Luglio 6th, 2022 Riccardo Fucile
SFANCULATA DA SALVINI E BERLUSCONI, CHE LE AVEVANO PROMESSO LA CANDIDATURA ALLA PRESIDENZA DELLA REGIONE LOMBARDIA, LETIZIA MORATTI INTENDE FARGLIELA PAGARE: “MI PRESENTO CON UNA LISTA CENTRISTA”
Una bomba si sta per abbattere sul Pirellone. Letizia Moratti, dopo essere stata
sfanculata da Salvini e Berlusconi per la sua auto-candidatura alla Regione Lombardia, è furibonda. Al suo entourage ha confidato di non voler assolutamente ritirare la propria “disponibilità” a scendere in campo alla Regione: “Piuttosto mi presento con una lista centrista”.
Un simile scenario porterebbe a una riedizione della fatal Verona, dove le diatribe interne al centrodestra tra Tosi e Sboarina hanno consegnato la città al centrosinistra.
Il ragionamento della Moratti, che non ha più rapporti né con Salvini né con Berlusconi, giudicato “inaffidabile, vista la presenza ingombrante intorno a lui di Licia Ronzulli, è: “Se avrò successo in Lombardia, posso essere io la nuova leader di quel che resta di Forza Italia”. Una sorta di opa ostile al partito, che imporrebbe la leadership con la forza del consenso. Non solo: quando Enrico Letta ha saputo della pervicace volontà di Letizia Moratti di correre in solitaria, ha accarezzato l’idea di appoggiare la candidatura con tutto il Pd. Per il Nazareno sarebbe la mossa del cavallo per togliere alla Lega il “tesoro” della Lombardia, la regione più ricca d’Italia.
Con la dichiarazione sui migranti alla presentazione del libro di Annalisa Chirico (“L’immigrazione porta benefici e guasti. viviamo in una società con un basso tasso di fertilità ed esistono professioni che i nostri concittadini non vogliono più esercitare. Prevedo flussi in crescita dal continente africano. molte persone abbandonano il proprio paese per una vita migliore, non si può impedire…”), Letizia Moratti ha preso due piccioni con una fava: da un lato ha accarezzato le pulsioni d’accoglienza e dall’altro, ha risposto al bisogno degli imprenditori del nord di disporre di manodopera per mandare avanti le fabbriche.
(da Dagonews)
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Luglio 6th, 2022 Riccardo Fucile
QUELLI CON I CONTI DI VISIBILIA EDITORE NON SONO GLI UNICI PROBLEMI DI CUI DANIELA SANTANCHÉ SI DEVE PREOCCUPARE, SI SVILUPPANO LE INDAGINI SULL’EX COMPAGNO DELLA SENATRICE, CANIO MAZZARO, CHE SEMBRANO CONDURRE AI FONDI DI DUBAI E A UN INVESTIMENTO PUBBLICO DI INVITALIA, SOCIETÀ DI PROPRIETÀ DEL MINISTERO DELL’ECONOMIA
Vi abbiamo raccontato di Visibilia Editore, gruppo del quale la prima azionista è la senatrice di Fratelli d’Italia Daniela Garnero Santanché, pasionaria della destra italiana, in parlamento ormai da oltre un ventennio. Una situazione spinosa quella in cui si trova la “pitonessa” il suo gruppo, con i revisori che hanno bocciato l’ultimo bilancio, quello relativo al 2021.
Non è però l’unica questione a preoccupare la senatrice e il suo attuale compagno di vita Dimitri D’Asburgo Lorena, presidente e amministratore delegato del gruppo subentrato proprio a Santanché nel corso dell’ultimo anno: il prossimo 8 luglio si terrà l’udienza che segue alla citazione in tribunale da parte dei piccoli azionisti del gruppo.
Questi ultimi dopo 21 segnalazioni alla Consob, l’autorità di vigilanza sulla borsa e i mercati, hanno citato Visibilia per comprendere cosa sia successo al gruppo che ha visto il valore delle azioni erodersi quasi completamente, e soprattutto l’ingresso di un fondo con uffici a Dubai, ma, come ha potuto riscontrare Dossier con sede alle Isole Vergini Britanniche, riconosciuto come paradiso off-shore.
I piccoli azionisti si chiedono dunque da dove arrivino questi soldi, di chi siano e soprattutto come abbia funzionato la gestione di questi anni con il valore delle azioni in via di azzeramento. Una galassia in disfacimento?
In effetti urge chiaramente una risposta che diradi la nebbia, anche perché nel frattempo Negma ha investito con lo stesso metodo in altre società quotate italiane, e tra queste alcune di quelle nelle quali Santanchè, che nel 2021 ha ritenuto di dover lasciare la presidenza di Visibilia Editore, ha avuto in passato un ruolo di vertice come Bioera e Ki Group. Aziende indirettamente riferibili in piccola parte anche a lei ma soprattutto al suo ex compagno Canio Mazzaro, professione imprenditore con una spiccata vocazione alla Borsa.
I due, oltre ad avere un figlio in comune, dividono com’è noto anche un’indagine penale aperta dalla procura di Milano – il pm è Paolo Filippini – nella quale si contesta loro un reato fiscale.
Cosa è successo? Secondo la ricostruzione del Nucleo economico finanziario della guardia di finanza, la Santanchè avrebbe aiutato Mazzaro, gravato negli anni da cartelle esattoriali che hanno raggiunto la cifra di un milione e mezzo di euro tra imposte, interessi e sanzioni (solo nel 2014 è contestata un evasione di 284 mila euro circa), a disfarsi della sua barca “Unica” che è finita a una sconosciuta società maltese dopo essere stata comprata, e subito rivenduta da una azienda italiana presieduta proprio dalla senatrice, la Biofood Italia, una società sulla quale si tornerà e nella quale la Santanchè risulta essere socia.
Buona parte dei problemi col fisco di Mazzaro – già indagato a Milano nel 2016 per il crac delle farmacie Essere e Benessere – derivano dal fatto che i compensi da amministratore delle sue aziende Bioera e Ki Group, presiedute fino a poco tempo fa dalla Santanchè venivano pagati a una sua società – M Consulting – grazie a un accordo che si chiama di «reversibilità», invece che direttamente a lui.
Cosa comporta questo? Su questi redditi Mazzaro avrebbe pagato non le aliquote Irpef per le persone fisiche, che crescono al salire del reddito, ma quelle flat delle imprese, ben più basse. Si sarebbero quindi aggirate le norme fiscali sulla tassazione dei redditi da lavoro.
Ma non è finita, perché anche Invitalia, società di proprietà del ministero dell’Economia, con Domenico Arcuri allora nel ruolo di amministratore delegato, ha acquistato obbligazioni Ki Group per 2,7 milioni di euro nel marzo 2021, un periodo nel quale la società versava già in condizioni pessime. Un investimento nato sotto il cappello della Legge Rilancio, ma in un momento delicatissimo per la società: nel febbraio del 2022, dopo le dimissioni anche di Mazzaro, è decaduto tutto il consiglio d’amministrazione di Ki Group.
Negma ha deciso di aiutare anche Bioera, altra società di Mazzaro che naviga ugualmente in cattive acque e che è presieduta sempre dalla senatrice di Fdi. Fino alle dimissioni, comunicate nel settembre del 2021 ma congelate perché la società non è riuscita a fondersi con Helon, un’azienda nata nel 2021 che opera nel settore digital e social media con la quale avrebbe dovuto convolare a nozze.
(da Milanotoday)
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Luglio 6th, 2022 Riccardo Fucile
IL MOTIVO? PER SOPRAVVIVERE POLITICAMENTE TOSI DOVEVA ASSOLUTAMENTE ANNIENTARE SBOARINA
Alla fine Federico Benini, mister preferenze, il più votato (1.497) alle
amministrative del 12 giugno scorso, ha “confessato”: la vittoria di Damiano Tommasi, netta, al ballottaggio contro Federico Sboarina (dopo che Tommasi aveva chiuso in vantaggio sui rivali anche il primo turno) è stata per così dire favorita da Flavio Tosi.
Il quale, incassato il no all’apparentamento ufficiale dal sindaco uscente, avrebbe dunque virato sul candidato del centrosinistra. I motivi li ha spiegati lo stesso Benini, davanti alla platea di AreaDem, evento di Cortona al quale hanno partecipato tutti i big del Pd.
“Tommasi ha creato entusiasmo, e il centrodestra ha certamente sottovalutato l’avversario, e sopravvalutato se stesso. Ma una delle ragioni per le quali Tommasi ha vinto – ha detto Benini – ha un nome e un cognome, e si chiama Flavio Tosi. Io Tosi l’ho chiamato quella domenica, ero preoccupato, ma lui pancia a terra ha lavorato per Tommasi, me lo ha detto”.
Il motivo? “Semplice – aggiunge Benini -. La questione era questa: Tommasi o perdeva, e tanto non cambiava niente, o vinceva. Sboarina invece o vinceva o moriva politicamente, e Tosi o sopravviveva o moriva politicamente. Quindi la scelta era chiara: per sopravvivere Tosi doveva assolutamente battere Sboarina. E per questo si è impegnato, e certamente anche questo ha aiutato nella vittoria di Tommasi”.
(da VeronaOggi)
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Luglio 6th, 2022 Riccardo Fucile
“PUTIN VUOLE DISTRUGGERE CHIUNQUE POSSA RESISTERGLI. L’OCCIDENTE DEVE RIMANERE UNITO E IMPASSIBILE, E SMETTERE DI CHIAMARLO OGNI GIORNO”
“Ha paura?”. “No”. Boris Bondarev non esita un attimo. Ai più il suo nome dice poco. Un diplomatico russo, come tanti. Vent’anni al servizio della patria, una lunga carriera culminata nella missione russa a Ginevra, presso l’Onu. Ma Boris Bondarev non è uno dei tanti.
È il primo funzionario in carica del governo russo ad aver condannato pubblicamente l’invasione dell’Ucraina. È l’unico ad averlo fatto. Un mese fa una sua lettera aperta, cui sono seguite le dimissioni immediate, ha fatto il giro del mondo.
“Non mi sono mai vergognato del mio Paese quanto il 24 febbraio di quest’anno”, è l’incipit di un lungo j’accuse contro Vladimir Putin e il suo sistema di potere. Tanto schietto, tanto inaspettato da lasciare di stucco, in silenzio, il palazzone sovietico di piazza Smolenskaya, quartier generale del ministro degli Esteri Sergei Lavrov.
Un mese dopo Bondarev parla con Formiche.net in un’intervista esclusiva, la prima a un giornale italiano. Uno dei pochissimi strappi concessi alla clandestinità. Parla da un luogo nascosto e sicuro, che per ovvie ragioni non può rivelare.
Riavvolgiamo il filo. Quando ha deciso che doveva scrivere quella lettera?
L’ho scritta il giorno stesso dell’invasione, il 24 febbraio. Ci è voluto del tempo per rivederla, modificarla.
Perché lo ha fatto?
Per me era ovvio: abbandonare il mio lavoro in silenzio non sarebbe stato sufficiente per fare la differenza. Se lo avessi fatto, non avrei potuto dire ciò che era mio dovere dire. Sapevo che la mia lettera sarebbe circolata, che in tanti l’avrebbero letta realizzando che non tutti i funzionari russi sono complici della guerra di Putin.
Continuare a lavorare per il governo era insostenibile?
La situazione è andata peggiorando negli ultimi anni. Solo il 24 febbraio però ho realizzato che restare un minuto in più avrebbe significato tradire me stesso, i miei principi. Oggi il servizio pubblico russo è pieno di persone abituate a dire “sì” ai loro capi, qualunque cosa dicano o facciano. Non hanno un’opinione, se ce l’hanno non la mostrano. Non so quale delle due sia peggio.
Come hanno reagito i colleghi?
Da quando è iniziata la guerra sono stato testimone di una lunga, disgustosa catena di gesti di “lealtà” da parte loro. Ti ritrovi costretto a comunicare, lavorare e parlare con persone che discutono su come colpirebbero con una bomba nucleare Washington DC. Quando facevo notare loro che gli Stati Uniti si sarebbero vendicati, mi rispondevano: “No, non lo farebbero mai, se la farebbero nei pantaloni e ci supplicherebbero per la pace”. Il bivio è tutto qui: puoi perdere il senno come queste persone o puoi preservare una forma di sanità mentale.
Nella lettera ha scritto che l’invasione dell’Ucraina è “un crimine” contro il futuro della Russia. Ci spiega perché?
Facciamo un passo indietro. I ventidue anni di Vladimir Putin al potere sono stati un totale spreco di tempo per la Russia. Con un’ottima congiuntura sui mercati globali, il rialzo dei prezzi di petrolio, gas e altri beni per l’export, un’autorità consolidata sui russi, negli anni 2000 Putin avrebbe potuto ottenere qualsiasi cosa. Avrebbe potuto usare il suo potere, la sua autorevolezza per condurre in porto le tanto attese riforme e spingere sullo sviluppo economico e la costruzione di una società democratica e libera. Sarebbe stato ricordato come il grande leader e uomo di Stato che senza dubbio desidera essere.
E invece?
Invece ha scelto di costruire una dittatura personale per permettere a se stesso e ai suoi amici di godersi miliardi di dollari, palazzi e yacht, opprimendo nel frattempo l’opposizione e privando milioni di persone della speranza di un futuro migliore. Oggi la situazione è diversa. L’economia sta crollando, la gente diventa povera, perde ogni prospettiva. Il sostegno di Putin nella società civile non è solido e inscalfibile come un tempo. Non tutti fra le nuove generazioni sono suoi fan.
Cosa è disposto a fare Putin?
Distruggere chiunque possa resistergli. Per questo migliaia di russi stanno abbandonando il loro Paese. Parliamo del meglio della Russia: persone giovani, istruite, professionisti, creativi. Senza di loro Putin può rimanere al potere con facilità, perché può contare sui gruppi sociali più poveri e ignoranti, resi tali dalle sue politiche e ammaliati dalla sua propaganda.
Cosa teme per il suo Paese?
Putin isolerà la Russia dal mondo, ne farà un Paese più povero e sottosviluppato. La guerra avvicina l’obiettivo, per questo dico che è un crimine contro il futuro dei russi. Senza contare che i nostri rapporti con l’Ucraina, uno dei Paesi confinanti a noi più vicini, saranno persi del tutto per decenni e intere generazioni. Anche questa è una tragedia.
Cosa è successo dopo che ha deciso di condannare la guerra?
Ad oggi, che io sappia, non è successo nulla. Sono molto curioso di sapere cosa succederà.
Ha paura?
No.
C’è ancora spazio per il dissenso fra i ranghi della diplomazia russa?
A dirla tutta, non penso che esista un numero significativo di diplomatici russi pronto ad ergersi contro la guerra. Qualcuno può decidere di abbandonare in silenzio, è già successo. La maggior parte, come ho detto, sceglie la servilità. Chi per fare carriera, chi per altre ragioni. Chi preferisce credere ciecamente a ciò che dice il governo. Tanti, ovviamente, sono spaventati da una possibile rappresaglia.
C’è stato un momento della sua carriera in cui ha capito che la Russia di Putin non sarebbe tornata indietro?
Ci sono stati diversi momenti in cui ho percepito che qualcosa andava nel verso sbagliato. Ma bene o male era la routine quotidiana. Pensavo, mi illudevo che si potesse tollerare. Il 24 febbraio ho capito che non ci sarebbe stata una via di ritorno.
Ci sono colleghi che condividono i suoi pensieri sulla guerra?
Qualcuno, suppongo.
È entrato nella diplomazia russa vent’anni fa. Quanto è cambiata la politica estera di Mosca da quando Putin ha conquistato il Cremlino?
Quando sono entrato Putin era già stato presidente. Ma allora era diverso: la Russia cercava una cooperazione, un reciproco vantaggio con l’Occidente. Non è bastato: non puoi pensare di essere trattato come un Paese europeo se ti costruisci su misura uno Stato mafioso.
A cosa si riferisce?
Evidentemente Putin immaginava che la sua ricchezza lo avrebbe posto sullo stesso piano dei leader europei, pronti a far finta di niente sulla vera natura del suo potere. Si sbagliava. Oggi lui e la sua “élite” sono infuriati, pensano che l’Occidente abbia giocato “sporco”. Curioso quando un baro si ritiene offeso perché nessuno vuole giocarci a carte.
Dove va la Russia oggi?
Sta iniziando un cammino di profonda umiliazione, e lo sta facendo a causa di un uomo che decide da solo per un Paese di 140 milioni di persone, senza nessuno in grado di dirgli no. I pochi che hanno il coraggio di farlo sono morti, in prigione o in esilio. Oggi la Russia non può scegliere niente.
Come è cambiato il sistema di potere russo con Putin?
Ormai l’evoluzione in un regime di stampo fascista è completa. Un regime destinato a diventare sempre più oppressivo all’interno e sempre più belligerante e aggressivo all’esterno. Possiamo solo sperare che qualcosa cambi. Sogno che la Russia costruisca una società nuova, moderna, libera dove ognuno gode di diritti e quei diritti sono protetti. Non sogno così in grande, vero?
Cosa si aspetta dall’Italia e dall’Europa? Cosa possono fare per fermare la guerra?
Smettano di chiamare Putin ogni giorno. Durante la Seconda guerra mondiale Churchill non telefonava a Hitler per convincerlo che era nel torto. Poi realizzino che oggi il regime putiniano è la minaccia numero uno per la sicurezza europea. Non pensate che una volta conquistata l’Ucraina si riterrà soddisfatto.
Andrà avanti?
Senz’altro. Il regime sta perdendo terreno, è meno intatto di quanto sembri. Può apparire che Putin goda di un ampio sostegno popolare ma la verità è che i suoi veri sostenitori, quelli pronti a combattere per lui, sono una minoranza, sia pure rumorosa. Altri sono terrorizzati o semplicemente non hanno idea di chi possa sfidare questo presidente.
Cosa c’entra la guerra?
Putin deve rivendere qualcosa ai suoi sostenitori e al suo inner-circle. Una piccola vittoria in Donbas non sarà sufficiente, ha promesso di conquistare l’intera Ucraina. Avrà sempre più bisogno di “vittorie”. Domani può essere Kiev e l’intero Paese, dopodomani l’annessione della Bielorussia, dopo ancora la Moldavia o perfino i Baltici. Il presidente può solo rivendicare vittorie militari, nient’altro. Per questo, finché rimarrà al potere, la guerra non finirà
C’è un modo per fermare l’escalation?
L’unico modo per fermarlo è sconfiggerlo sul campo di battaglia. Solo una sconfitta militare, una vera sconfitta, impossibile da nascondere agli occhi dei russi, potrà dare il colpo di grazia alla dittatura.
Perché?
I russi non amano vedere un perdente al potere. È la legge di un branco di lupi ed è la legge con cui Putin guida il Paese. Di fronte a una crisi economica, sanzioni dure e prospettive cupe qualsiasi governo dopo Putin sarà costretto a fermare la guerra e negoziare la pace, volente o nolente.
Poi c’è l’Ucraina, il Paese aggredito.
L’Ucraina deve ottenere tutta l’assistenza che richiede, quando la richiede. Chi si fa avanti con appelli come “diamo a Vladimir quel che vuole e fermiamo la guerra” è davvero un alleato di Putin, forse inconsciamente. L’appeasement non funziona mai. Comprerà alla Russia un po’ di tempo per ricostituirsi e prepararsi a una nuova campagna.
Cosa dovrebbe fare secondo lei l’Occidente?
Rimanere unito e impassibile, senza cercare di scambiare la sua sicurezza e pezzi di territorio ucraino per una “pace” immaginaria che ben presto darà vita a un’altra guerra sanguinaria. Preghiere e persuasioni non fermeranno l’aggressore. Putin capirà solo il linguaggio della forza e della risolutezza. Per dirla semplice: sostenere l’Ucraina significa continuare la guerra. Ma se l’Ucraina cadrà, la guerra non finirà. E ci saranno altre vittime.
Ha un appello finale per i suoi colleghi?
Li inviterei a pensare con la loro testa, ma sono uomini e donne cresciuti e ormai dovrebbero aver capito. Spero davvero che lo facciano.
(da Formiche.it)
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Luglio 6th, 2022 Riccardo Fucile
“HA VINTO SOLO PERCHE’ E’ UCRAINA”: COGLIONAZZI, DOCUMENTATEVI PRIMA DI FARE ARIA CON LA BOCCA: E’ DA GENNAIO (UN MESE PRIMA DELLA GUERRA) CHE E’ STATA SCELTA
Odio e complotti sono il pane quotidiano sui social. Dinamiche che non hanno
risparmiato neanche Maryna Viazovska a cui, nei giorni scorsi, è stata consegnata la medaglia Fields, il più importante riconoscimento (non a caso viene equiparato al Premio Nobel) della Matematica.
La 38enne di Kyiv, infatti, è stata premiata per aver risolto un complesso problema geometrico: l’impacchettamento di sfere in dimensione 8 e 24. Era stata già candidata nelle precedenti edizioni (il premio è quadriennale) per i suoi studi e questa vittoria ha fatto sollevare il classico polverone social. Tutto nella tipica salsa italiana.
Teorie del complotto, come già accaduto nel recente passato, per via della nazionalità della vincitrice. Perché Maryna Viazovska è ucraina ed è la seconda donna nella storia a ottenere la medaglia Fields. Una serie di caratteristiche e dettagli che hanno dato vita a una marea di commenti social.
Chi si è prodotto in pensieri simili non è a conoscenza degli studi fatti dalla 38enne di Kyiv nel corso degli anni. Perché i dettagli della risoluzione del problema figlio dello studio di Maryna Viazovska sono stati ben spiegati nel video di presentazione del premio e della ricerca pubblicato dall’International Mathematical Union.
Ovviamente, si tratta di temi e argomenti che non sono alla portata di tutti. Insomma, è difficile – per chi non si occupa di matematica – comprendere la portata di questo studio che ha portato alla conquista di questo importante riconoscimento.
Ma se dal punto di vista dello studio ci può essere una percezione limitata, ci sono dei dettagli che spengono tutte le teorie del complotto: i vincitori delle medaglie Fields (che, ricordiamo, vengono assegnate ogni 4 anni), vengono scelti nel mese di gennaio e assegnati diversi mesi dopo (in questo caso, a luglio).
Quindi, il nome di Maryna Viazovska era stato scritto su quella medaglia almeno un mese prima dell’invasione russa in Ucraina, iniziata all’alba del 24 febbraio del 2022. Insomma, i leoni da tastiera, anche in questo caso, si sono scontrati con il calendario.
(da NextQuotidiano)
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Luglio 6th, 2022 Riccardo Fucile
IL REGIME CRIMINALE SI INVENTA UN’ACCUSA DI “CORRUZIONE” PER INTIMIDIRE I “MODERATI”
Si era espresso subito a favore dell’operazione militare speciale, come la chiamano in Russia, e per questo era rimasto nel cerchio magico di Vladimir Putin. Fino al suo arresto per corruzione, che fa emergere un nuovo repulisti tra gli uomini di fiducia del capo del Cremlino. Parliamo di Vladimir Mau, economista liberale di 62 anni e rettore di Ranepa, l’Accademia presidenziale di economia nazionale e pubblica amministrazione, l’istituzione universitaria che sforna molti dei dirigenti statali e dei governatori, la crema del potere russo.
Le circostanze del suo arresto – ora è ai domiciliari – sono un giallo.
Mau, come ricorda Repubblica, è infatti membro del Presidio del Consiglio economico di Vladimir Putin e il 30 giugno era stato confermato nel cda di Gazprom, in cui sedava da oltre dieci anni.
Poche ore dopo è stato messo agli arresti almeno fino al 7 agosto con l’accusa di aver sottratto fondi per 21 milioni di rubli (circa 317mila euro). Secondo gli ex colleghi fuggiti all’estero si tratta di un avvertimento per gli economisti e i consiglieri più liberali di Putin.
(da agenzie)
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Luglio 6th, 2022 Riccardo Fucile
GUAI A DIRE LA VERITA’, LA LOBBY DEI TASSISTI NON AMMETTE CHE VENGA A GALLA… UNA RAGIONE IN PIU’ PER FARE PULIZIA
I tassisti sono in sciopero per 48 ore nelle principali città italiane: a Napoli però
la categoria durante un presidio ha preso di mira la giornalista Selvaggia Lucarelli, che anche in questi giorni ha continuato a scrivere delle cattive abitudini di questo particolare lavoro.
In giornata è uscito un editoriale a sua firma sul quotidiano Domani dal titolo “Lo sciopero dimostra che i taxi non sono servizio pubblico ma privilegio privato”.
Dai suoi profili social continua a denunciare le difficoltà a pagare le corse con la carta. Critiche accolte male dalla categoria, al punto che un coro violento e sessista ha animato un momento del presidio di oggi.
Tra le ultime segnalazioni di Selvaggia Lucarelli quella risalente al 29 giugno: “Salgo su questo taxi. Chiedo: non ha la carta? Lui: sì. Io: scusi e allora perché quel cartello? Lui: perché ci sono delle persone che hanno certe facce da ceffi, a quelli chiedo il contante. Io: in che senso scusi? Lui: eh perché poi magari finisce la corsa e scappano. Io: si fa dare la caparra prima, non ho capito? Lui: mmm emmmm”.
Poi scrive ancora: “Ogni taxi è un’esperienza. Poi ti dicono: non generalizzare. E chi generalizza? In genere, è così. Poi ci sono gli onesti, ma non sono una percentuale così sbilanciata a favore, temo”.
Nel suo editoriale Lucarelli ha spiegato: “I tassisti presidiano il loro fortino, non vogliono concorrenza, Uber è il male e così via”.
E ancora: “Naturalmente ammantano la loro arroganza di nobili ragioni. Soprattutto quando parlano di servizio pubblico. Chissà se è servizio pubblico lasciare persone a piedi di notte, con la pioggia, perché senza contanti. Lasciare i turisti in fila all’aeroporto se non hanno i 100 euro nel portafogli. O aggredire i colleghi che vogliono lavorare, costringendoli a lasciare i clienti a un isolato dalle stazioni per non farsi vedere dagli altri tassisti furiosi”.
(da agenzie)
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Luglio 6th, 2022 Riccardo Fucile
“È ORA DI APRIRE IL MERCATO E CHIUDERE LO SPORTELLO DEI TAXI CHE SI SPACCIANO PER SERVIZIO PUBBLICO, BEN ATTENTI A TUTELARE SOLO IL PRIVATO. AMMANTANO LA LORO ARROGANZA DI NOBILI RAGIONI”
Per quasi due anni, a singhiozzo, i taxi sono rimasti fermi a causa della pandemia, hanno avuto i loro sussidi dallo stato, non hanno potuto contare su turismo e normale mobilità. Eppure, da settimane, con le città piene di turisti, non fanno che scioperare.
Beati loro, verrebbe da dire, perché è evidente che possono concedersi il lusso di farlo. Un lusso curioso, visto che dichiarano al fisco poco più di mille euro al mese (non sono obbligati ad emettere ricevuta fiscale e pagano le tasse in base a studi di settore) e comprano licenze che ne costano 180mila.
Con lo sciopero (l’ultimo è del 5 e 6 luglio) i tassisti intendono opporsi a quell’articolo 10 che riguarda «l’adeguamento dell’offerta di servizi alle forme di mobilità che si svolgono mediante piattaforme tecnologiche per l’interconnessione dei passeggeri e dei conducenti».
La solita storia: i tassisti presidiano il loro fortino, non vogliono concorrenza, Uber è il male e così via.
Naturalmente ammantano la loro arroganza di nobili ragioni: «È una risposta a chi pensa di svendere la funzione di servizio pubblico che svolgiamo», «ci batteremo fino all’ultimo respiro contro i parassiti che vorrebbero sottrarci il frutto della nostra fatica». «È la lotta di 40mila lavoratori contro la speculazione finanziaria», dicono.
Commovente. Soprattutto quando parlano di servizio pubblico.
Chissà se è servizio pubblico lasciare persone a piedi di notte, con la pioggia, perché senza contanti.
Lasciare i turisti in fila all’aeroporto se non hanno i cento euro nel portafogli (ora ci sono le sanzioni, vedremo quanto funzioneranno).
Chissà se è servizio pubblico non accettare determinate corse dagli aeroporti perché non sono vantaggiose o farle pagare cifre irragionevoli.
Chissà se è normale alzare le corse fisse da e per gli aeroporti, lamentarsi delle commissioni alle banche come fossero l’unica categoria in Italia a pagarle.
Chissà se è normale che non ci siano taxi a sufficienza nei weekend di sole o accompagnare i clienti al bancomat, urlando che devono prelevare perché loro non regalano soldi alle banche.
Chissà se è normale che in questi giorni alcuni tassisti in sciopero aggrediscano i colleghi che vogliono lavorare, li costringano a lasciare i clienti a un isolato dalle stazioni per non farsi vedere dai colleghi furiosi. Ad alcuni, per ritorsione, sono state staccate le targhe, ad altri gli specchietti, con tanto di minacce.
Di sicuro non è normale che fino ad oggi il governo abbia sempre piegato il capo agendo per il vantaggio dei tassisti anziché per il bene dei cittadini. Mi aspetto che Draghi – uno che ha l’aria di decidere lui il prezzo della corsa – non si lasci intimorire da scioperi, cori e striscioni.
È ora di aprire il mercato e chiudere definitivamente lo sportello dei taxi che si spacciano per servizio pubblico, ben attenti a tutelare solo il privato.
Selvaggia Lucarelli
(da “Domani”)
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Luglio 6th, 2022 Riccardo Fucile
IN BIGLIETTERIA UN FOGLIO CON LE TRADUZIONI DELLE FRASI DA DIRE AI TURISTI
Negli appunti attaccati sul plexiglass della biglietteria del Maschio Angioino c’è
la dimostrazione che i dipendenti si arrangiano come possono. «Tuelv, eitin, Grin Pass, reservescion», si legge.
Sul foglio A4 ci sono anche le traduzioni in altre lingue oltre all’inglese: spagnolo, francese, russo, tedesco.
Sono riportate, racconta oggi Il Mattino, le cifre necessarie per i pagamenti dei biglietti e quelle per far valere le prenotazioni. E ci sono anche altre frasi utili.
Ovvero come dire al turista «paghi sei euro con la carta di credito e il resto in contanti alla guida» (che evidentemente non ha il Pos, ndr). Oppure «qui non c’è linea, può uscire e rientrare?»: la frase da dire a chi vuole mostrare il biglietto elettronico.
Il tutto è necessario perché a Castel Nuovo nessuno dei dipendenti addetti al pubblico conosce l’inglese. E questo nonostante il complesso monumentale e il suo museo civico siano tra i più importanti monumenti di Napoli.
All’entrata lavorano abitualmente quattro dipendenti comunali delle categorie operaie. Sono ex Lsu (lavoratori socialmente utili) che ricoprono compiti e mansioni che vanno oltre quelli del loro contratto. Devono emettere biglietti con il Pos, chiudere la cassa e fare i conteggi. Il sabato, quando gli amministrativi dei piani superiori del Maschio Angioino non sono presenti, non c’è nessun referente. Quindi se un turista chiede di parlare con qualcuno non sarà soddisfatto.
A meno che non intervenga qualche cittadino. È quello che sta succedendo da quando si è sparsa la notizia che al Maschio Angioino nessuno dei dipendenti parla inglese. Ovvero alcuni cittadini si sono presentati per dare una mano.
Ovvero per proporsi come interprete e aiutare turisti e dipendenti. Lo ha fatto per esempio Flavia, laureata in Mediazione linguistica all’università Orientale di Napoli. Lei ha scritto una lettera al sindaco Gaetano Manfredi per offrirsi come interprete. Intanto i dipendenti hanno confermato lo sciopero. Che andrà in scena da giovedì 7 a sabato 9 luglio. Due ore dalle 13 alle 15. Un’assemblea del comparto lavoratori pubblici della Cisl per chiedere il riconoscimento dell’indennità come contabili e chiedere la nomina di un responsabile amministrativo. Oltre che qualcuno che sappia l’inglese. Questa mattina il Comune ha convocato le rappresentanze per cercare una mediazione.
(da agenzie)
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