Luglio 2nd, 2025 Riccardo Fucile
IL CONSIGLIERE COMUNALE DI VIAREGGIO ALESSANDRO SANTINI POLEMIZZA COL GENERALE: “ORA LA FINISCA QUA. LE NOSTRE AMATE FORZE ARMATE ITALIANE SONO PIENE DI QUEI GAY CHE LUI OFFENDE”
Polemica da parte del consigliere comunale della Lega, Alessandro Santini, dopo
un’ultima frase sul pianeta gay detta dal generale Roberto Vannacci, che è vicesegretario nazionale del partito. “Ci armiamo e poi chi mandiamo in guerra? Quelli del Gay Pride?”, è la frase che avrebbe detto Vannacci contro gli organizzatori dei Gay Pride.
“Questa fissa del generale Roberto Vannacci sui gay come me – commenta Santini – c’avrebbe abbondantemente troppo fracassato i didimi, pertanto veda di cambiare il suo argomento preferito di discussione, perché un po’ va bene, un po’ la rende ganzo, un po’ ci si scherza su, ci si sorride, ma ora da persona intelligente e dotata di raziocinio, la finisca qua, la smetta, si fermi”.
Santini, sempre rivolto a Vannacci, afferma pure che “le nostre amate Forze Armate italiane sono piene di quei gay che lei ora deride, perlomeno con le sue sciocche frasi, non offenda chi porta da sempre con onore la divisa, e che se anche omosessuale, sarebbe pronto quanto lei, se non di più, a difendere la Patria e a sacrificare la propria vita per essa”.
“Signor Generale – è l’appello di Santini – lei è più intelligente delle frasi che pronuncia, lo sa perfettamente. Non svilisca così il suo ruolo, il suo mandato e il suo incarico. Ritenti con un altro argomento, sarà sicuramente più apprezzato e più fortunato, perché questa gli è uscita proprio male, glielo dice un leghista”.
(da agenzie)
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Luglio 2nd, 2025 Riccardo Fucile
“NEL 2026 RISCHIAMO DI PERDERE 20 MILIARDI EXPORT E 118 MILA POSTI DI LAVORO. IL FATTO È CHE L’ITALIA NON ESPORTA SOLO PRODOTTI DI LUSSO, CON UNA DOMANDA POCO SENSIBILE AL PREZZO: ESPORTIAMO SOPRATTUTTO MACCHINARI, MEZZI DI TRASPORTO, PELLETTERIA”
L’Europa sembra ormai considerare i dazi Usa al 10% sulle merci europee come il male minore. Segnali in questa direzione arrivano dai governi italiano e tedesco.
Emanuele Orsini, i dazi al 10% sono sostenibili per la nostra industria?
«Se dicessi che sono sostenibili sottovaluterei l’impatto. Rappresentiamo la realtà in modo corretto: qui non si sta parlando di dazi al 10% ma al 23,5. Dobbiamo tenere conto infatti anche della svalutazione del dollaro, pari al 13,5% rispetto all’insediamento di Trump. Un prodotto che un anno fa un’impresa italiana vendeva negli Usa a 100 oggi al nostro cliente americano costa 123».
Trump è un negoziatore durissimo e imprevedibile.
«Se la minaccia sono i dazi al 50% dal 9 luglio, ciò non significa che quelli al 10 siano sostenibili. Temiamo contraccolpi molto pesanti».
In numeri?
«Con dazi al 10% nel 2026 rischiamo di perdere 20 miliardi export e 118 mila posti di lavoro. Il fatto è che l’Italia non esporta solo prodotti di lusso, con una domanda poco sensibile al prezzo: esportiamo soprattutto macchinari, mezzi di trasporto, pelletteria… non si può semplificare troppo».
Per usare la logica di Trump, quali sono le carte che possiamo calare al tavolo del negoziato? rincaro energia e aumento delle bollette 7
«Dobbiamo ricordare agli Usa che sui servizi il saldo tra entrate e uscite è tutto a loro vantaggio. E far presente inoltre che per aumentare la spesa per la Difesa faremo l’80% degli acquisti negli Usa».
L’automotive ha tariffe al 25%. In Italia l’anno scorso sono state prodotte solo 310 mila auto: meno 43%.
«L’Europa si è già auto-inflitta misure che stanno distruggendo un intero settore.
Penso allo stop al motore endotermico dal 2035 e alle sanzioni alle case auto soltanto rinviate. Ora dobbiamo difendere la
nostra componentistica. Una filiera che dà lavoro a oltre 70 mila persone. Per questo è necessario fare di tutto e batterci per contenere i dazi Usa».
L’Ue deve rispondere dente per dente? Oppure la politica dell’ appeasement è più utile quando si parla di dazi?
«Rispondere ai dazi con altri dazi significa avere un danno ancora maggiore. Dobbiamo trovare un equilibrio, come dicevo, non minacciando penalizzazioni ma promettendo vantaggi a fronte di una politica Usa ragionevole sulle tariffe. In ogni caso serve concentrarci comunque sugli Usa che sono un mercato prioritario e al contempo aprire nuovi mercati».
Quali?
«Il Sud America. Chiudere un accordo con i Paesi del Mercosur (Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay, Venezuela, ndr) è fondamentale».
Che impatto avrebbe?
«Potrebbe generare dai 4,5 ai 7 miliardi di export aggiuntivo. Un buon inizio per compensare i 20 che rischiamo di perdere con gli Stati Uniti».
Gli agricoltori Ue contestano il Mercosur, chiedono compensazioni.
«Se il tema è: reciprocità rispetto alle regole che tutelano la salute, gli antibiotici nel pollo, per esempio, allora siamo pronti a fare una battaglia insieme. Ma non si può bloccare per interessi particolari un accordo che genera ricchezza per il Paese. In ogni caso sono fiducioso che un’intesa si possa raggiungere».
Quanto dobbiamo temere lo spostamento di produzioni italiane verso gli Usa?
«Dobbiamo temerlo soprattutto se introduciamo misure che ci rendono meno competitivi. Penso per esempio all’idea di accorciare in Europa la durata dei brevetti del settore farmaceutico mentre negli Stati Uniti succede esattamente il contrario».
A proposito di competitività, il prezzo del gas scende, ridurre il costo dell’energia è ancora una priorità?
«Certo che lo è. Lo sarà finché esisterà un divario sul costo dell’energia con gli altri Paesi europei. Il nucleare è la risposta nel medio-lungo periodo. Nel breve ci possono essere misure come il disaccoppiamento; la possibilità di riservare una quota di idroelettrico a prezzi competitivi alle imprese; l’energia acquistata dal Gse e gli impianti a fine incentivazione. Chiediamo interventi ragionevoli e utili per il Paese. Anche su questo siamo fiduciosi».
La Commissione Ue presenta oggi gli obiettivi di riduzione della CO2 per il 2040. Che cosa si aspetta?
«La decarbonizzazione è imprescindibile, ma l’Europa non si azzardi a costruire il bilancio sulla pelle dell’industria, con entrate che derivano dai pagamenti imposti alle imprese con il sistema Ets e Cbam e le speculazioni sul mercato del Ttf. Su questo, insieme con le Confindustrie europee, siamo pronti a dare battaglia. Dietro la manifestata volontà di tutelare l’ambiente si impone in realtà una tassa che uccide l’industria».
(da Corriere della Sera)
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Luglio 2nd, 2025 Riccardo Fucile
L’AFFONDO DI “POLITICO.EU” ALL’APPROCCIO SICURITARIO DI GIORGIA MELONI: “LA PRESIDENTE DEL CONSIGLIO ITALIANA SEMBRA INTENZIONATA A MANDARE IN CARCERE UN NUMERO SEMPRE MAGGIORE DI PERSONE, MA LE CARCERI NON SONO AFFATTO IN GRADO DI ACCOGLIERE NUOVI DETENUTI” … “IL SISTEMA PENITENZIARIO È AL COLLASSO. MA INVECE DI OFFRIRE SOLLIEVO, MELONI INSISTE SULLA LINEA DURA”
La presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni sembra intenzionata a mandare
in carcere un numero sempre maggiore di persone con la sua stretta securitaria — ma le carceri italiane non sono affatto in grado di accogliere nuovi detenuti.
Il 9 giugno, le guardie carcerarie di Cagliari, in Sardegna, hanno trovato un detenuto di 56 anni impiccato nella sua cella: si tratta del 33º suicidio in un carcere italiano dall’inizio dell’anno. Questa settimana, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha sollecitato il governo a rispondere al numero “drammatico” di suicidi in carcere, definendolo una “vera emergenza sociale”.
Il sistema penitenziario, già sotto pressione per il sovraffollamento e per cure psichiatriche inadeguate, è al collasso. Ma invece di offrire sollievo — o anche solo amnistie e indulti, come fecero i suoi predecessori — Meloni ha deciso di insistere sulla linea dura.
All’inizio di giugno, il governo di destra ha approvato un vasto decreto sicurezza che allunga le pene detentive, introduce 14 nuovi reati e limita le alternative al carcere — facendo affluire ancora più persone in un sistema già in crisi.
La misura più controversa è però l’attacco a tecniche di protesta come blocchi stradali e occupazioni, rafforzando il controllo dello Stato sul dissenso.
Meloni ha presentato la nuova legge come un passo avanti verso
la sicurezza pubblica, a tutela dei più vulnerabili. “Stiamo agendo con determinazione contro le occupazioni illegali, accelerando gli sgomberi e proteggendo famiglie, anziani e proprietari onesti”, ha dichiarato.
Ma i critici la vedono come una repressione politica dagli effetti devastanti.
Sergio Rastrelli, senatore di Fratelli d’Italia, ha respinto i timori che il decreto faccia aumentare i detenuti. “Non è vero che nuovi reati aumentano la popolazione carceraria; al contrario, stabiliscono confini chiari affinché chi intende infrangere la legge sappia che sarà chiamato a risponderne”, ha affermato.
La tesi di Rastrelli sarà presto messa alla prova. Secondo un rapporto dell’ONG Antigone, che monitora le condizioni carcerarie, ad aprile le carceri italiane ospitavano oltre 62.000 detenuti, a fronte di una capienza di appena 51.000 posti. Con un tasso di sovraffollamento del 119% nel 2023 — tra i più alti dell’Unione Europea — e problemi cronici come carenza di personale, infrastrutture inadeguate e servizi sottofinanziati, il sistema è allo stremo.
La pressione si è già tradotta in disordini. Il 4 giugno, fino a 200 detenuti del carcere Marassi di Genova hanno inscenato una rivolta in risposta a una presunta aggressione sessuale subita da un compagno di prigionia. I detenuti hanno preso il controllo di alcune sezioni, scavalcato recinzioni e tetti, e distrutto numerose celle. Due agenti sono rimasti feriti, e la rivolta è stata sedata solo con l’intervento della polizia antisommossa — nello stesso giorno in cui il Senato approvava la versione finale del decreto sicurezza di Meloni.
Il decreto, ora legge, introduce anche la rivolta carceraria come nuovo reato. I critici sostengono che la misura potrebbe soffocare la possibilità di denunciare abusi o negligenze attraverso proteste organizzate all’interno delle carceri
L’Italia ha già vissuto un momento di resa dei conti.
Nel 2013, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha emesso la famosa sentenza Torreggiani, condannando l’Italia per violazioni sistematiche del divieto di trattamenti inumani e degradanti. Il caso riguardava sette detenuti reclusi in celle con meno di 3 metri quadrati a persona, soglia considerata inumana dalla Corte.
La sentenza costrinse l’Italia a migliorare le condizioni e a ridurre il sovraffollamento, anche attraverso l’espansione di misure alternative al carcere.
Per un certo periodo, le riforme presero piede. La popolazione carceraria diminuì, e furono introdotti regimi a celle aperte, che consentivano una maggiore libertà di movimento ai detenuti.
Quel processo riformatore è ora in pericolo. Il governo Meloni ha irrigidito le pene ed escluso esplicitamente strumenti come sconti di pena o amnistie collettive — misure utilizzate anche dal defunto premier di centrodestra Silvio Berlusconi.
“Amnistie e indulti non rientrano nella visione di Stato moderno del governo”, ha affermato Rastrelli, sostenendo che tali misure offrono solo soluzioni tampone e non affrontano le cause profonde.
“Erodono la certezza della pena, che mina il senso di sicurezza giuridica dei cittadini. Inoltre, indeboliscono l’autorità dello Stato, riducendola a un sistema che si arrende al compromesso nei momenti difficili”.
Lo scorso anno, il governo Meloni ha varato un Decreto Carceri, promettendo di ridurre il sovraffollamento assumendo più agenti penitenziari e costruendo nuovi istituti, nominando anche un Commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria incaricato di seguire progetti e ristrutturazioni.
Ma i critici affermano che queste promesse ignorano l’urgenza del momento.
(da politico.eu)
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Luglio 2nd, 2025 Riccardo Fucile
UNA FAMIGLIA ITALIANA MEDIA DEVE AFFRONTARE UN AUMENTO DELLE SPESE DI 445 EURO, DI CUI 234 SOLO PER I PRODOTTI ALIMENTARI…PER UNA COPPIA CON DUE FIGLI SI SALE A 622 EURO
Per una famiglia italiana media l’aumento dei prezzi rilevato nel mese di giugno dall’Istat comporta un rialzo complessivo delle spese pari a 445 euro, 234 euro in più solo per i prodotti alimentari e le bevande analcoliche.
Per una coppia con due figli il rialzo complessivo è invece pari a 622 euro, con la spesa per cibo e bevande che lievita di ben 338 euro, 356 per il carrello della spesa.
«Dati allarmanti, una vera e propria stangata – commenta il presidente dell’Unione nazionale consumatori, Massimiliano Dona – . Non è tanto per il rialzo dell’inflazione annua che passa da 1,6 a 1,7, quanto per il fatto che decolla il carrello della spesa, da +2,7 a +3,1%, trainato dai prodotti alimentari e bevande analcoliche, che segnano un balzo dal 3,2% di maggio al 3,7% di giugno.
Insomma, sono le spese obbligate a fare da volano all’inflazione, colpendo soprattutto le fasce meno abbienti della popolazione».
Oltre al carrello della spesa a pesare sui bilanci delle famiglie sono i costi relativi ai servizi ricettivi e di ristorazione (+3,4%), le spese per l’istruzione (+3), le bevande alcoliche ed i tabacchi (+2,2), le spese per abitazione, acqua ed energia (+2).
In calo rispetto ad un anno fa solo due voci, i trasporti (-0,9) e le spese relative alle comunicazioni (canoni telefonici, web, ecc.) scesi del 4,1%, che sommate tra loro ad una famiglia media
fanno risparmiare poco meno d 70 euro.
Se si guarda ai rialzi di giugno balza all’occhio il cosiddetto effetto vacanze. Nella top ten dei rialzi mensili, infatti, stando all’analisi fatta dall’Unc, i primi tre posti sono infatti occupati dai voli nazionali, con un inaccettabile +32,1% in un solo mese (ed un +38,1% rispetto a giugno 2024), dai villaggi vacanze, campeggi e ostelli (+15,7%) e dal noleggio dei mezzi di trasporto, affitto garage e posti auto (+6%).
Oltre a questo i pacchetti vacanze nazionali risultano in aumento del 3,8%, i trasporti marittimi del 3%, i voli internazionali del 2,1% come pure alberghi, motel e pensioni. Rispetto ad un anno fa alle spalle dei voli nazionali i rincari maggiori ricadono sul caffè (+25%), la gioielleria (+22,5), il cacao ed il cioccolato in polvere (21,4), il burro (+19,9), il trasporto marittimo (+19,9), il cioccolato (+13%), le bevande analcoliche (+10,4), gli apparecchi elettrici per la cura della persona (+9,9), i libri di narrativa (+9,6) ed i pacchetti vacanza nazionali (+8,7). […]
A seconda della tipologia delle famiglie l’aumento del 3,1% del cosiddetto carrello della spesa, secondo le stime dell’Unione consumatori, determina un incremento del costo della vita che oscilla tra i 142 euro in più di un single under 35 ai 380 euro in più di una famiglia con 3 figli e più.
(da agenzie)
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Luglio 2nd, 2025 Riccardo Fucile
IL POTERE D’ACQUISTO AUMENTA DELLO 0,9% ORA, MA NEGLI ULTIMI ANNI È CROLLATO DEL 20% . DA UN LATO L’INFLAZIONE TORNA A CRESCERE, DALL’ALTRO IL PIL CALA… E DAL 2026, CON LA FINE DEL PNRR, CHE HA “DROGATO” IL PRODOTTO INTERNO LORDO, LA SITUAZIONE NON POTRÀ CHE PEGGIORARE. SENZA CONSIDERARE L’EFFETTO TSUNAMI DEI DAZI DI TRUMP SU OCCUPAZIONE ED EXPORT
A turbare il sonno della maggioranza di governo, da qui ai prossimi mesi, non ci sono
solo le elezioni regionali d’autunno.
Al di là della propaganda a tv e giornali unificati, infatti, i dati economici del Paese sono più che preoccupanti. Il Paese non cresce, il Governo non ha i soldi per fare alcunché, e con i dazi di Trump e la fine del Pnrr che incombe la situazione non potrà che peggiorare.
I dati positivi sul potere d’acquisto riportati dall’Istat, un piccolo +0,9% nel primo trimestre del 2025, sono niente di fronte al tracollo della capacità di spesa degli italiani, gli unici in Europa ad avere uno stipendio più basso oggi rispetto al 1990, che hanno visto bruciare negli ultimi cinque anni il 20% del loro potere d’acquisto.
L’incremento di ora, inoltre, è troppo esiguo per essere incisivo, di fronte al continuo aumento dei prezzi. L’inflazione, pur rientrata sotto controllo rispetto a un paio di anni fa, è tornata a crescere, passando dall’1,6% all’1,7%. Soprattutto, è il carrello della spesa a riservare stangate: trainato da prodotti alimentari e bevande analcoliche, l’aumento dei prezzi sale dal +2,7% al +3,1%.
Come riepiloga oggi Paolo Baroni sulla “Stampa”, “per una famiglia italiana media l’aumento dei prezzi rilevato nel mese di giugno dall’Istat comporta un rialzo complessivo delle spese pari a 445 euro, 234 euro in più solo per i prodotti alimentari e le bevande analcoliche.
Per una coppia con due figli il rialzo complessivo è invece pari a 622 euro, con la spesa per cibo e bevande che lievita di ben 338 euro, 356 per il carrello della spesa”.
Quelle famiglie sono composte da elettori, e da persone sempre più preoccupate dal loro futuro: che succederà a Natale, quando si faranno sentire tutti insieme i riverberi dei dazi, con rischi seri per la tenuta dell’occupazione, e l’aumento dei prezzi? A quel punto Giorgia Meloni potrà fare tutte le smorfiette, gli occhioni e le faccine che vuole, ma saranno le tasche, vuote, a parlare.
I primi effetti sul Pil già si sono visti: la crescita del prodotto interno lordo è praticamente nulla, e le stime sono state recentemente riviste al ribasso. Quest’anno l’economia italiana aumenterà soltanto dello 0,6% nel 2025 e dello 0,8 nel 2026.
Un dato ancora “truccato” dalla spinta del Pnrr, che però il prossimo anno verrà azzerato.
(da Dagoreport)
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Luglio 2nd, 2025 Riccardo Fucile
PER L’EX LOBBISTA DELL’IMPRENDITORE ROMEO PRIMA DI TORNARE A CORTE, L’ECONOMIA ITALIANA VA BENISSIMO… L’ECONOMISTA VERA FORNERO LO SMENTISCE DATI ALLA MANO: ”LA PRESSIONE FISCALE E’ AUMENTATA DELLO 0,5% E I CONDONI SONO NEGATIVI”
L’economia italiana va benissimo e Giorgia Meloni dovrebbe essere candidata al premio Nobel per l’economia: parola dell’ex parlamentare del Pdl, Italo Bocchino, che, ospite di In Onda (La7), contesta il servizio mandato in onda sull’aumento dell’inflazione rispetto allo scorso anno e sul rialzo del carovita secondo l’ultimo rapporto Istat.
“L’inflazione voi l’avete presentato come un dato negativo mentre è un dato positivissimo – accusa Bocchino – i dati dell’Istat vanno letti bene.
I peana di Bocchino sono però smentiti dall’economista Elsa Fornero: “Diciamo che non sono dati drammaticamente negativi ma non sono positivi. L’inflazione anche relativamente bassa arriva dopo un lungo periodo di inflazione alta causato in gran parte da effetti internazionali dai disordini internazionali ed è comunque qualcosa che sottrae potere d’acquisto alle famiglie. Lo stesso rinnovo dei contratti è arrivato con grandissimo ritardo, il che non è un dato positivo. Quindi, di fatto, l’economia italiana stenta”.
L’ex ministra poi si pronuncia sull’aumento della pressione fiscale dello 0,5%: “Questo dato si ritorce molto contro il governo Meloni, perché questo era il governo che doveva abbassare la pressione fiscale. Quindi, nonostante gli sgravi sui salari, nell’insieme le imposte rispetto ai redditi tassabili sono aumentate. Ma in realtà non è che questo governo fa riduzioni di imposta, fa soprattutto condoni. E questa è una cosa brutta che poi non ha neanche successo – conclude – perché se tu fai un condono e poi ne fai un altro, le persone che non pagano le imposte continuano ad aspettare il nuovo condono cioè a non pagare le tasse. Quindi, c’è un nucleo di persone che le imposte proprio non le paga. Sul resto c’è un po’ di sgravio da una parte e un aumento dall’altra parte. In definitiva, la pressione fiscale non solo non scende ma aumenta“.
(da agenzie)
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Luglio 2nd, 2025 Riccardo Fucile
“ITALIA VIVA NON BASTA, ONORATO E RUFFINI, SILVIA SALIS, BEPPE SALA, GAETANO MANFREDI CIASCUNO DI LORO PUÒ E DEVE CONTRIBUIRE. LA PROSSIMA LEGISLATURA ELEGGE IL CAPO DELLO STATO, NESSUNO PUÒ PERMETTERSI DI FARE SCHERZI”
Dove eravamo rimasti? Se fosse una sit com, il ritorno di Matteo Renzi alle feste
dell’Unità potrebbe titolare così. Dopo l’addio al Pd e un decennio di gelo l’ex segretario che abbandonò il partito per farsene uno in proprio è richiestissimo dai compagni. Felicemente ricambiati.
Il 17 luglio, alla kermesse dei dem lombardi, il leader di Italia viva dialogherà con Gianni Cuperlo, ai tempi uno dei più agguerriti avversari interni. A seguire si confronterà con Bonaccini in Emilia e con il governatore Giani in Toscana. L’11 settembre sarà invece a Milano, a duettare con Nicola Zingaretti.
Senatore Renzi, che succede? Il Pd la cerca e lei cerca il Pd: l’ostracismo (reciproco) è finito?
«Quel che sta accadendo è semplice e riguarda il mio posizionamento. Mentre fino a un anno fa c’erano tanti dubbi — “Ma che fa Renzi? Con chi vuol stare?” — oggi sono spariti perché io sono quello che mena di più su Giorgia Meloni. Ho scritto un libro che ne svela i bluff, in aula non c’è volta che la premier non vada in crisi quando le elenco tutti i suoi fallimenti. Ho persino iniziato a fare i podcast, addirittura con Fedez, per smascherare la destra su provvedimenti-spot come il decreto sicurezza. Penso davvero che Meloni faccia male al Paese».
E se ne è accorto solo adesso?
«Oggi il fallimento è certificato dai numeri. Dall’Istat, l’istituto nazionale di statistica, i cui vertici — ricordo — sono nominati da Palazzo Chigi. Grazie al governo Meloni la pressione fiscale del primo trimestre 2025, rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, è aumentata dello 0,5%. Grazie al governo Meloni l’inflazione è cresciuta dell’1.7%, che schizza al +3,5 se si calcola il rincaro dei beni alimentari. Grazie al governo il carrello della spesa a giugno è salito al 3.1% contro il 2,7 di maggio. Mentre la presidente del Consiglio racconta che va tutto a gonfie vele, le famiglie italiane stanno peggio».
E il ritorno di fiamma col Pd si deve a questo (pessimo) giudizio, ora condiviso anche da lei?
«Abbiamo lo stesso obiettivo. Quando vado in giro trovo spesso tanti militanti del Pd che mi dicono: “Io ero renziano, tu mi hai deluso, ma ora dobbiamo mandare a casa la fascistella”. Parole dure, ma come lo definisci un governo che spia giornalisti e attivisti? Vanno mandati a casa».
Come?
«Lo spostamento a sinistra di Elly Schlein aiuta a costruire la tenda riformista che manca al centrosinistra per vincere elezioni».
Ma al centro non ci siete già voi di Iv e Azione?
«Io parlo per Iv, noi ci siamo, ma mi pare chiaro che da soli non bastiamo».
E chi dovrebbe ritrovarsi sotto questa tenda?
«Tutti quelli che non vogliono stare in un Pd sbilanciato a sinistra, ma che credono si debba costruire un’alternativa a Meloni. E per farlo è necessario stare tutti assieme».
A chi pensa? Agli amministratori locali riuniti a Roma dall’assessore Onorato, a Ruffini che gira l’Italia sotto l’egida dei catto-dem, alla Rete civica solidale che ha debuttato l’altro ieri per parlare ai pacifisti?
«Quando dico tutti, intendo tutti. A Onorato e Ruffini, certo, ma anche a Silvia Salis, a Beppe Sala, a Gaetano Manfredi: ciascuno di loro può e deve contribuire a fare un pezzetto di ragionamento. Senza dimenticare i cattolici che non vogliono stare con una Forza Italia completamente asservita alla destra più estrema».
Servirebbe però un federatore: si sta proponendo lei per il ruolo?
«No, non tocca a me. Se serve una mano organizzativa ci sono, ma non vogliamo guidare noi. Io ho già il mio bel da fare per combattere Giorgia Meloni che spia i giornalisti, impoverisce gli italiani, non sa che pesci prendere in Europa e sta facendo retrocedere l’Italia sul piano internazionale. È questo il mio ruolo, non fare il capo della tenda: sono in prima fila per mostrare i disastri della premier e del suo governo, la fascia di capitano la indosserà qualcun altro».
E torniamo al punto, però: chi? E come farà a mettere insieme realtà tanto eterogenee?
«Io dico: partiamo, facciamo un percorso e vediamo, anche perché le leadership si affermano sul campo, non in laboratorio. Tutte le volte che si sono tentati esperimenti in provetta nonsono andati bene».
Dopodiché resta il problema di far convivere nella stessa coalizione Conte e Calenda, Fratoianni e lei. Ha qualche idea?
«Siamo tutti molto diversi ed orgogliosi di esserlo. Ma se le nostre divisioni non si compongono avremo altri cinque anni di Lollobrigida e Urso nei ministeri chiave e di Ignazio La Russa presidente della Repubblica. La prossima legislatura elegge il Capo dello Stato, nessuno può permettersi di fare scherzi. Tutti insieme si vince, divisi perde l’Italia».
(da La Repubblica)
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Luglio 2nd, 2025 Riccardo Fucile
IL PUPILLO DI LA RUSSA NON MOLLA LA POLTRONA: “NON MI DIMETTO, VADO AVANTI”,,, LA SUA PORTAVOCE SABRINA DE CAPITANI HA INVECE FATTO UN PASSO INDIETRO … UN ALTRO FILONE DELL’INCHIESTA HA PUNTATO I RIFLETTORI SULLA MELONIANA ELVIRA AMATA, ASSESSORA REGIONALE AL TURISMO. ANCHE IN QUESTO CASO, L’ACCUSA È DI CORRUZIONE (LA CORRENTE “TURISTICA” DI FDI E’ NEL MIRINO)
La seduta d’Aula è stata convocata per le 14. Il presidente dell’Ars Gaetano Galvagno, esponente di Fratelli d’Italia, ha riferito ai colleghi deputati riguardo all’inchiesta che lo vede indagato per corruzione. Galvagno ha annunciato che resterà al suo posto. Alcuni parlamentari avevano chiesto un passo indietro alla massima istituzione di Palazzo dei Normanni.
L’indagine della Procura di Palermo che riguarda Galvagno sta descrivendo una serie di episodi che coinvolgono, oltre a lui e a esponenti del proprio staff, anche imprenditori, organizzatori di eventi e consulenti a vario titolo.
Ieri, intanto, si è dimessa dal proprio incarico Sabrina De Capitani, portavoce del presidente, anche lei indagata. Mentre un altro filone dell’inchiesta ha puntato i riflettori su Elvira Amata, assessora regionale al Turismo di Fratelli d’Italia. Anche in questo caso, l’accusa è di corruzione.
L’autista del presidente dell’Ars Gaetano Galvagno aveva un gran da fare, a tutte le ore del giorno. Andava in giro per la Sicilia, ad accompagnare amici, amiche e parenti dell’esponente politico di Fratelli d’Italia.
In barba al regolamento dell’Assemblea regionale, che all’articolo 1 recita: «Il presidente dell’Assemblea, per le esigenze di rappresentanza e di servizio proprie, del Gabinetto e della segreteria particolare, ha assegnate due autovetture, di cui una a disposizione, e tre autisti». Non potevano essere utilizzate parole più chiare: quell’auto è soltanto per «esigenze di rappresentanza e di servizio».
E non per faccende personali.
Invece, le intercettazioni della Guardia di finanza hanno registrato continui viaggi di quella fiammante Audi A6 per questioni niente affatto istituzionali. Mentre il presidente era in aula Palermo. E, poi, l’autista compilava corpose note spese, profumatamente rimborsate dall’Assemblea regionale.
Per questa ragione, il presidente Galvagno non è indagato soltanto per corruzione dalla procura di Palermo e dal nucleo di polizia economico finanziaria. Con il suo autista, Roberto Marino, deve difendersi anche dall’accusa di peculato per l’utilizzo indebito dell’auto di servizio: la stessa contestazione è costata l’anno scorso all’ex presidente dell’Ars Gianfranco
Miccichè un divieto di dimora a Cefalù, dove aveva il suo buen retiro.
Sull’auto blu, l’autista della Regione portava avanti e indietro da Palermo il giardiniere tuttofare, amici e parenti di Miccichè.
Accuse che hanno già portato sotto processo l’ex presidente dell’Assemblea e ieri pomeriggio è stato proprio lui ad avere le parole più accorate in difesa di Galvagno, nell’aula del Parlamento siciliano. «So che significa avere questi pesi di sopra, significa non dormire, stare male, pensare a chissà quali complotti ci sono sulle nostre spalle».
Galvagno, dal canto suo, mette le mani avanti nella seduta in cui parla per la prima volta dell’inchiesta di cui sa dal mese di gennaio. E annuncia che non farà «alcun passo indietro». Precisando: «Non ho mai messo la mia funzione a disposizione di interessi personali». Il presidente della commissione regionale antimafia Antonello Cracolici, del Pd, lo incalza: «Questa vicenda, al di là delle responsabilità individuali, è paradigmatica di un contesto di degrado».
E cita la “corrente turistica” di Fratelli d’Italia «coinvolta ripetutamente negli scandali del settore del turismo».
Nella stessa inchiesta di Galvagno è indagata anche Elvira Amata, l’assessora al Turismo della giunta Schifani: le intercettazioni hanno svelato l’assunzione del nipote in una società dell’imprenditrice Marcella Cannariato, che avrebbe anche affidato una consulenza legale da 3000 euro al mese al segretario dell’assessora.
(da La Repubblica)
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Luglio 2nd, 2025 Riccardo Fucile
CONDIZIONI INDEGNE NELLE CARCERI ITALIANE, SOVRAFFOLLAMENTO E SUICIDI: QUELLI DEL “BUTTARE LA CHIAVE”, DEL “NO INDULTO E AMNISTIA” NON HANNO FATTO NULLA PER RENDERCI UN PAESE CIVILE
Una delle cose di cui va dato atto al presidente della Repubblica Sergio Mattarella è
senza dubbio la grande attenzione che da sempre riserva al tema delle carceri. Un interesse ribadito anche in occasione del 208esimo anniversario della nascita del corpo della Polizia penitenziaria, con un intervento che è riuscito a riportare la questione al centro del dibattito politico, speriamo non soltanto per il breve volgere di qualche giorno. Anche perché i toni usati dal Capo dello Stato sono stati piuttosto sorprendenti, per dirla con un eufemismo.
Monica Guerzoni sul Corriere della Sera ha parlato addirittura di
“grido di Mattarella”, spiegando “che giusto un anno fa durante la cerimonia del Ventaglio aveva richiamato severamente le istituzioni” e ora “non può permettere che il monito cada nel vuoto e incalza il governo ad agire. In fretta e con azioni concrete. Anche perché il termometro ha raggiunto vette di calore insopportabili, che rendono ancora più difficile la vita dietro le sbarre”.
Del resto, le parole del Presidente sono difficilmente fraintendibili: “Nelle carceri italiane i detenuti vengono sottoposti quotidianamente, e in massa, a trattamenti inumani e degradanti […] Il carcere non può essere pensato solo come luogo di custodia, non deve trasformarsi in palestra per nuovi reati, in palestra di addestramento al crimine ma devono essere effettivamente rivolti al recupero di chi ha sbagliato. Ogni detenuto recuperato equivale a un vantaggio di sicurezza per la collettività oltre ad essere un obiettivo costituzionale […] Vanno rilevate le preoccupanti condizioni del sistema carcerario che è contrassegnato da una grave e ormai insostenibile condizione di sovraffollamento […] Servono urgenti interventi di manutenzione e ristrutturazione per porre rimedio alle condizioni strutturali inadeguate di molti istituti […] Mancano operatori ed educatori, nonché spazi di socialità e servono nuove e più adeguate professionalità”. Infine, il passaggio forse più doloroso: “È drammatico il problema dei suicidi nelle carceri che da troppo tempo non dà segni di arresto: si tratta di una vera emergenza sociale sulla quale occorre interrogarsi per porre fine immediatamente a tutto questo”.
Parole che sono sembrate rivolte prima di tutto al governo in carica e in particolare al ministro Nordio. Nota Guerzoni:
“Per Mattarella è un’emergenza che la politica non può più sottovalutare, essendo chiamata ad agire nel rispetto della Carta costituzionale. Al ministero della Giustizia il messaggio è
arrivato chiaro e forte. «Grande è l’attenzione per le parole del Capo dello Stato sulle criticità del sistema penitenziario», nega ritardi e inadempienze il ministro della Giustizia Carlo Nordio, giurando che la prevenzione è «priorità di questo governo». Il sottosegretario Andrea Delmastro avverte la ‘sinistra che è sempre buona norma non tirare per la giacca il presidente della Repubblica» e informa che il governo sta studiando «misure specifiche legate al contrasto delle dipendenze, di natura molto liberale”.
Una pressione sul governo rilevata anche da Lina Palmerini sul Sole24Ore:
“Evidente che le parole di Mattarella siano suonate come una sveglia, tant’è che il ministro Carlo Nordio, che tempo fa si era impegnato a un piano straordinario contro il sovraffollamento, ha subito voluto commentare che “grande è l’attenzione per le parole del capo dello Stato” e che “la prevenzione dei fenomeni di autolesionismo e dei suicidi è la priorità di questo governo”. Una priorità che però stenta a realizzarsi efficacemente anche se il titolare della Giustizia, oltre ricordare gli interventi su sostegno psicologico e reinserimento al lavoro, indica la strategia in tre direzioni e in primo luogo per una riforma della custodia cautelare per i reati non di criminalità organizzata, poi «una detenzione differenziata per i tossicodipendenti; l’espiazione della pena per gli stranieri presso i Paesi di origine; strutture di accoglienza per i detenuti che hanno i requisiti per l’accesso alle misure alternative”.
Malgrado al Tempo si dicano convinti che ci sia già “la soluzione”, è chiaro che il Capo dello Stato sia estremamente preoccupato tanto dal gravissimo quadro pregresso della situazione carceraria, quanto dal possibile peggioramento determinato dall’aumento del numero di reati impostato dall’esecutivo di Giorgia Meloni. I numeri, del resto, sono
impietosi. Li mette in fila Luigi Ferrarella sul Corriere:
I 55.269 detenuti in media del 2022 (all’avvio del governo Meloni-Nordio) due mesi fa erano saliti a 62.445 in una capienza regolamentare (cioè calcolata sul decreto del 1975 che prescrive 9 metri quadrati in cella singola o 7 metri quadrati in celle collettive, e 20 metri cubi d’aria a testa) di 51.280 posti, persino una manciata meno di fine 2024, e appena 716 più di cinque anni fa. Ma, soprattutto, circa 4.500 di quei 51.280 posti teorici sono invece inagibili o in ristrutturazione (persino più di due anni fa quand’erano 3.646), sicché i posti realmente disponibili due mesi fa erano solo 46.811, addirittura 382 meno di cinque anni fa.
Da qui il sovraffollamento medio del 133%, con record come San Vittore oltre il 200%. […] del 7%. Anche dopo dosi di assunzioni “consumate” però dai pensionamenti, gli agenti di polizia penitenziaria sono 30.964 invece dei previsti 34.162, c’è un educatore in media ogni 65 detenuti, i funzionari contabili sono 3.301 anziché 4.103. Eppure per questo sistema, che su dieci detenuti che finiscono di espiare in cella la pena vede tornarne in carcere più di sei, lo Stato spende 3,4 miliardi l’anno (di cui il 61,7% in spese per il personale): quasi un terzo del budget della giustizia.
C’è un problema concettuale, dietro questi numeri. Che è un po’ quello che rileva Mattarella: abbiamo perso di vista a cosa dovrebbero realmente servire le carceri, secondo quanto dispongono la nostra Costituzione e, prima ancora, i principi fondanti del diritto in materia. Lo scrive bene Alessandro Barbano su L’Altra Voce:
Il carcere è per i nove decimi dei detenuti uno strumento consapevole di punizione corporale e psichica.
Occorre uscire dall’ipocrisia che circonda il dibattito, e le parole del capo dello Stato ne offrono l’occasione. È ridicolo indignarsi per il numero di suicidi che non accenna a diminuire se il carcere è concepito come un modo per indurre i detenuti a considerare la morte come un’exit strategy a una vita insostenibile.
Il sistema penitenziario italiano è il rovesciamento e la negazione del principio sancito dall’articolo 27 della Costituzione, che non solo prescrive la rieducazione quale obiettivo della pena, ma soprattutto, sconfessa l’idea che la rieducazione coincida con il castigo, cioè si produca come effetto della punizione. La prassi dimostra l’esatto contrario.
Anche Il Foglio, che pure parte da un’impostazione diversa, esprime apprezzamento per le considerazioni di Mattarella: “Le condizioni dei detenuti in Italia sono riprovevoli per varie ragioni. Spesso le carceri sono ubicate in edifici arcaici, che non consentono di fornire condizioni di vita accettabili, il che risulta ancora più preoccupante in presenza di un aumento della temperatura come quello al quale stiamo assistendo. Le carceri sono sovraffollate anche per l’insufficiente ricorso a pene alternative e per l’eccessivo utilizzo della carcerazione preventiva. […] Il clima politico, improntato su uno spirito securitario, non sembra adatto ad affrontare il problema, proprio per questo servono gli appelli del capo dello stato che denunciano le conseguenze di errori e ritardi più che decennali”.
Ed è vero, sarebbe sbagliato addossare al governo Meloni la responsabilità di una situazione che si è determinata in anni e anni di provvedimenti sciagurati e assenza di interesse da parte della politica. Ma è insopportabile, davvero insopportabile, l’ipocrisia di chi applaude Mattarella mentre continua a lavorare nella direzione opposta. Questo governo non solo ha aumentato le fattispecie di reato per le quali è previsto il carcere, non solo si è detto contrario a ogni tipo di indulto o amnistia, ma ha una concezione arcaica della sicurezza e della carcerazione, intrisa di
propaganda e populismo. È il governo del “buttiamo via la chiave”, quello che dà in pasto all’opinione pubblica esibizioni muscolari e vuote di rigore e fermezza, che restituisce ai cittadini l’idea di sicurezza come repressione e punizione. È il governo di Delmastro, che prova “un’intima gioia” nel sapere che “non si lascia respirare chi sta dietro il vetro oscurato” delle macchine della Penitenziaria. È il governo di Salvini, che vuole dare mano libera agli agenti, riscrivendo il reato di tortura.
Che almeno l’ipocrisia ci sia risparmiata.
(da Fanpage)
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