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PIETRANGELO BUTTAFUOCO AVREBBE ATTIVATO I LEGALI PER BLOCCARE LA PUBBLICAZIONE, PREVISTA PER IL 30 GENNAIO, DEL LIBRO “EUROPA RIDESTATI. PER LA SOVRANITÀ DELL’EUROPA” DI CLAUDIO MUTTI

Gennaio 25th, 2024 Riccardo Fucile

COS’HA DI SCOTTANTE IL VOLUME? CONTIENE LA PREFAZIONE SCRITTA PROPRIO DA BUTTAFUOCO: UN DURO AFFONDO CONTRO IL COLONIALISMO AMERICANO E LA DESTRA… IL TESTO FU SCRITTO 10 ANNI FA

“Abbassa un po’ il vikingo, alza un po’ il persiano, che forse ce rientramo”. Forse abbiamo trovato il libro e la prefazione della “flash” lanciata poc’anzi dal sito Dagospia secondo la quale Pietrangelo Buttafuoco starebbe mettendo di mezzo gli avvocati per impedirne la pubblicazione.
Si tratta di “Europa ridestati” di Claudio Mutti, che sarà edito dalla casa editrice “Edizioni di Ar” di Franco Freda (Ordine Nuovo, Aristocrazia Ariana) – “Ar” sta per Aristocrazia Ariana, per l’appunto – con la prefazione antiamericana, antiatlantistica, euroasiatica dello stesso Buttafuoco. Se il libro e la prefazione dovessero essere altri, diciamo che la sostanza non cambia molto e le affermazioni di Buttafuoco restano molto antiatlantiste.
A Mutti e Buttafuoco piace molto l’arianesimo persiano, dunque iraniano “terra degli ariani”, l’euroasiarianesimo, diciamo, come piace a tutti quelli un po’ bassini e scuretti, Adolf Hitler compreso – motivo di tutto l’esoterismo nazista euroasitico: Persia, Tibet, Valguarnera Caropepe – d’altronde gli ariani di Germania non erano forse i terroni della Scandinavia? Achtung: non sto dicendo che Buttafuoco sia nazifascista, sto dicendo che je piacerebbe essere ariano.
Per la casa editrice di Franco Freda, che ha pubblicato anche il “Mein Kampf” (bestseller sempre di Adolf Hitler), ha pubblicato anche l’ariano di Agira Pietrangelo Buttafuoco, un testo dall’esilarante titolo “Fogli consaguinei”. Adesso marcia indietro. Ma abbiamo trovato il testo e la prefazione.
Il testo dovrebbe essere “A domanda… risponde” (con i tre puntini degli autori della domenica), di Claudio Mutti con prefazione di Buttafuoco (magari riveduto e corretto da “Ar” – ma siamo qui, disponibili a qualsiasi precisazione dell’editore) edito allora da “Effepi” (fottiepiagne?).
Ed ecco la prefazione di Pietrangelo Buttafuoco: “È l’avvenire comune che stabilisce la civiltà comune. Così spiega Claudio Mutti. Senza la geografia, infatti, non si fa la politica. Non esiste storia, dunque, senza una mappa. E la carta – quella dove si segnano i confini e gli spazi – è l’unico parametro a cui affidare la comprensione dei fatti, del mondo e dello Spirito del Tempo. La geopolitica, dottrina di cui Mutti è profondo conoscitore, altro non è che la fisiologia in un organismo complesso: la terra.
Per tramite di geopolitica è chiara la distinzione tra “imperium” e “dominium”; al di là dell’esperienza storica si nasconde sempre uno scenario mitico, ma tutto quel che ci resta, d’Occidente, oggi è solo dominium di un modello multiculturale che in realtà – come spiega bene Mutti – «è monoculturale. Perché c’è l’egemonia di un’unica cultura: la zivilisation », quella civilizzazione così malignamente antieuropea che nega ai popoli del blocco continentale d’Europa di darsi un destino comune, appunto una civiltà comune, un avvenire…” Uh cattivona America, come ci siamo svegliati antiatlantisti oggi, anzi ieri.
Ripetiamo: libro e prefazione dovrebbero essere questi. Ma non è che cambi molto se si tratta di Eurasia, blocco continentale geografico attaccato dal multiculturalismo. E come chicca una breve sintesi della biografia di Claudio Mutti: studioso di lingue ugrofinniche, appartenente al gruppo nazimaoista Lotta di Popolo, secondo lui la lingua inglese è la sovrastruttura egemonica dell’America.
Antonello Trombadori gli diede del “nazista” facendogli revocare la direzione dell’istituto di cultura italiano a Bucarest. Ha diretto la rivista “Jihad” sostenuta dall’ambasciata iraniana a Roma. Direttore della rivista geopolitica “Eurasia”. Si è interessato all’estetica del nazismo (fonte Wikipedia).
Dalla Prefazione di Pietrangelo Buttafuoco:
“È l’avvenire comune che stabilisce la civiltà comune. Così spiega Claudio Mutti. Senza la geografia, infatti, non si fa la politica. Non esiste storia, dunque, senza una mappa. E la carta – quella dove si segnano i confini e gli spazi – è l’unico parametro a cui affidare la comprensione dei fatti, del mondo e dello Spirito del Tempo. La geopolitica, dottrina di cui Mutti è profondo conoscitore, altro non è che la fisiologia in un organismo complesso: la terra. Per tramite di geopolitica è chiara la distinzione tra “imperium” e “dominium”; al di là dell’esperienza storica si nasconde sempre uno scenario mitico, ma tutto quel che ci resta, d’Occidente, oggi è solo dominium di un modello multiculturale che in realtà – come spiega bene Mutti – «è monoculturale. Perché c’è l’egemonia di un’unica cultura: la zivilisation », quel la civilizzazione così malignamente antieuropea che nega ai popoli del blocco continentale d’Europa di darsi un destino comune, appunto una civiltà comune, un avvenire… “
(da movmag.com)

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A PALERMO È PARTITA LA CACCIA AI RIBELLI CHE HANNO OSATO CONTESTARE BEATRICE VENEZI

Gennaio 25th, 2024 Riccardo Fucile

IL SOVRINTENDENTE ANDREA PERIA È ANDATO A CHIEDERE UNA SMENTITA AI MUSICISTI SENZA OTTENEERLA… LE PERPLESSITÀ SULLA CONSULENTE MUSICALE DI SANGIULIANO SONO CONDIVISE DALLA MAGGIOR PARTE DEGLI ORCHESTRALI

Alla fine il tacito patto di buona parte dell’Orchestra sinfonica è che, diversamente dall’altra sera, nei prossimi concerti i musicisti seguiranno i gesti della direttrice Beatrice Venezi. Una sorta di sfida dopo aver unanimemente scelto la scorsa settimana di non guardare la direttrice perché la bacchetta risultava, secondo alcuni, scoordinata rispetto alla partitura.
Il giorno dopo l’ammutinamento a mezzo stampa di una fetta della Sinfonica che ha sfogato il malumore contro Venezi, la parola d’ordine è prendere le distanze rispetto al gruppo di “ribelli”.
E infatti vengono fuori prima due comunicati dei sindacati, Libersind e Uilcom, che bacchettano le dichiarazioni dei musicisti, poi una lettera delle prime parti dell’orchestra, quasi tutti precari e quindi sotto scacco sulla stabilizzazione. Una lettera che prende le distanze dalle parole usate ma che cinque delle quattordici prime parti dell’orchestra si sono rifiutate di firmare.
Il sovrintendente Andrea Peria martedì pomeriggio è piombato nella sala del Politeama durante le prove: il sovrintendente della Foss cercava un faccia a faccia con gli orchestrali, dopo che alcuni di loro si erano schierati apertamente contro la direzione di Beatrice Venezi, giudicata «incoerente con l’esecuzione musicale».
La notizia del malcontento era appena uscita sul sito di Repubblica, scatenando un terremoto che ha fatto tremare i piani alti della Foss. Peria vuole vederci chiaro, isolare i “ribelli”, chiedere una smentita, ricompattare l’orchestra. E mettere a tacere una volta per tutte le critiche contro la consulente del ministro della Cultura, candidata alla direzione artistica della stessa Sinfonica.
Le perplessità artistiche sul lavoro di Venezi non riguardano certo una minoranza sparuta di musicisti. La strategia concordatadi non guardare la direttrice per non essere disorientati ha coinvolto tutti. Ma è vero anche che alcuni orchestrali hanno dissentito rispetto all’opportunità di esternare sulla stampa la questione.
Nei corridoi del Politeama, adesso, si parla di “maggioranza silenziosa” perché , visto il clima, le bocche sono comprensibilmente cucite. Ma, al di là delle prese di distanza, nessuna smentita.
Le pressioni sono tante e i primi segnali dai vertici sono stati lanciati. E allora gli stracci volano al bar. Quando parlano tra loro, gli orchestrali non fanno un mistero che a volte le cose appaiono diversamente da come sono in realtà. Che Venezi non sia un fenomeno sul podio sarebbe come il segreto di Pulcinella nel mondo della musica. Tutti lo sanno, ma nessuno – o quasi – lo dice.
Resta il modo con cui l’intera orchestra ha espresso il suo dissenso: nessuno degli orchestrali ha battuto i piedi sul palco per salutare l’uscita di scena della direttrice, riservando il tributo “sonoro” solo al violinista serbo Stefan Milenkovich.
Qualcuno, tra gli spettatori, avrà anche notato che gli orchestrali hanno tenuto per quasi un’ora e mezza di concerto gli occhi bassi sugli spartiti senza quasi mai alzare lo sguardo verso Venezi
(da La Repubblica)

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FINE VITA, LA DEM BIGON SOLLEVATA DALL’INCARICO DI VICE DAL SEGRETARIO PROVINCIALE DEL PD DI VERONA

Gennaio 25th, 2024 Riccardo Fucile

ERA STATA DETERMINANTE PER LA BOCCIATURA DELLA LEGGE ZAIA SUL FINE VITA… “POTEVA USCIRE DALL’AULA, LIBERA DI PENSARLA COME CREDE, MA LIBERO IO DI TRARNE LE CONSEGUENZE POLITICHE”

“Abbiamo appreso della decisione del segretario provinciale del Pd di Verona, Franco Bonfante, – affermano in una nota congiunta il segretario regionale del Veneto Andrea Martella e il Responsabile Nazionale dell’organizzazione del Pd Igor Taruffi – di sollevare dal ruolo di vice segretaria la consigliera regionale Bigon. Scelta che non è frutto di decisioni nazionali e regionali, ma compiuta da Bonfante in totale autonomia”.
Tesi confermata dallo stesso Bonfante che ha precisato di assumersi “personalmente l’intera responsabilità della scelta”. “Non voglio coinvolgere nessun altro dell’Esecutivo, della Direzione o del Partito al quale eventualmente risponderò della decisione nelle sedi ed organi competenti”, ha aggiunto. “Non credo nelle sanzioni disciplinari su temi etici ed è corretto che sia lasciata libertà di voto per motivi di coscienza, ma chi la pratica deve essere consapevole delle conseguenze politiche, a maggior ragione se vi erano alternative, come l’uscita dall’aula con una contemporanea dichiarazione esplicativa”. Così il segretario provinciale Pd di Verona.
(da agenzie)

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SONDAGGI SUPERMEDIA YOUNTREND: CALANO FDI, LEGA E FORZA ITALIA, SALGONO PD. M5S E VERDI-SINISTRA

Gennaio 25th, 2024 Riccardo Fucile

FDI 28,7%, PD 19,5%, M5S 16.5%, LEGA 8.6%, FORZA ITALIA 7%, VERDI-SINISTRA 3,8%, AZIONE 3,4%, ITALIA VIVA 3,1%

Secondo l’ultima Supermedia Agi/Youtrend, la seconda del 2024, la maggioranza appare in una condizione di sostanziale stabilità, mentre le opposizioni risultano in crescita.
È questo in sintesi il risultato della media ponderata dei sondaggi nazionali sulle intenzioni di voto, che comprende sondaggi realizzati dal 10 al 24 gennaio, effettuata il giorno 25 gennaio.
Dalla rilevazione sembra si colgano alcuni piccoli segnali di ripresa per le opposizioni, mentre i partiti di maggioranza restano più o meno sulle stesse percentuali di consenso o in lievissima flessione.
Crescono infatti il Pd di Elly Schlein e il M5s di Giuseppe Conte (+0,2% per entrambi rispetto alla Supermedia di fine 2023, realizzata il 28 dicembre 2023); ma anche Alleanza Verdi/Sinistra risulta in crescita, con una percentuale del 3,8% e un aumento dello 0,1%, rispetto alla fine di dicembre, che porta i partiti di Bonelli e Fratoianni più vicini alla soglia del 4%, superando Azione di Calenda e Italia Viva di Renzi.
Queste ultime due forze politiche, prima unite nel progetto Terzo Polo poi naufragato, si collocano rispettivamente al 3,4% (-0,4 rispetto alla percentuale sondata a fine dicembre), e al 3,1% (+0,1 rispetto alla precedente Supermedia).
Per i partiti più centristi (Azione e +Europa) si registra quindi una certa flessione, forse dovuta all’inasprimento del confronto politico che non li agevola. Più Europa è al 2,1%, con una flessione registrata dello 0,4% rispetto all’ultima Supermedia del 2023.
Il primo partito comunque rimane saldamente, e senza sorprese, quello della premier Giorgia Meloni, ora al 28,7%, il lieve calo (-0,1% nelle intenzioni di voto). Al secondo posto troviamo quindi il Pd, al 19,5% (+0,2% rispetto a dicembre); al terzo posto si mantiene il Movimento Cinque Stelle, con il 16,5%, e una crescita dello 0,2%. Il secondo partito del centrodestra per percentuale di consensi è ancora la Lega di Salvini, all’8,6% (perde lo 0,2%); anche gli azzurri di Tajani sono in calo, e perdono lo 0,1% (sono al 7%).
Più sotto troviamo Avs, 3,8 (+0,1), Azione 3,4 (-0,4), Italia Viva 3,1 (+0,1), +Europa 2,1 (-0,4), Italexit 1,7 (+0,1), Unione Popolare 1,4 (+0,1), Noi Moderati 1,2 (+0,1).
Per quanto riguarda le coalizioni, il Centrodestra è dato al 45,6 (in calo dello 0,3% rispetto al sondaggio del 28 dicembre 2023); mentre il Centrosinistra risulta invariato, al 25,5%. Il M5s, come si diceva, è al 16,5% (+0,2), il Terzo Polo al 6,5% (-0,3).
(da Fanpage)

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L’AUTONOMIA REGIONALE SOGNATA DALLA LEGA SFONDERA’ I CONTI PUBBLICI: PER RIUSCIRE A FINANZIARE I “LEP”, LIVELLI ESSENZIALI DELLE PRESTAZIONI, POTREBBERO SERVIRE 100 MILIARDI DI EURO

Gennaio 25th, 2024 Riccardo Fucile

ALTRO CHE “RIFORMA A COSTO ZERO” COME SOSTIENE CALDEROLI… DA FRATELLI D’ITALIA FRENANO: “PER NOI NON È UN TOTEM, NON È UN DOGMA”

La Lega cerca di correre ai ripari sui costi dell’Autonomia differenziata. C’è senza dubbio l’allarme, lanciato dalle opposizioni e da alcuni osservatori, che si stia andando incontro a una cristallizzazione delle disuguaglianze nel Paese, penalizzando ovviamente le regioni meridionali.
Ma ciò che preoccupa di più i leghisti sono le risorse da destinare al finanziamento dei Lep, i “Livelli essenziali delle prestazioni”, ovvero quei diritti civili e sociali da garantire in tutte le regioni, senza i quali l’Autonomia resterà un miraggio.
È impossibile stimare oggi quale sarà l’impatto dei Lep sui conti pubblici, ma le prime stime che iniziano a girare in queste settimane fanno paura: tra gli 80 e i 100 miliardi di euro. Il ministro per l’Autonomia Roberto Calderoli conta sul fatto che nel passaggio dalla spesa storica ai fabbisogni standard non emergano correzioni particolarmente significative nel livello delle risorse e nella loro distribuzione tra i vari territori.
Una fonte tecnica vicina al dossier, interpellata da La Stampa, spiega: «A meno che non si vogliano stravolgere completamente le prestazioni, è ragionevole attendersi che i fabbisogni standard non si discosteranno molto dalla spesa statale attuale».
A supporto di questa tesi, fonti della maggioranza citano i Lep che sono stati definiti per gli asili nido e sono costati un miliardo di euro per uniformare il servizio in tutta Italia. Un copertura importante, ma non impossibile da trovare.
Ecco da dove deriva la sicurezza di Calderoli, che in questi mesi ha sempre parlato di una riforma a costo zero. Se poi le spese dovessero lievitare, l’esecutivo si trincererà dietro alla possibilità di finanziare i Lep con tagli ad altre voci di spesa o tramite aumenti di entrate, perché l’Autonomia differenziata non può comunque determinare scostamenti dai saldi di bilancio programmati.
Il tempo gioca a favore del centrodestra che, sul tema dei costi, può facilmente buttare la palla in corner. La cabina di regia del professor Sabino Cassese, che ha il compito di individuare per la prima volta quali prestazioni vanno considerate “Lep”, ha ottenuto dal Milleproroghe un altro anno di tempo.
In più, il ddl Calderoli contiene una delega attraverso la quale si interverrà sui Lep con dei decreti legislativi entro 24 mesi dall’entrata in vigore della legge. Insomma, se ne riparla nel 2026 inoltrato. Solo dopo si potrà andare a trattare con le Regioni per chiudere le intese.
Ma se una Regione chiederà l’autonomia, ad esempio, sull’Istruzione, i Lep riferiti a quella materia dovranno essere garantiti in tutte le altre Regioni italiane. Questo, per le opposizioni, vuol dire solo una cosa: «È una palese presa per i fondelli degli italiani, perché anche definendo dei Lep minimali, non ci sono soldi per finanziarli. L’autonomia non si attuerà mai e resterà solo sulla carta», dice il senatore del Pd Dario Parrini
Ma c’è anche «una quasi certa questione di incostituzionalità». E qui si giocherà un altro pezzo della battaglia delle opposizioni, qualora la legge dovesse andare in porto. Il presidente della Campania, Vincenzo De Luca, denuncia la «truffa» attuata dalla legge Calderoli, lancia infatti «una campagna di mobilitazione a difesa del Sud e dell’unità nazionale» di cui svelerà oggi i dettagli. Il governatore del Veneto, Luca Zaia, difende però la misura bandiera della Lega: «È immorale che ci siano cittadini costretti a curarsi in una regione che non è la loro. Ma questo è colpa del centralismo, non dell’Autonomia». Ma se la Lega mostra una certa frenesia nel voler approvare definitivamente l’Autonomia prima delle Europee, Rampelli sembra frenare: «Per noi non è un totem, non è un dogma. È un’opportunità che viene data all’Italia».
(da agenzie)

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I BOIARDI DEL GOVERNO MELONI

Gennaio 25th, 2024 Riccardo Fucile

SCELTI, ALLONTANATI E PROMOSSI

Costretti ad assecondare i loro ministri, finiscono per essere messi da parte e destinati ad altro ruolo, con scatto di carriera. Sono i Balanzone della premier, gli adetti alle leggine
Giovanbattista Fazzolari, l’Hegel di Meloni, suo filosofo, dice sempre che “è meglio perdere che perdersi”. Quando loro perdono guadagnano infatti i dottor Balanzone. Sono i capi del legislativo, di gabinetto. I boiardi di stato. La norma su misura per l’ex ad Rai, Fuortes, finita alla Consulta? E’ opera di Antonio Tarasco, fino al 17 gennaio capo del legislativo del ministro Sangiuliano. La norma è stata bocciata e Tarasco allontanato. Con promozione. Da pochi giorni dirige gli archivi italiani. Al ministero dell’Agricoltura, dove si piantano ddl come le zucchine, il capo del legislativo, Di Matteo, si è inimicato la struttura per le sue leggi (sulle bistecche) sintetiche. In sintesi: una carnevalata ai ferri.
Cosa fa un ministro quando vuole fare propaganda? Chiede a uomini di stato, giuristi, scambiati come sarti, di confezionare una “normetta” italica. Un capo del legislativo può scegliere cosa essere. Può assecondare la volontà del suo ministro o andare via. Può anche legiferare, compiacerlo, per poi farsi trasferire, il più delle volte con uno scatto. Ha infatti guadagnato un credito. Al Masaf il capo del legislativo è Federico Di Matteo e deve ora fare i conti con un ministero che si è rivoltato contro a causa della norma sulla carne sintetica e non solo. Per fare in modo che anche le foglie di cetriolo somiglino ai Meloni, pochi mesi fa si è deciso di commissariare il Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria) attraverso un decreto a firma del ministro. Stando a quando dicono altri giureconsulti, per commissariare il Crea serviva un decreto del presidente del consiglio, su proposta del ministro vigilante, di concerto con il ministro dell’Economia. A dirla tutta servivano anche dei validi motivi, in materia di bilancio, motivi che secondo il mondo dell’agricoltura, almeno l’altro mondo, quello che non ha un filo(Col)diretti con il ministro, non c’erano. Dopo il commissario si è passati alla nomina del presidente di Crea, ma resta lo strappo. Di Matteo è destinato dunque a fare carriera. Sempre al Masaf ha lasciato il capo di gabinetto del ministro, Giacomo Aiello. Al suo posto è arrivato Borriello e due milioni di euro in più per lo staff. La ragione dell’addio di Aiello sarebbe simile a quella che ha portato a un’altra staffetta: incomprensioni. A fine dicembre, il capo di dipartimento Stefano Scalera, già direttore generale del Mef, è stato nominato vicecapo di gabinetto di Lollobrigida. Quando il ministro lo scelse molti applaudirono la decisione. Scalera è ritenuto più vicino alla sinistra che alla destra. La Grande Illusione, come nel film di Renoir, è durata poco. Ovviamente, sulla carta, sono promozioni perché solo i deputati pistoleri, alla Pozzolo, si possono allontanare in conferenza stampa come ha fatto Meloni. Con un boiardo anche la destra è costretta a usare i guanti. Al ministero del Lavoro, sempre alla voce incomprensioni, che significa “caro ministro, forse è il caso di non farla questa legge”, ha lasciato il capo del legislativo Giuseppe Leotta. Lo ha sostituito Giuseppe Zuccaro. Un caso a parte è il ministero di Maria Betty Casellati, ma con lei si sa che è come vivere a Panem, la città degli Hunger Games: ne rimarrà solo uno. E’ andato via Simone Neri che era suo direttore di gabinetto per gli affari legislativi. Ora lavora al Dagl diretto Francesca Quadri che va ringraziata: ha salvato una creatura. E qui si ritorna a Sangiuliano che dei Balanzone ne fa collezione. Si era scelto come segretario generale Mario Turetta ma dopo poco si è accorto che Turetta non possedeva tutte le biografie pubblicate da lui. Sangiuliano ha risolto la questione con la riforma interna del ministero che elimina di fatto il segretario generale. Resta centrale il suo capo di gabinetto, Francesco Gilioli. E’ lui che ha consigliato come capo del legislativo Tarasco, uno che si era già distinto. Era stato Tarasco, con un bando, a consegnare la Certosa di Trisulti a Steve Bannon. Da allora Tarasco si era eclissato prima che Sangiuliano lo riscoprisse. E lo scaricasse. Per il ministro è colpa di Tarasco quel decreto che regolava le tariffe delle foto culturali a scopo scientifico. I canoni erano così alti che i docenti stavano per prendere i forconi. Un altro Balanzone, che avrebbe garantito a Sangiuliano la riuscita di un formidabile piano, è Danilo Del Gaizo, vicepresidente del cda del Teatro di Roma. Ha sottoscritto il contratto del nuovo direttore De Fusco, esautorando il presidente del teatro. Ora che il sindaco Gualtieri è pronto a impugnare l’atto, la destra di governo prende le distanze dal Del Gaizo e ne ricorda il passato. Da ex avvocato dello stato e capo di gabinetto del governatore campano Caldoro ha restituito alla regione Campania 172 mila euro. Aveva superato il tetto dei compensi. La regione si era opposta al Del Gaizo, lui fatto ricorso al Tar, poi appello al Consiglio di Stato. Un inferno. Intervenendo alla Camera, Meloni, si è lamentata che Stellantis non produca più automobili in Italia. Per fortuna grazie al governo si producono ancora decreti, che generano ricorsi, che alimentano sentenze, che producono scatti di carriera. Elkann può farsi perdonare dalla premier. Il prossimo modello lo chiami Alfa Balanzone.
(da ilfoglio.it)

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AL SUD SI SPENDE PER IL PONTE E LE SCUOLE CADONO A PEZZI

Gennaio 25th, 2024 Riccardo Fucile

UNA SCUOLA SU TRE HA NECESSITA’ DI INTERVENTI URGENTI DI MANUTENZIONE

Nelle due regioni in cui l’unica priorità sembra essere il Ponte di Messina una scuola su tre ha necessità di interventi urgenti di manutenzione; inoltre, nelle città capoluogo, negli ultimi 5 anni non è stato costruito nessun nuovo edificio scolastico. In Sicilia e Calabria – dove tutti i capoluoghi di provincia, con la sola eccezione di Caltanissetta, sono in area sismica 1 e 2 – mediamente, nel 65% dei casi non è stata effettuata la verifica di vulnerabilità sismica. Lo scrive Legambiente nel suo 23esimo report “Ecosistema Scuola” che fotografa la situazione italiana in cui le scuole continuano ad essere in ritardo cronico su riqualificazione edilizia e servizi scolastici.
I ritardi maggiori si registrano ancora volta nel Mezzogiorno, ma preoccupa anche la situazione del centro Italia colpito dal sisma del 2016 dove l’obiettivo messa in sicurezza delle scuole è ancora lontano. Altra nota dolente, riguarda i servizi scolastici che nonostante rappresentino una parte importante per la crescita, la socialità e l’inclusione tra i ragazzi sono poco garantiti nelle scuole del Sud della Penisola. Nonostante lo stanziamento delle risorse, nella Penisola la realizzazione di nuove scuole è un miraggio: negli ultimi 5 anni è stato dello 0,6%.
Ammontano a 519 milioni di euro i fondi stanziati dal Pnrr per 767 nuove realizzazioni o ampliamenti/potenziamenti di spazi mensa. L’efficientamento energetico, pur affrontato da alcune amministrazioni su un numero consistente di edifici di propria pertinenza, riguarda solo il 12,7% del totale degli edifici scolastici tra quelli realizzati negli ultimi 5 anni, distribuito in modo piuttosto disomogeneo.
(da lanotiziagiornale.it)

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GIORGIA E IL METODO GOEBBELS

Gennaio 25th, 2024 Riccardo Fucile

QUALCUNO DEI SUOI LACCHE’ RICORDI ALLA MELONI COM’E’ FINITA A GOEBBELS, CUI SI ATTRIBUISCE LA FRASE: “RIPETETE UNA BUGIA MILLE VOLTE E DIVENTERA’ VERITA'”

Strano che nessuno dei suoi lacchè ricordi alla Meloni com’è finita a Joseph Goebbels, il gerarca nazista a cui si attribuisce questa frase: “ripetete una bugia mille volte e diventerà una verità”. Il capo della propaganda di Hitler si suicidò dopo aver distrutto la Germania e l’Europa.
Ora speriamo vivamente di non rivedere mai più quell’orrore, ma intanto il metodo della premier nel raccontarci le cose è identico a quello che il secolo scorso illuse Berlino.
Così il suo disastro sul Patto di stabilità non esiste, mentre i guai del Paese sono frutto “di chi ha governato prima”. Eppure, i fatti dicono in modo inconfutabile che lei in Europa si è piegata sulla spesa pubblica, mentre Conte ha portato 230 miliardi del Pnrr.
Allo stesso modo, il collasso della sanità – dice Giorgia – è colpa di chi c’era prima, e pazienza se prima c’era anche lei e metà del suo esecutivo. La madre di tutti gli sprechi, poi, è il Superbonus 110%, con cui nel 2021 il nostro Pil è cresciuto dell’8,3%.
Adesso che governa lei, secondo Bankitalia sarà grasso che cola se la crescita arriverà allo 0,7. Ma è con le privatizzazioni che Meloni raggiunge i più grandi ciarlatani della storia.
Nel 2018 la leader di Fratelli d’Italia tempestava i social per impedire la vendita delle aziende pubbliche, e in particolare di Poste Italiane. Tutto il contrario di quello che si appresta a fare, dopo aver già consegnato Tim a un fondo speculativo americano.
La dignità, se non un briciolo di onestà intellettuale, imporrebbero dunque di smetterla con le balle, ma evidentemente il Goebbels che è in lei non lo consente.
(da lanotiziagiornale.it)

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AL SERVIZIO SANITARIO SERVONO 15 MILIARDI ALL’ANNO PER ALLINEARSI ALL’UE, INTANTO LA SPESA PRIVATA SFONDA IL MURO DEI 40 MILIARDI

Gennaio 25th, 2024 Riccardo Fucile

IL RAPPORTO: “IN ITALIA DOVREBBERO ESSERE ASSUNTI UN MILIONE TRA MEDICI E INFERMIERI PER COLMARE IL GAP CON LA MEDIA DEI PAESI UE”

Quasi un milione tra medici, infermieri e assistenti alle cure. È questo il numero di unità di personale sanitario che dovrebbero essere assunte in Italia per colmare il gap con la media dei Paesi Ue. Questo considerando che siamo una delle popolazioni più anziane del mondo e che entro il 2032 l’Italia avrà circa 10 milioni di pazienti over 65 con patologie croniche. Quello del personale impiegato è solo uno dei terreni su cui la sanità italiana perde vistosamente campo rispetto all’Unione Europea. Per quanto riguarda il livello di spesa sanitaria, siamo distanti del 32% dalla media Ue. Servirebbero almeno 15 miliardi in più all’anno per portare l’incidenza della spesa sanitaria sul Pil attorno al 10%. Valore che, seppur decisamente superiore al 6,7% del 2023, è comunque più basso della media Ue dell’11,5%. Tutto questo in un contesto di crescente disagio economico e di grande disuguaglianza geografica: nel Nord si registra un’aspettativa di vita senza limitazioni funzionali maggiore di quasi 3 anni rispetto al Sud.
I pazienti cronici over 65
È il panorama drammatico descritto dal 19° Rapporto Sanità del Crea, Centro per la ricerca economica applicata in sanità, presentato il 24 gennaio nella sede del Cnel, a Roma. Secondo il report, il futuro del Sistema Sanitario Nazionale è sempre più incerto. Gli indicatori demografici, con i bassi tassi di natalità, confermano che nel prossimo decennio l’età media della popolazione italiana continuerà a crescere. Un trend che comporterà problemi economici – con più anziani non occupabili sarà più difficile sostenere il welfare – e di salute pubblica. Entro il 2032 l’indice di dipendenza degli anziani – che misura il carico sociale ed economico della popolazione anziana gravante su quella in età attiva – salirà dal 37,5% al 46,2%. Questo significa che la sanità dovrà dedicarsi in modo prevalente al segmento più anziano della popolazione. In 10 anni, i pazienti cronici over 65 saranno circa 10 milioni. A questi, sottolinea il rapporto, vanno aggiunti i circa 7 milioni cronici “giovani”, tra i 18 e i 69 anni.
Pochi medici e infermieri
Di fronte a questo quadro demografico si fa ancora più catastrofica la mancanza di personale sanitario. In tutto, per colmare il gap riferito alla popolazione over 75 rispetto alla media dei Paesi Ue, all’Italia mancano oltre 900mila unità di personale dedicato alle cure (medici, infermieri e oss). Tra il 2003 e il 2021, il numero di medici per mille abitanti over 75 è passato da 42,3 a 34,6. Ancora peggiore il dato degli infermieri: da 61 a 52,3. Questo perché, negli ultimi vent’anni, i professionisti sono progressivamente usciti dal sistema, andando in pensione o trasferendosi all’estero. In quest’ultimo caso il danno è duplice: dopo aver speso soldi per formare un professionista, l’Italia non beneficia della sua entrata in servizio. Inoltre, una quota sempre più rilevante di professionisti sta valutando di cambiare lavoro. Tra le principali motivazioni ci sono lo stress e le scarse retribuzioni. Secondo una ricerca realizzata da Crea in collaborazione con Fnomceo – Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri – oltre il 75% dei medici ritiene che gli stipendi non siano più ragionevolmente commisurati ai carichi di lavoro e chiede un aumento tra il 20 e il 40%. Un incremento che, secondo i ricercatori, è in linea con gli altri stati europei, considerando che in Germania e Regno Unito lo stipendio dei medici è rispettivamente maggiore del 79% e del 40% rispetto a quello dei colleghi italiani. Anche per gli infermieri si rileva una minore retribuzione media, con stipendi più bassi del 50% rispetto ad altri paesi europei.
L’assistenza per le persone non autosufficienti
Molto carente anche il numero di oss, fondamentali per assistere le persone non autosufficienti, in aumento in un paese anziano come l’Italia. Sono 86,4 per mille abitanti over 75, contro i 114,6 della Spagna, i 175,8 della Francia e i 211 del Regno Unito. Poiché l’assistenza alla non autosufficienza è un bisogno non rimandabile, la carenza di oss è stata colmata dai cittadini attraverso l’assunzione di badanti. Non essendo professionalizzati, questi lavoratori non hanno possibilità di far fronte alle necessità del paziente e sono costretti spesso a ricorrere all’assistenza sanitaria pubblica, garantita con affanno dai pronto soccorso. Nel 2022, a fronte di 14,5 miliardi di euro di indennità di accompagnamento erogati, il 69% (pari a 10 miliardi) è stato impiegato per sostenere le spese di un badante o per pagare strutture dedicate alla cura e al trattamento dei soggetti invalidi. Il restante 31% (pari a 4,5 miliardi) è andato a costituire una sorta di compenso per l’attività svolta dai cosiddetti “caregiver informali”, che per lo più si identificano con la figura di un familiare. Il rapporto mette in dubbio l’efficacia di queste politiche socio sanitarie. Il risultato dell’erogazione dell’indennità di accompagnamento è di fatto il finanziamento di un assistenza informale, non professionalizzata, che non può garantire i giusti standard di cura ai soggetti fragili.
Sanità privata e impoverimento delle famiglie
Cresce, inoltre, la spesa sanitaria privata. Nel 2022 ha raggiunto i 40,1 miliardi di euro ( +0,6% medio annuo nell’ultimo quinquennio). Le Regioni con la quota più alta di spesa privata intermediata sono state il Trentino-Alto Adige (21,0%) e la Lombardia (19,7%). La Sicilia è stata quella con la quota minore (1%). Il 75,9% delle famiglie italiane sostiene spese per consumi sanitari: la quota è aumentata dell’1,7% nell’ultimo anno. Tra le famiglie più abbienti, quelle che ricorrono a spese sanitarie private superano l’80%. Tra quelle meno abbienti, non si raggiunge il 60%. Ciò conferma che la sanità si comporta come un bene di lusso: la sua quota nei consumi aumenta al crescere del reddito disponibile. Lo ribadisce il dato del disagio economico delle famiglie dovuto a consumi sanitari. Le famiglie che hanno subito un impoverimento a causa delle spese sanitarie e che hanno dovuto rinunciare a curarsi per motivi economici sono circa 1,6 milioni nel 2021, il 6,1% dei nuclei. In crescita di circa un punto percentuale rispetto al 2020 e di un punto e mezzo rispetto al 2019. Per Calabria, Campania e Sardegna la quota di famiglie soggette a disagio economico per cause sanitarie si impenna fino a raggiungere valori intorno al 14%.
Le risorse pubbliche
Nonostante queste criticità, il Rapporto sottolinea come nell’allocazione delle risorse pubbliche, la Salute sia una delle funzioni che ha visto un definanziamento maggiore (insieme all’istruzione): nel 2021, sul totale della spesa pubblica, alla Salute era destinato il 13,7% delle risorse, contro il 16,6% medio dei Paesi Eu “originari” (quelli entrati a far parte dell’Unione prima del 1995). Un calo di quasi 3 punti percentuali rispetto al 2016. In termini di copertura dei bisogni siamo al di sotto dei Paesi dell’Europa Orientale, mentre per quanto riguarda la spesa per la prevenzione in termini pro-capite l’Italia occupa l’undicesima posizione tra i diversi stati europei.
(da Il Fatto Quotidiano)

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