Agosto 2nd, 2025 Riccardo Fucile
IL TEMA È SCIVOLOSISSIMO PER LA DUCETTA, CHE SI ERA AUTO-PROCLAMATA PONTIERA E SI RITROVA L’UE UMILIATA E OFFESA DAL SUO AMICO TRUMP… NELL’ELENCO CI SONO IL CAPOGRUPPO ALLA CAMERA, GALEAZZO BIGNAMI (PRIMA SI TRAVESTIVA DA NAZISTA, ORA DA “DAZISTA”), E IL FEDELISSIMO DI FAZZOLARI, IL “RAGIONIER” FILINI … TUTTI DEVONO USARE PAROLE AL MIELE, SENZA SCADERE NEL PANICO E NELL’ANTI-EUROPEISMO
L’argomento è scivoloso. Non solo perché i dazi imposti dalla Casa Bianca sono ancora avvolti da tecnicismi da sciogliere. In mezzo c’è Donald Trump, l’ “amico” della premier Giorgia Meloni, colei che si prefigge di ergersi, concava e convessa, a ponte fra gli Stati Uniti e l’Unione europea di Ursula von der Leyen.
Uno scenario così complesso che ha costretto Fratelli d’Italia a compilare una lista ristretta di “eletti” che possono andare in televisione a spiegare la linea del governo e dunque del partito. Nella pancia del partito meloniano sono in molti a friggere per
andare in tv: vanità delle vanità, tutto è vanità. Ma non si può sbagliare perché le opposizioni sui dazi hanno trovato un terreno fertile di scontro, complice anche la saldatura con i timori delle associazioni produttive.
Ecco allora la squadretta dei “dazisti” di FdI scelta in base alle competenze e alla vis polemica, più le prime che la seconda, perché uno strafalcione può risultare fatale nell’èra delle clip social che possono diventare virali. Si spiega così la discesa in campo dei capigruppo di Camera e Senato, Galeazzo Bignami e Lucio Malan. Chiamati dal partito e da Palazzo Chigi a scendere nell’arena televisiva.
Malan si è affacciato ieri mattina a Sky Tg24 per ribadire che la decisione di usare i fondi del Pnrr per aiutare le imprese colpite dai dazi spetterà a Bruxelles e per ricordare che la questione del gas da acquistare dagli Usa inizia con il governo Draghi. Al di là di questi appunti la posizione dell’Italia resta complicata e quindi il messaggio va calibrato al millimetro.
Ecco perché un altro dei pochi eletti a spiegare la posizione di Fratelli d’Italia è Francesco Filini, deputato senza velleità di apparire, braccio ambidestro del sottosegretario Giovanbattista Fazzolari che gli ha lasciato in eredità la delega al programma del partito.
Filini è inoltre il responsabile del centro studi del partito che con costanza sforna dossier su dossier, a uso interno e non divulgabili, per i parlamentari. E’ il custode e l’estensore della linea politica parlamentare ed è stato deciso dal suo mentore che faccia parte del ristretto pacchetto di mischia dei “dazisti tv” nei talk e nei programmi di approfondimento dove c’è un minimo di
contraddittorio, al di là delle dichiarazioni dei panini dei telegiornali.
Spunta un po’ ovunque, da La7 alla Rai, passando per Tv2000 Ylenja Lucaselli, deputata economica di FdI e volto tv. Costretta allo slalom per dire che occorre prendere tempo prima di dare un parere visto che l’accordo ancora non è dettagliato e che grazie a Meloni Ursula von der Leyen ha evitato di spingere l’Europa verso la Cina evitando così una guerra commerciale non banale.
Zigzagando a colpi di zapping capita di incontrare Marco Osnato presidente della commissione Finanze della Camera, un fratello d’Italia tendenza Milano dunque La Russa (è sposato con la figlia del fratello di Ignazio, Romano).
Nemmeno dalla sua bocca escono parole incendiarie, ma frasi alla camomilla: niente panico, staremo vicino alle imprese, l’Europa non è matrigna ma l’abbiamo sostenuta.
Sono concetti che ribaltano anche anni di vecchio racconto di Fratelli d’Italia verso le tecnocrazie di Bruxelles. E sono dunque il dazio che il partito di Meloni paga per questa svolta ormai governista anche nella Ue.
Se le opposizioni hanno gioco facile davanti alle stime del Pil e agli appelli del mondo economico a “fare presto”, a destra di FdI c’è la Lega. Soprattutto a Strasburgo dove i Patrioti di Salvini hanno iniziato il sabba sopra Palazzo Berlaymont anche loro in un cortocircuito che suona così: Ursula è una tragedia, Donald fa gli interessi del suo paese perché Ursula non tutela gli stati membri.
Fratelli d’Italia si trova in mezzo, anche in questo caso. E nella lista dei deputati a parlare senza inciampi e sbavature spuntano Carlo Fidanza, capodelegazione di Fratelli d’Italia a Strasburgo. Anche le sue parole sono piene di valeriana sulle conseguenze economiche e cicuta per le opposizioni, specie il Pd, che ha sostenuto in vari passaggi parlamentari la presidente della Commissione Ue succeduta a se stessa.
E la posizione di Meloni non è scomoda? Semplice: le trattative per i dazi sono state portate avanti da Bruxelles e non dai singoli stati. Quindi non citofonate a Palazzo Chigi.
(da il Foglio)
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Agosto 2nd, 2025 Riccardo Fucile
“UNO SPRECO DI RISORSE IMPRESSIONANTE CHE ALLA FINE SARANNO UN REGALO AL GOVERMO ALBANESE”
”L’ennesima sconfessione della politica migratoria del Governo viene dalla Corte giustizia
europea, che condanna la possibilità di utilizzare i Centri in Albania perché non garantiscono la tutela dei richiedenti asilo”. Mons. Gian Carlo Perego, presidente della Commissione Cei che si occupa dei migranti nonché presidente della fondazione Migrantes, con l’Adnkronos riflette sul senso della decisione della Corte europea.
”Uno spreco di risorse impressionante, si aggira attorno al miliardo il costo dei Centri in Albania, che alla fine saranno un regalo al governo albanese, come lo fu, in altri tempi, la realizzazione di un carcere per trasferire gli albanesi presenti nelle carceri italiane”, sottolinea l’esponente della Cei.
”Il balletto di decreti e di leggi per utilizzare come hub, come centri di accoglienza e come Cpr le strutture costose realizzate in Albania – osserva Perego – termina con questa dichiarazione della Corte europea che ormai non lascia margini ad altre, subdole manovre per allontanare il dramma di migranti in fuga dai nostri occhi e dalla nostra responsabilità costituzionale”.
(da agenzie)
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Agosto 2nd, 2025 Riccardo Fucile
LE DEFINIZIONI CHE DOVREBBERO ESSERE IRONICHE SU CAMPO LARGO, PNRR E OPPOSIZIONE
C’è il dl Sicurezza al 42 orizzontale, il “provvedimento del Governo Meloni con cui lo Stato torna forte contro ladri, truffatori e prepotenti”. Il Piano Mattei all’11 verticale, il Pnrr al 26 orizzontale, “l’Italia di Meloni ne sta sbloccando le rate”.
E poi le stoccate agli avversari: il ‘campo largo’, 58 orizzontale, è lo “sgangherato tentativo dell’opposizione per allearsi contro la destra”; Giuseppe Conte, al lusinghiero 1 orizzontale (ma del secondo dei tre ‘puzzle’ del gioco), è colui che “dal riarmo all’immigrazione, ha detto tutto e il contrario di tutto”.
È il ‘cruciverbone’ estivo di Fratelli d’Italia, ‘L’enigmistica tricolore’ edizione 2025 presentata stamattina a OSTIA in occasione della prima tappa della campagna agostana militante del partito: il responsabile organizzativo Giovanni Donzelli fa da presentatore alla Mike Bongiorno di fronte a una versione ‘maxi’ del criciverba, con la deputata Augusta Montaruli valletta d’eccezione.
A rispondere, interrogati da Donzelli, sono militanti e cittadini incuriositi dai banchetti montati fronte spiaggia, a cui viene distribuito il gioco. “Ovviamente come sempre mettiamo un po’ di ironia- spiega il ‘presentatore’ Donzelli- Ci sono risposte serie, ma c’è anche un po’ di ironia: ci piace scherzare su tutto e tutti, anche su noi stessi e anche un pochino sui nostri competitor e avversari dell’opposizione, che notoriamente hanno un alto senso dell’ironia e dell’autoironia e quindi nelle prossime ore si offenderanno e inizieranno a insultare perché, come sempre, il loro senso dell’ironia è nobile e alto”.
Chissà se se la prenderanno Michele Emiliano, 75 orizzontale, “il Ras del Pd in Puglia”, o Ilaria Salis, 23 orizzontale, che “sta dalla parte di chi occupa le case”. Si inizia a giocare: “Se qualcuno dei cittadini nei presenti vuole aiutarci a rispondere alle domande, vediamo chi ci può aiutare”.
Le prime due definizioni sono semplici, e su decreto Sicurezza e campo largo una signora mette a segno una doppietta: “Ma è bravissima!”, le congratulazioni di Donzelli. Poi, però, la signora cade sul 52 orizzontale: “Lo sono le polemiche costruttive dell’opposizione”, chiede il deputato.
“Serie?”, il tentativo di risposta. “Ma come, sono serie quelle dell’opposizione? Siamo stati generosi…”, replica Donzelli. Luca Sbardella, collega deputato alla Camera, è più preparato: “Poche”. E quindi “bravo Sbardella”, ma dopo un altro paio di quiz ci si ferma, “per non dare tutte le risposte e lasciare un po’ del divertimento agli italiani sotto l’ombrellone”.
(da Dagoreport)
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Agosto 2nd, 2025 Riccardo Fucile
CHISSÀ COME AVRÀ PRESO LA NOTIZIA IL PATRON DI MSC GIANLUIGI APONTE CHE SPADRONEGGIA NEL PORTO LIGURE: L’ARMATORE DEVE LE SUE FORTUNE ALLA MOGLIE. O MEGLIO, AL SUOCERO, IL FACOLTOSO EBREO PINHAS DIAMANT, UNO DEI FONDATORI DELLO STATO DI ISRAELE
Tra tante parole in libertà, ce ne sono alcune che producono fatti. La morsa di Israele su
Gaza indigna molti, ma pochi protestano in modo concreto e pacifico. Una lezione arriva dai ruvidi scaricatori di porto di Genova, i celebri camalli, che sono riusciti a impedire lo sbarco di tre container pieni di materiale bellico spedito verso Israele.
“Solo con l’annuncio di uno sciopero siamo riusciti, anche grazie anche al coordinamento internazionale dei porti, a far sì che una compagnia marittima come la Cosco abbia rinunciato allo sbarco di tre container con dentro armamenti diretti a Israele” hanno annunciato i componenti del Calp, il collettivo autonomo lavoratori portuali del porto di Genova, che già un mese fa, a dire il vero, “respinsero” un cargo simile. Una tradizione consolidata, e puntualmente applicata anche in passato per i trasporti verso altri paesi belligeranti.
“In queste settimane ci siamo mobilitati per contrastare di nuovo col coordinamento quello che è un ulteriore traffico di armi diretto a Israele. Il coordinamento, che sta funzionando soprattutto nell’area del Mediterraneo, ha fatto sì che i portuali del Pireo (il porto di Atene, ndr) in una prima fase abbiano rinunciato a sbarcare questi container per poi segnalarci l’arrivo sul porto di La Spezia e sul porto di Genova di questa merce – ha spiegato un rappresentante del Calp -. Fin da subito ci siamo mossi per capire come mobilitarci all’interno del terminal e capire in quale terminal sarebbe attaccata questa nave e abbiamo notato anche che successivamente ai porti liguri la nave avrebbe
fatto scalo a Marsiglia per poi andare a Valencia”.
Secondo i camalli, si tratta di “una grande vittoria, proprio perché è la prima volta che accade che una compagnia marittima di un peso come la Cosco ci comunichi, tramite la rivista Shippingitaly, la rinuncia di questo carico. Continueremo questo tipo di mobilitazioni a sostegno della popolazione palestinese per chiedere un cessate il fuoco immediato e per chiedere che non ci siano più traffici di armamenti nei porti civili”.
La nave giovedì sera era in porto a La Spezia, poi nella prima mattinata di venerdì si è mossa in direzione Genova, dove ha attraccato intorno alle 18. Ma i tre container, ha fatto sapere la compagnia di navigazione taiwanese, saranno rispediti al mittente, in Estremo Oriente. Soddisfatta l’Unione dei sindacati di base (Usb) del porto genovese. “Negli ultimi mesi Usb – si legge in una nota – ha moltiplicato le iniziative per spezzare la catena logistica che alimenta conflitti e massacri.
A giugno i lavoratori hanno incrociato le braccia all’aeroporto di Brescia Montichiari per bloccare un carico di armi, e a luglio il presidio davanti al Comune di Genova ha rilanciato la richiesta di dichiarare i porti liguri off limits per le spedizioni belliche. La mobilitazione è parte di un fronte internazionale che unisce i portuali di Francia, Grecia, Germania e Nord Africa”. La campagna “Il lavoro ripudia la guerra”, spiegano i sindacati, “rivendica un principio semplice: i porti italiani non devono diventare basi logistiche per i conflitti, ma restare luoghi al servizio delle comunità”
(da agenzie)
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Agosto 2nd, 2025 Riccardo Fucile
SE LUI NON POTRÀ ESSERE IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, NELL’IPOTESI DI VITTORIA DEL CENTROSINISTRA, CHE SI FA?… FABRIZIO RONCONE: “IDEA FORTE: GAETANO MANFREDI. STIMATO, RASSICURANTE, ELETTO A NAPOLI GRAZIE AL PROTOTIPO D’UN AUTENTICO CAMPO LARGO, PRESIDENTE DELL’ANCI E, IN PIÙ, AUTOREVOLE PROFESSORE”… “NASCEREBBE ANCHE UN CENTRO IN APPOGGIO ALLA COALIZIONE DI MANFREDI GUIDATO DA SILVIA SALIS”
Ci sono novità nel meraviglioso feuilleton del centrosinistra. I personaggi di questo nuovo capitolo, sempre così pieno di politica e potere e di sinapsi che sfrigolano nella vanità, sono uno che si sente Jep Gambardella (sì, esatto: come il personaggio della Grande Bellezza di Paolo Sorrentino) e Gaetano Manfredi, il sindaco di Napoli.
Seguitemi. Le ultime ore, per i grandi capi dem, sono state fondamentali. Anche grazie a un dettaglio: la pochette. Perché Giuseppe Conte, l’altro giorno, va in conferenza stampa e la rimette nel taschino.
Che strano: Peppiniello ha di nuovo la pochette. Sì, però c’è poco da ridere. Si tratta d’un pessimo indizio. Perché non è un vezzo. È un messaggio subliminale: io, vestito così, con questa pochette, ho già fatto il presidente del Consiglio per ben due
volte.
Poi l’hanno sentito parlare: il leader dei 5 Stelle convoca giornali e televisioni dopo aver tenuto appeso il Pd per una settimana. Non è una metafora. È successo. Conte ha preso il Pd per un orecchio e l’ha tenuto, ostentatamente, a penzoloni: «Intanto, mi leggo bene le carte di Affidopoli, quindi aspetto di capire come si comporta Matteo Ricci davanti ai magistrati. Ci ragiono un po’ su, e poi decido: se continuare a sostenerlo alle Regionali, oppure lasciare che vada a sbattere da solo».
Del panico scatenatosi al Nazareno, vi è già stato riferito. Situazione a dir poco umiliante. Lui, cioè Conte, dal suo punto di vista, l’ha gestita magnificamente. Chiudendo con una conferenza stampa memorabile. Perché prima rifila una carezza pelosa a Ricci (gli conferma l’appoggio, ma promette di tenere d’occhio le prossime mosse dei magistrati).
Poi inizia a dispensare randellate micidiali. Dice che correre in Toscana assieme a Eugenio Giani è per lui un «sacrificio notevole» (sa che i dem, lì, dovrebbero vincere facile anche da soli: però si diverte a precisare per puro sfregio). Sottolinea di non essere disponibile ad alcun «mercimonio» in Campania, dove quel sultano di Vincenzo De Luca sta dettando le sue condizioni per appoggiare la candidatura del grillino Roberto Fico.
Chiede le dimissioni di Beppe Sala, colpevole — secondo il tribunale a 5 Stelle — di un Far West edilizio a Milano. Chiude netto: «Un’alleanza organica è, perciò, impossibile».
I capi dem ascoltano. E, un minuto dopo, scatta la sarabanda di telefonate e WhatsApp. Con dentro un ragionamento politico il
cui succo è, più o meno, questo.
Conte è del tutto inaffidabile. Ci mortifica con ferocia, si fa inseguire e, spesso, finisce con il dare lui le carte. Infido: però — va ammesso — davvero abile. Elly si ostina a ripete che «dobbiamo essere testardamente unitari», ma s’illude. Conte, quando saremo dentro le elezioni politiche, o prima del voto (se dovessero cambiare la legge elettorale e fosse necessario indicare subito il candidato premier della coalizione), o subito dopo, con le regole attuali, si siederà e dirà: il candidato premier lo faccio io, che già so come si governa un Paese.
Elly s’impunterà, spiegando che vuole farlo lei, perché è la segretaria del partito che ha più voti. Allora lui — splendida immagine di un senatore dem — «entrerà in modalità Jep Gambardella/Toni Servillo». Con la celebre frase: «Io non volevo solo partecipare alla feste, volevo avere il potere di farle fallire». Tradotto: «Non sarò premier io, ma non lo sarai nemmeno tu, cara Schlein».
A quel punto, che si fa? Poiché è lunare immaginare di far partecipare Conte a primarie di coalizione, meglio portarsi avanti e avviare un casting per trovare un candidato di mediazione.
Che possa piacergli. Idea forte: Gaetano Manfredi. Stimato, rassicurante, eletto alla guida di Napoli grazie al prototipo d’un autentico Campo largo, presidente dell’Anci e, in più, autorevole professore: un simil Prodi, insomma.
Con Manfredi candidato premier, i comandanti dem pensano che a Conte potrebbe poi andare bene la promessa di diventare presidente del Senato, o ministro degli Esteri.
Lo schema, per adesso, è questo. Senza tralasciare, s’intende, la
costruzione di un nuovo centro che guardi a sinistra (con dentro la rete di Ruffini, pezzi di mondo cattolico con Ciani e Tarquinio, il rampante assessore romano Onorato). Progettano e indirizzano i soliti Dario Franceschini (nell’ombra) e Goffredo Bettini (al ritmo di un’intervista a settimana). La direzione lavori è stata affidata a un esterno: Matteo Renzi. A Silvia Salis, sindaco di Genova, l’hanno già comunicato formalmente: «A capo del nuovo partito potremmo mettere te».
Fabrizio Roncone
per il “Corriere della Sera”
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Agosto 2nd, 2025 Riccardo Fucile
LO SCATTO SMENTISCE TRUMP DUE VOLTE: È STATO SCATTATO IL 12 FEBBRAIO 2000, LO STESSO ANNO IN CUI IL FUTURO PRESIDENTE SOSTENNE DI AVER TAGLIATO I PONTI CON IL FINANZIERE PEDOFILO. E DIMOSTRA CHE AVEVA UN RAPPORTO CONSOLIDATO CON IL FRATELLO DI RE CARLO, CHE INVECE IL TYCOON AVEVA SEMPRE DETTO DI NON CONOSCERE
Donald Trump si è vantato di aver cacciato il suo vecchio amico Jeffrey Epstein dalla spa
del suo complesso di Mar-a-Lago per aver cercato di “rubare” lavoratori dal centro — insistendo: “Gli ho detto, ascolta, non vogliamo che tu prenda la nostra gente, che fosse della spa o meno.”
Ma un’immagine in esclusiva mondiale ottenuta da RadarOnline.com ha il potenziale di smentire clamorosamente la sua affermazione
La foto mostra l’allora magnate immobiliare 53enne che ospita il condannato per reati sessuali Epstein, all’epoca 46enne, insieme alla sua complice Ghislaine Maxwell, allora 38enne, al principe Andrea, 39 anni all’epoca, e alla futura moglie di Trump, Melania, all’epoca 29enne, a Mar-a-Lago il 12 febbraio 2000.
L’incontro avvenne nello stesso anno in cui Trump sostenne di aver tagliato i ponti con Epstein — per aver presumibilmente preso di mira e “rubato” la minorenne Virginia Giuffre dalla sua spa.
La fotografia mina anche l’affermazione categorica di Trump secondo cui non avrebbe mai incontrato il principe Andrea, che è tuttora in esilio dalla famiglia reale per la sua vergognosa relazione con Epstein.
Nel 2019 fu riportato che Trump aveva affermato di non conoscere il principe Andrea.
La foto conferma che figure di primo piano nel mondo di Epstein erano presenti allo stesso evento a Mar-a-Lago — mesi dopo che Giuffre, allora appena 15enne, disse di essere stata reclutata per la prima volta nel giro di Epstein proprio nello stesso club.
L’immagine fu pubblicata per la prima volta nel libro Epstein: Dead Men Tell No Tales del giornalista investigativo Dylan Howard.
La storia di Giuffre, racconta che fu avvicinata alla spa di Mar-a-Lago da una “donna straordinariamente bella” — Maxwell — che le offrì un lavoro con un uomo ricco che “era sempre alla ricerca di una nuova massaggiatrice”.
“Accettai,” scrisse Giuffre nel suo diario sull’accaduto. “Sembrava l’occasione giusta che stavo aspettando.”
Suo padre, preoccupato ma convinto, la accompagnò alla sua prima visita nella villa di Epstein.
“Sembrare un bravo tipo,” disse in seguito. “Non avevo idea di ciò che avrebbe finito per fare. Se avessi saputo, non l’avrei mai lasciata lavorare lì.”
Giuffre raccontò che Maxwell la condusse direttamente da Epstein, che si trovava nudo su un lettino da massaggi, all’interno della proprietà.
“Stregata dall’arredamento, uscii dal mio stato di trance e cercai di non fissare l’uomo nudo sdraiato sul lettino,” scrisse Giuffre nel suo diario.
Maxwell presentò quindi Epstein come un “banchiere e broker da miliardi di dollari che si deliziava con almeno un massaggio al giorno.” Quel che seguì fu la “prova” di Giuffre.
Nel suo diario, la vittima ormai deceduta di traffico sessuale scrisse: “Jeffrey gemette di piacere e mi sollevò il mento per guardarmi, poi guidò i miei fianchi a sedersi su di lui. Mi penetrò con forza e usò i fianchi per soddisfare i suoi bisogni sessuali.
“Appena finito, mi rivestii in fretta, e non sapendo come mantenere la calma, rimasi in silenzio. Entrambi mi ringraziarono per il buon lavoro svolto, dicendomi che avevo superato la prova.”
Epstein le diede 200 dollari e la fece riaccompagnare a casa.
Da quel momento in poi, Giuffre raccontò, fu abusata regolarmente e addestrata come “schiava sessuale domestica.”
Maxwell la istruì sul silenzio, la sottomissione e le tecniche sessuali.
“Era tutto, fino a come fare un pompino, come stare zitta, essere
sottomessa, dare a Jeffrey ciò che voleva,” raccontò Giuffre. “Molto di quell’addestramento veniva da Ghislaine stessa.”
Sebbene disse di non aver mai visto Trump abusare di nessuna ragazza, Giuffre lo ricordava come parte del giro di Epstein.
“Non l’ho visto fisicamente fare sesso con nessuna delle ragazze… So solo che non è successo con me mentre ero con altre ragazze,” dichiarò.
In una deposizione successiva, negò che lui le avesse mai fatto avances.
Una fonte ha detto a RadarOnline.com: “L’immagine riemersa collega Trump, Melania, Epstein, Maxwell e il principe Andrea nello stesso luogo, allo stesso momento — sollevando nuove domande sulle smentite di Trump riguardo al suo legame con Epstein.
“Metterà ancora più pressione su di lui per la sua riluttanza a rivelare tutti i dossier Epstein, e potrebbe segnare la fine della sua carriera politica.”
Video e fotografie recentemente riemersi gettano nuova luce sui legami passati di Trump con Epstein.
Per la prima volta, immagini del 1993 confermano che Epstein era presente al matrimonio di Trump con Marla Maples, celebrato al Plaza Hotel di New York.
Fino a ora, la presenza di Epstein alla cerimonia non era mai stata documentata pubblicamente.
Ulteriori filmati, girati a una sfilata di Victoria’s Secret nel 1999 a New York, mostrano Trump ed Epstein ridere e conversare insieme prima dell’inizio dell’evento
Il video grezzo è stato scoperto dal KFile della CNN come parte
di una revisione degli archivi video delle apparizioni pubbliche di Trump negli anni ’90 e nei primi 2000.
Tra il materiale esaminato, almeno un video mostra i due uomini interagire.
RadarOnline.com ha riportato come Trump, sotto attacco, una volta avesse promesso di rendere pubblici tutti i file segreti su Epstein, dichiarando durante la campagna elettorale dell’anno scorso: “Non vuoi rovinare la vita delle persone se ci sono cose inventate là dentro.”
Ma ora, tornato alla Casa Bianca, fonti politiche ci hanno detto che la teoria del complotto che una volta ha alimentato rischia di travolgere la sua stessa amministrazione.
Il commentatore dell’estrema destra Nick Fuentes ha detto che Trump è diventato una “barzelletta” a causa della controversia.
Un recente sondaggio CNN ha inoltre mostrato che solo il 3 percento degli americani è soddisfatto di quanto è stato reso pubblico.
La teoria del complotto che una volta ha rafforzato Trump ora minaccia di “divorarlo completamente,” ci ha detto una fonte della Casa Bianca.
Matthew Acton
per radaronline
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Agosto 2nd, 2025 Riccardo Fucile
L’ACCADEMICO DI FAMA MONDIALE E STORICO DELL’OLOCAUSTO ACCUSA OGGI IL SUO PAESE_ “NPN E’ PIU’ GUERRA CONTRO HAMAS, E’ ANNIENTAMENTO DI UN POPOLO, ISRAELE NON HA UNA LICENZA DI GENOCIDIO”
Un “partito di Dio illiberale e razzista, speculare a Hamas” governa Israele — dice Omer Bartov a Fanpage.it. Sul peggior crimine del suo Paese ha le idee chiare: “A Gaza sono nel mirino le nascite, e questa è la prova più inquietante che è in corso un genocidio”, spiega. Intanto, il comportamento del governo Netanyahu e dell’IDF “alimenta l’antisemitismo”. E “il silenzio degli istituti ebraici che studiano l’olocausto contribuisce”. Secondo Bartov, è necessaria “una pressione internazionale fortissima” su Netanyahu e i suoi. Altrimenti, “non solo il genocidio andrà avanti, ma anche lo Stato ebraico non potrà sopravvivere: Israele finirà”.
La voce di Bartov, storico di fama mondiale specializzato sull’Olocausto e sui genocidi, pesa non solo per il prestigio accademico, ma anche per la sua biografia personale. Ebreo, israeliano, ha prestato a lungo servizio come ufficiale nell’IDF, l’esercito israeliano, negli anni ’70. Proprio a Gaza e in Cisgiordania. Oggi, accusa il suo stesso esercito, il suo governo e il suo paese d’origine di crimini contro l’umanità e di genocidio. Un mese dopo il 7 ottobre,aveva dato l’allarme ma non aveva ancora formulato l’accusa. Della quale adesso è più che
convinto. “Sono uno studioso di genocidi. Quando ne vedo uno, lo riconosco”: era l’occhiello di un saggio firmato da Bartov pochi giorni fa sul New York Times. Titolo: “Mai più”. L’articolo è diventato fulcro di un infuocato dibattito globale.
Quella che segue è l’intervista di Fanpage.it con Omer Bartov.
Professor Bartov, inizialmente non aveva definito genocidio ciò che accadeva a Gaza. Cosa le ha fatto cambiare idea?
“Dicevo già che poteva diventarlo. Nel novembre 2023 non c’erano ancora prove sufficienti, e “genocidio” è un termine da usare con molta cautela. Ma avvertivo anche allora che la campagna militare rischiava di andare in quella direzione — e così è stato.
Ciò che ha reso evidente il cambiamento è stata la coerenza tra i discorsi dei leader israeliani — “radiamo al suolo Gaza”, “privateli di cibo e acqua”, “sono animali umani” — e le azioni sul campo: distruzione sistematica, sfollamenti di massa, fame imposta, annientamento delle strutture vitali della società palestinese. Non è più una guerra contro Hamas. È qualcosa di molto più ampio e distruttivo. È genocidio”.
E rientra nella definizione legale di genocidio?
“Assolutamente sì. L’articolo 2 della Convenzione ONU sul Genocidio elenca atti commessi con l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso. Israele ha ucciso decine di migliaia di civili, imposto condizioni di vita intollerabili, causato danni fisici e psicologici enormi. Ma non è solo questione di vittime. Si tratta anche della distruzione delle infrastrutture, delle scuole, degli ospedali, dell’acqua, del cibo
E, in modo ancor più inquietante, si sono colpite le nascite: la capacità riproduttiva della popolazione. Le strutture ostetriche sono state bombardate, l’accesso alla sanità prenatale è crollato, e si registra un’esplosione di aborti spontanei. Le donne partoriscono tra le tende, sotto le macerie, senza anestesia né medici. Non sono effetti collaterali. Fanno parte della strategia. Quando uno Stato impedisce sistematicamente le nascite all’interno di un gruppo, è genocidio. L’obiettivo non è solo uccidere: è impedire che quel popolo abbia un futuro”.
C’è chi sostiene che queste siano solo le tragiche conseguenze di una guerra: Israele vuole colpire Hamas, i civili uccisi sono danni collaterali.
“Sarebbe plausibile se i danni fossero proporzionati e contenuti. Ma non lo sono. Gaza è stata devastata. Oltre il 70% delle infrastrutture è distrutto. Il 90% delle scuole non esiste più. La popolazione è stata spinta in aree del sud pari al 25% della Striscia. Israele dice che ne farà una “zona umanitaria”. In realtà è un campo di detenzione a cielo aperto.
E poi ci sono le dichiarazioni pubbliche: ministri israeliani parlano apertamente di “trasferire” i gazawi all’estero. Netanyahu ha detto che l’unico problema è trovare i paesi che li accolgano. Questo non è combattere Hamas. È rendere Gaza invivibile per spingere i suoi abitanti a fuggire. E, siccome non c’è nessun luogo dove possano andare, questo piano diventa genocidio”.
Lei ha servito per quattro anni nell’IDF, come ufficiale. Proprio a Gaza e in Cisgiordania. Territori occupati. Vide mai soldati israeliani comportarsi come si comportano oggi? Quando
secondo documentato dall’Onu, da altre organizzazioni e dai media uccidono anche civili innocenti?
“No. L’esercito in cui ho servito era del tutto diverso. Già allora — erano gli anni ’70 — avevo dubbi profondi sull’occupazione dei territori palestinesi. Ma comportamenti simili a quelli odierni non esistevano”.
Ha mai pensato allora che un giorno Israele potesse essere essere accusato, in modo credibile, di genocidio?
“Assolutamente no”.
C’è una frattura tra gli accademici dell’Olocausto e chi studia il genocidio. Perché molti istituti restano in silenzio su Gaza?
“Perché Israele è nato come risposta all’Olocausto. Era la garanzia che “mai più” sarebbe accaduto. Riconoscere che quello stesso Stato oggi commette un genocidio è devastante per molte persone. Viene considerato scandaloso. Anche se di scandaloso c’è solo il comportamento di Israele a Gaza. Molti preferiscono tacere. O peggio, accusano di antisemitismo chiunque sollevi dubbi.
Oggi la maggior parte degli studiosi di genocidio riconosce la realtà. È nel campo della memorialistica ebraica che c’è silenzio o negazione. Ma se usiamo la memoria dell’Olocausto per giustificare un altro genocidio, allora il motto “mai più” diventa una farsa”.
Secondo lei, questa posizione sta danneggiando l’educazione alla Shoah e alla memoria?
“Profondamente. Lo scopo della memoria dell’Olocausto era educare alla resistenza contro la disumanizzazione e l’odio. Ma oggi rischia di ridursi a un discorso tribale: ebrei che parlano di
ebrei, solo per gli ebrei. Così si perde la lezione universale. E si perde credibilità”.
Però è Hamas che ha cominciato, con i massacri del 7 ottobre. Questo non cambia niente per la responsabilità morale di Israele?
“Hamas è orribile. Nessun dubbio. Ha oppresso i gazawi. Ha avuto e ipoteticamente ha ancora intenti genocidi nei confronti della popolazione di Israele. Ha commesso crimini di guerra e contro l’umanità. Ma rispondere al terrore, ai crimini più raccapriccianti e ai più terribili intenti con il genocidio non ti rende certo migliore: il 7 ottobre non dava a Israele una “licenza di genocidio”.
Israele aveva alternative. Aveva dichiarato di volere la distruzione di Hamas e la liberazione degli ostaggi. Non è quel che poi ha perseguito. L’obiettivo è diventato quello di rendere inabitabile Gaza. E Gaza era già sotto assedio da 16 anni. Il cibo veniva razionato con calcoli calorici. Non era pace. Era repressione continua. Le forze che oggi governano quel che è diventato Israele in realtà hanno parecchie cose in comune, con Hamas”.
Si riferisce anche alla deriva clerico-religiosa del governo? Al governo in Israele c’è un “partito di Dio”?
“Esattamente: Un “partito di Dio”, come Hamas. E come Hezbollah (che in arabo significa proprio “Partito di Dio”, ndr). Più esattamente, in Israele governa un’alleanza tra etno-nazionalisti e fanatici religiosi. Eredi diretti del movimento Gush Emunim, che da subito dopo la guerra del 1967 inneggia alla “Grande Israele” biblica. La tendenza è messianica, antidemocratica, illiberale e per molti aspetti razzista
Anche per questo, Hamas e l’attuale governo israeliano sono speculari. E dipendono l’uno dall’altra. Si alimentano a vicenda. Netanyahu non ha mai voluto davvero eliminare Hamas. Anche se parla di una vittoria finale, mentre l’IDF devasta la Striscia, evita di dire chi prenderà il posto di Hamas. Perché l’unica opzione realistica sarebbe l’Autorità Palestinese — un incubo per il governo israeliano”.
Quindi, in realtà, non vuole una vittoria finale su Hamas…
“Ovviamente no. È una vittoria finale che non arriverà mai”.
Israele sta diventando uno stato apertamente autoritario e di apartheid?
“Sì. Se succede davvero, cosa resterà della morale di Israele che immaginavamo da giovani sionisti, che immaginavano i nostri padri? Nulla. Mio padre, che è morto nel 2016 a 90 anni, lo diceva già allora: Netanyahu distruggerà il sionismo. E aveva ragione”.
Lei è cresciuto in una famiglia fortemente sionista. È stato sionista? Lo è ancora?
“Certo che lo ero. Sono cresciuto in Israele, non era neanche una cosa su cui riflettere: come nascere in Italia ed essere italiano. Volevo che gli ebrei avessero diritto all’autodeterminazione, come qualsiasi altro popolo. Ma col tempo, il sionismo — nato come movimento di liberazione e di emancipazione, con un richiamo all’umanesimo — si è trasformato in un’ideologia di Stato sempre più etno-nazionalista, estremista, suprematista e violenta. Quel tipo di sionismo non mi interessa. Sta distruggendo il sionismo stesso, sta distruggendo vite palestinesi e sta distruggendo Israele. Perché, in queste condizioni, Israele
non potrà sopravvivere”.
Perché Israele non potrà sopravvivere così com’è oggi?
“Potrà continuare a esistere ancora per un po’, ma sarà un paese sempre più isolato. Le comunità ebraiche nel mondo non vorranno più essere associate a Israele. Non solo per imbarazzo, ma perché Israele, con la sua brutalità, alimenterà l’antisemitismo e lo legittimerà. E Stati così non durano a lungo. Israele finirà. Forse si trasformerà in qualcosa di migliore, ma prima ci saranno sangue e sofferenza. Io, probabilmente, non vivrò abbastanza per vederlo”.
Sempre più spesso si confonde Israele con tutti gli ebrei. L’antisemitismo si riaffaccia, prepotente…
“E gli antisemiti sono i principali responsabili dell’antisemitismo, va detto. Esisteva prima di Israele ed esisterà dopo. Ma Israele, con ciò che fa oggi, dà sempre più spazio agli antisemiti per uscire allo scoperto.
E non solo per le azioni attuali, ma per una politica israeliana che da molti anni identificava ogni critica a Israele come antisemitismo. Dopo il 7 ottobre, questo approccio è stato usato per silenziare critiche legittime, soprattutto in Europa e negli Stati Uniti — nelle università, nei media, nella politica.
Queste false accuse di antisemitismo finiranno per legittimare l’antisemitismo reale, perché la gente penserà che “gli ebrei” o “Israele” stiano censurando la libertà di espressione. È un effetto devastante di questa strategia israeliana, che sfrutta la Shoah o l’antisemitismo per evitare ogni critica”.
Emotivamente, come sta elaborando tutto questo? Che cosa significa per lei, come ebreo israeliano, come studioso della
Shoah, come ex soldato dell’IDF? Come ci si sente ad accusare pubblicamente il proprio Paese di genocidio?
“È molto deprimente. Senza nemmeno considerare che sono israeliano, che ho amici e parenti in Israele e che ci ho vissuto la prima metà della mia vita, anche solo come essere umano, vedere ciò che sta accadendo a Gaza è straziante.
Ed è molto triste il grado di negazione che c’è in Israele. È trasversale, nella politica, nei media e tra le persone. Gente che conosco si rifiuta di parlarne o mi rimprovera per le mie posizioni. Dicono che non capisco la complessità della situazione. Un giorno, forse, diranno: “In fondo lo sapevamo”.
Ma è qualcosa che conosco bene da altri regimi e da altri tempi: quando accade un genocidio, la maggior parte delle persone non pensa che stia davvero accadendo. Si nascondono”.
Non solo nei regimi di altri tempi ma anche in quelli di oggi. Si chiama conformismo. Vede un cammino possibile di redenzione o riconciliazione per Israele? Che cosa servirebbe, a livello politico, culturale, morale?
“Un percorso esiste. Ma bisogna afferrarlo. E non so se le persone lo faranno. In questo momento, non c’è alcuna dinamica di cambiamento. L’opposizione praticamente non esiste.
Ci sono persone meravigliose in Israele. Ma non hanno alcun impatto. Quindi penso che il processo debba partire dall’esterno. Deve cominciare con una forte pressione su Israele. Economica, militare, diplomatica. E che sia dolorosa per i cittadini.
Faccio parte di un’organizzazione che si chiama A Land for All, composta da palestinesi ed ebrei che lavorano insieme a una visione di confederazione, dove ebrei e palestinesi condividono
quello spazio. I numeri lo permettono: entrambe le popolazioni sono di circa sette milioni di persone. E credo che molti sarebbero favorevoli, se non fossero resi paranoici e terrorizzati l’uno dell’altro. Ma serve un innesco. E dev’essere uno shock forte”.
Dopo la Francia, altri 14 paesi stanno riconoscendo lo Stato di Palestina. È uno “shock forte”?
“Non ne viene niente alla popolazione di Gaza. Bisogna agire, prima di tutto, per fermare l’orrore e far arrivare aiuti massicci. Ma per il quadro più ampio, sì: è un inizio. Però serve molto di più. Israele ha sempre fatto concessioni solo quando è stato costretto a farlo. Quindi, serve ben altro. Sanzioni e azioni concrete. Incluso almeno un embargo parziale sulle armi. Perché senza questo, tutto il resto sono solo parole vuote. Serve di più. Molto di più”.
(da Fanpage)
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Agosto 2nd, 2025 Riccardo Fucile
MESSINA (NON INDAGATO) FA SAPERE CHE “NON SENTO E NON VEDO MELONI DA MESI, NEI PROSSIMI GIORNI VALUTERÒ SE PROSEGUIRE IL MIO MANDATO PARLAMENTARE” … NEL POST IN CUI HA ANNUNCIATO LA SUA DECISIONE, IL DEPUTATO HA FATTO RIFERIMENTO AL “VOLO DEI GABBIANI”, UN RICHIAMO AL NUCLEO STORICO DI COLLE OPPIO CHE FACEVA CAPO A FABIO RAMPELLI
Nelle stesse ore in cui le inchieste della procura di Palermo puntano contro la dirigenza
siciliana di FdI, uno dei big meloniani, Manlio Messina, lascia il partito. Nessun legame con le indagini, fa sapere l’ex vicecapogruppo, che non è indagato sebbene sia citato più volte nelle intercettazioni dei magistrati palermitani con lo pseudonimo di “Uomo 6”.
Il suo strappo arriva a poche ore proprio dall’audizione di fronte ai probiviri del partito del presidente dell’Assemblea regionale siciliana, Gaetano Galvagno, e dell’assessora regionale siciliana al Turismo, Elvira Amata.
A entrambi, i pm di Palermo hanno comunicato la chiusura di indagini a loro carico con l’accusa di corruzione. Un’inchiesta sull’utilizzo dei fondi pubblici dell’Ars e del governo regionale e, nel caso di Galvagno, accusato anche di peculato, sull’uso dell’auto blu.
È in questo clima che Messina decide di lasciare FdI: «Non aderirò ad altri partiti, né ora né in futuro — ha fatto sapere — Nei prossimi giorni valuterò con senso di responsabilità se proseguire il mio mandato parlamentare, continuando a sostenere il presidente Giorgia Meloni e il suo governo, oppure se concludere anticipatamente questa esperienza, lasciando anche il ruolo da deputato».
A proposito di Meloni, Messina spiega: «Non la sento e vedo da mesi. Con lei non ho nulla da chiarire perché avrà sempre il mio sostegno e la mia amicizia».
L’addio di Messina, in realtà, arriva al termine di un periodo in cui non erano mancati i segnali di malessere dell’ex numero due alla Camera di FdI.
Proprio dalla carica di vice capogruppo, infatti, Messina si era dimesso nel marzo scorso, nei giorni in cui, in Sicilia, era esploso il caso riguardante Carlo Auteri, deputato regionale accusato di avere indirizzato contributi dell’Ars ad associazioni a lui direttamente o indirettamente riconducibili.
Auteri, nel frattempo passato alla Dc di Totò Cuffaro, era considerato politicamente vicino a Messina. Già in quelle ore si era parlato di un possibile addio al partito.
Arrivato ieri, con una nota accorata, seguita da un post sui social nel quale Messina fa riferimento al volo dei gabbiani. Un chiaro richiamo alle origini del partito e al nucleo storico di Colle Oppio che faceva capo al vice presidente della Camera, Fabio Rampelli.
(da Repubblica)
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Agosto 2nd, 2025 Riccardo Fucile
“I CENTRI IN ALBANIA SONO IL PIÙ COSTOSO SCANDALO DEGLI ULTIMI ANNI. LA MELONI HA REGALATO SOLDI DEI CONTRIBUENTI AGLI ALBANESI PER UN’OPERAZIONE D’IMMAGINE”… “SUI DAZI HA FATTO L’INTERESSE DEGLI AMERICANI E NON DEGLI ITALIANI. E POI, DOVE SONO FINITI I 25 MILIARDI DI AIUTI PROMESSI DA GIORGIA?”
«I centri in Albania sono il più costoso scandalo degli ultimi anni» ci dice Matteo Renzi a proposito del pronunciamento della Corte europea, nel corso della sua intervista a PiazzAsiago (l’integrale sul nostro sito): «Ma il punto – prosegue – non sono solo le bocciature dei giudici, ma un sistema folle che non può funzionare. Lo dico ai veneti, ai padani, ai leghisti: avete visto dove vanno le vostre tasse? Giorgia Meloni ha regalato i soldi
dei contribuenti italiani agli albanesi per un’operazione tutta di immagine».
Quel modello dei Paesi terzi non funziona, ma va di moda anche nelle sinistre europee, da Starmer alla Spd
«Giorgia Meloni è una influencer: ha un racconto securitario ma poi aumentano i reati tra i minorenni. La sinistra, tra chi dice “accogliamoli tutti” e chi scimmiotta la destra, ha un problema enorme con la sicurezza. Solo una volta è riuscita ad affrontarlo con Blair, che la declinò in chiave riformista in tre punti: legge e ordine, lotta al crimine e alle cause del crimine, educazione».
Non rivendica l’esperienza del governo Gentiloni?
«No. Io non ho voluto firmare accordi coi tagliagole libici. Né ho rimpatriato criminali su voli di stato come ha fatto poi Meloni».
Da segretario del Pd non si dissociò e poi voleva candidare Minniti segretario.
«Non facciamo un dibattito retrospettivo. Parliamo dell’oggi».
A proposito di economia: quanto i dazi cambiano il clima attorno al governo Meloni?
«Per l’Europa è stata una Caporetto, e il governo italiano è stato imbarazzante. Piegandosi ai diktat di Trump, Meloni ha dimostrato di non essere una patriota. Lei ha fatto l’interesse degli americani e non degli italiani. Volevano far credere che la premier fosse il ponte con gli Usa, la verità è che questa storia dimostra che il sovranismo fa male all’Italia».
Confindustria, Coldiretti, e categorie non ostili al governo lanciano l’allarme. Si sta incrinando qualcosa nel blocco sociale del centrodestra
«A queste associazioni dico: svegliatevi! Sostenere questo governo ormai è puro masochismo. E poi, dove sono finiti i 25 miliardi di aiuti promessi da Giorgia ad aprile per i dazi? Di certo la prossima Finanziaria sarà un problema: tra spese militari, costi dei dazi, vincoli del patto di Stabilità aggraverà una situazione economica già segnata da una crescita bassa».
Pensa che Meloni, a fronte di questo quadro, possa essere tentata dal voto anticipato?
«No, perché, detta in prosa, l’indennità di pensione scatta se il Parlamento fa quattro anni, sei mesi e un giorno. Si andrà a votare ragionevolmente nel maggio del ’27»
«Per supplire all’assenza di risultati e di fronte a un Paese affaticato su caro-vita e salari bassi, tirerà fuori dal cilindro la trovata a effetto. Dirà: alcune cose l’ho fatte, altre me le hanno impedite, ora datemi il consenso per andare al Quirinale dopo Sergio Mattarella. Le politiche come presidenziali di fatto. Chiederà i pieni poteri in modo più elegante di Salvini al Papeete».
Diceva: Tony Blair. Ora, bene che vada, farete un’ammucchiata modello Unione
«certo anche io preferivo un Pd diverso. Ma Schlein ha vinto e il Pd oggi non è quello di dieci anni fa. Prendiamone atto e costruiamo una tenda riformista che bilanci Avs, Cinque stelle e nuovo Pd».
Un film che già non ha funzionato con l’antiberlusconismo. Coalizioni contro che poi non governano.
«Questo governo è molto peggio dei governi Berlusconi. E questo non è un dettaglio. Di fronte a un governo arrogante, che spia i giornalisti, che esercita il golden power in modo spudorato
e scorretto, che abusa del potere il centrosinistra ha il dovere di mettersi insieme. Certo, il collante non può essere solo fermare Giorgia Meloni: servono idee per il Paese. E bisogna partire dall’Italia reale: il costo della vita, stipendi che non crescono, esodo clamoroso dei nostri giovani all’estero, la denatalità. Alla Leopolda presenteremo le nostre proposte».
E chi la tiene assieme questa coalizione?
«Sono laico. Si può usare il metodo scelto dal centrodestra: va a Palazzo Chigi chi ha preso più voti. Oppure si fanno le primarie. Terza ipotesi, che non considero probabile, un federatore. A legge vigente, la prima scelta sarebbe quella più logica come proposto da Dario Franceschini. Ma Giorgia Meloni vuole cambiarla, e questo è un segnale di insicurezza. Vuole una legge che preveda di mettere sulla scheda elettorale il nome del candidato premier, pensando così di mandare in tilt il centrosinistra. In questo caso, la strada più semplice sarebbero le primarie. In ogni caso i nomi vengono dopo: Meloni vuole prendersi tutto, da Chigi al Colle. Costruire l’alternativa è un dovere per evitare i pieni poteri».
(da La Stampa)
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