Luglio 31st, 2022 Riccardo Fucile
LA MISSIONE DELLE NAZIONI UNITE SI E’ DETTA “SCONVOLTA” DALLE IMMAGINI
Camere di torture, stupri, deportazioni. Ed ora anche evirazioni. Quella in Ucraina non è più, se mai lo è stata, una guerra. Perché una guerra ha le sue convenzioni, le sue regole, un suo codice. In Ucraina non c’è niente di questo. Non è una guerra. Per i russio tutto è lecito, anche le cose più terrificanti.
Atrocità senza limiti
“L’Unione europea condanna con la massima fermezza le atrocità commesse dalle forze armate russe e «condanna nei termini più forti possibili» l’attacco al carcere di Olenivka e l’evirazione, ripresa in un filmato, di un prigioniero ucraino.
Lo dichiara l’Alto Rappresentante Ue per la Politica Estera, Josep Borrell. «Questi atti inumani e barbari rappresentano gravi violazioni delle Convenzioni di Ginevra e del loro Protocollo aggiuntivo e costituiscono crimini di guerra. Gli autori dei crimini di guerra e di altre gravi violazioni, così come i funzionari governativi e i rappresentanti militari responsabili, saranno chiamati a risponderne. L’Unione europea sostiene attivamente tutte le misure volte a garantire la responsabilità per le violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario internazionale commesse durante l’aggressione russa Ucraina”, aggiunge Borrell.
La Missione di monitoraggio dei diritti umani delle Nazioni Unite in Ucraina si è detta “sconvolta” dalle immagini, secondo quanto riporta il Kyiv Independent.
Rapporti che inchiodano Mosca
Bombardamenti indiscriminati, armi vietate, distruzioni massicce di strutture civili e di ampie aree residenziali da parte delle forze armate russe hanno causato la morte di centinaia di vittime innocenti a Kharkiv, Mariupol, nell’Oblast di Kiev e a Serhiivka, così come in altre parti dell’Ucraina: è questo lo scenario drammatico indagato e denunciato da Amnesty international fin dall’inizio dell’aggressione russa.
Le missioni sul campo di Amnesty hanno permesso di raccogliere numerose testimonianze dirette di sopravvissuti agli attacchi e di rinvenire “prove concrete del ripetuto uso di armi proibite dalle convenzioni internazionali per i loro effetti incontrollabili, come bombe a grappolo 9N210/9N235 e mine a frammentazione”: sono stati inoltre trovati “resti di razzi Uragan e sono stati accertati attacchi effettuati con mine terrestri e altri armi esplosive, tra cui i razzi Grad”.
Dall’inizio del conflitto, Amnesty International è impegnata in Ucraina al fine di favorire la giustizia internazionale e chiede che i processi giudiziari per i crimini di guerra commessi nel Paese siano il più completi possibile, garantendo che tutti i responsabili siano assicurati alla giustizia attraverso procedimenti indipendenti, imparziali ed equi per tutti i crimini previsti dal diritto internazionale”
L’invasione militare russa in Ucraina rappresenta un atto illegale che vìola palesemente il diritto internazionale e i diritti umani” – dichiara Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia. “Fin dai primi giorni del conflitto, Amnesty International si è mobilitata per raccogliere prove che consentano di processare i responsabili di tali gravi crimini e garantire giustizia a coloro che ne sono stati vittime. Sta inoltre portando avanti un importante lavoro di sensibilizzazione e pressione, a livello nazionale ed internazionale, per denunciare la campagna senza precedenti lanciata dalle autorità russe contro il giornalismo indipendente, il movimento contro la guerra e le voci dissidenti. Abbiamo lanciato un appello mondiale al governo russo sollecitandolo a rispettare il diritto internazionale, a proteggere i civili e a fermare l’aggressione contro l’Ucraina…”.
Nessuna impunità
A maggio, il Parlamento ha approvato una risoluzione sulla lotta contro l’impunità per i crimini di guerra in Ucraina, per alzata di mano. Nel testo, i deputati invitano l’UE ad adottare tutte le misure necessarie presso le istituzioni e le istanze internazionali per sostenere il perseguimento dei regimi russo e bielorusso per crimini di guerra, crimini contro l’umanità, crimini di genocidio e crimine di aggressione. Le indagini e i conseguenti procedimenti penali dovrebbero riguardare anche l’intero corpo delle forze armate russe e i funzionari governativi coinvolti in crimini di guerra.
Un tribunale internazionale speciale
Nel testo, si chiede all’UE di sostenere l’istituzione di un tribunale speciale internazionale per il perseguimento del crimine di aggressione commesso contro l’Ucraina, per il quale la Corte penale internazionale (Cpi) non ha giurisdizione e portare i leader politici e i comandanti militari russi e i suoi alleati a risponderne.
Inoltre, l’UE dovrebbe di fornire il prima possibile tutte le risorse umane e di bilancio e il sostegno amministrativo, investigativo e logistico necessari ai fini dell’istituzione di tale tribunale.
Le atrocità segnalate, tra cui il bombardamento indiscriminato delle città e dei centri urbani, le deportazioni forzate, l’uso di munizioni vietate, gli attacchi contro i civili in fuga attraverso corridoi umanitari predisposti, le esecuzioni e le violenze sessuali, costituiscono violazioni del diritto internazionale umanitario. Secondo i deputati tali atti, nessuno dei quali finora perseguito, possono costituire crimini di guerra.
Nel testo si sollecita un’azione celere da parte dell’UE poiché vi è il grave rischio che, a causa delle ostilità in corso, le prove relative ai crimini di guerra vengano distrutte.
I deputati esprimono il loro pieno sostegno all’indagine avviata dal Procuratore della Corte penale internazionale e al lavoro della commissione d’inchiesta dell’ufficio dell’Alto Commissariato per i diritti umani delle Nazioni Unite. nonché alle organizzazioni della società civile indipendenti e alle autorità ucraine impegnate nella raccolta di prove.
La violazione deidiritti umani non si ferma alle esecuzioni sommarie e all’uccisione dei civili. Le prove raccolte dalla missione Onu riferiscono di 114 attacchi a strutture mediche, con conseguente interruzione di cure che hanno provocato l’aumento del tasso di mortalità delle persone, rilevando ad oggi la morte di 3000 civili. Anche il diritto alla salute è dunque fortemente compromesso. Si contano 75 accuse per violenze sessuali contro donne, uomini, e ragazzi da parte dei membri delle forze armate russe in Ucraina.
Ci sono poi le detenzioni dei civili, divenute pratica diffusa nelle aree controllate dalle forze armate russe: dal 24 febbraio Hrmmu ha registrato 155 casi di detenzioni arbitrarie, tra cui funzionari locali, giornalisti, attivisti, difensori dei diritti umani, alcuni torturati, lasciati senza cibo né acqua, tenuti in strutture sovraffollate. Cinque vittime di sparizioni forzate sono state trovate decedute.
(da Globalist)
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Luglio 31st, 2022 Riccardo Fucile
FRATELLI D’ITALIA CONTRARIO: “VOGLIONO FISSARE I MINISTRI PRIMA PER OTTENERE PIU’ DI QUELLO CHE INDICHERANNO LE URNE”… LA SOLITA GRANDE FAMIGLIA UNITA
Una triade di big per il governo. Il centrodestra, in caso di vittoria, ha in mente una piramide che vede al vertice Giorgia Meloni, che sarebbe candidata premier nel caso (probabile) in cui Fdi prendesse più voti, con a fianco due vicepresidenti forniti di deleghe di peso: il leader della Lega Matteo Salvini punta al Viminale, mentre per Forza Italia, la terza gamba della coalizione, è in corsa il coordinatore Antonio Tajani, ex presidente del Parlamento europeo che gradirebbe la Farnesina.
Ancora uno schema di massima, oggetto delle conversazioni ai piani alti dello schieramento. Per Berlusconi resta l’opzione della guida del Senato, l’incarico prestigioso di seconda carica dello Stato cui il Cavaliere guarda però senza eccessivo entusiasmo. Anche per l’impegno che una prospettiva del genere richiederebbe.
Salvini rilancia la sfida del governo, con una dichiarazione che spiazza gli alleati. «Non voglio sparare ministri a caso, ma sicuramente proporrò al centrodestra che prima del voto alcuni nomi vengano messi sul tavolo».
Oltre ai responsabili di Interni ed Esteri, c’è il nodo dell’Economia. Dove il centrodestra vorrebbe indicare un tecnico d’area, non sgradito alla Banca d’Italia e in buoni rapporti con la Ragioneria generale dello Stato. Uno dei nomi più gettonati è quello di Fabio Panetta, componente del board della Bce, che di recente ha avuto una lunga chiacchierata intercettata con Meloni al compleanno di Gianfranco Rotondi.
Ma piace molto anche il profilo di Domenico Siniscalco.
Altri nomi che circolano sono quelli di Alessandro Cattaneo (Fi) per le Infrastrutture. In casa di Fratelli d’Italia.
Oltre ai luogotenenti del partito, si guarda agli invitati della conferenza programmatica di Milano, da Carlo Nordio (per la Giustizia) a Beatrice Venezi. Potrebbero ritrovare un posto nel governo anche Giulio Tremonti e Raffaele Fitto, che è stato arruolato intanto nel tavolo meloniano del programma.
Ci sarebbe anche Letizia Moratti, che non ha ritirato la disponibilità a correre per la guida della Regione Lombardia, continuando a suscitare scompensi nell’alleanza: «Sulla Lombardia decideremo dopo il 25 settembre», taglia corto il segretario leghista.
La proposta di Salvini di indicare parte della squadra di governo prima del voto non dispiace a Forza Italia: «E’ buona pratica indicare i nomi dei ministri in base al programma che stenderemo in vista delle elezioni», dice il sottosegretario Giorgio Mulè.
Ma questo passo in avanti del senatore milanese non piace a Fratelli d’Italia: «Salvini vuole stabilire prima del voto i ministri perché sa che, sulla base dei risultati elettorali, potrebbe avere meno caselle di quanto ne desidera», afferma un parlamentare di primo piano di Fdi.
Insomma, un patto pre-elettorale sui ministri sembra più difficile di quello sui collegi e della regola del candidato premier da affidare al partito con più consensi.
Salvini, al proposito, non rinuncia ad alimentare la competizione interna: “Prenderemo un voto più dei nostri alleati e indicheremo noi il presidente del Consiglio”, ha detto ieri ai dirigenti legisti visti a Firenze.
In una riunione nel corso della quale Salvini ha anche nominato il responsabile della campagna elettorale in Toscana: è Andrea Barabotti, marito dell’eurodeputata Susanna Ceccardi, che nel 2020 corse come aspirante governatrice. Sulla possibilità che Barabotti possa essere candidato in Parlamento qualcuno, nella Lega, storce il naso additando un imbarazzante caso di familismo. Ma tant’ è.
Lunedì nel tardo pomeriggio inizieranno alla Camera gli incontri tra i delegati dei partiti sul programa. Migranti, politiche energetiche (compreso il nucleare pulito), flat tax e pace fiscale ma anche quota 41 per la pensione, saranno i temi che la Lega porterà al tavolo.
Ci sarebbero anche «10mila» poliziotti per garantire la sicurezza, rilancia Salvini, sicuro che «un miliardo» si può trovare e che con l’accordo di tutti si possono assumere «entro un anno». Da verificare come si potranno conciliare tutte queste richieste con l’intento dichiarato di fare «solo promesse che si possono mantenere»
(da la Repubblica)
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Luglio 31st, 2022 Riccardo Fucile
IN PRIMIS C’È LA TURCHIA VERSO LA QUALE STRANAMENTE L’EXPORT ITALIANO È ESPLOSO: PIÙ 87% SU BASE ANNUALE, FINO A 1,4 MILIARDI DI EURO DI VENDITE SOLO A GIUGNO CON UN AUMENTO DI 500 MILIONI AL MESE RISPETTO A FEBBRAIO… UN DATO SOPRENDENTE VISTO CHE LA LIRA TURCA HA QUASI DIMEZZATO IL VALORE SULL’EURO
Sono venti i Paesi attraverso i quali la Russia riesce ad aggirare le sanzioni imposte dai
governi democratici dall’inizio della guerra.
Fra questi la Turchia, la Cina e gli Emirati Arabi Uniti, oltre a varie repubbliche ex sovietiche che dall’inizio sono state al centro dei sospetti: la lista include Kazakistan, Kirghizistan, Armenia e persino la Georgia, dove la Russia ha sferrato un’aggressione militare nel 2008 e, all’inizio del conflitto in febbraio, decine di migliaia di persone sono scese in piazza a sostegno dell’Ucraina.
Si tratta di una realtà che molte imprese italiane probabilmente conoscono già: un’occhiata ai flussi commerciali rivela indizi evidenti che, nel giro di pochi mesi, soprattutto la Turchia è progressivamente diventata una piattaforma attraverso la quale numerosi esportatori del «made in Italy» continuano a rifornire la Russia su larghissima scala, anche quando la pratica sarebbe illegale.
Ma andiamo con ordine. I casi internazionali di aggiramento delle sanzioni attraverso quei venti Paesi sarebbero centinaia.
Saranno al centro di un rapporto in uscita tra non molto da parte del gruppo di esperti guidato dall’ex ambasciatore americano a Mosca Michael McFaul e da Andriy Yermak, il capo dell’ufficio politico del presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Osservatori informati prevedono che il gruppo Yermak-McFaul suggerirà ai governi occidentali di chiudere le falle, minacciando sanzioni «secondarie» sui Paesi che aiutano la Russia attraverso una rete di triangolazioni commerciali.
Non sarà semplice, viste le dimensioni sistemiche di alcune delle nazioni coinvolte.
Di certo un esame incrociato dei dati degli scambi dall’Italia alla Turchia e dalla Turchia verso la Russia suggerisce che su questa rotta hanno luogo triangolazioni massicce volte ad aggirare le sanzioni. Difficile spiegare altrimenti le vistose stranezze degli ultimi mesi. In primo luogo, la Turchia è il Paese verso il quale a giugno scorso l’Italia registra di gran lunga il maggiore aumento dell’export: più 87% su base annuale, fino a 1,4 miliardi di euro di vendite in un solo mese; si tratta di un aumento di 500 milioni al mese rispetto a febbraio e di un caso unico in oltre dieci anni di vendite alla Turchia rimaste sempre nettamente sotto al miliardo al mese (secondo l’ufficio statistico Istat).
Tanto più sorprendente è questo boom perché nell’ultimo anno la lira turca ha quasi dimezzato il proprio valore sull’euro, rendendo l’import dall’Italia molto più costoso per le imprese locali.
Ma la spiegazione è probabilmente nei dati sull’export di Turkstat, l’ufficio statistico di Ankara. Fra febbraio e giugno di quest’ anno l’export turco verso la Russia è esploso, con una crescita di circa 400 milioni di dollari al mese.
Fra gli oltre venti principali partner commerciali della Turchia, la Russia è la destinazione cresciuta di più sia dall’inizio della guerra (più 68% di vendite turche) che nell’ultimo anno (più 46%).
Persino altri Paesi che rifiutano le sanzioni contro Mosca come la Cina, il Vietnam o la Malesia ora esportano meno verso un’economia russa in profonda recessione. Invece i flussi di beni e servizi dalla Turchia alla Russia non sono mai stati così forti, così come non sono mai stati così forti i flussi dall’Italia alla Turchia stessa.
Anche le dimensioni dell’aumento negli scambi sono simili, fra 300 e 400 milioni di dollari al mese in più. Si tratta di indizi, non di prove. Ma se davvero le imprese italiane stanno usando la Turchia come piattaforma per aggirare le sanzioni e aprirsi illegalmente il mercato russo, la questione sarà impossibile da ignorare per l’attuale governo di Roma. E anche per il prossimo.
(da il Corriere della Sera)
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Luglio 31st, 2022 Riccardo Fucile
DI MAIO SI ACCORDA CON TABACCI PER IL SIMBOLO DI CENTRO DEMOCRATICO
Visto che ha fatto suo il metodo bersaniano delle metafore – «occhi di tigre», «le tinte forti di Van Gogh» – si potrebbe dire che per il segretario del Pd Enrico Letta Roberto Fico è il pesce grosso, il marlin che il vecchio di Ernest Hemingway insegue nel mare aperto.
Letta-Santiago sta lavorando per convincere il presidente della Camera, tagliato fuori dalla scure di Beppe Grillo sul terzo mandato, a candidarsi nelle file del Pd o esserne comunque affiliato.
Il corteggiamento è partito. Se ne stanno occupando gli uomini del leader dem che lavorano ad allargare la galassia del centrosinistra.
L’operazione adesso punta ai volti mediaticamente più appetibili tra i dannati grillini al secondo mandato, i più spendibili a sinistra, tra coloro che sono a fine corsa nel M5S. Il senso è chiaro e Letta lo ha condiviso con più persone: la cooptazione di ex 5 Stelle, soprattutto chi è stato un fedelissimo di Giuseppe Conte, serve «a dimostrare che il campo progressista rimane il nostro».
Il M5S, nelle intenzioni di Letta, resterebbe una ridotta di Conte, «con Michele Santoro e chiunque voglia seguirlo». In fondo, è il secondo tempo dell’operazione svuota-M5S, che dopo la scissione il ministro Luigi Di Maio con la complicità di dirigenti del Pd, ha portato avanti per evitare che si consumasse la rottura della maggioranza che sosteneva Mario Draghi. La crisi alla fine non è stata scongiurata, il fronte Letta-Conte si è frantumato un minuto dopo la non-fiducia al governo, e adesso il leader Pd naviga in cerca degli alleati più utili a fermare la destra.
Il voto anticipato avevano compattato ed eccitato i 5 Stelle, convinti della ricandidatura: Paola Taverna, Vito Crimi e gli altri si erano persuasi che il poco tempo a disposizione per riorganizzare il partito prima delle elezioni li avrebbe favoriti, aiutandoli a far saltare il tetto ai mandati. Poi è arrivato Grillo a spegnere l’illusione. E ora il Pd potrebbe approfittarne.
Nel Movimento la delusione è tanta. Al momento, Fico ha confermato a Conte che sarà al suo fianco in campagna elettorale.
Nel Pd comunque intravedono una breccia. Convinti che l’abbia aperta Federico D’Incà, ministro dei Rapporti con il Parlamento, tra i grillini più vicini al presidente della Camera, che ieri, assieme a Davide Crippa, capogruppo a Montecitorio, ha detto addio al M5S dopo quindici anni.
Il tempismo non è stato dei migliori, visto che se ne sono andati 24 ore dopo la certificazione del no di Grillo alle deroghe sul terzo mandato. Ma lo strappo era meditato da giorni, dall’astensione ordinata da Conte durante il voto di fiducia in Senato.
I due ex grillini hanno entrambi un accordo con il Pd. Saranno in lista nel centrosinistra. E tra i dem c’è chi crede che la scelta di D’Incà possa spingere ad altre uscite eccellenti.
Per Fico c’è una questione di quale ruolo avere ora, e, in qualche modo, di status. Anche vicino a Conte si respira l’imbarazzo quando si parla del suo futuro, del fatto che resterà presidente del comitato di garanzia del M5S e si accenna a un suo possibile incarico nella scuola di formazione del Movimento. Poco, pochissimo per un presidente della Camera uscente, che non verrà rieletto e si troverà esiliato dalla politica.
C’è un precedente, che i tessitori del Pd ricordano: Laura Boldrini, ex numero uno di Montecitorio, eletta con Leu e poi passata ai dem. Fico avrebbe il profilo e la storia per essere accolto in quota Verdi e Sinistra, altra punta della coalizione.
La fatica del reclutamento è il cuore della missione impossibile di Letta. E il segretario non nasconde le difficoltà rispetto al centrodestra: «Stiamo cercando di costruire un progetto» ha detto ieri.
In attesa di altri grillini, ne faranno parte Di Maio e Bruno Tabacci. Ieri il ministro e il sottosegretario centrista hanno ufficializzato l’accordo che permetterà a Di Maio di agganciarsi al simbolo di Centro democratico ed evitare di raccogliere le firme necessarie alla presentazione delle liste per i partiti che non hanno rappresentanza in Parlamento.
Il lancio della proposta è atteso per domani: «Sarà un’evoluzione di Insieme per il futuro», spiega Di Maio, aperta ai sindaci dei piccoli Comuni, nella speranza di sfruttare il loro radicamento nel territorio.
L’ex capo politico del M5S punta a un difficile 3%, che in coalizione permetterebbe di ottenere autonomamente seggi alle Camere. Se così non sarà i voti – ma dovrà prendere sopra l’1% – andranno distribuiti tra gli alleati, cioè a favore del Pd.
In cambio i dem garantirebbero collegi uninominali per Di Maio, Vincenzo Spadafora e Laura Castelli. A Letta, resta da capire dove Carlo Calenda porterà Azione, se sarà alleata del Pd o andrà da sola, gonfiando petto e sondaggi. Molto del futuro del campo largo dipende da lui.
(da La Stampa)
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Luglio 31st, 2022 Riccardo Fucile
FIGLIO DEL CAPO DEL GRU, I SERVIZI SEGRETI MILITARI DI MOSCA, DAL 2014 DIVENTA INVISIBILE: DOPO CHE IL PADRE ENTRA NELL’INTELLIGENCE, LUI E LE SORELLE DIVENTANO PROPRIETARI DI IMMOBILI COSTOSI E SFOGGIANO AUTO DI LUSSO… UNA DELLE PROPRIETÀ È STIMATA 200 MILIONI DI RUBLI: DEL TUTTO INCOMPATIBILI CON LO STIPENDIO MINISTERIALE DI CIRCA 24MILA EURO
Oleg Kostyukov – il funzionario dell’ambasciata russa al centro di un caso per il
contenuto di alcuni suoi colloqui di fine maggio con l’emissario di Salvini, in uno dei quali si mostra troppo interessato alle sorti del governo di Mario Draghi – non è, nonostante la giovane età, un novizio del nostro Paese. Né lui né la sua famiglia.
Sui social in russo le sue pagine sono state cancellate, ma internet non cancella mai tutto del tutto. Scopriamo per esempio che è un giovane che ama tantissimo, da anni, Milano, che ha fotografie in Brera, che nel concerto di Marylin Manson a Milano era nel backstage abbracciato al cantante. Che adora le sorelle. Poi, all’improvviso, dal 2014 spariscono le sue tracce.
Puf, come se fossero tutte buttate giù all’improvviso. Come se fosse entrato in una seconda vita. La sua, vita. Secondo una delle fonti de La Stampa, Kostyukov è «senza alcun dubbio il figlio del capo del Gru», i servizi segreti militari di Mosca.
Il giornalista russo che lo scrisse per primo, Serghey Ezhov, ci ha confermato di essersi occupato tanto di lui e della sorella. Arrivando a queste conclusioni, sulla base di una serie di documenti catastali.
«Il capo dell’intelligence militare (ammiraglio Igor Kostyukov) è stato nominato capo della direzione principale di Stato maggiore generale alla fine del 2018, e l’anno successivo i suoi figli adulti sono diventati proprietari di immobili costosi». Un terreno a Lipka e un altro di 12 ettari nella comunità residenziale esclusiva di Beliye Rosy 1. Un appartamento di Oleg in 2a Chernogryazskaya Street, Mosca, la sua Mercedes-Benz Gle 350 d 4Matic e la Mercedes-Benz C200 della sorella Alena. Una delle proprietà è stimata 200 milioni di rubli: del tutto incompatibili con lo stipendio ministeriale di un milione e mezzo di rubli annui (circa 24mila euro).
In definitiva: siamo del tutto sicuri che il giovane Oleg sia solo il vicario dell’ufficio politico dell’ambasciata russa?
La Stampa ha chiesto ripetutamente per iscritto all’ambasciata russa a Roma una conferma o smentita della notizia che Oleg sia il figlio del capo del Gru. Non abbiamo mai ricevuto nessuna risposta. Neanche in questi giorni.
Igor Kostyukov è sotto sanzioni occidentali, e per accuse gravissime, non solo per l’interferenza elettorale russa nelle elezioni Usa del 2016 (quando era vice di Igor Korobov), ma per aver coordinato l’operazione di avvelenamento in Gran Bretagna di Sergey Skripal. Korobov muore all’improvviso nel 2018, dopo una serie di “epic fail” dello spionaggio russo che potrebbero aver irritato non poco Putin. Il quale a quel punto, per la prima volta, mette un ammiraglio a capo del Gru.
Un fedelissimo è dire poco. Igor Kostyukov è un ufficiale dello spionaggio russo notissimo. In ambienti di intelligence occidentali vi sono pochi dubbi sul fatto che sia stato in per alcuni anni il capo del Gru in Italia.
Il figlio è un figlio d’arte? Di sicuro Oleg, in documenti visionati da La Stampa, sembra commettere qualche spericolatezza. Parla troppo. E probabilmente si fa pedinare senza pratiche sufficienti di contropedinamento. Se così fosse, l’intelligence italiana avrebbe – al di là delle smentite che non smentiscono – fatto molto bene il suo lavoro: marcando strettamente affinché i tentativi russi di “destabilizzazione” non andassero a buon fine.
Certo è che Oleg non sembra limitarsi a un protocollare lavoro diplomatico. Il quotidiano Il Domani ha rivelato che il 1 ottobre 2014 – due settimane prima di una stretta di mano a Milano che Matteo Salvini riesce a ottenere con Vladimir Putin – una transazione del russo fu segnalata come sospetta dall’antiriciclaggio: «Oleg Kostyukov, addetto consolare del consolato generale della Federazione Russa, ha convertito in contanti in data 1 ottobre 2014, 25 mila dollari, e il 14 ottobre, 100 mila dollari, senza farli transitare dal proprio conto corrente e senza esibire alcuna dichiarazione doganale.
Il sospetto è nato dal fatto che il cliente ha motivato l’operazione come cambio per utilizzo delegazione russa presente in Italia per vertice Eurasia, ma senza operare sul conto corrente consolare». Tutto quel cash pare strano per pagare le cene della delegazione. Le carte di credito dei russi in Italia sono un filone aureo, dentro questa guerra ibrida.
(da “La Stampa”)
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Luglio 31st, 2022 Riccardo Fucile
LE MOTIVAZIONI CHE LI HANNO PORTATI ALLO STRAPPO
Un Movimento 5 stelle nel caos. Non bastassero gli attriti tra Giuseppe Conte e il fondatore Beppe Grillo, (l’ultimo, risolto con un diktat, sul doppio mandato), in questi giorni preoccupano le fughe delle ultime ore che si teme possano ispirarne altre.
Come quella, ipotizza qualcuno, dell’ex ministro della Giustizia Alfonso Bonafede.
Intanto se ne vanno due big storici del Movimento: l’ex capogruppo alla Camera dei pentastellati, Davide Crippa, ha annunciato il suo addio dopo 14 anni di militanza nel partito: «Non ne comprendo più il progetto politico, troppo instabile, troppo volubile e spesso contraddittorio», ha detto.
Poco dopo gli ha fatto eco Federico D’Incà, ministro per i Rapporti con il Parlamento (che non avrebbe più potuto ricoprire cariche per la regola del doppio mandato, ndr): «Non posso che prendere atto delle divergenze insanabili tra me e il M5S». E già si vocifera che il Pd sia pronto ad accoglierli a braccia aperte.
D’Incà a Repubblica
«Non ci ho dormito diverse notti, sono state giornate di grande sofferenza, alla fine mi sono detto: prima del partito viene il bene del Paese». Parla così al Corriere della Sera della sua fuoriuscita dal M5s il ministro ai Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà, che lascia il Movimento dopo 12 anni. Una scelta che sarebbe stata maturata giorni fa, proprio la sera del 20 luglio, in seguito alla mancata fiducia al governo Draghi.
«Quando sono rimasto solo nella sala del governo mi sono detto che dovevo lasciare il M5S, quella giornata non poteva rappresentare me e i miei valori. Alla fine mi sono sentito un estraneo nel mio stesso gruppo e ho preso la decisione», dice.
Per Incà le responsabilità, nella caduta del governo, sono chiare e da attribuire soprattutto a un Movimento che, guidato da Conte, ha agito con «una certa inesperienza politica o ingenuità». «Ringrazio Conte per il lavoro fatto, però le nostre visioni non sono mai state allineate nell’ultima fase – continua il ministro – Le mie critiche non le ho mai nascoste. C’è rispetto e lealtà tra noi, ma aver innescato questa crisi è stato un errore molto grave».
Non appoggia, però, nemmeno la decisione di Di Maio, che avrebbe incrinato ancora di più la posizione dell’ala governista all’interno del Movimento: «Per me ha sbagliato perché in quella maniera ha portato via dal M5S una buona parte delle persone che volevano dare continuità al governo. Si sono prodotte ulteriori difficoltà al nostro interno, è mancato un equilibrio».
Lascia con convinzione, quindi, ma non si sbilancia sulle sue prospettive politiche. E apre uno spiraglio al «campo largo»: «Per non consegnare il Paese alle destre serve l’impegno di tutti, il campo è quello delle forze progressiste». Un campo dal quale il Movimento rimarrebbe fuori.
Crippa al Corriere della Sera
Sulla stessa lunghezza d’onda Davide Crippa, capogruppo del Movimento 5 stelle alla Camera e altro fuoriuscito dell’ultima ora, che al Corriere della Sera spiega che il problema «è ciò che il M5s oggi è o vuole essere, una casa che non riconosco più». Non si sente tradito, dice, né dal Movimento né dal garante Beppe Grillo (a cui è molto vicino), ma «semplicemente non comprendo più la strategia e le logiche che guidano certe azioni».
E difende la sua decisione e le tempistiche, ragionate: «Se avessi consumato lo strappo nei giorni della crisi del governo Draghi non avrei potuto tentare, come ho fatto fino in fondo, di salvare il salvabile nel rispetto del mio ruolo di presidente di un gruppo parlamentare che ha creduto in me eleggendomi per tre volte», dice.
Anche Crippa, come D’Incà, attribuisce a Conte il grave errore, «il suo più grande errore», di aver disfatto il progetto del campo largo e di aver consegnato la «testa di Draghi alla destra». Ma, anche lui, non reputa giusto lo strappo di Di Maio. Si dice poi in una fase di «riflessione» sul prossimo futuro: «La scelta che mi sono visto costretto a fare pesa molto. Vediamo cosa accade nei prossimi giorni. Con il Pd, per ovvie ragioni, c’è sempre stato un dialogo costante».
(da agenzie)
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Luglio 31st, 2022 Riccardo Fucile
SERVIREBBE UNA DEROGA DI GRILLO ALLO STATUTO… PER CANDIDARSI DOVREBBE ESSERE ISCRITTO SU SKYVORE DA ALMENO SEI MESI MA LUI SI E’ DISISCRITTO DAL M5S
E’ forse quello in grado di risollevare le sorti di un M5S ammaccato. Eppure anche la
candidatura di Alessandro Di Battista nelle file del M5S è tremendamente a rischio.
A frenarla un cavillo giuridico, una regola che potrebbe far saltare la sua corsa, che pure, a differenza di quanto si pensi, non è affatto scontata. Perché nei vertici del Movimento e in molti degli uomini più vicini a Giuseppe Conte l’ex pupillo di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio non è poi visto così di buon occhio: “Tirerà elettoralmente, ma ci mettiamo un guaio in casa per 5 anni”, il timore che rimbalza.
Sarà anche per questo che tra i due, a quanto apprende l’Adnkronos, non ci sono stati al momento contatti, nonostante Di Battista abbia dato, nelle settimane scorse, la sua disponibilità a sedersi a un tavolo vista la caduta del governo Draghi, ma con richieste ‘politiche’ che non vuole vengano ignorate per tornare a ragionare su un suo ritorno.
Di Battista è ancora in viaggio, seguendone le tracce sui social si trova a Vladivostock in queste ore. Rientrerà in Italia i primi di agosto.
Gli ex parlamentari a lui più vicini lo descrivono sereno, certo non così smanioso di tornare a sedere in Parlamento. Per ora, tra lui e Conte, la situazione risulta in stand-by.
Il contributo dell’ex volto noto del M5S potrebbe essere prezioso da spendere in campagna elettorale, ma rischia anche di rubare la scena all’ex premier, altro timore che serpeggia tra i ‘contiani’.
Ma sono soprattutto le regole grilline che rischiano di farlo ‘saltare’, ammesso che lo si rivoglia in squadra. Perché le norme del Movimento prevedono che, per candidarsi, sia necessario essere iscritti alla piattaforma di Skyvote da almeno sei mesi.
E Di Battista si è disiscritto dal M5S subito dopo esserne uscito, in dissenso con la decisione dei vertici pentastellati, validata dalla Rete, di appoggiare il governo Draghi.
Per poter ‘vidimare’ la sua candidatura servirebbe dunque una deroga, che passa dal disco verde del garante, Beppe Grillo. Che tuttavia, racconta all’Adnkronos chi gli è più vicino, continua a essere granitico nella difesa delle regole interne, dalle parlamentarie al principio di territorialità al niet sulle pluricandidature.
E che quello della mancata iscrizione sia un problema per Di Battista lo conferma all’Adnkronos anche Lorenzo Borré, il legale da sempre a capo delle battaglie giuridiche contro i vertici del M5S: “è una regola che è stata adottata dal marzo 2018 a seguire – dice -. Conoscendo Di Battista, non di persona ma come personaggio, dubito fortemente che accetti una deroga in suo favore”. Ammesso che venga richiesta e che gli venga concessa. “Vista l’aria che tira – dice chi ha sentito Grillo nelle ultime ore – dubito fortemente che apra spiragli”.
(da Huffingtonpost)
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Luglio 31st, 2022 Riccardo Fucile
NEANCHE IERI C’E’ STATA A CIVITANOVA GRANDE SOLIDARIETA’ PER LA FAMIGLIA DI ALIKA… IN FONDO LA VITTIMA ERA UN INVALIDO, AMBULANTE, POVERO E NERO
Italia, abbiamo un problema. Lo diciamo qui e ora, mentre quasi tutto l’emiciclo politico – Meloni compresa, manca il solito smemorato Salvini – ha condannato il brutale omicidio dell’ambulante nigeriano Alika Ogorchukwu a Civitanova Marche da parte del trentaduenne Filippo Ferlazzo, con la futile motivazione di un apprezzamento rivolto alla fidanzata.
Abbiamo un problema, e nel migliore dei casi si chiama indifferenza. Perché ciò che inorridisce, del video che mostra un uomo – un padre di famiglia con un bimbo di otto anni – ucciso sotto i colpi della stessa stampella che da invalido usava per camminare, e finito a mani nude “come nemmeno in un’area dei gladiatori”, è l’inerzia complice del contesto.
Un contesto fatto di gente comune che passeggiava per le vie del centro di Civitanova. Che ha visto tutto. Che ha commentato. Che ha filmato. Ma che non è intervenuto per fermare la furia omicida di Ferlazzo.
Abbiamo un problema, ma non abbiamo controprove. Non sappiamo cosa sarebbe successo se al posto di Alika Ogorchukwu ci fosse stato una persona con la pelle bianca, e al posto di Filippo Ferlazzo ci fosse stata una persona con la pelle nera.
Però, perdonateci, fatichiamo a non leggere in quell’indifferenza la pavidità di chi non vuole rischiare di sporcarsi le mani per salvare la vita una persona “diversa” e aliena a quel contesto sociale: invalida, ambulante, povera, nera. Altra.
La dimensione collettiva di questa indifferenza, peraltro, proietta un’ombra ancora più lunga su tutta la vicenda. Perché il comportamento individuale può avere mille attenuanti. Ma decine di comportamenti individuali definiscono inequivocabilmente una tendenza sociale.
E se nel 2022, dopo una pandemia globale e con una guerra alle porte di casa, siamo davvero tornati a coltivare indifferenza e a erigere muri attorno alla nostra fortezza identitaria, arrivando a permettere che una persona possa essere uccisa impunemente, davanti ai nostri occhi, senza provare a fare nulla, davvero siamo messi male.
(da Fanpage)
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Luglio 30th, 2022 Riccardo Fucile
“MA SEI COSÌ CERTO DI RIMANERE A CAPO DELLA LEGA FINO AL MAGGIO 2023? VAI AL VOTO! NON CI ARRIVI A MAGGIO 2023. HAI L’ULTIMA POSSIBILITÀ DI FARE LE LISTE ELETTORALI CANDIDANDO AMICI FIDATISSIMI”
Nei giorni cruciali del duello Conte-Draghi il Capitone viene trafitto da un’analisi politica
di Licia Ronzulli, poi supportata dal “suocero”, Denis Verdini: ma sei così certo di rimanere a capo della Lega fino al maggio 2023, data ipotizzata da Mattarella per il voto politico?
Alla eterna fronda interna dei governatori Zaia-Fedriga-Fontana e di quell’anima pia di Giorgetti, occorre aggiungere l’insofferenza dei fedelissimi salviniani nei confronti dei governatori e infine l’alzata di testa di Letizia Moratti, cara alla Meloni, sulla corsa alla presidenza della Regione Lombardia.
E qui entra in campo il vocione di Verdini padre, che in sostanza conferma il pensiero della Ronzulli: “Vai al voto! Non ci arrivi a maggio 2023. Hai l’ultima possibilità di fare le liste elettorali candidando amici fidatissimi”.
Ok, messaggio ricevuto, bofonchia Salvini. Ora c’è però da convincere Silvio Berlusconi, quel pregiudicato di 86 anni che lo scorso settembre, intervistato da Massimo Giannini, aveva drigrignato la dentiera: “Senta, siamo sinceri: ma se Draghi va a fare il presidente della Repubblica poi a chi dà l’incarico di fare il nuovo governo? A Salvini? Alla Meloni? Ma dai, non scherziamo”.
Quella sentenza si è poi trasformata in battuta grazie al tenace lavoro ai fianchi della triade Salvini-Ronzulli-Fascina che gli hanno fatto credere, nei suoi rari momenti di lucidità e controllandolo h24 affinché non cambiasse idea, che era la sua ultima chance, salirai sullo scranno più alto del Senato, diventerai seconda carica dello Stato!
Silvio, dopo la cacciata dal parlamento con la legge Severino, l’umiliazione di processi a ripetizione e il disonore di finire ai servizi sociali, il ritorno sarà la tua vendetta, rivincita, rivalsa contro i comunisti! E poi giù a squadernare i sondaggi che incoronavano la Meloni: ora o mai più!
Anche qui entra in ballo la possibilità di candidare i fedelissimi cari alla Ronzulli-Fascina e al maggiordamo Tajani.
Il Banana assediato si convince, le telefonate della figlia Marina e i consigli di Gianni Letta rimangono lettera morta e Salvini spedisce il leghista Molinari in aula a tuonare “O il rimpasto o morte”. Un Draghi-bis che imponeva a SuperMario di far fuori gli odiatissimi Lamorgese e Speranza. Ovvio che un altro governo non si poteva fare a tre mesi dalla Finanziaria e a sei mesi dal voto.
Draghi gira i tacchi e la triade Salvini-Ronzulli-Fascina si mette in moto: non c’è nessuno che detesta di più la Meloni, quella che il Capitone nomignola beffardamente “la Rita Pavone”.
(da Dragoreport)
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