Agosto 15th, 2025 Riccardo Fucile
I SUPERSTITI NON HANNO ANCORA POTUTO SALUTARE I PROPRI DEFUNTI
La puzza di cadavere si insinua tra le macchine in coda sopra il cimitero di Cala
Pisana. All’una e mezza di notte la fila di gente in attesa di entrare in discoteca è ancora lunga, mentre qualche metro più in basso, nella camera mortuaria di Lampedusa, i corpi annegati mercoledì scorso stanno andando in putrefazione.
Sono ancora tutte lì le 23 bare, ammassate una sull’altra, apparentemente in una stanza non refrigerata. Nessuno può vederle, nessuno può pregarle, neanche i parenti sopravvissuti al naufragio.
A Lampedusa regna ancora il silenzio sull’ultima tragedia consumatasi mercoledì scorso a poche miglia dalle sue coste. Non sappiamo se e quando verranno trasferite le 23 salme recuperate in mare, non è chiaro quante siano le persone ancora disperse, l’unica certezza è che ad oggi nessuno tra i sopravvissuti ha ancora potuto dare un ultimo addio ai propri familiari e compagni di viaggio. Neanche il giovane che l’altro
ieri ha perso suo fratello, neanche la madre che mercoledì in questo mare ha visto scomparire il marito e la figlia di 18 mesi. È probabile che nessuno di loro potrà mai avere un momento di intimità con le bare ne tanto meno con le salme, dato che oggi pomeriggio la Procura di Agrigento, che sta indagando per naufragio colposo a carico di ignoti, ha già dato il via libera al seppellimento e adesso la Prefettura sta cercando le sistemazioni nei vari cimiteri della provincia.
“Mercoledì le salme sono state messe direttamente dentro le bare e portate al cimitero, com’è possibile che i sopravvissuti non le abbiano potute vedere e riconoscere? Le scuse che si possono accampare sono varie, come per esempio che i cadaveri sono in cattive condizioni e mille altre cose, ma la verità è che il riconoscimento avviene solo quando ci sono dei parenti stretti – in questo caso manco quello – ma in realtà le persone molto spesso parlano di fratelli, di cugini, di zii che sono persone con cui magari non c’è un legame strettissimo di sangue, ma con le quali c’è un vissuto condiviso e quindi sarebbero persone assolutamente in grado e in diritto di riconoscerle, di salutarle, di scegliere loro stessi se se la sentono di dare un ultimo saluto a persone a cui hanno voluto bene o meno”, spiega Francesca Saccomandi operatrice di Mediterranea Hope della federazione Chiese Evangeliche d’Italia, “ma questo purtroppo non è l’obiettivo delle autorità e dare un nome e fare giustizia alle vittime resta completamente in mano agli sforzi della società civile. Sono anni che noi cerchiamo di far sì che questo avvenga, continuando a inoltrare richieste alla prefettura, continuando a presentarci davanti all’hotspot per chiedere di poter almeno
proporre alle persone di riconoscere e salutare i propri cari defunti, di proporre alle persone dei momenti collettivi di saluto. Questa possibilità non c’è mai stata concessa, soprattutto dal 2020, quando l’hotspot è stato chiuso in modo ermetico. Quella di riconoscere e salutare i propri cari defunti continua ad essere un’esigenza che viene completamente dismessa in nome della sicurezza, in nome di un approccio decisamente paternalistico nei confronti delle persone che sono sopravvissute”.
La sensazione, però, è che in questi giorni ci sia anche una volontà specifica di rendere il più silenzioso possibile questo naufragio: mentre al molo Favaloro continuano a sbarcare centinaia di persone, circa 290 solo ieri, e non si fermano le ricerche dei restanti dispersi, i turisti nell’isola non si accorgono quasi di nulla. A parte qualcuno che casualmente mercoledì mattina stava rientrando in porto dopo una festa in barca quando è stata trasportata la salma della neonata. “Abbiamo visto il corpo di quella bimba ed è stato straziante, abbiamo pensato che noi stavamo in barca a ballare senza accorgerci che nello stesso mare stavano affogando delle persone”, hanno raccontato una coppia di turisti sull’isola per ferragosto.
Intanto le autorità continuano a parlare a stento, il sindaco ieri sera ha detto di non sapere nulla su quando avverrà la tumulazione delle 23 bare e neanche se e quando verranno trasferite.
Alle 21:30 una messa ristretta e una breve fiaccolata è stata l’unica commemorazione fatta dalla popolazione locale: “è successo adesso, ad agosto, quando l’isola è piena di turisti – ha dichiarato una delle donne presenti – ma noi dobbiamo pensare
anche a chi è morto, a chi è vittima di quest’atra tragedia. I bambini non dovrebbero morire così, come neanche gli adulti”.
(da Fanpage)
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Agosto 15th, 2025 Riccardo Fucile
NEL 1987 LA SUA PRIMA VISITA NELLA CAPITALE RUSSA. E QUI INIZIA IL MISTERO: SECONDO UN EX AGENTE KAZAKO DEL KGB I SERVIZI DELL’URSS, IL FUTURO PRESIDENTE USA FU RECLUTATO GRAZIE A UN “KOMPROMAT”, CHE COMPRENDEVA MATERIALI A SFONDO SESSUALE,,, I FONDI RUSSI NELLE SOCIETÀ DI TRUMP, LE PRESUNTE INTERFERENZE ELETTORALI E IL GIALLO DEL PRIMO INCONTRO NEL 2017: PERCHÉ ORDINÒ ALL’INTERPRETE DI NON RIVELARE NIENTE, E DISTRUSSE GLI APPUNTI?
«Pensate che Putin verrà al concorso di Miss Universo a novembre? E se verrà, diventerà il mio migliore amico?», si chiedeva garrulo in un non dimenticato post su Twitter Donald Trump.
Correva l’anno 2013 e il tycoon newyorkese stava per portare a Mosca lo spettacolo di cui deteneva i diritti insieme alla Nbc .
È sempre stata un’ossessione, la Russia, per Trump. Sin dal 1986, quando durante una cena in cui era seduto accanto all’ambasciatore sovietico all’Onu, Yuri Dubinin, gli parlò del suo sogno di costruire una Trump Tower a Mosca in una joint venture con il Cremlino.
La sua prima visita nella capitale sovietica risale all’anno dopo. E qui, inizia il mistero. Secondo un ex agente kazako che aveva lavorato per il Kgb, Alnur Mussaiev, fu in quell’occasione che i servizi della Lubianka reclutarono Donald Trump, nome di copertura Krasnov, grazie a un corposo Kompromat , che comprendeva materiali a sfondo sessuale.
Nessuno ha mai provato l’accusa. Ma due cose sono certe: la prima è che a partire dagli anni 2000, come ha ammesso il figlio Donald Jr, fondi privati russi sono entrati negli affari immobiliari e nelle proprietà del tycoon.
La seconda sono le lodi sperticate che da sempre Trump ha elargito a Vladimir Putin, al quale nel 2015, un anno dopo l’annessione della Crimea, assegnò un «10» in leadership.
Sin dal 2017, quando entrò la prima volta alla Casa Bianca, Trump non è mai riuscito a liberarsi dal sospetto di un rapporto inquietante con Putin. La drammaturgia dei loro incontri lo ha rafforzato. La prima volta si videro al G20 di Amburgo: subito dopo un faccia a faccia senza collaboratori, il presidente americano si fece consegnare le note dall’interprete, ordinandogli di non rivelare ad alcuno quanto aveva sentito.
Quella sera stessa, alla cena ufficiale, Trump a un certo punto lasciò il posto a tavola assegnatogli, prese una sedia e si piazzò accanto a Putin, conversando con lui senza che alcun funzionario del suo staff fosse presente.
Ma il vertice più celebre resta quello russo-americano di Helsinki, nel 2018, dove parlarono a lungo senza testimoni e alla fine Trump in conferenza stampa smentì l’Fbi, dicendo di credere a Putin, che nei colloqui aveva negato ogni interferenza russa nelle presidenziali americane del 2016.
Nei quattro anni tra il primo e il secondo mandato, Trump e Putin ebbero almeno sette conversazioni private. Nel febbraio 2022, […] per commentare l’invasione russa dell’Ucraina, Trump applaudì all’audacia dell’azione, definendo Putin «un genio che ama il suo Paese». Da quando è tornato alla Casa Bianca, il presidente repubblicano ha messo il turbo ai rapporti con Putin, senza tuttavia cavare un ragno dal buco.
Anche quando minaccia sanzioni, Trump non sembra credere alle proprie minacce, mentre Putin come nel gioco delle tre carte, gli fa balenare sull’Ucraina scambi di territori che non sono tali e promesse (concrete) di cooperazione sull’Artico. Anche questa volta, all’inizio, si vedranno senza testimoni, solo con gli
interpreti. Come in un vertice tra capi di Cosa Nostra. Due cose continuiamo a ignorare: Donald Trump ha investito in Russia? O la Russia ha investito in Donald Trump ?
(da agenzie)
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Agosto 15th, 2025 Riccardo Fucile
QUATTRO ANNI DOPO IL RITIRO USA, A KABUL TUTTO È GOVERNATO DALLA SHARIA: LE DONNE, CHE SENZA I TALEBANI ERANO TORNATE LIBERE, NON POSSONO MUOVERSI LIBERAMENTE SENZA ACCOMPAGNATORI MASCHI, NON STUDIANO E NON LAVORANO. DIECI MILIONI DI PERSONE SOFFRONO CARENZE ALIMENTARI, E UN TERZO DELLA POPOLAZIONE NON HA ACQUA POTABILE
I talebani celebrano il quarto anniversario del loro ritorno al potere in Afghanistan,
incoraggiati dal riconoscimento del loro governo da parte della Russia e nella speranza che altri Paesi seguano l’esempio.
Sono previste parate in diverse città, tra cui il centro di Kabul, dove si prevede che gli elicotteri lanceranno fiori. Le bandiere bianche e nere dell'”Emirato Islamico dell’Afghanistan” saranno issate per il “Giorno della Vittoria”, che segna la riconquista della capitale, il 15 agosto del 2021. Già ieri sera esponenti talebani si sono radunati a un incrocio che porta all’ambasciata statunitense, accendendo fuochi d’artificio e sventolando grandi bandiere.
Il 15 agosto di quattro anni fa i talebani riprendevano il controllo
dell’Afghanistan, trascinando il paese in una crisi umanitaria profonda, in un clima di censura che reprime ogni forma di dissenso e relega il ruolo delle donne ai margini della società afghana.La crisi alimentare in cui versa oltre metà della popolazione (circa 23 milioni di persone) è aggravata negli ultimi mesi dal ritorno di quasi due milioni di rifugiati espulsi da Iran e Pakistan, e soprattutto dai tagli dell’Amministrazione Trump ai programmi di aiuto di UsAid, l’agenzia americana per gli aiuti umanitari: fino al gennaio del 2025 rappresentavano più del 40 per cento degli aiuti in Afghanistan.
Ma dai rapporti e testimonianze (sempre più scarse) che arrivano da Kabul emerge come anche sull’assistenza umanitaria il controllo dei talebani sia ormai assoluto, senza alcuna trasparenza, nel silenzio.
Lo conferma l’ultimo rapporto americano per la ricostruzione dell’Afghanistan (Sigar), “A broken aid system”, un sistema di aiuti inefficace, pubblicato mercoledì, che evidenzia la “cultura di negazione” all’interno della comunità internazionale in merito “all’uso improprio dei fondi destinati agli aiuti da parte dei talebani a Kabul”.
Secondo l’ispettore generale speciale americano i talebani starebbero “colludendo” con alti funzionari delle Nazioni Unite per reindirizzare (i pochi) aiuti internazionali rimasti verso i propri fini: “Sapevamo che i dollari degli aiuti statunitensi andavano specificamente, direttamente e indirettamente, a beneficio dei talebani”, ha detto in un’intervista un alto funzionario del dipartimento di stato esperto di Afghanistan, “ma ciò che mi ha sorpreso è quanto molte organizzazioni non
governative, in particolare le Nazioni Unite, fossero coinvolte in questa diversione e corruzione”.
Dal 15 agosto 2021 gli Stati Uniti hanno fornito quasi 4 miliardi di dollari in aiuti alla popolazione afghana, ma secondo il report, soltanto il 30-40 per cento dei fondi totali inviati in Afghanistan finiscono per raggiungere il pubblico a cui sono destinati. In questi anni la popolazione ha ricevuto “cibo avariato o andato a male” e, secondo diverse fonti, i talebani hanno persino interferito nelle assunzioni delle ong per scegliere i loro candidati preferiti.
Un operatore di una di queste organizzazioni ha dichiarato all’ufficio americano che “almeno il 20 per cento dei dipendenti delle ong internazionali era affiliato ai talebani” […]
Il risultato è che a Kabul tutto è governato dalla sharia, la legge islamica, con fustigazioni ed esecuzioni pubbliche. Dieci milioni di persone soffrono di grave carenza alimentare mentre a un terzo della popolazione manca l’acqua potabile, un numero destinato ad aumentare a causa dell’aridità.
A pagarne di più sono i bambini, le minoranze religiose e le donne, a cui non è più consentito muoversi liberamente in pubblico senza un mahram, un accompagnatore maschio: in quattro anni i talebani hanno emanato quasi cento leggi per limitare le libertà delle afghane, costrette a un rigido codice di abbigliamento islamico, l’80 per cento non studia e non lavora più.
(da agenzie)
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Agosto 15th, 2025 Riccardo Fucile
I NOMI IN CAMPO NEL CASO IL GOVERNATORE USCENTE DOVESSE FARE UN PASSO INDIETRO A CAUSA DELL’INCHIESTA GIUDIZIARIA A SUO CARICO
Sebbene il governatore si sia dichiarato più volte sicuro della propria innocenza, il nervosismo sembra serpeggiare in Regione
Le acque nel centrodestra calabrese sono più mosse di quanto possa sembrare all’apparenza. E a movimentarle è Forza Italia, il partito di provenienza del governatore uscente, Roberto Occhiuto, indagato per corruzione nell’ambito di un’inchiesta della Procura di Catanzaro, che si è auto-ricandidato, con l’appoggio dei leader di partito. Più che malumori sono frizioni
interne agli ambienti regionali: alcuni azzurri criticano il suo approccio gestionale, ritenendolo a tratti «accentratore». «Le decisioni vengono prese in autonomia e gli altri le subiscono», riferiscono. Ma c’è di più, perché sussistono le incertezze legate all’evoluzione delle indagini e ai possibili sviluppi giuridici che riguardano Occhiuto da vicino e che pongono un’ombra sul suo percorso. Sebbene il governatore si sia dichiarato più volte sicuro della propria innocenza, il nervosismo sembra serpeggiare, alimentato dai dubbi che potrebbero emergere dalle indagini in corso. Ma un piano B ci sarebbe già.
Il piano B, la tentazione Wanda Ferro
Il piano B – secondo voci di corridoio – si chiama Wanda Ferro, sottosegretario agli Interni. «È senza dubbio una delle figure più spendibili», affermano fonti, sottolineando «la solidità» del suo profilo istituzionale «uno dei più consolidati in Calabria». Ferro, che aveva già corso per le elezioni regionali nel 2014, fermandosi al 23,59% dei voti contro il 61,41% dell’ex presidente Mario Oliverio, potrebbe entrare in scena qualora le indagini su Occhiuto dovessero prendere una piega imprevista, come nel caso di un eventuale arresto o di una richiesta di misure cautelari.
Più assessorati di peso per FdI
Cambi di scena a parte, una cosa è stata già chiarita con fermezza: Fratelli d’Italia, in caso di vittoria del centrodestra alle prossime elezioni regionali, si aspetta di ottenere assessorati di peso. Lo ha ribadito anche Wanda Ferro. Non si sa ancora a quale assessorato ambiscano i fratelli. Al momento, escono dalla giunta con una vicepresidenza, ricoperta da Filippo Pietropaolo,
e con le deleghe al Turismo e all’Ambiente affidate all’altro assessore regionale, Giovanni Calabrese. In passato, la carica era stata ricoperta da Fausto Orsomarso, poi eletto senatore nel 2022.
Le dimissioni di Torromino
Ma tornando ai malcontenti alle frizioni interne a FI, a conferma di un malcontento che non è solo teorico, recentemente Sergio Torromino, ex deputato e figura di spicco di Forza Italia in Calabria, ha rassegnato le dimissioni da segretario provinciale di Crotone. Nel pieno delle operazioni per la scelta dei candidati alle elezioni regionali. Pur ribadendo, in una lettera inviata ai vertici del partito, il suo credo «nei valori liberali e moderati di questo partito e, soprattutto, nel pensiero e nell’opera del suo fondatore, Silvio Berlusconi» dice che «tuttavia, l’energia propulsiva che aveva rimesso in moto Forza Italia a Crotone si è progressivamente esaurita. Non per mancanza di impegno da parte mia – spiega – che non è mai venuto meno, ma per scelte interne che non condivido, e che si muovono in direzione opposta rispetto ai principi di meritocrazia, rispetto e visione collettiva». Ragioni che, per molti, restano piuttosto fumose e vaghe. I suoi passi sembrano suggerire molto più di quanto sia emerso pubblicamente. Torromino, però, non si espone e, pubblicamente ringrazia Occhiuto «per il lavoro svolto».
(da agenzie)
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Agosto 15th, 2025 Riccardo Fucile
MIGRANTI: AUMENTANO GLI ARRIVI, RIMPATRI FERMI AL PALO… ARRIVI INTORNO A 60.000 PERSONE L’ANNO, RIMPATRIATE SOLO IL 12%
Non è un paese in cui si delinque di più, anzi i reati sono complessivamente in calo. Ma gli omicidi crescono, seppure leggermente, i femminicidi sono stabili con un aumento di quelli in ambito familiare e, complessivamente, specie nelle zone rosse i controlli di polizia sono molti: in soli sei mesi le persone controllate hanno sfiorato il milione. Sono alcuni dei dati contenuti nel report che anche per il 2025, come sempre, il Viminale pubblica nella giornata di Ferragosto.
Violenze sessuali, furti e rapine in calo
Il primo elemento rilevante nel report del ministero guidato da Matteo Piantedosi è appunto quello di reati complessivamente in riduzione, specie quelli di maggiore allarme sociale, con un -9% complessivo nei primi sette mesi dell’anno. Le persone denunciate sono state 461.495 nel periodo analizzato nel 2025, in calo del -8% rispetto alle 501.380 dello stesso periodo del 2024. Particolarmente significativo è il numero delle violenze sessuali:
3.477 casi nel 2025, un -17,3% rispetto ai 4.202 casi del 2024, ma incoraggianti sono anche i numeri in calo di rapine (15.780 casi nel 2025, -6,7% rispetto ai 16.914 del 2024) e furti (559.143 nel 2025, -7,7% rispetto al numero di 605.968 registrato nel 2024), mentre gli omicidi sono in aumento, sebbene non esplosivo: 184 nei primi sette mesi del 2025: +3,4% rispetto ai 178 dello stesso periodo di un anno fa.
Femminicidi e codice rosso
In questo contesto, il numero di femminicidi è significativo perché rimane sostanzialmente stabile, passando da 61 dell’anno scorso a 60 di quest’anno, che in percentuale vuol dire un -1,6%. Tra le vittime salgono le donne di origine straniera, in totale 18 mentre lo scorso anno erano 15. Ma soprattutto colpisce il fatto che cresca il numero dei femminicidi compiuti da partner e ex partner: 38 nel 2025 (+15,1%) rispetto a 33 nel 2024, mentre quelli in ambito familiare affettivo sono passati da 54 a 51. Numeri ancora consistenti se si pensa che nel frattempo gli ammonimenti del Questore sia per stalking sia per violenza domestica sono aumentati in modo molto consistente: i primi sono ad ora 2.731 (+84,6%) e i secondi 4.840 (+63,6%). I braccialetti elettronici attivi, oggetto di polemiche anche in questi giorni per problemi di funzionamento, sono 12.192 all’8 agosto 2025.
Sbarchi e migranti
Migranti e asilo: i numeri che non dicono delle vite perse
Gli sbarchi al 14 agosto sono 38.568, il 2,1% in più rispetto all’anno scorso. I rimpatri crescono del 12,1%, arrivando a 3.463.
Il Viminale sottolinea anche le partenze “bloccate” da Libia e Tunisia, oltre 236 mila dal 2023 a oggi. Ma qui è importante fermarsi: meno arrivi non significa meno persone in fuga, e soprattutto non significa meno morti. Significa spesso più respingimenti in mare, più campi di detenzione in Libia, più traversate tentate in condizioni disperate.
Le richieste di asilo scendono del 22%, ma aumentano i dinieghi, che raggiungono il 71,8%: un accesso alla protezione sempre più selettivo, con migliaia di persone che rischiano di finire in una condizione di irregolarità forzata.
(da agenzie)
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Agosto 15th, 2025 Riccardo Fucile
ECCO COSA PUO’ ACCADERE
Stasera ad Anchorage, in Alaska, l’atteso vertice tra i leader di Usa e Russia. Il
Cremlino ostenta ottimismo: «Porranno le basi di un accordo globale»
Tutto in una sera. O forse no. A poco meno di sette mesi dal suo ritorno alla Casa Bianca, Donald Trump è chiamato alla prova del nove in politica internazionale: l’incontro a tu per tu con Vladimir Putin per provare a sbrogliare la matassa incendiaria della guerra in Ucraina. I leader di Usa e Russia si incontreranno alle 21 di questa sera, 15 agosto, ad Anchorage, in Alaska (11 del mattino ora locale), ha fatto sapere la Casa Bianca. Mezz’ora prima di quanto aveva annunciato ieri il Cremlino. Le certezze sui tempi si fermano qui, però. Perché sulla durata del vertice nessuno è disposto a scommettere. Minuti o ore, dipenderà dal “feeling” che si creerà – o meno – nella stanza blindatissima della base militare Elmendorf-Richardson. Lo stesso presidente Usa non si è sbilanciato al riguardo: «Capirò entro pochi minuti se andiamo verso un incontro buono o cattivo. Se è cattivo, finirà molto rapidamente; se è buono, allora avremo la pace in un futuro piuttosto vicino», ha detto Trump ieri a Fox Radio.
L’incontro a quattr’occhi e le delegazioni Usa-Russia
Quei pochi minuti cui allude fanno probabilmente riferimento alla prima parte dell’incontro, quando Trump e Putin dovrebbero parlarsi a quattr’occhi: soli nella stanza, tra loro soltanto gli interpreti. Il dialogo della verità sui destini dell’Ucraina e non solo, o puri convenevoli? Di certo un format che alimenterà ancora una volta dietrologie e sospetti sul loro rapporto. Dopo l’incontro a tu per tu, Trump e Putin dovrebbero poi essere raggiunti nella stanza del vertice dalle rispettive delegazioni. Per gli Usa, padroni di casa nel territorio di frontiera, ci saranno anche il vicepresidente J.D. Vance, il segretario di Stato Marco
Rubio e quello alla Difesa Pete Hegseth insieme ai due inviati speciali per i negoziati Keith Kellogg e Steve Witkoff. Cinque rappresentanti di vertice anche al fianco di Putin: il ministro degli Esteri Sergej Lavrov, quello della Difesa Andrej Belousov e quello delle Finanze Anton Siluanov, e poi due fedelissimi del leader esperti di negoziati con gli Usa come l’ex ambasciatore Yuri Ushakov e il capo del Fondo per gli investimenti diretti Kirill Dmitriev. Per farli entrare negli Usa, il dipartimento del Tesoro americano ha temporaneamente rimosso alcune sanzioni che li riguardavano. Ne varrà la pena?
L’ottimismo dei due leader
Trump, che in campagna elettorale promise a più riprese di mettere fine alla guerra in Ucraina «in 24 ore», è convinto di sì, e lo ha ripetuto ancora ieri: «Credo si sia convinto che ora è il momento di fare un accordo», ha detto di Putin. E i russi stessi arrivano in Alaska con una valigia gonfia di ambizioni: Trump e Putin parleranno della possibile risoluzione della guerra d’Ucraina, ma affronteranno anche «temi più ampi per garantire la pace e la sicurezza, nonché le attuali e più urgenti questioni internazionali e regionali», ha detto ieri Ushakov. E lo stesso Putin parlando alle alte cariche dello Stato ha evocato almeno uno dei «temi più ampi» che si prepara ad abbordare col leader Usa: quello del controllo sugli armamenti. Il Cremlino, insomma, punta a sfruttare il summit non solo come chance per rifarsi il look internazionale e uscire dall’angolo, ma anche per porre le basi di un vero e proprio «accordo globale» su come preservare pace e sicurezza in Europa e magari anche in Asia, Medio Oriente e Artico. Sulla base dei propri obiettivi e
interessi, ovviamente. «Sappiamo di avere argomenti e la nostra posizione è chiara e precisa. La spiegheremo», ha ribadito Lavrov in un’intervista al canale tv Rossiya 24 prima del summit.
I timori dell’Ucraina e le carte nella manica di Trump
Difficile se non impossibile, comunque, che tutto si possa risolvere in un solo incontro. Lo stesso Trump, che nei giorni scorsi ha tentato di rassicurare l’Ucraina e gli alleati europei rispetto alle paure di vedersi confezionato un accordo magari al ribasso sopra la testa, ha ribadito ieri di puntare ad aprire la strada ad un successivo incontro a tre con anche Volodymyr Zelensky. «Vorrei che avvenisse presto, magari sempre in Alaska», ha detto Trump alla Fox lasciando aperta la porta persino a un secondo incontro a tre nel corso del weekend stesso. Resta il dubbio invariato da mesi, ossia quale carta Trump punta a sfoderare per stanare Putin e convincerlo a cessare gli attacchi aerei e l’offensiva di terra nel sud-est dell’Ucraina. Se non una capitolazione alle sue condizioni sulle richieste di terra ucraina, che altro? Secondo il Telegraph il presidente Usa potrebbe mettere sul tavolo concessioni alla Russia sullo sfruttamento di minerali critici in Ucraina e/o nella stessa Alaska. Trump ieri non ha confermato, ma neppure smentito. D’altra parte potrebbe essere lo stesso Putin a mettere sul tavolo qualche offerta a sorpresa per acconsentire al cessate il fuoco, tale da scaricare tutta la pressione su Trump e soprattutto, a cascata, su Zelensky. Sempre che il vertice non si concluda invece nel nulla o poco più, come in fondo è accaduto nei mesi scorsi nelle sessioni negoziali svolte in Turchia, utili solo a coprire di una patina di
diplomazia la guerra che procede senza sosta.
(da agenzie)
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Agosto 15th, 2025 Riccardo Fucile
LO SPETTRO DEL TERRORISMO IN EUROPA COME CONSEGUENZA… “GLI ISRAELIANI STERMINANO FAMIGLIE? MAI PER ERRORE”
Fra uno, due, al massimo tre anni l’Europa si ritroverà «con le bombe sui treni» per via di quanto sta accadendo a Gaza da quasi due anni a questa parte. È l’allarme-provocazione lanciato da Massimo D’Alema nel corso di un intervento pubblico svolto nei giorni scorsi a Campiglia Marittima, in provincia di Livorno. L’ex presidente del Consiglio, ospite di una rassegna di incontri a Villa Mussio, si è scagliato con veemenza contro Israele per la guerra che conduce dal 7 ottobre 2023 a Gaza, oltre che per le violenze quotidiane in Cisgiordania, ma anche contro l’inconsistenza dell’Europa di fronte alla tragedia. «I palestinesi vengono cacciati dalle loro case e i coloni sono armati per legge,
vanno in giro con le armi. Questa è la vita quotidiana dei palestinesi prima del 7 ottobre. Ha preso campo in Israele una destra estremista, fanatica, che ha trovato nella tragedia del 7 ottobre l’occasione per una resa dei conti finale. L’obiettivo è chiaramente un obiettivo di tipo terroristico, cioè non combattere Hamas, ma spingere i palestinesi ad andarsene», ha attaccato dal palco toscano D’Alema. Dispensando lezioni e ricordi dalle sue passate esperienze di premier e poi ministro degli Esteri, l’ex leader del Pds si è spinto sino a sostenere che le uccisioni di civili palestinesi da parte dell’Idf siano volute, cercate, ragionate. «Hanno ucciso ad oggi 271 giornalisti nella Striscia, preferibilmente insieme alle loro famiglie: ammazzo te ma anche i tuoi bambini. Vorrei rassicurare tutti che gli israeliani non fanno questo per errore. Hanno delle tecnologie molto avanzate attraverso le quali individuano le persone che vogliono uccidere. Quando viene sterminata una famiglia non è per errore, ma è perché si vuole sterminare una famiglia».
I doppi standard dell’Occidente e il rischio terrorismo
Quel che è certo, ha sottolineato a chiusura delle sue riflessioni D’Alema, è che tra i palestinesi sta montando un carico di odio i cui effetti dureranno generazioni, e avranno effetti deflagranti – letteralmente – ben oltre il Medio Oriente. «Noi non ci rendiamo conto di quale accumulo di odio e di rancore contro l’Occidente si stia determinando, non solo tra i palestinesi, ma nel mondo arabo in generale. Fra un anno, due anni, tre anni metteranno le bombe nei treni», ha sostenuto l’ex premier evocando scenari di terrorismo più o meno organizzato da Anni di Piombo, per l’Italia stessa o per altri Paesi occidentali non specificati.
«Volete un’analisi? Ve la faccio ora. Sono le immagini di quello che accade a Gaza che segnano una generazione nel segno dell’odio. E questo odio lo pagheremo noi se non ci muoviamo al di là dei principi per tutelare la nostra sicurezza e il nostro futuro». Meglio e più efficacemente di quanto non abbia fatto sin qui l’Ue. «Noi abbiamo un accordo con Israele sulla base del quale i prodotti israeliani vengono liberamente venduti nel nostro Paese. Questo accordo reca all’articolo 2 la condizione del rispetto dei diritti umani. Di tutto può essere sospettato Netanyahu, meno che di essere uno che rispetta i diritti umani», ha detto l’ex premier parlando della possibile sospensione dell’Accordo di associazione Ue-Israele. E ancora: «Putin è un assassino, e io sono d’accordo, ma è la stessa Corte che ha emesso il mandato di cattura verso Netanyahu. E allora non capisco: noi europei pretendiamo di predicare i diritti umani e il diritto internazionale, ma se non siamo coerenti con noi stessi nessuno ci prenderà più in considerazione». Con le conseguenze shock del caso.
(da Open)
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Agosto 15th, 2025 Riccardo Fucile
“RICONOSCERE LA PALESTINA NON E’ DARE RAGIONE AD HAMAS”
L’incontro tra Trump e Putin previsto per domani è il primo punto che il Pd metterà
sotto osservazione, dice la segretaria del Pd, Elly Schlein. Ma oltre all’attualità internazionale, spiega al direttore di Adnkronos Davide Desario in una intervista pubblicata oggi, l’agenda del centrosinistra prima per le regionali e quindi per le elezioni del 2027 sono i temi a cui stanno lavorando i dem. «Seguiamo con grande attenzione il vertice: se sarà un passo verso una pace giusta bene, ma servono garanzie concrete, non operazioni di facciata. A quel tavolo ci deve essere anche l’Ucraina, con accanto l’Unione europea. Non è immaginabile discutere di una pace giusta senza il popolo ingiustamente invaso», dice prima di tutto.
La critica all’Ue
Secondo la segretaria del Pd, «È mancata, già prima dell’arrivo di Trump, un’iniziativa politica e diplomatica del governo italiano e, più in generale, dell’Unione europea, per creare le condizioni di una pace giusta alle condizioni degli ucraini», sottolinea la segretaria dem.
Le regionali e l’alleanza con il Movimento 5 stelle
L’attualità politica porta poi a parlare di elezioni regionali e del rapporto con Giuseppe Conte che ha assicurato il suo appoggio a Matteo Ricci nelle Marche. La situazione è più tesa in Campania e Puglia, ma la segretaria del Pd si concentra sui punti del programma: «Dopo l’impugnazione da parte del governo della legge toscana sul salario minimo negli appalti, Ricci e tutta la coalizione si impegnano ad approvare nelle Marche lo stesso provvedimento. Sarà un tema fondamentale in tutte le regionali». E sui nodi non risolti? «Le alleanze funzionano quando si costruiscono su fiducia reciproca e rispetto delle differenze: conta un progetto comune, un programma condiviso e candidature credibili. La nostra capacità di costruire unità ha prodotto vittorie straordinarie con tutte le forze alternative alle destre: penso a Genova, Assisi e Ravenna, all’Emilia-Romagna con Michele de Pascale e all’Umbria con Stefania Proietti». Insomma la «coalizione esiste: ha vinto varie tornate elettorali recenti. Siamo già in campo in Veneto con Manildo e nelle Marche con Ricci; dall’altra parte, a parte gli uscenti, non hanno ancora candidati. Continueremo a lavorare “testardamente unitari”».
I punti del programma
Tra i punti più importanti nel programma politico di Schlein c’è l’impegno per la scuola: «Bisogna pagare di più gli insegnanti, tra i meno pagati d’Europa, e rendere gratuiti libri di testo, mense e trasporto pubblico locale. Con 500 milioni, in una manovra da 20 miliardi, si può fare. Invece hanno tagliato 6.000 docenti». Sulla sanità, punta a «sbloccare il tetto alle assunzioni di medici e infermieri per ridurre le liste d’attesa: un tetto, ricordiamolo, messo quando Meloni era al governo con
Berlusconi e io studiavo all’Università. È una questione cruciale: chi ha soldi salta la coda nel privato e chi non li ha rinuncia a curarsi. Gli italiani che hanno rinunciato ad almeno una prestazione sono passati da 4,5 a 6 milioni tra 2023 e 2024».
Gaza e il riconoscimento della Palestina
Schlein anche in parlamento ha chiesto il riconoscimento dello stato di Palestina: «Sosteniamo le voci di dissenso in Israele, le mobilitazioni di questi giorni contro il proposito criminale di occupare Gaza, fino allo sciopero generale lanciato dai familiari degli ostaggi. Occorre esercitare pressione con tutti gli strumenti: sanzioni per il governo Netanyahu e i suoi ministri, sospensione degli accordi di collaborazione Ue-Israele, stop al memorandum d’intesa militare tra i nostri due paesi. E riconoscere subito lo Stato di Palestina, come hanno fatto Spagna, Norvegia e Irlanda, e come hanno annunciato anche Francia e Regno Unito. Chiediamo il riconoscimento della Palestina perché è giusto e perché serve la prospettiva di due popoli e due Stati, che il governo israeliano e Hamas negano. Gli interlocutori in Palestina ci sono e non sono Hamas: il segnale va dato subito». Infine, la sua conclusione verso il 2027: «Non siamo condannati a un governo ideologico che riduce il sostegno a sanità, scuola e lavoro. Abbiamo cinque priorità che parlano alle condizioni materiali degli italiani: sanità pubblica; scuola, università e ricerca; lavoro dignitoso; politiche industriali per le grandi trasformazioni digitale ed ecologica; diritti civili e sociali, tra cui il diritto alla casa, con sempre più cittadini che non riescono a pagare gli affitti né ottenere un mutuo».
(da agenzie)
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Agosto 15th, 2025 Riccardo Fucile
“IL RISCHIO È CHE LA VARIABILE POLITICA SIA ANCORA PIÙ DETERMINANTE NELLE NOMINE DEI VERTICI DELLA DIFESA E SI ESTENDA ANCHE AI CARABINIERI E ALLA FINANZA. IL MESSAGGIO INESPLICITO CHE SI MANDEREBBE AI GRADI INFERIORI È QUELLO DI CREARSI UNA SPONDA POLITICA PER FARE CARRIERA. CONVIENE, ANCORA DI PIÙ, AVERLA”
Sul Messaggero è stata anticipata la bozza di un provvedimento che riguarda la Difesa e il sistema di nomina dei suoi vertici. L’indiscrezione – che per ora è tale – offre però lo spunto per una riflessione più ampia relativa al rapporto tra corpi dello Stato e governo del Paese.
È del tutto legittimo e opportuno che sulle nomine più importanti l’ultima parola spetti all’esecutivo, nel rispetto però
dell’autonomia dei corpi avendo cura che le carriere, in particolare in ambito militare, siano il più possibile separate dalla politica e improntate al merito non alla vicinanza con un partito, con una sua corrente.
Secondo la bozza, le nomine apicali delle Forze Armate (generali di brigata, divisione e corpo d’armata) verrebbero decise da una commissione interforze, costituita dai vertici di Esercito, Marina e Aeronautica, integrata dalla presenza di un delegato del ministro. Non saranno più i soli Stati Maggiori a farle.
Sarebbe importante conoscere la ratio di questa non secondaria riforma e perché l’attuale sistema sia ritenuto superato o inefficiente. Qual è il rischio sotteso a questa ipotetica svolta?Che la variabile politica, non del tutto assente ora e in passato per carità, sia ancora più determinante nelle nomine dei vertici della Difesa e si estenda anche ai Carabinieri e alla Finanza. Ma c’è di più. Il messaggio inesplicito che si manderebbe ai gradi inferiori è quello di crearsi una sponda politica per fare carriera. Conviene, ancora di più, averla. Ma speriamo, sinceramente, di sbagliarci.
Ferruccio De Bortoli
per www.corriere.it
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