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BASTONATA DALL’“AMICO” TRUMP, ORA MELONI VA ALLA DISPERATA RICERCA DI NUOVI MERCATI: DOPO ESSERSI OPPOSTA PER MESI, GIORGIA È COSTRETTA A DARE IL VIA LIBERA AL MERCOSUR, IL MERCATO COMUNE DELL’AMERICA MERIDIONALE. UNA RISPOSTA FORZATA AI DAZI TRUMPIANI

Settembre 3rd, 2025 Riccardo Fucile

LA STATISTA DELLA GARBATELLA, INIZIALMENTE FAVOREVOLE AL PATTO DI LIBERO SCAMBIO, S’ÈRA POI MESSA DI TRAVERSO, IN SEGUITO ALLE PRESSIONI DI COLDIRETTI E CONFAGRICOLTURA…IL VOLTAFACCIA DELLA DUCETTA DEI DUE MONDI AVEVA FATTO INCAZZARE MATTARELLA, OLTRE CHE CONFINDUSTRIA

A Palazzo Chigi c’è ottimismo, così come nei ministeri interessati: dopo mesi di trattative sottotraccia (e diverse critiche aperte) l’Italia, riferiscono più fonti governative, è pronta a dare il via libera al Mercosur, il mercato comune dell’America meridionale. Anche in risposta ai dazi Usa.
Oggi il collegio dei commissari europei, a Bruxelles, licenzierà l’accordo. Il vicepresidente esecutivo della commissione,
Raffaele Fitto, non si metterà di traverso all’operazione. E in uno dei prossimi consigli europei, dovrebbe dare il via libera anche la premier, Giorgia Meloni.
Il governo italiano finora aveva criticato alcuni contenuti dell’accordo, in asse con la Francia di Emmanuel Macron. Adesso la svolta. Il motivo, secondo fonti italiane, è che la commissione di Ursula von der Leyen avrebbe accolto alcune delle richieste dell’esecutivo.
In particolare una: la possibilità di aiutare, tramite sostegni economici, le imprese del comparto agricolo che potrebbero subire penalizzazioni dagli scambi con i paesi dell’America latina.
Il pressing del mondo produttivo sul governo non è stato univoco, in questi mesi tribolati. Anzi, quasi opposto. Confindustria, con il presidente Emanuele Orsini, feeling più che buono con la premier, da tempo spinge perché l’Italia dia il via libera al patto.
Una sollecitazione rimarcata in queste settimane, da quando Ue e Usa hanno chiuso l’accordo sui dazi al 15% (a fine giugno nel pieno del braccio di ferro con Washington il vicepresidente di Confindustria, Maurizio Marchesini, definiva già le tariffe al 10% un «dramma» per le imprese).
Dall’altro lato dello scacchiere, gli agricoltori. Da quasi un anno Coldiretti, associazione che sin qui ha sicuramente trovato sponde ai piani alti dell’esecutivo, ha più volte cassato l’adesione al Mercosur. Definendolo un «accordo inaccettabile», addirittura «sbilanciato e pericoloso per il comparto agricolo europeo e italiano». Con il timore che sia colpito il commercio di prodotti come pollo, zucchero e riso.
Resta un tema: che farà Parigi? A taccuini chiusi, se lo chiedono anche nel governo. Alla fine di giugno, il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, aveva incontrato l’omologa francese Annie Genevard. Appuntando in una nota
congiunta «le rispettive preoccupazioni riguardo all’accordo Ue-Mercosur», in assenza di «misure di effettiva tutela in grado di assicurare il mantenimento di un equilibrio di mercato».

(da agenzie)

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EMANUELE ORSINI, PRESIDENTE DI CONFINDUSTRIA, BATTE CASSA ALLA MELONI IN VISTA DELLA MANOVRA: “SEVONO ULTERIORI MISURE PER 8 MILIARDI DI EURO PER SOSTENERE LE IMPRESE. STANO FINENDO INDUSTRIA 4.0, INDUSTRIA 5.0, ZES UNICA.”

Settembre 3rd, 2025 Riccardo Fucile

BOCCIA IL TAGLIO DELL’IRPEF PER IL CETO MEDIO VOLUTO FORTEMENTE DA FORZA ITALIA: “LA CRESCITA DI QUESTO PAESE NON SI FA MIGLIORANDO L’IRPEF. I SALARI NON SI INCREMENTANO FACENDO UN TAGLIO DELL’IRPEF MA FACENDO I CONTRATTI DI PRODUTTIVITÀ” – E TORNA A DENUNCIARE IL PREZZO TROPPO ALTO DELL’ENERGIA: “È INSOSTENIBILE”

“La crescita di questo Paese non si fa migliorando l’Irpef”. Lo ha detto il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, all’assemblea pubblica di Confindustria Emilia Area Centro a Bologna parlando della misura allo studio del governo nella prossima manovra.
“Ovvio che il tema dei salari è sempre stato per noi un tema, non lo si incrementa facendo un taglio dell’Irpef ma facendo i contratti di produttività”. Per Orsini è importante non fare “un taglio di una volta all’anno” ma “mettere al centro l’industria e l’impresa che comunque può produrre di più, può guadagnare e distribuire le ricchezze. Io credo che quella sia la via”.
“Il costo dell’energia in questo Paese è insostenibile”, perché “quando lo paghiamo 4-5 volte in più verso gli Stati Uniti e lo paghiamo il 30-60% in più di alcuni Paesi europei è ovvio che diventa un problema per le aziende energivore”, ha continuato Orsini, all’assemblea pubblica di Confindustria Emilia Area Centro.
Per “la prossima manovra noi stiamo cominciando a lavorare insieme al governo in questi giorni, devo dire la verità abbiamo anche tra poche ore incontri per ragionare proprio sul fatto che stanno finendo tutti gli incentivi che oggi ci sono” ha detto Orsini ribadendo come siano “in scadenza una serie di misure” e gli industriali chiedono ulteriori “misure per 8 miliardi per sostenere l’impresa”.
“Industria 4.0 sta finendo, Industria 5.0 sta finendo, Zes unica e anche il credito d’imposta su ricerca e sviluppo stanno finendo”, ha aggiunto a margine dell’assemblea pubblica di Confindustria Emilia Area Centro. “
Così com’è, non è una ricerca e sviluppo e serve mettere al
centro l’industria. Noi abbiamo chiesto misure per 8 miliardi per sostenere l’impresa e anche qui voglio dire una cosa: non è che se si mettono 8 miliardi sono presi, quei 8 miliardi vengono ridati dalle imprese perché – ha concluso – parte degli investimenti ritornano con l’Iva e soprattutto col gettito che generano queste imprese e soprattutto con le assunzioni”.

(da agenzie)

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L’ATTACCO PIÙ FEROCE A DONALD TRUMP LO SFERRA “IL GIORNALE” DIRETTO DA SALLUSTI: “TRUMP HA SOSTITUITO IL CEMENTO DEI VALORI DI LIBERTÀ E DI DEMOCRAZIA CON IL DENARO, IL BIECO INTERESSE, LOGORANDO L’UNITÀ IDEALE DI QUESTA PARTE DEL MONDO”

Settembre 3rd, 2025 Riccardo Fucile

“UNA TRAGEDIA PER CHI CREDE ANCORA NELL’OCCIDENTE. SOLO L’UNITÀ EUROPEA, LA DISPONIBILITÀ DELLE DEMOCRAZIE DEL VECCHIO CONTINENTE AD ASSUMERSI RESPONSABILITÀ MAGGIORI RISPETTO AL PASSATO, PUÒ FAR APRIRE GLI OCCHI ALL’ALLEATO”. IL CONTRARIO DI QUELLO CHE VUOLE LA MELONI, STRENUAMENTE CONTRARIA AI “VOLENTEROSI”

L’attacco più feroce a Trump, sui quotidiani di oggi, non si legge sul “manifesto” oqualche altra testata terzomondista, ma su uno dei pezzi di carta prediletti da Giorgia Meloni.
A Palazzo Chigi, quando è arrivata la mazzetta con in cima i quotidiani di Angelucci, grande è stata la sorpresa. Sul “Giornale”, diretto dal biografo della Ducetta, Alessandro Sallusti, campeggiava un ottimo articolo di quel vecchio volpone di Augusto Minzolini, intitolato “I limiti della presidenza Trump e il rischio del secolo cinese”.
Roba da far drizzare gli otoliti alla premier, che non riesce a rinnegare la sua amicizia con Trump nemmeno di fronte alla fregatura colossale dei dazi.
Scrive “Minzo”: “La politica di Trump ha allontanato le due sponde dell’Atlantico, ha allentato il legame tra Usa e Europa che è sempre stato la spina dorsale dell’Occidente. Con la sua politica dei dazi e degli aiuti militari dispensati a suon di dollari agli alleati, il presidente USA ha sostituito il cemento dei valori di libertà e di democrazia con il denaro, il bieco interesse, logorando l’unità ideale di questa parte del mondo.”
gli sguardi di giorgia meloni a donald trump video di smar gossip su tiktok 7
E ancora: “Una tragedia per chi crede ancora nell’Occidente. […] solo l’unità europea, la disponibilità delle democrazie del vecchio continente ad assumersi responsabilità maggiori rispetto al passato, può far aprire gli occhi all’Alleato. Può cambiare il copione di una narrazione che sembra avviata ad un epilogo fatale.
C’è bisogno, insomma, che sulla scena del nuovo ordine mondiale oltre all’irrompere del nuovo Sud Globale nasca una nuova superpotenza, cioè un’Europa che abbia contezza dei propri mezzi economici, militari e diplomatici, per dar vita ad un nuovo partenariato occidentale.” Esattamente il contrario di ciò che predica la Ducetta, strenuamente contraria all’iniziativa dei “Volenterosi” europei in Ucraina

(da agenzie)

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IN FRANCIA, A 5 GIORNI DAL VOTO DI FIDUCIA CHE CON OGNI PROBABILITÀ FARÀ CADERE IL GOVERNO DI BAYROU, IL RASSEMBLEMENT NATIONAL DI MARINE LE PEN E’ DATO IN TESTA (32%) NEL CASO DI ELEZIONI ANTICIPATE, LA SINISTRA VA MEGLIO SE È DIVISA (MELENCHON E’ AL 25%).

Settembre 3rd, 2025 Riccardo Fucile

CROLLANO I MACRONIANI, CHE FINIREBBERO AL TERZO POSTO CON IL 15% DEI VOTI. IL SONDAGGIO NON TIENE CONTO DEL SECONDO TURNO, QUANDO LE FORZE IN CAMPO POSSONO UNIRSI PER FARE BLOCCO, COME ACCADDE UN ANNO FA

Il Rassemblement National di Marine Le Pen arriverebbe ampiamente in testa nel caso di scioglimento del Parlamento e di convocazione di nuove elezioni politiche in Francia. Lo rivela un sondaggio pubblicato da Le Figaro, in cui i partiti della coalizione che sostiene il governo attuale appaiono in netto ripiego.
A 5 giorni dal voto di fiducia che con ogni probabilità farà cadere il governo di François Bayrou, un nuovo scioglimento anticipato delle camere, il secondo in due anni, condurrebbe ad elezioni legislative.
Nelle quali, l’unione delle destre estreme, il RN di Marine Le Pen e lUDR di Eric Ciotti, arriverebbe in testa con il 32-33%, sia che la sinistra si presenti unita (come un anno fa con il NFP, il Nuovo Fronte Popolare, che poi si è sciolto), sia che i partiti della gauche si presentino ognuno per sé.
Nel caso di un nuovo Fronte Popolare, improbabile viste le distanze fra i socialisti e La France Insoumise, quest’ultimo otterrebbe il 25% dei voti. Uno in meno del 26 che raggiungerebbero i partiti della gauche singolarmente.
Netta la caduta del campo dei macroniani, che finirebbe al terzo posto con il 15% dei voti.
Il sondaggio non tiene ovviamente conto del secondo turno, quando le forze in campo possono unirsi per fare blocco contro l’avversario, come accadde un anno fa con il “Fronte Repubblicano”. L’alleanza riuscì ad avere la meglio sull’estrema destra con la strategia delle desistenze per favorire, in ogni circoscrizione, chi si presentava contro il Rassemblement National.

(da agenzie)

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IL PRESIDENTE DEI MAGISTRATI CESARE PARODI AL CONTRATTACCO: “MAGISTRATI KILLER? LE FRASI DEL MINISTRO MUSUMECI MI HANNO AVVILITO. NON HO PERCEPITO NESSUNO CHE ABBIA PRESO LE DISTANZE DALLE SUE AFFERMAZIONI: NÉ DAL GOVERNO NÉ DALLE ASSOCIAZIONI DELL’AVVOCATURA. COL CENTRODESTRA IL DIALOGO È DIFFICILE”

Settembre 3rd, 2025 Riccardo Fucile

LA RISPOSTA ALLE PAROLE DELLA MELONI CHE AVEVA PARLATO DI “CONSEGUENZE” POICHÉ“LA RIFORMA DELLA GIUSTIZIA PROCEDE A PASSO SPEDITO” E LA PARTITA DEL REFERENDUM

«Magistrati killer? Le frasi del ministro Musumeci mi hanno avvilito, ma se posso ho una domanda anche io». Prego. «Non ho percepito nessuno che abbia preso le distanze dalle sue affermazioni: né dal governo né dalle associazioni dell’avvocatura. Sbaglio?».
In attesa che qualcuno dell’esecutivo lo smentisca, il presidente dell’Anm Cesare Parodi accelera sul referendum («il comitato sarà pronto tra 10 giorni») e non abdica alle cassandre che vedono l’esito dei quesiti in salita per chi auspica il blocco delle nuove leggi in materia di giustizia: «Non credo che la partita sia chiusa».
Presidente Parodi. Il 10 febbraio scorso disse a La Stampa di aver fiducia nel dialogo e di voler pacificare i rapporti tra esecutivo e toghe. Leggendo le dichiarazioni della premier e di alcuni ministri potremmo dire che non è andata benissimo. Perché?
«Credo che in questi anni si sia formato un pregiudizio negativo nei confronti della magistratura. Sia chiaro: la volontà di riformare e ridimensionare il nostro ruolo c’è stato per molto tempo, ma i governi passati non ci sono mai riusciti».
Pentito di aver cercato un dialogo?
«Macché, lo rifarei. Certo che ciò che ha detto Musumeci mi pare sia quanto di più lontano ci possa essere da una volontà dialogante».
Sorteggio del Csm, Alta Corte per il disciplinare, separazione delle carriere. Perché non siete riusciti a convincere il governo su niente?
«Purtroppo l’esecutivo di centrodestra ha stretto coi suoi elettori un patto che deve essere mantenuto a tutti i costi e questo ha impedito l’efficacia di un dialogo sulle modifiche in gioco e al contempo una valutazione specifica sulle conseguenze».
Le stesse di cui ha parlato Meloni?
«A quali fa riferimento?».
La premier ha detto: «Non mi sfugge che la riforma della giustizia procede a passo spedito e ho messo in conto le conseguenze».
«Provo a interpretare: siccome il governo e il presidente Meloni credono che in alcuni casi ci siano delle scelte condizionate dalla politicizzazione di alcuni di noi (tesi a mio giudizio infondata), il presidente teme, che ci possa essere un inasprimento di questi casi.
Sfugge un concetto: un governo fa le leggi con una finalità che si immagina immediata per chi le ha proposte, ma il magistrato non può applicarla senza inserirla in un contesto più ampio; dei valori costituzionali o delle direttive europee. Il magistrato non può isolare una norma da un contesto interpretativo anche se non è quello che la politica auspicava».
Vale per il centro di trattenimento migranti in Albania?
«È uno degli esempi che meglio calzano. E infatti si è espressa la corte di giustizia europea».
Cosa non le va giù di quanto avvenuto al netto della fermezza del governo a non accogliere le vostre proposte?
«Sarò franco: qualcuno vuole trasformare il referendum in un giudizio popolare sulla magistratura, per vincere il quale è necessario che i cittadini ne abbiamo un’immagine assolutamente negativa; al contrario, si dovrebbero votare solo sui valori messi in discussione da questa riforma».
Su cosa andranno a decidere se non su questo?
«La mia perplessità è più profonda: pur di arrivare a un risultato favorevole non vedo il minimo timore a gettare totale discredito sulla magistratura. Pensi ai commenti sui processi che nemmeno sono arrivati a un giudizio di primo grado: si parla già di errori dei pm e si invocano come lo specchio dell’asserita incapacità di questa magistratura. Ecco: se il prezzo per vincere è quello di demolire l’immagine dell’istituzione allora è troppo alto. Perché poi ci vorrà chi dovrà ricostruire la credibilità di un potere anche se riformato».
Dica la verità: quanto crede a un esito positivo per voi dalla consultazione popolare?
«Intanto va spiegato che non è un referendum come gli altri.
Il quorum non è necessario, sarà sufficiente la conta di chi decide di votare. Anche se la politica e più giornali dicono che sarà un’umiliazione per la magistratura, percepisco segnali anche molto positivi che mi portano a pensare che la partita non sia chiusa».

(da agenzie)

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CASO ALMASRI, ENTRO FINE MESE IL PRIMO VOTO IN PARLAMENTO SUL PROCESSO A NORDIO, PIANTEDOSI E MANTOVANO

Settembre 3rd, 2025 Riccardo Fucile

ECCO COSA SUCCEDERA’… IL RELATORE DEL PD FARA’ LA RICOSTRUZIONE SULLA BASE DI ATTI SEGRETI

I tempi della Giunta per le Autorizzazioni della Camera saranno brevi ed entro fine mese sarà presa la prima decisione. È il segnale che arriva dopo la riunione di questa mattina a Montecitorio che ha fissato un calendario piuttosto fitto per decidere la posizione da prendere sulla richiesta di processo nei confronti dei ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi e del sottosegretario Alfredo Mantovano, accusati rispettivamente, dal tribunale dei ministri di Roma, di omissione d’atti d’ufficio e e concorso in favoreggiamento per aver rimpatriato in Libia il torturatore Najem Osama Almasri, ricercato dalla corte penale internazionale dell’Aja.
Il calendario
Il presidente della commissione, Devis Dori (Avs), ha proposto come relatore il Pd Federico Gianassi e la giunta, sebbene tra i malumori della maggioranza, ha preso atto della decisione che mette in mano all’opposizione la prima esposizione dei fatti contestati a pedine importanti del governo (dall’inchiesta è uscita la premier Giorgia Meloni, archiviata in fase di indagini preliminari). L’ipotetico calendario prevede che il 10 settembre Gianassi faccia la prima relazione, introduttiva, la settimana successiva, tra il 17 e il 19 vengano sentiti i diretti interessati (che possono non presentarsi o inviare memorie scritte), il 19 ci sarà la discussione generale, il 23 la proposta del relatore ed entro il 30 il voto finale. L’esito della votazione è dato abbastanza per scontato: la maggioranza voterà contro l’autorizzazione a procedere. A quel punto, però, in vista del voto dell’aula di Montecitorio, il relatore dovrà essere cambiato
e indicato nell’ambito del centrodestra e sarà poi lui a proporre all’Aula di negare l’autorizzazione a procedere.
Le tensioni in maggioranza
Nei giorni scorsi si era parlato di tensioni all’interno della maggioranza che imputerebbe al presidente, Luciano Fontana, di non aver fatto abbastanza per spingere il presidente della Giunta (che però è del Pd) a indicare un relatore di maggioranza. Anche se la ricostruzione, pubblicata dal Foglio, è stata smentita ufficialmente, più di un membro della Giunta, sia di maggioranza sia di opposizione, ammette l’esistenza di tensioni. Antonella Forattini, del Pd, all’uscita dice esplicitamente: «In particolare da Fratelli d’Italia c’è stata molta freddezza quando si è detto che il presidente della Camera e i suoi uffici non hanno alcun genere di responsabilità e del resto non è prassi che interloquiscano con il presidente della Giunta, che è tenuto al segreto».
La relazione di minoranza
Fatto sta che la relazione affidata alla minoranza potrebbe preoccupare il centrodestra: Gianassi, nell’argomentare la sua posizione, ha la facoltà di citare, anche per sintesi, i documenti arrivati alla Giunta e che per ora sono stati letti solo dai membri della commissione, senza grandi fughe di notizie. L’atto sarà a tutti gli effetti pubblico.

(da agenzie)

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XI JINPING HA LANCIATO UN MESSAGGIO: L’ORDINE GLOBALE NON SI NEGOZIA PIÙ SOLO IN OCCIDENTE. TRUMP E L’EUROPA COME RISPONDONO?

Settembre 3rd, 2025 Riccardo Fucile

L’AMBASCIATORE ETTORE SEQUI: “CON LA PARATA MILITARE LA CINA SI PROPONE COME ‘CUSTODE’ E SI OFFRE AL SUD GLOBALE COME ATTORE DI STABILITÀ”…L’UE DEVE DECIDERE SE APPIATTIRSI A WASHINGTON O COSTRUIRE UN’OFFERTA AUTONOMA VERSO IL SUD GLOBALE

Il Vertice SCO di Tianjin e la parata di Pechino sono un unico messaggio: diplomazia e potenza per dire che l’ordine globale non si negozia più solo in Occidente.
La dichiarazione finale della SCO rivendica un ordine “post-occidentale” basato su sovranità e non-ingerenza e dice in sostanza che il mondo può riorganizzarsi senza gli Stati Uniti e in parte contro di essi. La parata militare è il contrappunto, strumento cinese di comunicazione strategica: la Cina si propone come “custode” dell’ordine post-bellico, saldando memoria storica e legittimazione presente. Pechino si offre al Sud globale come attore di stabilità e, con il dittico vertice-parata, trasforma la vittoria sul Giappone in messaggio politico: la sovranità su Taiwan come prosecuzione dell’ordine del ’45.
Ciascuno ottiene ciò che gli serve. Pechino leadership, Mosca ossigeno e legittimazione, Nuova Delhi dà il messaggio che non accetta le imposizioni americane e che ha amici influenti.
Finora Pechino ha ottenuto un successo di comunicazione, utile a rafforzare la sua credibilità nel Sud globale e a giocare di sponda verso l’India. Più tattica che strategia: abbondano formule vaghe, come la banca di sviluppo SCO. Ma il messaggio più potente è l’immagine dei tre leader, Xi, Putin e Modi, che si stringono la mano, plastica rappresentazione di un’intesa di convenienza.
Il bilaterale Putin–Xi merita attenzione.
Pechino ha ridotto i timori, cresciuti dopo l’incontro Putin-Trump ad Anchorage, di un possibile “passo di tango” russo con Washington. Il prezzo è l’accordo sul gasdotto Power of Siberia 2: finora rimandato -Pechino non voleva accrescere la sua dipendenza energetica- ora vero ossigeno finanziario e legittimazione di un grande investimento per Mosca. In questo quadro, il rapporto russo-cinese è una convergenza funzionale: un matrimonio di convenienza.
L’India è il perno: colpita dai dazi americani, conserva energia russa scontata e segnala che non è vassallo di nessuno. Paese fondamentale per contenere la Cina è proprio Washington a spingerla verso Pechino. Per questo Nuova Delhi manifesta prudenza strategica: si avvicina senza allinearsi, mantenendo opzioni aperte.
L’Ucraina è la grande assente/presente. Paradossalmente la dichiarazione finale, approvata anche da Mosca, parla di integrità territoriale e rispetto della sovranità, ma non cita Kiev. L’assenza dice più di molte frasi: una parte del mondo ha normalizzato la guerra. Finché grandi acquirenti assorbono greggio e raffinati russi, la leva sanzionatoria non è decisiva.
Per l’Europa il dilemma è triplice. Primo: sanzioni. Senza consenso globale, la “massima pressione” sulla Russia è indebolita. Secondo: strumento diplomatico. Mentre Bruxelles insiste su “condanna + sostegno a Kiev”, altri Paesi costruiscono piattaforme che reinseriscono Mosca. Terzo: autonomia strategica.
Se Washington sceglie dazi e logica transazionale, l’UE deve decidere se appiattirsi o costruire un’offerta autonoma verso India e Sud Globale. L’Europa dispone ancora di tre asset decisivi- mercato, standard, affidabilità regolatoria -ma deve
smettere di proclamarli: vanno resi vantaggi concreti.
Con l’India significa investimenti e co-sviluppo; con Mediterraneo e Africa beni pubblici visibili -corridoi per grano, fertilizzanti, energia- invece di annunci. Solo così si risponde a Tianjin con una contro-tesi credibile: multipolarità ordinata, non antioccidentale.
Qui emerge il nodo americano. L’incertezza sparsa a piene mani dagli Stati Uniti -guerre tariffarie, oscillazioni diplomatiche e assenza di visione- permette alla Cina di federare le insoddisfazioni. Mentre Trump offre dazi e instabilità, Pechino propone governance globale, multilateralismo e stabilità.
La “Iniziativa per la Stabilità Globale”, lanciata a Tianjin, ancora generica ma affiancata ad altre iniziative cinesi su sicurezza, sviluppo e civiltà, mostra l’ambizione di Xi di costruire un quadro di multipolarità ordinata. È questa ambizione -contrapposta a una visione americana miope e tattica- che fa della Cina il catalizzatore delle frustrazioni altrui.
Tianjin e la parata del 3 settembre istituzionalizzano una multipolarità pragmatica che premia chi porta soluzioni e punisce chi esporta incertezza.
Tianjin ci dice che il mondo non è ancora multipolare per capacità, ma lo è già per opzioni. Cina e Russia usano la loro intesa per limitare il primato occidentale, e l’India sfrutta questa competizione per rafforzare la propria autonomia. Finché questi tre attori resteranno legati dall’interesse, l’Occidente non potrà più imporre da solo le regole del gioco.

Ettore Sequi
per “La Stampa”

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“L’ITALIA FA DUMPING FISCALE? BAYROU HA RAGIONE”. ALDO CAZZULLO, SPIEGA PERCHE’ LA CRITICA DEL PREMIER FRANCESE COGLIE NEL SEGNO

Settembre 3rd, 2025 Riccardo Fucile

“CONSENTIRE AI RICCHI STRANIERI DI PAGARE IN ITALIA 200 MILA EURO DI TASSE ALL’ANNO, ANZICHÉ LE DECINE DI MILIONI CHE PAGHEREBBERO NEI LORO PAESI, È UNA BEFFA NEI CONFRONTI DEI PARTNER EUROPEI E UN’UMILIAZIONE PER I CONTRIBUENTI ITALIANI ONESTI”

Penso che il primo ministro francese François Bayrou abbia perfettamente ragione. Consentire ai ricchi stranieri di pagare in Italia 200 mila euro di tasse all’anno, anziché le decine di milioni che pagherebbero nei loro Paesi, è una beffa nei confronti dei partner europei e un’umiliazione per i contribuenti italiani onesti.
Attrarre quattromila ricchi — in genere manager in pensione che si godono i bonus ricevuti per aver arricchito gli azionisti a furia di licenziamenti e delocalizzazioni — non serve affatto a creare posti di lavoro, se non qualche domestico (straniero pure quello), e in compenso fa lievitare ulteriormente i prezzi delle case, in particolare a Milano, meta preferita degli espatriati per motivi fiscali.
Anche per questo a Milano si costruiscono palazzi per miliardari mentre per un insegnante, un medico, un funzionario, insomma un salariato e quindi contribuente onesto, comprare casa è pressoché impossibile.
L’unica risposta che si può dare a Bayrou è che lo fanno anche altri Paesi. E che il passo successivo verso la costruzione europea dovrebbe essere un regime fiscale unico, per le persone fisiche e per le imprese, in modo che gli alleati europei la smettano di farsi la guerra.
Le imprese vanno in Olanda, i pensionati in Portogallo, i miliardari in Italia; e tutti insieme si fa la figura dei polli di Renzo che si beccano tra loro, sotto gli occhi più rassegnati che indignati di noi cittadini che non possiamo e non vogliamo sottrarci al nostro dovere nei confronti della società e dello Stato.

(da il Corriere della Sera)

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“SE DEVO CANDIDARMI, MI PERMETTETE DI FARLO DA UOMO LIBERO?”: ANTONIO DECARO, LA “MADONNA PELLEGRINA” DEI RIFORMISTI DEM, E LA BATTAGLIA PER CORRERE ALLA PRESIDENZA DELLA REGIONE PUGLIA SENZA AVERE TRA LE PALLE EMILIANO E VENDOLA

Settembre 3rd, 2025 Riccardo Fucile

“IO NON SONO UNO CHE NON AMA LITIGARE. FIGURIAMOCI SE VOGLIO SCONTRARMI CON QUEI DUE…” – IL RITRATTO DELL’EUROPARLAMENTARE, LA BATTAGLIA CONTRO I CLAN

A Bari, nei giri della politica, lo chiamano “la Madonna pellegrina”. Ovunque vada, folle di devoti che lo salutano e lo abbracciano. Antonio Decaro è l’investimento sicuro del campo largo pugliese. E l’europarlamentare viene proprio da quel mondo paesano cadenzato da processioni e riti.
“Mi sono sempre sentito di Torre a Mare”, frazione costiera del capoluogo pugliese dove ha sempre vissuto, sia quando era sindaco, sia oggi che presiede la commissione ambiente a Bruxelles, dove incontra ministri e capi di Stato, tutta un’altra statura politica rispetto ai tignosi consiglieri di provincia con cui dovrà trattare ora se diventa, come il Pd ha deciso, presidente di Regione.
Nel suo libro, “Vicino”, racconta i suoi nonni pescatori, e i pomeriggi passati con loro da bambino a rammendare le reti per catturare i pesci. Poi l’adolescenza in parrocchia e gli studi che lo hanno portato a diventare ingegnere dell’Anas, esperienza di cui ha fatto tesoro da amministratore, quando andava sui cantieri,
anche di notte, a controllare l’esecuzione dei lavori, con grande ritorno di like sui suoi social.
Il meglio della sua empatia, però, la sfodera dal vivo, esercitandosi nei balli di gruppo nelle piazze dei centri storici, o mimando coloriti aneddoti nei quali la sua parte preferita è quella dell’assessore maltrattato che vuole chiudere la città al traffico ma si scontra con automobilisti feroci che rivendicano il loro diritto domenicale alla “braciola” col ragù.
S’innamora della politica sentendo i comizi del padre, ferroviere e consigliere comunale socialista. Ha 34 anni quando, nel 2004, Michele Emiliano lo nomina assessore all’urbanistica. Rivoluziona la città, introducendo i parcheggi di scambio con i bus e il bike sharing, e da allora è un successo elettorale dopo l’altro: nel 2010 diventa consigliere regionale, nel 2013 entra in Parlamento, due anni dopo è sindaco di Bari.
Nel 2016 è acclamato presidente dell’Anci, l’associazione dei Comuni italiani, conquistandosi i sindaci con le sue battaglie su temi come il superamento del blocco delle assunzioni nei municipi, e il presidente della Repubblica Sergio Mattarella: piegato in due dalle risate, nel congresso del 2022 a Bergamo, quando lui dal palco racconta di essere andato a perorare la causa dei Comuni in predissesto al ministro Giancarlo Giorgetti: “Onestamente sembravamo Totò e Peppino quando dicevano “Noio vulevam savuar…”.
Poi c’è il sindaco accorato che convoca, nel 2024, una drammatica conferenza stampa per rispondere alla campagna del centrodestra all’indomani dell’invio, da parte del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, della commissione d’accesso per le infiltrazioni criminali nelle sue municipalizzate.
Mostra gli esposti in Procura e rivendica di essere stato sempre il primo a denunciare i clan, al punto di girare sotto scorta per aver liberato Bari dalle “fornacelle”, gli abusivi che arrostivano la carne sul lungomare. Forza Italia tappezza la città di manifesti:
“Vent’anni di sinistra, scandali e mafia”. Ma le indagini non lo scalfiscono e la gente gli dà fiducia: alle ultime europee viene eletto con 509mila voti, il più suffragato dopo Giorgia Meloni.
Ma fin dall’inizio della campagna elettorale, costellata di commozioni per la fine del suo mandato, tutti sapevano che il suo destino era la candidatura a presidente della Regione.
Senonché il suo padre politico, Emiliano, non lo vuole lasciar solo e annuncia di volersi candidare in lista in suo sostegno.
Subito dopo fa lo stesso anche Nichi Vendola, oggi presidente di Sinistra italiana e fino a dodici anni fa governatore pugliese. I due sono in eterno conflitto e lui vuole sentirsi autonomo.
Così la Madonna pellegrina della politica pugliese, sente che il suo mantello, tirato da due lati opposti, rischia di farlo cadere. Scomunica entrambi, imponendosi un tono arcigno che non gli si confà. E ne soffre: “Io non sono uno che non ama litigare. Figuriamoci se voglio scontrarmi con quei due, che stimo e ai quali voglio bene. Ma se devo candidarmi, mi permettete di farlo da uomo libero?”

(da La Repubblica)

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