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LA PROCURA DI MILANO ATTACCA L’ESECUTIVO MELONI PER IL DECRETO, CON CUI HA DEFINITO LA FONDAZIONE MILANO-CORTINA UN ENTE DI NATURA PRIVATISTICA E NON DI DIRITTO PUBBLICO, EMANATO “DOPO” CHE ERA EMERSO IL PROCESSO SULLA PRESUNTA IRREGOLARITA’ NELL’ORGANIZZAZIONE DELLE OLIMPIADI INVERNALI

Luglio 11th, 2024 Riccardo Fucile

LE TOGHE SI LAMENTANO (“È UN ATTO DI GRAVITÀ INAUDITA CHE VA OLTRE LE LEGGI AD PERSONAM”) PERCHE’ IL DECRETO VUOLE TOGLIERE ALLA MAGISTRATURA LA PREROGATIVA DELLA INTERPRETAZIONE DELLE LEGGI

L’intervento del governo dello scorso giugno, che con un decreto in corso di indagine hadefinito la Fondazione Milano Cortina 2026 un ente di natura privatistica e non un organismo di diritto pubblico, è di “una gravità inaudita” perché è stato emanato dopo che era emersa l’esistenza del processo penale della procura di Milano sulla presunta irregolarità delle gare dei servizi digitali, ed “illegittimo” perché vuole togliere alla magistratura la prerogativa della interpretazione delle leggi
È quanto sostenuto dalla procuratrice aggiunta di Milano Tiziana Siciliano e dal pm Alessandro Gobbis nel corso dell’udienza al Riesame, chiesto da un manager della Fondazione indagato nell’inchiesta.
Nel corso dell’udienza i pm hanno ritenuto di non chiedere di sollevare una questione di legittimità costituzionale sul decreto, ma hanno argomentato di trovarsi di fronte a una legge illegittima che va oltre le “leggi ad personam”, proprio perché interviene in un’inchiesta in corso.
*In più, la natura pubblicistica delle Olimpiadi è stata più volte ribadita dalla giurisprudenza, come hanno spiegato i magistrati in una memoria di novanta pagine.
Agli atti dell’indagine, anche un’intercettazione nella quale un legale della Fondazione avrebbe ribadito ai manager che la Fondazione è un ente pubblico.
Lo scorso 10 giugno però, dopo le perquisizioni del 21 maggio nell’inchiesta in cui risulta indagato anche l’ex ad di Milano Cortina, Vincenzo Novari, il Consiglio dei ministri aveva ribadito con un decreto legge che le attività svolte dalla Fondazione Milano Cortina non sarebbero disciplinate da norme di diritto pubblico, che la Fondazione non è un organismo di diritto pubblico e opera sul mercato in condizioni di concorrenza e secondo criteri imprenditoriali.
Già i vertici della procura, con il procuratore Marcello Viola, avevano spiegato come le prime ricostruzioni investigative “inducono a ipotizzare che l’ente Comitato organizzatore dei giochi olimpici, sebbene si qualifichi, in forza di una norma di rango primario, come “ente non avente scopo di lucro e operante in regime di diritto privato”, in realtà abbia una natura sostanzialmente pubblicistica, perseguendo uno scopo di interesse generale, con membri, risorse e garanzie dello Stato e di enti locali”. Una tesi ribadita dagli inquirenti oggi al Riesame.
In Fondazione Milano-Cortina 2026 – parola dei (non indagati) manager e avvocati interni – «noi non siamo privati, noi siamo pubblici», «i requisiti sono i requisiti del cloud della Pubblica Amministrazione di un Paese europeo, non è che adesso te li devo descrivere», e «per quanto ci ostiniamo a dire che non perseguiamo l’interesse generale, però ah ah…».
Eppure lo scorso 11 giugno il governo Meloni – accogliendo il (convinto ma senza esito) pressing giuridico in Procura a Milano della professoressa Paola Severino, e raccogliendo l’allarme sul futuro rischio che le Olimpiadi invernali saltino per il solo esistere dal maggio scorso appunto di un embrione di indagine dei pm per corruzione, turbativa d’asta e abuso d’ufficio basata sulla natura comunque pubblicistica della Fondazione istituita a fine 2019 dalla legge come ente di diritto privato – ha addirittura varato di corsa un acrobatico decreto legge di cosiddetta «interpretazione autentica» per dettare che «le attività svolte dalla Fondazione non sono disciplinate da norme di diritto pubblico».
Il 29 aprile scorso proprio l’avvocato interno della Fondazione, Pietro Fea, nel discutere con il responsabile della tecnologia Marco Moretti le perplessità in seno alla Fondazione sulla volontà del Comitato olimpico internazionale di far entrare nella gestione dell’ecosistema digitale delle Olimpiadi 2026 accanto a Deloitte anche un altro sponsor olimpico mondiale come la cinese Alibaba, a proposito del tema della sicurezza nazionale posto dall’Agenzia per la cybersecurity mostra appunto di considerare chiaramente la Fondazione un organismo che persegue uno scopo di interesse generale: «C’è comunque attività di interesse nazionale eh… Per quanto ci ostiniamo a dire che non perseguiamo l’interesse generale, però… ah ah».
Il giorno dopo, 30 aprile, sullo stesso tema della sicurezza del cloud, è Moretti a far presente al collega Giuseppe Civale che «chiedono a me i requisiti… ma quali sono i requisiti? I requisiti sono i requisiti del cloud della Pubblica Amministrazione di un Paese europeo, non è che adesso te li devo descrivere…». E già un paio di settimane prima, il 18 aprile, era stato il manager Andrea Francisi, in una conversazione con il collega Matteo Coradini, a ragionare delle garanzie chieste ai fornitori nelle procedure di gara della Fondazione: «Noi non siamo privati, noi siamo pubblici… cioè io non l’ho mai visto fare da un privato la gara…».
(da La Repubblica)

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“IL FATTO QUOTIDIANO” È L’UNICO GIORNALE CHE CONTINUA A VENDERE: È IN TREND POSITIVO: RISPETTO A MAGGIO 2023 VENDE IL 7,5% DI COPIE CARTACEE IN PIÙ. IN AUMENTO ANCHE GLI ABBONAMENTI ONLINE

Luglio 11th, 2024 Riccardo Fucile

MALE “CORRIERE DELLA SERA” E “REPUBBLICA”: RISPETTIVAMENTE -8,3% E -4,7% – A PICCO “LA VERITÀ” (-14%) E “LA STAMPA” (-11,2%)

L’infografica rappresenta il “totale vendite individuali” che comprende le vendite individuali cartacei (vendite in edicola e porta a porta), gli abbonamenti individuali cartacei e le vendite copie digitali individuali. Si tratta sempre di numeri certificati e forniti da Ads che comprendono il dato aggregato della vendita individuale in edicola e la vendita individuale digitale, non legata a promozioni o offerte speciali.
E’ quindi, a nostro parere, la fotografia “vera” del mercato dei quotidiani, di chi compra il giornale perchè lo vuole davvero e non spinto da promozioni o abbinamenti a costi irrisori che spesso non hanno un grande futuro.
Questa classifica nasce quindi per riconsegnare ai quotidiani una dimensione reale dell’acquisto del quotidiano che a tendere vedrà il formato digitale primeggiare rispetto alle copie cartacee, che come vediamo tutti i mesi in edicola segna – ahinoi – un costante calo.
(da agenzie)

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I VERDI VICINI ALL’INTESA CON URSULA PER L’OK ALLA SUA RIELEZIONE: “LA COSA IMPORTANTE È COSTITUIRE UNA MAGGIORANZA SENZA L’ECR, IN MODO CHE VON DER LEYEN NON ABBIA PRESSIONI PER CONCEDERE QUALCOSA AI CONSERVATORI”

Luglio 11th, 2024 Riccardo Fucile

I VERDI HANNO 53 VOTI CHE PERMETTEREBBERO A URSULA DI EVITARE IL TRAPPOLONE DEI FRANCHI TIRATORI, CHE POTREBBERO ESSERE 40-50… IL COPRESIDENTE DEI VERDI, BAS EICKHOUT, SPINGE PER TENERE FUORI GIORGIA MELONI: “NON CI DEVE ESSERE COOPERAZIONE STRUTTURALE TRA LA PRESIDENTE E L’ECR”

La presidente designata della Commissione, Ursula von der Leyen, uscendo dall’incontro con i Verdi al Parlamento europeo, ha commentato con un sintetico «bene». Ma il sorriso fin troppo evidente alcuni minuti dopo dei due copresidenti, Bas Eickhout e Terry Reintke, ha fatto capire che era andata davvero così: «Uno scambio molto costruttivo sulle priorità che abbiamo presentato, a partire dal Green Deal, che von der Leyen ha riconfermato».
La presidente non ha ancora in tasca i 53 voti dei Verdi che le servono per mettere in sicurezza la sua rielezione il 18 luglio a Strasburgo, ma è sulla buona strada. Tutto dipenderà dalle linee programmatiche che von der Leyen presenterà la prossima settimana e dal discorso che pronuncerà in plenaria, ma l’obiettivo dei Verdi è garantire un sostegno a livello di gruppo, che sarebbe molto più solido.
Ed è questo che hanno lasciato intendere: «La cosa importante è che costituiamo una maggioranza senza l’Ecr, in modo che von der Leyen non abbia pressioni affinché conceda qualcosa ai conservatori», ha chiarito Reintke.
Però «niente è ancora chiuso, decideremo giovedì», si è affrettato a mettere le mani avanti Eickhout, che ha tuttavia espresso soddisfazione per l’ordine scelto dalla presidente per incontrare i gruppi, con buona pace di una parte del Ppe che non vorrebbe alcun appoggio dai Verd
«Dobbiamo avere chiarezza sul fatto che non c’è cooperazione strutturale tra la presidente e l’Ecr», ha aggiunto Eickhout. Von der Leyen è intenzionata a lasciare aperta ogni opzione che preveda il sostegno di partiti pro Ue, pro Ucraina e pro Stato di diritto e dunque non rifiuterà l’aiuto, se arriverà, di Fratelli d’Italia o dei belgi di N-Va o del partito Ods del premier ceco Fiala, che ha votato per lei anche al Consiglio europeo.
Il voto in plenaria è a scrutinio segreto e questo fa una grande differenza. Ma «non votarla getterebbe l’Ue nell’instabilità e sarebbe un regalo a Orbán», avvertono dal Ppe. Per essere rieletta von der Leyen ha bisogno di 361 voti su 720: la maggioranza che la sostiene — popolari, socialisti e liberali — vale 401 deputati (Renew è salita a 77 e ora dista di un solo deputato dai conservatori dell’Ecr di Meloni).
I franchi tiratori saranno, secondo i calcoli 40-50. La Sinistra e il nuovo partito dei Patrioti per l’Europa hanno già annunciato che voteranno contro. […] Intanto ieri si è formato il nuovo gruppo di «impresentabili» dell’estrema destra «L’Europa delle nazioni sovrane» attorno al partito Alternativa per la Germania: 25 deputati di 8 Paesi […] Oltre all’AfD ne fanno parte Mi Hazánk (Nostra Patria, Ungheria), Rinascita (Bulgaria), Konfederacja (Polonia), Republika (Slovacchia), Reconquête (Francia), Unione di popolo e giustizia (Lituania), Spd (Rep. Ceca).
(da agenzie)

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POMPEI O COLOSSEO? L’ERRORE SULLA PAGINA FACEBOOK DI SANGIULIANO CHE SI CONFERMA “MINISTRO DELLE GAFFE”

Luglio 11th, 2024 Riccardo Fucile

IN SEGUITO A UN EPISODIO DI VANDALISMO AVVENUTO AL PARCO DI POMPEI, IL MITOLOGICO “JENNY” CONDIVIDE UN POST SUI SOCIAL MA CON UN ERRORE: RINGRAZIAVA PER LA PRONTEZZA IL PERSONALE DEL COLOSSEO INVECE CHE QUELLO DEL PARCO DI POMPEI

Il Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano è in questi giorni al centro di polemiche per un errore commesso su un post condiviso nei suoi profili social. Al Parco Archeologico di Pompei, infatti, era stata trovata una scritta vandalica su un monumento funebre e gli addetti si erano subito mobilitati per rimuoverla in breve tempo. Il Ministro Sangiuliano, però, per errore avrebbe pubblicato un post in cui ringraziava per la prontezza il personale del Colosseo invece che quello del Parco di Pompei.
Il Ministro Sangiuliano è sempre stato in prima linea nel condannare atti di vandalismo che hanno coinvolto monumenti italiani. Grazie a una legge da lui proposta e approvata a inizio 2024 riguardo i “Reati a danno di beni culturali” chi commette attività vandaliche ora è tenuto a ripagare i lavori di ripristino.
Per quanto riguarda la firma blu trovata nel monumento funebre al sito di Pompei e prontamente rimossa, il Ministro ci ha tenuto a ringraziare pubblicamente tramite social gli addetti del Parco per il lavoro svolto. Nel farlo, però, Sangiuliano purtroppo ha commesso un errore. Il suo post condiviso nel profilo ufficiale Facebook ora riporta: “Grazie ai lavoratori del Parco archeologico di Pompei per aver ripulito rapidamente l’ennesima scritta con cui era stato vandalizzato un blocco di marmo di un monumento funerario”. Alla frase è stata allegata anche un’immagine che evidenzia le differenze tra prima e dopo i lavori di ripristino.
Peccato che il post in questione all’inizio contenesse un errore che è subito stato notato dagli utenti. Il Ministro a quanto pare nel contenuto originale invece di ringraziare i lavoratori del Parco archeologico di Pompei per il lavoro di restauro aveva ringraziato quelli del Colosseo. Una svista da parte dell’autore che ha, però, causato molte discussioni e polemiche.
(da la Stampa)

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MELONI E TAJANI SI INCAZZANO CON SALVINI SECONDO CUI “PIÙ ARMI SI INVIANO ALL’UCRAINA PIÙ LA GUERRA VA AVANTI”: “IL LEGHISTA FA IL GIOCO DEI RUSSI”

Luglio 11th, 2024 Riccardo Fucile

MELONI, INFURIATA COL “CAPITONE”, TEME I CONTRACCOLPI DEGLI IMPEGNI MILITARI… MAL DI PANCIA NEL CARROCCIO: IL PRESIDENTE DELLA CAMERA FONTANA E I GOVERNATORI LEGHISTI PRENDONO LE DISTANZE DA SALVINI SULL’UCRAINA TEMENDO L’ISOLAMENTO IN EUROPA

Alla fine questo vertice, dove in sostanza non si è deciso granché, dovrà aver raggiunto almeno un obiettivo: mostrare che la Nato è unita ed è più forte. In questa fotografia di famiglia Giorgia Meloni c’è, anche se dentro di sé vive il disagio di chi deve gestire un governo spaccato, con un leader, Matteo Salvini, che continua a perseguire l’idea che l’Ucraina si aiuta dialogando con Vladimir Putin. Una convinzione che secondo la presidente del Consiglio non ha radici nella realtà, ma solo – ha detto l’altra sera arrivando a Washington – nella «propaganda russa».
All’hotel St. Regis, a pochi passi dalla Casa Bianca, c’è un via vai di delegazioni, gli staff del governo italiano si mescolano e si confrontano.
L’equazione secondo la quale «più armi si inviano più la guerra va avanti», incisa sui social da Salvini martedì sera, ha irritato non poco Meloni. Un’uscita che ha un tempismo preciso, chirurgico: perché nelle stesse ore lei è alle prese con il vertice dell’Alleanza Atlantica e il presidente Joe Biden ringrazia il governo italiano – lo stesso in cui il leghista siede da vicepremier – per la spedizione a Kiev di sistemi di difesa e missilistici.
Il botta e risposta a distanza è continuo. Gli strappi in Europa di Orbán sono il principale argomento di discussione a Washington. Il viaggio dell’ungherese a Mosca, nei primi giorni di presidenza di turno della Ue ha spiazzato i partner. Poi, la nascita dei Patrioti, il nuovo gruppo di sovranisti battezzato da Orbán assieme a Salvini e Marine Le Pen, ha scombussolato gli equilibri a destra e, dopo la visita al Cremlino, fatto scattare il cordone sanitario nell’Europarlamento.
A interpretare la posizione più critica nel governo italiano è Tajani: «Orbán non ha il mandato Ue quando fa questi viaggi. Stia attento a non indebolire l’unità dell’Europa e della Nato». Un giudizio che si fa ancora più aspro quando gli chiedono quali siano gli orizzonti politici dei Patrioti: «Le forze estremiste sono isolate, irrilevanti. Non svolgeranno un ruolo nemmeno in questa legislatura europea».
Parole che scatenano immediatamente i pretoriani di Salvini in Parlamento. Il capogruppo in Senato Massimiliano Romeo difende Orbán: «Andrebbe lodato». Mentre il vicesegretario Andrea Crippa ribadisce la contrarierà all’incremento di armi: «In questo momento l’aumento degli aiuti Nato non fa altro che innalzare il rischio di un’escalation militare e di un coinvolgimento diretto nel conflitto».
Un tempo anche solo metà di questa dichiarazione avrebbe imposto una crisi di governo: perché il secondo partito più rappresentativo della maggioranza ha esplicitamente una linea di politica internazionale contraria alla presidenza del Consiglio. Invece, come in passato, per Tajani e Crosetto conterà cosa farà la Lega in Parlamento. Quella è la linea rossa che ha fissato anche Meloni. «Fino ad adesso non hanno votato contro i pacchetti di aiuti all’Ucraina», è il concetto che ribadirà Meloni, assieme a un altro invito, rivolto implicitamente a Salvini, di «non fare il gioco della propaganda russa».
Tajani sa che un buon viatico per placare i leghisti più scettici sarebbe affidare all’Italia l’inviato Nato per il fronte sud e il Medioriente. Un candidato c’è, si chiama Alessio Nardi, ma la concorrenza con la Spagna si è fatta molto dura in queste ore.
A Meloni non sfuggono i contraccolpi politici degli impegni militari. Sa che è difficile far digerire all’opinione pubblica italiana l’aumento della spesa e l’obiettivo Nato di arrivare al 2% di Pil. Anche per questo durante il suo intervento al vertice ha precisato che il «sostegno italiano all’Ucraina continuerà, ma sarà mirato ed efficace». Una razionalizzazione obbligata, secondo la premier, per evitare «duplicazioni», visto che «96 cittadini dell’Ue su 100 sono anche di una nazione Nato, e il bilancio nazionale al quale attingiamo è sempre lo stesso».
C’è la consapevolezza di una difficoltà economica enorme, che – ammettono da Palazzo Chigi – si somma alle incertezze sui mercati dopo il voto francese. Non è facile in questo contesto parlare di armi e Meloni si trova anche a dover sminare i prossimi assalti della Lega. In realtà, il fronte filo-atlantista del governo è consapevole che la Lega è lacerata al suo interno. C’è chi guarda a Donald Trump e alla sua vittoria elettorale, per chiudere in fretta il conflitto, senza troppo pensare se saranno tradite le richieste degli ucraini. E c’è invece chi non vuole cedere al putinismo.
Da Washington persino Lorenzo Fontana, presidente della Camera, e per anni l’uomo che costruiva alleanze in Europa per conto di Salvini, ha parlato di un «convinto sostegno all’Ucraina a cui oggi torniamo a confermare la nostra concreta vicinanza e la piena volontà di essere al suo fianco nel grande sforzo di resistenza che sta compiendo». Inequivocabile anche la posizione del presidente del Friuli Venezia Giulia Massimiliano Fedriga, da tempo impegnato a tessere relazioni da una parte all’altra dell’Atlantico.
Basta leggere il messaggio pronunciato domenica scorsa in occasione della visita del papa a Trieste. La pace, sostiene «se non ottenuta con la tutela degli aggrediti, sarebbe una resa». Che metterebbe «a rischio il futuro di pace del continente, indebolito anche da una mancata e imprescindibile condanna dell’aggressore»
Parole che rimettono al centro il concetto di pace giusta, riconoscendo fino in fondo le responsabilità del Cremlino. Quella parte della Lega che si riconosce nel pragmatismo dei governatori, poi, ha qualche dubbio anche sulla scelta di Salvini di aderire al gruppo dei Patrioti. Stesse perplessità che ha il presidente della Camera. Il partito degli amministratori teme infatti che il posizionamento della Lega accanto a Orbán e agli altri partiti filo-putiniani condannerà il generale Roberto Vannacci e gli altri eletti a cinque anni di irrilevanza. «Isolarsi – avvertono – non è mai una bella idea».
(da la Stampa)

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QUELLE FAMIGLIE POVERE ORMAI SENZA SOSTEGNI

Luglio 11th, 2024 Riccardo Fucile

MILIONI DI NUCLEI FAMILIARI ESCLUSI DA OGNI FORMA DI AIUTI: ESSERE POVERI DIVENTATA UNA COLPA

L’Osservatorio dedicato dell’INPS ha finalmente pubblicato dati aggiornati sui beneficiari delle due misure che hanno sostituito il Reddito di Cittadinanza e la Pensione di Cittadinanza: l’Assegno di inclusione – ADI – e il Sostegno per la Formazione Lavoro – SFL. Il primo è destinato alle famiglie che, oltre ad avere un ISEE inferiore a 9300 euro ed altre condizioni di reddito e patrimoniali, hanno al proprio interno vuoi minorenni, vuoi persone con disabilità o con 60 anni e più, o in condizione di particolare fragilità e seguite dai servizi socio-sanitari territoriali.
Il secondo è destinato a chi non è in nessuna delle condizioni sopra-indicate ed ha un ISEE fino a 6.000 euro, cioè è molto più povero, ma riceve un sussidio inferiore (350 euro), senza considerazione per l’eventuale costo dell’affitto, per un massimo di dodici mesi e solo se frequenta un corso di formazione.
Stanti i vincoli aggiuntivi posti per accedere all’ADI rispetto al RDC, in particolare l’esclusione di tutte le famiglie composte da soli adulti salvo situazioni particolari, che vi fosse una forte riduzione dei beneficiari era atteso, anzi era un obiettivo esplicito. Un obiettivo che appare pienamente realizzato. A fronte, infatti, di 2, 1 milioni di famiglie che ricevevano il RdC o la pensione di cittadinanza nel 2023, tra gennaio e giugno di quest’anno sono state accolte solo 697. 640 domande di altrettante famiglie, cui si aggiungono 96. 000 percettori di SFL. Con piena soddisfazione della Ministra Calderone che ha dichiarato che questi dati sono, appunto, in linea con il target prefissato dal governo, che evidentemente non era, non è, quello di garantire a chi non li ha i mezzi per condurre una vita dignitosa, come recita la Raccomandazione europea sul Reddito Minimo approvata a Marzo 2023.
È, infatti, inverosimile che, nonostante la ripresa dell’occupazione, l’incidenza della povertà si sia dimezzata (diversi segnali suggeriscono il contrario). O che più della metà dei beneficiari fosse fatta da imbroglioni. Anzi, diverse stime avevano segnalato, accanto a diverse storture e difetti di disegno, il RdC lasciava fuori una buona fetta i poveri assoluti. Semplicemente questo governo ha deciso di lasciare privi di sostegno molte persone, e famiglie, in povertà. Tra queste anche un parte di quelle che teoricamente rientrerebbero nella categoria protetta dei beneficiari dell’ADI, le famiglie con minorenni.
L’interazione perversa tra esclusione dei component adulti dalla scala di equivalenza, anche se a carico, e una scala di equivalenza ancora più punitiva nei confronti dei minorenni (e ancor di più dal terzo figlio in su, di quanto non fosse già quella del RdC, di fatto provoca l’esclusione di molte famiglie, specie di lavoratori poveri, dall’ADI a causa del superamento della soglia di reddito ammesso. Non male per un governo che ha fatto dell’aumento della natalità uno dei punti simbolo del proprio programma. Evidentemente i figli dei poveri (come degli stranieri) non contano.
Le famiglie con minorenni sono, i effetti, poco più di un terzo di quelle che percepiscono l’ADI. Anche le persone con disabilità, che pure appartengono alle categorie protette dall’ADI ed anzi nella nuova misura si vedono i propri bisogni maggiormente riconosciuti che nel RDC con l’attribuzione di un coefficiente più alto, se sono adulte e vivono da sole o con altre persone disabili vengono escluse dall’ADI a causa dell’applicazione di una norma dell’ISEE in base alla quale un adulto non coniugato e/o senza figli è considerato a carico dei genitori anche se non vive con loro.
Una norma discutibile anche nel caso di persone prive di disabilità, anche se la sua giustificazione è quella di evitare che figli di famiglie abbienti si vedano ridotte le tasse universitarie o altro perché appaiono nullatenenti. E particolarmente penosa nel caso di persone con disabilità che stanno cercando di condurre una vita autonoma e dei loro genitori che per lo più continuano ad aiutarli come possono. Il Rapporto dell’Osservatorio tace sulle domande rifiutate
Anche i dati sul numero contenuto di percettori di SFL, pur atteso stanti i vincoli frapposti all’accesso, a partire dall’ISEE ridottissimo, desta preoccupazione. Sono meno di un terzo di quelli stimati come potenziali percettori. Gioca lo scoramento, ma macchinosità delle procedure, la mancanza d prospettive, la mancanza di corsi di formazione in alcuni contesti. Inoltre, tra i percettori per oltre la metà si tratta di persone di 50 anni e più, in maggioranza donne, e con una forte concentrazione nel Mezzogiorno.
Quindi di persone molto povere, con un’età in cui è difficilissimo (re)inserirsi nel mercato del lavoro, con qualsiasi qualifica, ma tanto più se bassa e se si è stati a lungo fuori dal mercato del lavoro, che vivono in aree del paese dove la domanda del lavoro è bassa. Terminato il sussidio potranno solo rivolgersi all’assistenza locale e alla carità, aspettando di compiere 60 anni.
(da lastampa.it)

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MILANO-CORTINA, I GIOCHI DEL TENGO FAMIGLIA”

Luglio 11th, 2024 Riccardo Fucile

TUTTE LE INTERCETTAZIONI

Un decreto legge del governo Meloni che va oltre le “leggi ad personam”, e ancora “scelte imposte dal Comitato internazionale olimpico” e “plurimi fenomeni clientelari”. L’inchiesta della Procura di Milano sulla Fondazione Milano-Cortina 2026 è un vaso di Pandora che si è aperto ieri in modo inaspettato durante la prima udienza davanti al Tribunale del Riesame, ricorso da Massimiliano Zuco, ex dirigente della Fondazione e indagato per corruzione e turbativa d’asta assieme all’ex amministratore delegato Vincenzo Novari e all’imprenditore Vincenzo Tomassini, per una gara sulla sicurezza digitale da oltre 1,9 milioni vinta dalle società di Tomassini.
Molti i piatti sul tavolo. Primo su tutti, una guerra aperta tra la Procura di Milano e il governo. Un conflitto, si legge anche negli atti depositati ieri dai pm, che nasce dal decreto legislativo per specificare come la Fondazione Milano-Cortina sia un ente di natura privata e non pubblica come invece ritengono i pm di Milano. Lo vedremo. Proseguendo nel menù, quella parentopoli accennata con un fascicolo stralcio a modello 44 per abuso d’ufficio e senza indagati. Che tale resta, al netto dei nuovi atti. Verbali e intercettazioni, infatti, spiegano in presa diretta come in Fondazione, anche durante la gestione Novari, furono pilotate le assunzioni di vertice. Da Livia, la nipote dell’ex premier Mario Draghi, a discapito della sorella del dirigente Rai Lucio Presta, a Lorenzo, figlio del presidente del Senato Ignazio La Russa. A far da timone nel risiko della parentopoli, le intercettazioni e le parole di Lara Carrese, già responsabile delle risorse umane e non indagata.
Dell’assunzione dei parenti di potenti, era nota quella di Lorenzo Cochis La Russa. Quel che mancava era il come La Russa jr lavorasse in Fondazione. Carrese ai pm: “Non ho mai capito di cosa si occupasse in fondazione”. E ancora: “La produttività del personale si monitorava con il completamento dei progetti di lavoro che dovevano essere ultimati entro determinati termini (…). La situazione cosi concepita concedeva al personale poco diligente di imboscarsi. Vi era la situazione di tale La Russa Lorenzo, che non ho mai capito di cosa si occupasse in Fondazione e che vedevo raramente al lavoro, il quale, a fine 2021, si candidò e fu eletto come rappresentante civico nel consiglio comunale di Milano. Ciò ha fatto sorgere dei dubbi”.
Rispetto al destino lavorativo di Livia Draghi ne farà le spese invece la sorella di Lucio Presta. Sotto l’amministrazione Novari, la nipote di Draghi viene assunta con contratto a tempo indeterminato nel marzo 2020, 63 mila euro l’anno e, scrive la Gdf, “con l’aggiunta di benefit: rimborso integrale di biglietti aerei e ferroviari per la tratta Milano-Roma, andata e ritorno, per 3 mesi dall’inizio del rapporto, Sim e portatile aziendale”. A far da corollario, l’intercettazione tra Novari e la compagna. Novari rispetto all’assunzione di Livia Draghi riferisce le parole del presidente del Coni Giovanni Malagò: “Stai a sentì – dice Malagò a Novari – la Draghi, fregatene di tutto il resto”.
Novari poi aggiunge: “Era stata la Draghi che non aveva voluto che entrasse lei”. Carrese poi mette a verbale il modus delle assunzioni in Fondazione: “Il personale interessato alle posizioni lavorative di Fondazione (…) era (…) individuato da Novari (…) e Giovanni Malagò senza che venisse resa pubblica l’instaurazione di una procedura di assunzione.
In pratica se la Fondazione aveva l’esigenza di coprire una posizione lavorativa Novari e Malagò proponevano, in via prevalente, loro conoscenti ed ex collaboratori”. Aggiunge Carrese: “Era (Novari, ndr) che decideva tutto. Mi sono trovata imbrigliata in questa schifezza”. E poi altre tre intercettazioni, decisive secondo la Procura, per definire la Fondazione Milano-Cortina ente pubblico. Da qui ripartiamo. Il 21 maggio, subito dopo le perquisizioni, in Procura fu spiegato che le prime acquisizioni “inducono a ipotizzare” che l’ente “Comitato organizzatore dei giochi olimpici, sebbene si qualifichi, in forza di una norma di rango primario, come ente non avente scopo di lucro e operante in regime di diritto privato, in realtà abbia una natura sostanzialmente pubblicistica, perseguendo uno scopo di interesse generale, con membri, risorse e garanzie dello Stato e di enti locali”. La Fondazione Milano-Cortina 2026 è controllata da Coni, Regioni Lombardia e Veneto, Comuni di Milano e di Cortina, e dal 2022 anche da Presidenza del Consiglio e Province di Trento e Bolzano. L’11 giugno, però, ipotizzando il rischio che i giochi potevano saltare, il governo vara un decreto legge di “interpretazione autentica” per spiegare come “le attività svolte dalla Fondazione non sono disciplinate da norme di diritto pubblico”. E questo nonostante le tre intercettazioni di manager non indagati, secondo i pm, facciano capire che anche all’interno della Fondazione molti pensino che l’ente abbia natura pubblica. Ieri in aula davanti ai giudici del Riesame i pm hanno sostenuto che il decreto legge è di una gravità “inaudita” e “illegittimo”, perché è una legge intervenuta, mentre è in corso un procedimento penale, e che vuole togliere alla magistratura la “prerogativa” della interpretazione delle leggi. Un decreto va ben oltre “le leggi ad personam”.
Il 29 aprile, circa un mese prima delle perquisizioni, un legale interno della Fondazione discute con un manager del settore digitale sull’ingresso, oltre di Deloitte, anche di un secondo sponsor, la cinese Alibaba. E su questo si pone un problema di sicurezza, tanto da dire: “C’è comunque attività di interesse nazionale (…) Per quanto ci ostiniamo a dire che non perseguiamo l’interesse generale, però (…) ahah”. Sul tema sicurezza, il giorno dopo altro manager: “Chiedono a me i requisiti (…) ma quali sono i requisiti? I requisiti sono i requisiti del cloud della Pa di un Paese europeo”. Sul fronte delle garanzie ai fornitori: “Noi non siamo privati, noi siamo pubblici, io non l’ho mai visto fare da un privato la gara”. A chiudere, “emerge che (…) scelte fatte dai vertici, come l’individuazione di Deloitte (…) sembrano essere state imposte dal Cio”. Tra i dirigenti, scrive Gdf, anche Luigi Onorato, assessore allo Sport di Roma Capitale. A chiusa, una telefonata del 22 maggio tra l’ad Andrea Varnier (non indagato) e un suo collaboratore. Varnier: “Noi non abbiamo contattato Deloitte per fa sti servizi, i servizi li ha contrattati il Cio e a noi ce li ha imposti”. Il giorno dopo l’interlocutore di Varnier con un amico: “Ricordamose che poi il Cio, brutto, sporco e cattivo sempre sette piotte te dà perché de questo non ci dobbiamo mai dimenticare”.
(da ilfattoquotidiano.it)

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STIPENDI STAGNANTI, CANDIDATI INTROVABILI, MA IL MONDO DEL LAVORO IN ITALIA CAMBIA

Luglio 11th, 2024 Riccardo Fucile

ECCO DOVE SI GUADAGNA MEGLIO NEL 2024

Stipendi che ristagnano, talenti in fuga, professionisti che non si trovano. Ci sono tutte le piaghe del sistema del lavoro Italiano nel rapporto Jp Salary Outlook 2024 appena pubblicato dall’Osservatorio JobPricing. Con dovizia di numeri e dettagli di grande interesse però. Perché a guardare con attenzione si scorgono i settori dove c’è maggior movimento: anche nel senso della crescita degli stipendi. In generale il trend è quello ampiamente e tristemente noto: l’inflazione si mangia una bella fetta dei (contenuti) aumenti salariali. Tra il 2015 ed il 2023 il costo della vita in Italia è cresciuto del 19,6%, il livello delle retribuzioni lorde appena dello 0,5% per i dirigenti d’impresa, del 5,6% per i quadri, del 5,9% per gli impiegati e del 7,1% per gli operai. Fermo restando, ovviamente, che si parte da livelli ben distanti: oggi un dirigente guadagna in medio poco più di 100mila euro lordi l’anno (104.778, per l’esattezza), un quadro poco più di 56mila euro. Gli impiegati si fermano invece in media appena sopra i 30mila euro, gli operai sulla soglia dei 26mila. Attenzione però, perché si parla sempre di importi annuali lordi. Al netto di imposte e contributi, un dirigente d’impresa italiano si ritrova sul conto a fine mese in media 3-4 volte di più rispetto a un operaio: 4.524 euro netti (a fronte di 8.060 lordi) contro 1.549 euro (a fronte di 2.006 euro lordi). Nel mezzo, i salari netti sono da 1.837 euro al mese per gli impiegati e da 2.698 euro per i quadri.
Dove si guadagna meglio
Ovviamente le retribuzioni variano però da settore a settore, e l’analisi di dettaglio dell’Osservatorio JobPricing, ripresa in dettaglio da La Stampa, rivela chi se la passa meglio ai vari livelli. Il settore in cui si guadagna di più in assoluto, senza sorprese, è quello dei servizi finanziari: qui la Ral media è di quasi 46mila euro l’anno, a fronte della media nazionale di 30.838. Viaggiano sopra la media, ma non poi di molto pure i settori delle utility (33.459 euro di retribuzione media lorda), l’industria di processo (32.259) e quella manifatturiera (31.475). Marca peggio invece per i servizi in generale (29.564), il commercio (29.926), l’edilizia (27.896) e l’agricoltura (25.198 euro). Guardando ai salari di operai e impiegati, piuttosto attraenti appaiono in particolare i settori oli&gas e quelli legati all’innovazione tecnologica: telecomunicazioni, apparecchiature elettroniche, industria aeronautica. Mentre per i dirigenti le retribuzioni top sono quelle nel mondo della moda. Paradossalmente però il settore in cui negli ultimo otto anni si sono rilevati gli aumenti più consistenti è quello – a basse retribuzioni medie – di hotel e ristorazione: +17,8% tra il 2015 e il 2023, appena meglio del settore bancario (+16,6%), così come del mondo delle assicurazioni e dei servizi di architettura e design (+12,1%), del legno (+11,9%), del tessile-abbigliamento (+11,2) e della moda (+11,%).
I talenti che non ci sono
Resta il fatto, comunque, che un laureato su due in Italia risulta “introvabile”, come rilevato dall’ultimo rapporto di Unioncamere. Settore che vai, stesso trend che incontri: all’estero si guadagna di più, specie in rapporto al costo della vita, è lì migliaia di giovani fuggono ogni anno. Accanto a tutto ciò, c’è poi il tema delle specializzazioni che non si trovano. E così molte aziende, paradossalmente, continuano a non trovare i profili giusti, anche ritoccando al rialzo gli stipendi proposti o adottando altre strategie di corteggiamento. L’ultima realtà a denunciare tale dinamica è, sempre sulle pagine della Stampa, la Comoli Ferrari, gruppo con sede a Novara leader in Italia nello sviluppo di soluzioni per l’impiantistica elettrica e idrotermosanitaria: 1.110 dipendenti divisi tra la sede centrale e la rete di punti vendita e distribuzione tra Centro Nord e Sardegna e 660 milioni di fatturato annuo. Potrebbero aggiungersene anche domani altri 100, di dipendenti, se solo si trovassero, lamenta l’ad Paolo Ferrari. Che ha tante posizioni aperte, alcune addirittura da due anni. «Cerchiamo tecnici e venditori. Ci manca persino un contabile, e non siamo certo gli unici a denunciare certe lacune: nell’ultima assemblea annuale di Confindustria sul nostro territorio è emerso chiaramente», afferma Ferrari. Che collega la difficoltà a reperire le figure necessarie pure ai cambiamenti epocali avvenuti negli ultimi anni nel mondo del lavoro:«Fino a pochi anni fa il processo avveniva in maniera consolidata e naturale. Da allora lo scenario si è ribaltato. Sarà anche per la diffusione massiccia dello smart working, che reputo comunque un’opportunità, ma le persone sono poco propense a spostarsi. E Novara non ha un bacino paragonabile a quello di Milano, seppure sia facilmente raggiungibile, così per realtà come la nostra diventa difficile competere agli occhi dei potenziali talenti da assumere».
(da Open)

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BALNEARI, PER LA UE E’ GIUSTO CHE LE OPERE COSTRUITE SUL DEMANIO RESTINO IN MANO ALLO STATO GRATIS ALLA FINE DELLA CONCESSIONE

Luglio 11th, 2024 Riccardo Fucile

LA DECISIONE DELLA CORTE SUL CASO SOLLEVATO A ROSIGNANO MARITTIMO

A Rosignano Marittimo la Società Italiana Imprese Balneari ha costruito una serie di opere nello stabilimento balneare del tratto che ha in concessione. Alla fine del periodo concessorio, al momento del rinnovo, queste opere sono passate a titolo gratuito all Stato. E quindi, come previsto dal codice della navigazione, hanno imposto di conseguenza il pagamento di canoni demaniali maggiorati.
La Siib ha presentato appello, i Consiglio di Stato si è rivolto alla Corte di Giustizia Ue e alla fine il giudizio di Lussemburgo è che sia una procedura corretta. “La norma italiana che prevede che le opere non amovibili costruite sulle spiagge vengano acquisite a titolo gratuito dallo Stato italiano al termine di una concessione, non costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento”, spiega oggi la Corte.
Ripercorrendo la vicenda, la Corte ricorda che il dubbio di Palazzo Spada era “se la norma nazionale che prevede che le opere non amovibili costruite su una spiaggia vengano automaticamente acquisite dallo Stato alla scadenza del periodo di prova, per di più senza un indennizzo per il concessionario che le ha realizzate, rappresenti una restrizione alla libertà di stabilimento”.
Secondo la Corte, “siccome la norma del codice di navigazione italiano è opponibile a tutti gli operatori esercenti attività nel territorio italiano, essa non costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento”, quella prevista dall’articolo 49 del Trattato sul funzionamento della Ue. “Tutti gli operatori economici si trovano ad affrontare la medesima preoccupazione, che è quella di sapere se sia economicamente sostenibile presentare la propria candidatura e sottoporre un’offerta ai fini dell’attribuzione di una concessione sapendo che, alla scadenza di quest’ultima, le opere non amovibili costruite saranno acquisite al demanio pubblico”. Il ragionamento sembra dunque essere che, non generandosi una discriminazione, non ci sia fumus di qualcosa di irregolare.
“Inoltre – aggiunge la Corte – a norma non riguarda le condizioni per lo stabilimento dei concessionari autorizzati a gestire un’attività turistico ricreativa sul demanio pubblico marittimo italiano. Infatti, la disposizione in parola prevede soltanto che, alla scadenza della concessione e salvo che sia diversamente stabilito nell’atto di concessione, le opere non amovibili costruite dal concessionario saranno incamerate immediatamente e senza compensazione finanziaria nel demanio pubblico marittimo”.
Il fatto che il passaggio di queste opere allo Stato sia gratuita “costituisce l’essenza stessa dell’inalienabilità del demanio pubblico. Il principio di inalienabilità implica segnatamente che il demanio pubblico resta di proprietà di soggetti pubblici e che le autorizzazioni di occupazione demaniali hanno carattere precario, nel senso che esse hanno una durata determinata e sono inoltre revocabili”. Anche in questo caso, dunque, nulla di sbagliato nella ‘pretesa’ del pubblico. “La SIIB non poteva ignorare, sin dalla conclusione del contratto di concessione, che l’autorizzazione all’occupazione demaniale che le era stata attribuita aveva carattere precario ed era revocabile”.
(da agenzie)

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