorussa, avevo un programma settimanale. Pochi giorni dopo il mio post mi è stato comunicato che il programma era stato cancellato. Era luglio 2020. A quel punto ho avuto una conversazione davvero sgradevole con il mio capo e ho perso il lavoro».
A quel punto la tua vita è cambiata
«Ho lasciato il Paese subito prima delle elezioni, perché ho capito che era troppo pericoloso restare. Sono stata via per tre mesi. Non potevo entrare in Europa per via del Covid, così sono stata in Russia e in altri Paesi. Quando sono rientrata in Bielorussia avevo molta paura, sapevo che in ogni momento potevo essere arrestata, come è successo a una mia amica, una giocatrice di basket che era stata alle Olimpiadi ed è stata in prigione per settimane per aver preso posizione. Ma è successo anche a molti altri personaggi noti che hanno fatto la stessa scelta».
Temevi sarebbe successo anche a te?
«Ogni volta che sentivo le sirene della polizia pensavo che fosse per me, ero molto spaventata. Cercavo di passare meno tempo possibile a Minsk. Non riuscivo neanche a trovare un lavoro, perché ero contro il regime. Così ho lavorato all’estero, anche a Kiev».
Poi la Russia ha invaso l’Ucraina, e anche Kiev non è stata più un posto sicuro.
«Sì. Ho vissuto in Ucraina per qualche mese, poi a fine gennaio sono dovuta tornare a Minsk per ottenere alcuni documenti. Sarei dovuta tornare a Kiev, ma i miei amici lì mi dicevano che c’era un grande rischio che Putin invadesse l’Ucraina, così per sicurezza sono andata in Spagna, perché avevo un visto turistico. Ho prenotato un hotel fino al primo marzo, pensando che se l’attacco dei russi non ci fosse stato sarei potuta tornare. Era tutto pronto, dovevo solo comprare il biglietto aereo».
Quando è scoppiata la guerra di nuovo non sei rimasta in silenzio.
«Non potevo. Avevo vissuto in Ucraina, conosco persone che vivono lì. Anche adesso ho amici molto stretti che si nascondono dalle bombe, non lontano da Kiev. E sfortunatamente i razzi non partono solo dalla Russia, ma anche dalla Bielorussia. Già a fine gennaio, quando ero tornata a Minsk per i documenti, avevo visto i carri armati russi ed equipaggiamenti militari attraversare la città. A febbraio le autorità hanno annunciato “un campo di addestramento militare” al confine con l’Ucraina, era così strano».
Cosa pensi del conflitto?
«Lo condanno fermamente. Ed è molto triste per me vedere colleghi della Russia o della Bielorussia che pensano alle medaglie e pubblicano post con simboli come la lettera “Z” – usata per segnare i carri armati russi – e sono così ciechi verso ciò che sta succedendo ai loro colleghi ucraini. Nessuna medaglia vale più della vita umana. Ne sono sicura».
Cosa pensano i tuoi amici bielorussi di questa guerra?
«Gran parte dei miei amici bielorussi avevano dovuto lasciare il Paese dopo il 2020, e si erano spostati in Ucraina perché era un Paese libero. Ora tutti loro devono lasciare anche l’Ucraina, stanno perdendo ancora una volta la loro casa. Questo mi spezza il cuore».
Ma chi è rimasto in Bielorussia ha contezza di quello che sta succedendo?
«Penso che i bielorussi abbiano la mente aperta, perché dal 2020 sanno cosa sia la propaganda e cosa significhi che la stessa persona sia presidente per molti e molti anni. Credo che la maggior parte di loro capisca».
I tuoi amici e la tua famiglia cosa pensano?
«Non conosco una singola persona in Bielorussia che sia a favore della guerra oggi, così come non conosco nessuno che abbia votato per Lukashenko nel 2020. Quindi credo che la maggior parte dei bielorussi la pensi così».
Pensi che lo sport e i suoi valori ti abbiano aiutata in qualche modo a sostenere la democrazia?
«Gli sportivi secondo me sono un po’ come i diplomatici: rappresentano il loro Paese e sono molto conosciuti. Per questo credo che dovremmo essere dei modelli, soprattutto per i bambini. La vera vittoria per noi è essere dei buoni esempi, specialmente chi è molto seguito sui social come Instagram e TikTok».
Qual è l’esempio che gli sportivi possono dare oggi?
«Secondo Pierre De Coubertin, che ha inventato le Olimpiadi moderne, il primo obiettivo per gli sportivi è il “fair play”. Oggi non è “fair”, non è giusto, che mentre alcuni sportivi si allenano altri siano costretti a nascondersi nei rifugi. In primo luogo questo non è giusto. La Carta Olimpica dice chiaramente che tutti dovrebbero avere la possibilità di fare sport nelle stesse condizioni».
Ora non puoi tornare in Bielorussia né in Ucraina. Cosa pensi di fare?
«Al momento sono stata ospitata da amici in Spagna e in Italia, ma non mi aspettavo di restare fuori così tanto tempo, quindi non ho molto denaro. Inoltre le mie carte di credito sono state bloccate a causa delle sanzioni. Ma sono una buona allenatrice e parlo diverse lingue. Finora alcuni club mi hanno chiamata per delle masterclass, e li ringrazio molto per questo. Vorrei trovare un lavoro più duraturo nell’Ue, ma al momento non posso perché ho il visto turistico, e purtroppo il passaporto bielorusso non è uno dei migliori da avere al momento. Proverò a chiedere un “Passeport talent” in Francia, purtroppo in Spagna o in Italia non esiste».
Speri che la Bielorussia possa diventare un Paese democratico in futuro?
«Certo, spero che tutto cambi. Io non ho avuto l’opportunità di vedere la democrazia in Bielorussia per 27 anni, che sono molti per una persona ma non sono così tanti per la Storia. Penso che la maggior parte dei Bielorussi preghi affinché il nostro Paese diventi democratico e il governo finalmente cambi».
(da TPI)
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Marzo 29th, 2022 Riccardo Fucile
NEL 2015 A ZIO SILVIO FU VIETATO L’INGRESSO IN UCRAINA PER TRE ANNI DOPO LA SUA VISITA IN CRIMEA, LA PENISOLA ANNESSA DALLA RUSSIA (IL CAPITONE ERA STATO LI’ UN ANNO PRIMA)
Man mano che il conflitto nel cuore dell’Europa va avanti, e vengono alla luce le passate,
mai celate, simpatie di Lega e Forza Italia nei confronti della Russia, emerge un elenco finora rimasto nascosto ai più: quello dei politici italiani messi al bando dal governo ucraino.
Destinatari ufficiali di diffide, di inviti a non andare nel Paese oggi sotto le bombe di Putin. In cima alla lista Silvio Berlusconi, a seguire diversi leghisti: i parlamentari Edoardo Rixi, Manuel Vescovi, Jari Colla, il capogruppo del Carroccio nel consiglio veneto Roberto Ciambetti sono tutti oggetto di una sorta di “Daspo” per alcuni non ancora scaduto.
In pochi lo ricordano: nel settembre 2015 l’Ucraina vietò l’ingresso nel Paese a Silvio Berlusconi per tre anni. Il motivo: si era recato in Crimea con Vladimir Putin. La messa a bando venne decisa per «proteggere gli interessi della sicurezza nazionale».
L’ambasciatore ucraino a Roma, Evhen Perelygin, scrisse a Berlusconi definendo la sua visita una «provocazione che rappresenta una sfida diretta all’integrità territoriale dell’Ucraina e ignora completamente la posizione consolidata dell’Unione europea e dell’Onu riguardo al non riconoscimento dell’occupazione di Crimea da parte della Federazione russa»
In quei mesi – al pari di Matteo Salvini, che era stato in Crimea l’anno prima, nell’ottobre del 2014 – Berlusconi promosse una campagna per togliere le sanzioni che la Ue aveva inflitto a Mosca dopo l’annessione della penisola ucraina nel febbraio 2014.
Nel settembre del 2015 il Cavaliere volò quindi in Crimea. Visitò il cimitero di guerra di Sebastopoli dedicato ai caduti della guerra del 1853-56, fece un tour dei vini e Putin gli concesse un bagno di folla a Yalta.
Era una visita privata, iniziata due giorni prima nella dacia di Sochi. L’Ucraina reagì sdegnata e gli comminò un Daspo della durata di tre anni
Stesso provvedimento – con durata variabile – toccato ai protagonisti di un viaggio a Yalta, nell’ottobre del 2016, per partecipare a un forum economico con imprenditori e politici. Una manifestazione seguita all’approvazione, da parte dei consigli regionali lombardo e veneto di due risoluzioni «per riconoscere quanto espresso dal popolo della Crimea attraverso il referendum di indipendenza ». Ovvero l’annessione alla Russia contestata dai maggiori organismi internazionali.
Prima della partenza per Yalta, la delegazione lombarda guidata dall’attuale deputato Jari Colla fu messa in guardia dal console ucraino a Milano, Roman Gorianov: la visita, scrisse il console, «violerebbe il regolamento sull’entrata e l’uscita dalle aree d’Ucraina temporaneamente occupate, le relative direttive dell’Unione Europea, nonché le norme del diritto internazionale».
Colla rispose via social: «Parto lo stesso». Il deputato ligure Rixi, ex sottosegretario, conferma di aver ricevuto la diffida dall’ambasciata ucraina al ritorno in Italia: «Scadrà fra qualche mese: la cosa assurda – dice – è che la Farnesina non ci ha mai sconsigliato quel viaggio. In ogni caso, fu una missione d’affari, a favore dei nostri imprenditori.
Putin? Come un amico di famiglia che però a un certo punto uccide la moglie. Non puoi più trattarlo allo stesso modo…». Vescovi, anche lui deputato ma di Padova, ricorda addirittura che l’invito-obbligo a non andare in Ucraina per qualche giorno gli fu addirittura notificato a voce: «Ma poi non ho visto la lettera». E Ciambetti, da sette anni alla guida del consiglio regionale veneto, dice di aver ricevuto il Daspo ma anche «esplicite minacce da parte di gruppi non meglio identificati che evidentemente non avevano gradito la nostra visita».
E Salvini, il primo a essere volato in Crimea già nel 2014? Nulla si sa di un Daspo anche per lui. Ma di certo nel luglio del 2018, quando era già ministro degli Interni, il leader della Lega in un’intervista al Washington Post si lasciò andare ad alcune considerazioni a favore della politica estera di Putin: spiegò che l’annessione della Crimea nel 2014 fu “legittima” e sancita da un “regolare referendum”. Per questo motivo l’ambasciatore italiano a Kiev, Davide La Cecilia, fu convocato al Ministero degli Esteri ucraino: le autorità ucraine avanzarono una protesta formale.
( da La Repubblica)
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Marzo 29th, 2022 Riccardo Fucile
VALE MEZZO MILIONE DI EURO
Tra i beni congelati all’oligarca Alisher Usmanov, c’è anche una Mercedes fermata con le ganasce a Porto Cervo.
Si tratta di una «Maybach S650 Guard VR10» targata FN133YT e la sua caratteristica principale è restire alle bombe e ai colpi di kalashnikov.
Un gioiellino da oltre mezzo milione di euro, che rientra tra i beni immobili e mobili confiscati in Italia all’oligarca vicino a Putin. Così vicino, che la stessa macchina pare sia stata utilizzata spesso proprio dallo zar nelle sue vacanze in Sardegna.
Le ganasce sono state poste a marzo, dopo l’ufficialità delle sanzioni all’oligarca. Il congelamento, salvo ulteriori ricorsi, durerà almeno sei mesi.
Quindi la macchina sarà costretta a saltare la stagione estiva, scrive il Corriere.it, salvo eventuali ricorsi al Tar del Lazio favorevoli alla Machina srl, la società proprietaria che fa capo alla Pavillac di Bermuda posseduta da Usmanov.
L’oligarca è anche proprietario dello yacht Dilbar, dal valore di 600 milioni di euro. Anche questo è stato posto sotto sequestro.
(da agenzie)
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Marzo 29th, 2022 Riccardo Fucile
POLONIA E REPUBBLICA CECA NON MANDERANNO I LORO RAPPRESENTANTI ALLA RIUNIONE MINISTERIALE DEL GRUPPO DI VISEGRAD. LA RAGIONE È LA POSIZIONE AMBIGUA DEL PRESIDENTE UNGHERESE, VIKTOR ORBAN, NEI CONFRONTI DELLA RUSSIA – LA MINISTRA CECA CERNOCHOVA: “IL PETROLIO RUSSO A BUON MERCATO PIÙ IMPORTANTE PER I POLITICI UNGHERESI DEL SANGUE UCRAINO”
I rappresentanti della Difesa del gruppo di Visegrád, costituito da Polonia, Repubblica
ceca, Slovacchia e Ungheria, si sarebbero dovuti incontrare questa settimana per rafforzare il legame tra i quattro paesi dell’Europa centro-orientale cresciuti insieme dentro all’Ue.
Ma già nel fine settimana la ministra ceca Jana Cernochová aveva deciso di boicottare, convinta che l’evento sarebbe stato usato da Viktor Orbán per fare campagna elettorale e aveva aggiunto: “Mi dispiace molto che il petrolio russo a buon mercato sia più importante per i politici ungheresi del sangue ucraino”.
Senza la Repubblica ceca sarebbe stato un incontro depotenziato, ma ieri è arrivata la notizia che neppure il ministro della Difesa polacco parteciperà. La Polonia tra i quattro è il paese più grande e più importante e negli ultimi anni, mentre Praga e Bratislava continuavano a isolare e rimproverare Orbán per le questioni legate allo stato di diritto, c’era sempre Varsavia, ugualmente colpevole, pronta ad allearsi con l’Ungheria.
Ma la guerra della Russia contro l’Ucraina ha cambiato i rapporti e le priorità e per la Polonia isolare Mosca e punirla dell’invasione è una priorità. Per Orbán invece la fedeltà a Putin e al suo modello illiberale sono più importanti non soltanto della protezione degli ucraini, ma anche dello sforzo collettivo europeo di isolare la Russia.
Orbán ha valicato una linea rossa e nessuno in Europa è disposto a seguirlo, i polacchi, i cechi e gli slovacchi sanno bene con chi stare: con l’Ucraina.
Il gruppo di Visegrád, che era nato per promuovere l’integrazione tra i quattro paesi e l’Ue, si era trasformato in un covo di pulsioni più o meno illiberali, ora si è sfaldato.
L’isolamento di Orbán è importante, conta molto a livello di valori, di unità, di europeismo. Purtroppo non vale molto nella pratica: sulle decisioni europee vige il diritto di veto e Orbán potrà continuare a opporsi alle sanzioni contro la Russia. Sarà isolato, ma seppur solo, sarà utile a Putin.
(da “il Foglio”)
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Marzo 29th, 2022 Riccardo Fucile
“A KIEV SERVONO ARMI DALL’OCCIDENTE“
Il generale David Petraeus ha guidato le forze armate degli Stati Uniti in Iraq e Afghanistan ed è stato direttore della Cia dal 2011 al 2012.
In un’intervista rilasciata oggi al Corriere della Sera dice che la guerra in Ucraina è entrata in una fase imprevedibile: «Ci sono molti scenari possibili, a seconda di quale dei due campi sarà in grado di rifornirsi, riarmarsi, rimpiazzare le perdite e incorporare nuove competenze. Una gamma di scenari che va dallo stallo lungo, sanguinoso, da incubo (con avanzamenti lenti e faticosi dei russi nel Sud Est mentre gli ucraini continuano limitati contrattacchi intorno a Kiev, a Kharkiv a Est, Mykolaiv a Sud-Ovest e altrove) a uno scenario in cui gli uni o gli altri prendano il sopravvento e respingano i nemici. È un po’ più probabile che l’Ucraina sviluppi un vantaggio, date la determinazione, l’intraprendenza, la creatività dimostrate, oltre al fatto che “gioca in casa”. Ma è imprudente escludere la possibilità che la Russia impari dagli innumerevoli errori commessi e, pur con altre terribili perdite di vite e di mezzi, possa logorare col tempo le difese aeree e le risorse ucraine».
Secondo il generale «se ricevono sufficienti risorse critiche dai Paesi Nato, gli ucraini potrebbero essere in grado di lanciare contrattacchi multipli, respingere i russi e limitare i danni provocati da missili, razzi e bombardamenti. Particolarmente importanti per l’Ucraina sono ulteriori sistemi di difesa aerea (specialmente S-300 e Buk) efficaci ad altitudini superiori rispetto ai sistemi “portatili” Stinger; ulteriori droni americani tipo Switchblade (migliaia), anche con capacità di bombe e missili anti-tank più potenti; ulteriori droni turchi (migliaia); munizioni; aiuti umanitari, economici; e aerei in sostituzione; il tutto senza grandi annunci. Queste risorse possono inclinare la bilancia a favore dell’Ucraina e avvantaggiarla al tavolo dei negoziati».
Infine, come ha insegnato Stalingrado, Petraeus segnala che c’è un problema di tempo: con le piogge primaverili e lo scioglimento del terreno ghiacciato «la maggior parte dei veicoli a ruote e forse anche cingolati non potranno transitare fuoristrada se vogliono evitare di restare impantanati. Ciò potrebbe impedire ai russi lo sfondamento specialmente intorno a Kiev, prolungando lo stallo sanguinoso in cui si trova l’Ucraina». Per quanto? «Settimane, forse mesi».
(da agenzie)
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