Destra di Popolo.net

AUGURO’ LO STUPRO ALLA CONSIGLIERE DI MUNICIPIO GIULIA PELUCCHI, MA IL MAGISTRATO CHIEDE L’ARCHIVIAZIONE NON SI SA IN BASE A QUALE MOTIVAZIONE

Agosto 7th, 2025 Riccardo Fucile

COMUNQUE SE UNO DEVE PROVVEDERE DA SOLO A FARSI GIUSTIZIA BASTA INTEGRARE IL CODICE PENALE E IL PROBLEMA E’ RISOLTO

“Non vedo l’ora che ti entrino nella tua casina […] e si divertiranno un po’…”. Da qui è partita la denuncia della presidentessa del Municipio 8 del Pd Giulia Pelucchi per la quale in questi giorni è stata chiesta l’archiviazione. “Abbiamo deciso di fare opposizione. Il senso? Dobbiamo chiederci qual è il limite che si può raggiungere prima che vengano presi dei provvedimenti”, ha commentato Pelucchi a Fanpage.it. “Decisioni come queste non fanno altro che avvallare comportamenti di questo genere, se invece si iniziasse a prendere posizione e a far capire che non si può dire e scrivere tutto quello che si vuole forse la situazione potrebbe migliorare”.
Stando a quanto appreso, ieri pomeriggio, martedì 5 agosto, l’avvocato Alessandro Giungi, consigliere comunale del Pd, ha depositato un atto formale di opposizione presso il tribunale di Milano. “Giulia è stata minacciata di violenza sessuale, accusata di essere una ladra e vicina a personaggi violenti”, ha riferito il legale. “È inaccettabile che tutto questo venga archiviato”.
Per questo serve opporsi. Per farlo, Pelucchi ha svelato a Fanpage.it il tema alla base dell’opposizione che “si baserà sulla sentenza Boldrini” del 2019: il tribunale di Savona aveva condannato il sindaco leghista di Pontinvrea, Matteo Camiciottoli, per aver “augurato” uno stupro all’ex presidente della Camera Laura Boldrini. Una sentenza che – di fatto – è diventata uno spartiacque stabilendo che la rete non è una zona franca dove vige il libera tutti. “Ora le donne si possono difendere, da chiunque si permetta all’improvviso di accanirsi contro di loro”, aveva commentato a Fanpage.it Laura Boldrini. “Se mi diffami sui social network ne devi rispondere”.
Il senso della questione, infatti, per Pelucchi è proprio questo:
iniziare a mettere dei paletti, porre dei limiti e, con essi, impostare una direzione. “Capire qual è il limite che si può raggiungere prima che vengano presi dei provvedimenti” e comprendere che queste decisioni “continuano ad avvallare comportamenti sbagliati”, soprattutto contro le donne. Perché “la questione di genere c’è anche qui, è evidente”, ha concluso Pelucchi a Fanpage.it. “L’atteggiamento che gli uomini utilizzano per relazionarsi con le donne online è tendenzialmente aggressivo e, nella maggior parte dei casi, questa aggressività arriva purtroppo ad augurare la violenza sessuale”.
Dunque, per disincentivare questa tendenza, servirebbe – secondo la presidentessa – un pugno fermo “anche nelle sentenze che vengono emesse che hanno il potere di dare una direzione chiara da seguire”. Ora tale direzione, in primis, verrà impostata proprio dal giudice che è chiamato a esprimersi sulla richiesta di opposizione presentata da Pelucchi: se accoglierla o respingerla e, con lei, i limiti e le tutele che sui social possono essere accettati o meno.
(da agenzie)

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IL GOVERNO MELONI AMMETTE CHE SENZA MIGRANTI L’ECONOMIA ITALIANA NON REGGE

Agosto 7th, 2025 Riccardo Fucile

BENVENUTA NEL MONDO REALE, NOI LO DICIAMO DA ANNI

Non servono editoriali indignati né prese di posizione progressiste per affermare che l’immigrazione regolare è oggi un elemento vitale per la tenuta dell’economia italiana. A sostenerlo, però, questa volta, è direttamente il governo guidato da Giorgia Meloni, attraverso le parole messe nero su bianco nella relazione tecnica che accompagna il decreto flussi per il triennio 2026-2028. Un documento firmato dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, che, con un linguaggio tecnico ma inequivocabile, riconosce che la crescita economica italiana dei prossimi anni dipenderà in larga parte dall’ingresso programmato di quasi mezzo milione di lavoratori stranieri. È una dichiarazione che sorprende, se si considera la narrazione
pubblica dell’esecutivo, da sempre incentrata sulla necessità di “fermare gli sbarchi” e proteggere i confini. Eppure, nella pianificazione reale delle politiche migratorie, emerge una consapevolezza molto diversa: senza un flusso costante e ordinato di manodopera estera, il sistema produttivo non sarà in grado di reggere la pressione del ricambio generazionale e delle trasformazioni demografiche in corso. Le stesse imprese, d’altronde, segnalano da anni una crescente difficoltà nel reperire personale nei settori chiave: dall’agricoltura alla logistica, dall’edilizia all’assistenza familiare.
Il lavoro che gli italiani non fanno più
Il decreto, approvato ufficialmente lo scorso 3 luglio, prevede l’ingresso di 497mila lavoratori stranieri regolari in tre anni. Non sarebbe solo una questione di numeri: la novità sta nella cornice politica in cui questo provvedimento viene collocato. Palazzo Chigi afferma infatti che il canale dell’immigrazione legale non è soltanto uno strumento di controllo o di gestione dei flussi, ma l’unica leva concreta per garantire continuità e competitività al sistema economico italiano. Non si parla più solo di tolleranza, ma di necessità strutturale.
C’è poi anche un secondo obiettivo, più strategico: rafforzare i percorsi regolari di ingresso per rendere più credibile il contrasto all’immigrazione irregolare; in questa visione, l’espansione degli ingressi autorizzati serve non solo a coprire le carenze del mercato del lavoro, ma anche a costruire relazioni più stabili con i Paesi di origine e a limitare i fenomeni di sfruttamento e lavoro nero. In altre parole, il governo sembra voglia promuovere una migrazione “funzionale”, che si integri con le esigenze
produttive nazionali e allo stesso tempo contribuisca a svuotare il campo alle rotte irregolari.
Dal click day alla programmazione triennale
Rispetto al passato, l’incremento è evidente: dai poco meno di 70mila ingressi autorizzati nel 2021 si passerà a oltre 160mila già nel 2026. Il meccanismo dei “click day”, spesso criticato per la sua inefficienza, verrà gradualmente superato da una programmazione triennale più stabile e prevedibile. Il documento, insomma, sembra mostrare il volto meno ideologico dell’attuale governo: quello che, almeno sulla carta, riconosce come indispensabile ciò che spesso viene descritto come un problema da arginare. E che, pur mantenendo una retorica pubblica intransigente, si ritrova a fare i conti con una realtà ineludibile: l’Italia senza migranti non può andare avanti. E questa volta, non lo dice la sinistra. Lo dice Palazzo Chigi.
(da agenzie)

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MELONI IN PIENO DELIRIO DI ONNIPOTENZA VEDE I FANTASMI: ”DAI MAGISTRATI VEDO DISEGNO POLITICO PER FERMARCI, IO NON SONO UN CONTE QUALUNQUE”

Agosto 7th, 2025 Riccardo Fucile

LA RISPOSTA DEL LEADER M5S: “NON SONO CERTO UNA MELONI QUALSIASI, LEI E’ RICATTABILE?”

La premier torna a difendere i ministri indagati per il caso del rimpatrio del generale libico. E attacca la magistratura e l’ex premier pentastellato, che «faceva finta di non sapere che cosa facesse il suo ministro degli Interni»
«Io vedo un disegno politico intorno ad alcune decisioni della magistratura», dice la premier Giorgia Meloni intervistata dal Tg5 dopo gli ultimi scontri con la magistratura riaccesi sul caso Almasri. «Particolarmente le decisioni che riguardano i temi dell’immigrazione – dice Meloni – come se in qualche maniera ci volesse frenare la nostra opera di contrasto all’immigrazione illegale».
Meloni ha definito «surreale» la richiesta di autorizzazione a procedere per i ministri Nordio, Piantedosi e il sottosegretario Mantovano. «Hanno agito nel rispetto della legge per tutelare la sicurezza degli italiani, non governano a mia insaputa», ha spiegato la presidente del Consiglio.
«Io non sono Alice nel Paese delle Meraviglie, sono il capo del governo e non sono neanche, diciamocelo, un Conte qualsiasi – attacca Meloni – che faceva finta di non sapere che cosa facesse il suo ministro degli Interni», riferendosi al comportamento di Conte nel caso Open Arms con Matteo Salvini.
La risposta di Conte: «Meloni è ricattabile?»
Il presidente del M5S Giuseppe Conte ha risposto con un video su Facebook, rivolgendosi direttamente alla premier: «Non sono certo una Meloni qualsiasi… Lei è ricattabile?» Conte ha accusato il governo di aver fornito versioni contraddittorie: «Il governo ha mentito anche al Parlamento, fornendo 5, 6, 7 versioni diverse per quanto riguarda le ragioni che hanno portato a offrire un salvacondotto a chi è accusato di stupri di bambini e di crimini contro l’umanità».
I dubbi sulle modalità del rimpatrio di Almasri
Conte ha sollevato dubbi sulle modalità con cui è stato gestito il caso: «Gli hanno offerto un volo di Stato con tutti gli onori per rimpatriarlo in Libia. Non c’è ancora chiaro perché lo hanno fatto». Conte ha evidenziato che «alcuni ministri sono indagati per favoreggiamento, peculato e omissione di atti di ufficio» e ha concluso con una serie di domande: «Perché tutto questo? Giorgia Meloni è sotto ricatto? L’intero governo è sotto ricatto?
(da agenzie)

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PER UNA SPOLVERATA DI PEPE SULLA PIZZA DEVE PAGARE UN SUPPLEMENTO, IL CONTO PICCANTE DI UNA PIZZERIA DI BARI

Agosto 7th, 2025 Riccardo Fucile

L’ENNESIMO CASO CHE ALIMENTA LA POLEMICA SUI PREZZI DEI RISTORANTI E PIZZERIE IN PIENA ESTATE… E SUI GIORNALI STRANIERI FINIAMO SEMPRE PER FARE LA FIGURA DEGLI APPROFITTATORI

Dopo il lettino a peso d’oro e gli spaghetti all’assassina a 18 euro, arriva un nuovo caso di scontrino pazzo dall’estate pugliese. Stavolta è successo nel cuore di Bari dove, in una pizzeria del centro, un cliente residente in città si è visto addebitare 50 centesimi in più per una spolverata di pepe sulla pizza. La vicenda è stata raccontata dal Corriere del Mezzogiorno. Una richiesta semplice, che però si è trasformata in un piccolo caso virale: tra le voci dello scontrino, oltre alle due pizze, l’acqua una birra e il coperto, spunta anche un “+Pepe”. Un aggiunta evidentemente del tutto inattesa dal cliente, legata al condimento extra. La foto del conto è finita subito online, alimentando l’ormai consueta ondata di indignazione social contro i rincari ritenuti eccessivi o ingiustificati nei locali delle mete turistiche.
Il caro prezzi delle vacanze pugliesi
Quello di Bari è solo l’ultimo caso di un fenomeno che sembra essere ricorrente nelle destinazioni estive, specialemente nel Sud Italia. Il caro prezzi , soprattutto in Puglia, torna puntuale ogni anno e riguarda ogni aspetto delle vacanze: dai voli per raggiungere le mete, alla spiaggia con lettini e ombrelloni proposti a prezzi sempre maggiori. Coinvolto anche il settore dell’ospitalità, tra alberghi e Bed and Breakfst, e quello della ristorazione, con delle ricadute anche sul caro vita della popolazione residente, come in questo caso. Proprio a Bari, poche settimane fa, aveva fatto discutere la scelta di un locale di proporre la celebre “assassina”, un piatto della tradizione popolare barese a 18 euro, o anche le orecchiette con le cime di rapa a 17 euro. Piatti storicamente poveri, ma che perdono la loro essenza sotto i colpi dei rincari turistici.
(da agenzie)

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SE SI PUÒ DARE UN CALCIONE AI PIÙ DEBOLI, LA MELONI È SEMPRE IN PRIMA FILA: IL GOVERNO IMPUGNA LA NORMA SUL SALARIO MINIMO GARANTITO APPROVATA IN TOSCANA

Agosto 7th, 2025 Riccardo Fucile

LA LEGGE INTRODUCEVA, NELLE GARE AD ALTA INTENSITÀ DI MANODOPERA, UN PREMIO PER LE AZIENDE CHE APPLICAVANO UN SALARIO MINIMO ORARIO NON INFERIORE A 9 EURO LORDI … IL GOVERNATORE EUGENIO GIANI PROMETTE BATTAGLIA ED È PRONTO AD APPELLARSI ALLA CONSULTA, ELLY SCHLEIN BOLLA L’AZIONE COME “SCANDALOSA”

Il governo Meloni alza il cartellino rosso contro la norma approvata in Toscana sul salario minimo garantito. L’altolà arriva dal consiglio dei ministri, che ha impugnato una legge che è anche una bandiera del Partito democratico: la norma regionale introduceva nelle gare ad alta intensità di manodopera basate sul criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa una premialità per le aziende che applicano un salario minimo orario non inferiore a 9 euro lordi. Lo stop del governo è arrivato perché la legge toscana sarebbe in contrasto «con la normativa statale in materia di tutela della concorrenza».
Per la segretaria del Pd, Elly Schlein, il governo Meloni «ha paura del salario minimo», che invece è «una legge di civiltà». Secondo la leader dem «è scandaloso, considerato che le famiglie non riescono ad arrivare alla fine del mese per le bollette alte e gli stipendi bassi»
Promette battaglia il governatore Eugenio Giani, che difende
l’obiettivo del provvedimento «di tutelare gli stipendi dei dipendenti delle aziende che lavorano, in appalto, per la pubblica amministrazione». Giani è pronto ad appellarsi alla Consulta «per difendere con determinazione questa legge e il principio che la ispira: il lavoro deve essere giusto, sicuro e retribuito in modo equo».
Insorgono i deputati dem alla Camera, secondo cui «il governo Meloni è diventato soltanto un organo di propaganda politica»: il riferimento è alla promessa della Zona economica speciale nelle Marche, dove al Francesco Acquaroli di FdI, sfidato da Matteo Ricci, punta al bis.
Per il co-portavoce di Avs Nicola Fratoianni «è più forte di loro: quando qualcuno vuole tutelare i più deboli, i lavoratori e le lavoratrici, a mettere i bastoni fra le ruote ci pensa il governo Meloni: una destra nemica della povera gente e di chi fatica ad andare avanti».
Ma quello alla norma toscana non è l’unico stop che arriva da Palazzo Chigi: a essere bloccata è anche la norma approvata dalla Regione siciliana che consentiva di riservare una quota di posti nei concorsi pubblici in sanità per i medici non obiettori. In un’isola in cui il diritto all’aborto non sempre viene garantito alle siciliane che hanno a disposizione poche strutture e pochissimi medici, la norma – complice il voto segreto – aveva ricevuto il favore anche di consiglieri del centrodestra. Infine stop alla legge approvata nella Sardegna guidata dalla 5Stelle Todde che recepiva, ma non in tutte le sue parti, il Salva casa voluto da Salvini: la norma lasciava a 28 metri quadri la superficie minima dei monolocali. Portata invece a 20 dalla legge nazionale.
(da La Repubblica)

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ALASSIO, LA SPIAGGIA PIU’ CARA D’ITALIA E CON APPENA META’ DELL’ARENILE LIBERO PREVISTO DALLA LEGGE

Agosto 7th, 2025 Riccardo Fucile

DATI ALTROCONSUMO: PER UNA PRIMA FILA LETTINO E OMBRELLONE CI VOGLIONO 345 EURO… ADICONSUM: “IN LIGURIA HANNO FATTO DI TUTTO PER FAVORIRE LA LOBBY DEI BALNEARI”

Dal “budello” alla spiaggia ci sono pochi metri. E se, nel celebre caruggio delle boutique parallelo alla costa, il vostro portafoglio non sarà stato prosciugato, sappiate che il vostro bancomat soffrirà anche per potersi concedere un tuffo e qualche ora di abbronzatura.
Siamo ad Alassio e i granelli di sabbia, qui, valgono oro.
Una legge della Regione Liguria impone, ma meglio sarebbe usare il condizionale, a tutti i comuni della riviera di garantire almeno il 40% di spiagge libere (e nel computo ci sono anche quelle attrezzate, che spesso mascherano una vera e propria privatizzazione). Ad Alassio, di arenile libero c’è appena il 20%, quasi un record, in negativo.
Ma la cittadina rivierasca in provincia di Savona quest’anno detiene, secondo il dossier di Altroconsumo, un altro record, quello, appunto, della spiaggia privata più costosa d’Italia: ombrellone e lettini, al di là della prima fila a 345 euro, per una settimana in spiaggia, il prezzo medio delle prime quattro file è di 340 euro. Se siete fortunati – capita in due casi su 26 – è compresa anche una sedia e in un caso anche una cabina.
Non è una novità. Alassio dagli anni ’50 del secolo scorso è sempre stata il centro più chic della riviera di ponente e comunque quello più vivace per la vita notturna. A iniziare dall’epoca d’oro del concorso di bellezza Miss Muretto, seguito dal Più bello d’Italia, per continuare con concerti, eventi, iniziative. E poi discoteche e ristoranti. La clientela è soprattutto formata da piemontesi e lombardi.
Un tempo l’offerta alberghiera era ampia ma molte strutture sono state trasformate in seconde case e oggi in b&b che, nel “budello” di via XX Settembre, raggiungono prezzi in competizione con Portofino e Montecarlo.
Paradossalmente, Alassio non ha un vero e proprio lungomare, anzi ce l’ha ma senza vista. Colpa del “muro”, non il muretto delle miss, bensì la palizzata di legno senza soluzione di continuità formata dal retro di cabine e strutture. La spiaggia
infatti è ridottissima e ogni metro utile viene sfruttato. Nel 2018 la mareggiata che colpì la Liguria ridusse praticamente a una sola fila di ombrelloni molti stabilimenti che videro gli incassi crollare. Ma con il mare calmo il guadagno è garantito.
La battaglia di Mare Libero
Contro Alassio e gli altri comuni che hanno di fatto privatizzato il litorale conduce da anni una dura battaglia Stefano Salvetti, referente regionale di Mare Libero e referente nazionale spiagge Adiconsum.
«Purtroppo, in Liguria, si è fatto di tutto per favorire la lobby dei balneari, prima con la possibilità di trasformare una libera attrezzata in un simil stabilimento, poi con gli emendamenti voluti dal consigliere regionale Rocco Invernizzi, la cui sorella gestisce ad Alassio uno stabilimento, che consentiranno di non rispettare il vincolo del 40% di spiagge libere in caso di rinnovo. Una grande porcata, quando i Comuni in teoria potrebbero riprendersi tutto» dice Salvetti.
Un tema quello dell’assenza di spiagge libere che in Liguria è esploso di nuovo pochi giorni fa con il caso di Monterosso al Mare alle Cinque Terre dove gli ombrelloni sono ormai quasi sul bagnasciuga.
Stefano Bigliazzi, presidente regionale per la Liguria di Legambiente evidenzia inoltre la “truffa della mappatura”. «Nel conteggio delle spiagge libere – spiega Bigliazzi – possiamo notare una curiosità, chiamiamola così. Nel conteggio delle, per altro pochissime, spiagge libere della nostra regione compaiono anche tratti di costa alle foci di fiumi e torrenti. Nel nostro dossier ne abbiamo indicate due in Liguria, una a Deiva e l’altra
a Finale Ligure. incredibile che si possa annoverare nel computo tratti di costa che devono essere invece considerati non fruibili».
(da La Repubblica)

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