Destra di Popolo.net

IL POPOLO NON VOTA PIU’ E HA SEMPRE PIU’ RABBIA

Settembre 5th, 2025 Riccardo Fucile

LA VITTORIA DEL PARTITO DEL NON VOTO

La scena è facile da prevedere in un qualsiasi salotto televisivo, da qui all’ultima settimana di novembre. Quasi certamente lunedì 24. Quel giorno infatti si completerà l’estenuante calendario delle elezioni regionali (Marche, Valle d’Aosta, Calabria, Toscana, Puglia, Campania e Veneto) e gli esponenti di maggioranza e opposizione si dedicheranno esclusivamente alla conta delle rispettive bandierine, perdendo di vista, ancora una volta, il dato più forte che probabilmente uscirà dalle urne: la vittoria del partito del non voto.
Un fattore ormai endemico del nostro sistema politico e che può trascinare la democrazia in una fase più che critica, “potenzialmente autodistruttiva”, e tendente a regimi di autoritarismo della maggioranza in prevalenza di destra (nazional-populismo).
A sostenerlo è Federico Fornaro nel suo ultimo saggio per i tipi di Bollati Boringhieri: Una democrazia senza popolo. Astensionismo e deriva plebiscitaria nell’Italia contemporanea. Fornaro è uno storico, un autorevole studioso dei risultati elettorali nonché un deputato dem di tradizione socialdemocratica. Ma la lettura del suo libro è consigliabile a tutta la politica ché è una analisi oggettiva e spietata della crisi della democrazia rappresentativa in Italia, in un periodo che peraltro segna “il drammatico ritorno dell’uso dello strumento della guerra nello scenario geopolitico planetario”.
Il titolo del volume evoca il celebre saggio di Maurice Duverger, La democrazia senza popolo, anno 1968, e fissa un dato clamoroso del “disincanto democratico” che vive il nostro Paese: alle ultime Politiche, quelle del 2022, l’astensionismo ha sfondato il muro del 30 per cento, assestandosi al 36,09, record assoluto dal 1946. Per non parlare delle elezioni europee e locali,
laddove i votanti sovente sono sotto al 50 per cento. Altri dati: dal 2008 a oggi, i due partiti di sistema di allora, Pd e Forza Italia, hanno perso 18 milioni di voti, pari al 40 per cento degli aventi diritto di voto alle Politiche.
E così l’Italia da Paese modello virtuosissimo di civismo elettorale (affluenza dell’87,3 nel 1992) si trova a essere uno degli Stati europei con una drammatica crisi dell’affluenza. Per Fornaro i tarli che corrodono la nostra democrazia sono quattro: “Diseguaglianze, perdita di memoria storica, avvelenamento dei pozzi della conoscenza, rancorosa paura del futuro”. Risultato: nel 2023, il 58 per cento degli italiani era a favore di un leader forte (Rapporto LaPolis-Università di Urbino), mentre il 68,5 riteneva che “le democrazie occidentali non funzionano più” (Censis). Ma che colore, politico e sociale, ha l’astensionismo di oggi, tenendo presente, incredibile a dirsi, che tuttora il 35 per cento degli italiani (dato Ocse) rientra nell’analfabetismo funzionale (in pratica, non capisce quello che legge)? Prima novità: a partire dalle elezioni del 2013, dopo la “tempesta perfetta” scatenata dall’infausto governo di Mario Monti, sulla scena ha debuttato l’astensionista intermittente, cioè il cittadino che decide solo nell’ultima settimana di campagna elettorale. Accanto, quindi, al 20 per cento di astensionismo apatico (e cronico) oggi l’astensionismo intermittente copre il 40 per cento degli aventi diritto. E senza dimenticare che il rimanente 40
fedele alle urne si caratterizza sempre più per l’alto tasso di volatilità elettorale, cioè di infedeltà. Di qui i picchi raggiunti nell’ultimo decennio da Renzi, grillini, Salvini e adesso Meloni. Questo quadro ci dice chiaramente, anche a proposito delle prossime Regionali, che oggi in Italia esistono due grandi minoranze che si contendono la metà degli italiani che vanno a votare. In passato una corrente di studiosi indicava nell’astensionismo un fattore positivo, indice di “un’apatia da benessere”. Oggi la realtà dice il contrario: c’è una rabbia sociale forte e trasversale, spinta propulsiva per Fornaro per i populismi di oggi, completamente diversi da quelli del Novecento (il rischio, appunto, in alcuni casi è la democratura non un ritorno al fascismo tout court). Del resto, l’altra novità è l’astensionismo di classe (contrapposto al voto di classe di un tempo). A disertare le urne è chi vive una “condizione economica insoddisfacente” non chi non ha problemi. E accanto alle famiglie povere oggi avanza anche la figura del lavoratore povero (working poor) che patisce il peggioramento della distribuzione della ricchezza e il costo della vita (inflazione) e vede un futuro nero, con un livellamento continuo verso il basso. Per essere più precisi. Oggi al di sopra della media nazionale di astensionismo ci sono tante “voci”: le donne; la fascia d’età 18-34 anni e quella tra i 35-49; chi ha un livello di istruzione basso; chi si trova in una condizione economica medio-bassa e bassa; gli operai; i disoccupati; le
casalinghe e i pensionati. Un elenco impressionante. Altro che studiare nuove alchimie di coalizione, inseguendo fantasmi vari. Il Paese reale è un’altra cosa.
(da il Fatto Quotidiano)

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“STIPATI IN UN CORRIDOIO SPORCO E PUZZOLENTE, PER LE COMPAGNIE DI NAVIGAZIONE DALLA SARDEGNA SIAMO BESTIE DA SOLDI”

Settembre 5th, 2025 Riccardo Fucile

“500 EURO PER NAVE E AUTO, CORRIDOI SPORCHI E AFFOLLATI, BAGNI INAGIBILI E PREZZI ESORBITANTI”

Il bollettino rosso per il controesodo estivo non riguarda solo chi viaggia in autostrada, ma anche chi dalla Sardegna prova a raggiungere il continente. Lo sa bene Marta (nome di fantasia), 45 anni, che il 30 agosto si è imbarcata con il compagno e l’auto spendendo 500 euro per tornare a Roma, dove vive da quando ha lasciato la sua isola. L’esperienza del viaggio in nave però si è rivelata anche peggio di quanto ricordasse: “Faccio avanti e indietro almeno 4-5 volte l’anno, quindi pensavo di essere abituata, ma ogni volta è peggio – spiega a Fanpage.it – Ci hanno messo a dormire in un corridoio puzzolente dove avevano parcheggiato il carrello delle pulizie. Il personale è veramente senza pietà. Per le compagnie di navigazione siamo solo bestie da soldi”.
La testimonianza: “Sulla nave una bottiglietta d’acqua può costare anche 4 euro”
Viaggiare dalla Sardegna è un incubo per migliaia di persone che
a causa dell’auto sono costrette a scegliere la nave come mezzo di trasporto. Secondo le testimonianze raccolte da Fanpage.it in queste settimane di rientro dalle vacanze estive, i prezzi sono considerati troppo alti, al pari di una crociera nel Mediterraneo, e le condizioni di viaggio sono pessime tra affollamento, luci accese tutta la notte e bagni inagibili. Persino per chi spende centinaia di euro in più per la cabina le cose non vanno meglio, ma i problemi più gravi li riscontra chi, come Marta, sceglie il passaggio ponte per risparmiare.
“Vivo a Roma da tanti anni e ogni volta che devo viaggiare con le navi è un incubo – racconta Marta – si approfittano di tutto: l’acqua può costare anche 3-4 euro, e il cibo è spesso immangiabile pur costando uno sproposito. Ci fanno viaggiare come bestie perché per loro siamo solo bestie da soldi”.
“Quest’estate ho speso 500 euro per viaggiare con il mio compagno e la macchina. Io ho usufruito della tariffa residenti, il mio compagno no, e abbiamo optato per il passaggio ponte per risparmiare, altrimenti avremmo speso molto di più, ma anche così abbiamo pagato una cifra consistente, soprattutto considerate le condizioni del viaggio”.
Secondo Marta però anche la tariffa residenti non è più conveniente come in passato: “Prima era ottimale, io l’ho utilizzata per anni ma adesso la differenza con la tariffa base è pochissima, siamo nell’ordine dei 50, massimo 100 euro di
differenza. Il problema è che io avendo qui la mia famiglia faccio avanti e indietro anche 4-5 volte l’anno”
“Il passaggio ponte è solo una moquette sporca e puzzolente”
Il passaggio ponte che Marta ha acquistato per 500 euro consiste in un corridoio dove le persone si accampano con tanto di materassini e tende: “Nella zona dedicata a chi ha acquistato il passaggio ponte non c’è niente, solo una moquette per terra, quindi ci si deve attrezzare con materassino e coperta se si vuole riposare. Ma tra la sporcizia attaccata alla moquette e la puzza è impossibile dormire”.
Il problema non è limitato alla zona notte: “I bagni nella nostra zona, quella dei materassini, non erano funzionanti, erano tutti chiusi, sia quello per le donne che quello per gli uomini. Siamo stati costretti ad andare in un’altra zona della nave, quella dove ci sono le poltrone”.
Neanche nella zona delle poltrone è facile dormire a causa delle luci sempre accese e molto alte, ma nonostante questo inconveniente molti la preferiscono, perché consente di riposare lontano dal pavimento, anche Marta ha provato ad andarci, ma non è stata fortunata: “Siamo saliti tra i primi ma era già tutto preso con le persone che avevano già posizionato tutte le loro cose per occupare la maggior parte delle poltrone e garantirsi un minimo di distanza dal vicino”.
“Ci hanno servito cotoletta avariata a 10 euro”
Secondo Marta il viaggio in nave sta diventando ogni anno che passa sempre più simile a “una notte in campeggio pagata 500 euro”, decisamente costoso per chi come lei lo fa spesso durante l’anno: “Le compagnie di navigazione non hanno proprio la voglia di trattare bene le persone. Manca proprio il minimo indispensabile: il sapone nei bagni, la carta igienica, serrature funzionanti. In ogni posto ci sono cattivi odori, noti proprio che non è stato pulito, e tutto che costa tantissimo”.
In uno dei viaggi precedenti, Marta ha avuto una pessima esperienza anche col cibo: “Tutti si attrezzano col cibo da casa perché sulla nave costa uno sproposito, ma una volta ho avuto la sfortuna di mangiare al self service. Mi diedero una cotoletta di pollo che aveva un odore orribile e quando l’ho fatto notare al cameriere ci ha consigliato di scegliere un altro piatto, non un’altra cotoletta: erano tutte avariate e comunque continuavano a essere servite e vendute a 10 euro!”.
(da Fanpage)

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CICCIO-KIM, COMUNISTA FUORI, ADORATORE DEL LUSSO CAPITALISTA DENTRO: NEL SUO VIAGGIO A PECHINO, KIM JONG UN INDOSSAVA UN OROLOGIO DEL MARCHIO DI LUSSO SVIZZERO IWC SCHAFFHAUSEN DAL VALORE DI 15MILA EURO, MENTRE LA SORELLA KIM YO-JONG SFOGGIAVA UNA LADY DIOR DA 5MILA EURO

Settembre 5th, 2025 Riccardo Fucile

IN TEORIA, QUESTI BENI NON DOVREBBERO NEMMENO ENTRARE IN COREA DEL NORD A CAUSA DELLE SANZIONI IMPOSTE DELL’ONU, OLTRE A ESSERE SIMBOLI DELLA CULTURA CAPITALISTA CONTRO CUI LOTTA IL DITTATORE CON LA PASSIONE PER IL RAZZO, CHE HA VIETATO I JEANS ATTILLATI E TUTTE LE ACCONCIATURE CONSIDERATE “NON SOCIALISTE”

È ormai noto che la passione del leader nordcoreano Kim Jong-un per i marchi di lusso occidentali riesce a superare le sanzioni internazionali e le prediche di Pyongyang contro i simboli della cultura capitalista. In una foto postata dal Cremlino, Kim abbraccia Vladimir Putin dopo i loro colloqui a Pechino, scoprendo il polso e mostrando quello che sembra essere un orologio del marchio di lusso svizzero IWC Schaffhausen, il suo preferito.
Kim ha una vera passione per gli orologi di lusso svizzeri, probabilmente risalente al periodo in cui frequentava la scuola in Svizzera. Per lo storico incontro con il presidente cinese, Xi Jinping, e con il russo, Vladimir Putin, sembra abbia scelto di indossare un IWC Schaffhausen Portofino Automatic: stile classico, cassa lucida in oro, dal valore di 15mila euro.
Anche sua sorella, Kim Yo-jong – da sempre figura centrale nelle decisioni del fratello e al suo fianco durante la parata in Cina per gli 80 anni della fine della Seconda guerra mondiale – è stata fotografata con una borsa di lusso francese: una lady Dior dal valore di oltre 5mila euro.
Beni che, in teoria, non dovrebbero entrare nel Paese, viste le sanzioni imposte dall’Onu nel 2006
Eppure la famiglia di Kim è spesso fotografata con accessori o
auto di lusso occidentali. Anche la figlia di Kim Jong Un, Kim Ju Ae, considerata la probabile erede […] è stata fotografata con occhiali da sole Gucci e altri accessori alla moda Il dittatore nordcoreano possiede una Mercedes-Maybach S62, una Mercedes-Maybach S600 Pullman Guard, il cui prezzo varia tra 500.000 e 1,6 milioni di dollari ciascuna, oltre a una limousine Rolls-Royce Phantom.
“Quando si tratta di evasione delle sanzioni, la Corea del Nord si affida a un gruppo sofisticato ma ristretto di individui fidati che spostano qualsiasi bene richiesto dallo Stato, che si tratti di beni di lusso o componenti per missili, o che si tratti di organizzare il commercio di risorse”, ha spiegato al New York Times Neil Watts, ex membro del gruppo delle Nazioni Unite sull’applicazione delle sanzioni alla Corea del Nord. Grazie a un complesso sistema di trasferimenti portuali, spedizioni segrete in alto mare e società di facciata, l’élite nordcoreana non deve rinunciare ai marchi di lusso preferiti.
Queste passioni, però, non violano solo le misure internazionali, ma anche le restrizioni imposte dallo stesso governo nordcoreano contro ogni elemento della cultura capitalista. In Corea del Nord esistono diverse restrizioni ufficiali e pratiche contro questi simboli etichettati dal regime come uno strumento che le nazioni capitaliste utilizzano per indebolire il Paese
Chiunque venga colto a leggere, guardare, post social e video,
provenienti da Corea del Sud, Stati Uniti e Giappone, rischia la pena di morte o almeno 15 anni di campo di lavoro. Negli ultimi anni Kim Jong-un ha vietato i jeans attillati, le acconciature “non socialiste” come il mullet, il piercing al naso e alle labbra, le magliette firmate. Tutti simboli di uno “stile di vita capitalistico” che minaccia l’ideologia e i valori socialisti del Paese.

(da agenzie)

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ANCHE I COMUNISTI INVECCHIANO. SCARPE, BARCHE E VINO: NON C’È SIMBOLO DELL’ITALIETTA INTELLETTUALE POSTCOMUNISTA CHE D’ALEMA SI SIA FATTO MANCARE

Settembre 5th, 2025 Riccardo Fucile

HA LASCIATO LA POLITICA, NON RAPPRESENTA LA SINISTRA, NON FA NEPPURE PARTE DEL PD, E HA IL DIRITTO DI ENTRARE NELLE FOTO-OPPORTUNITY CHE VUOLE, ANCHE A PECHINO, INSIEME AI PEGGIORI DITTATORI DEL MONDO…CON IL VESTITO DEL CONSULENTE GEOPOLITICO, FA IL MEDIATORE D’AFFARI ALLA MANIERA DI TONY BLAIR

Scarpe, barche e vino: non c’è simbolo dell’Italietta intellettuale postcomunista che D’Alema si sia fatto mancare.
D’Alema ha lasciato la politica, non rappresenta la sinistra, non fa neppure parte del Pd, e ha il diritto di entrare nelle foto-opportunity che vuole, anche a Pechino, insieme ai peggiori dittatori del mondo, elogiando con banali frasi di circostanza il ruolo della Cina nei nuovi indirizzi internazionali.
Con il vestito del consulente geopolitico, fa il mediatore d’affari alla maniera di Tony Blair, anche se con meno rumore e più imbarazzo e pudore.
Mi viene in mente che forse oggi Vitaliano Brancati, non solo in onore di D’Alema, aggiungerebbe nel suo capolavoro sull’italianità I fascisti invecchiano il capitolo “I comunisti invecchiano”.
L’aforisma, che Brancati riferiva anche a sé stesso, è ancora magnifico: “In certe epoche non bisognerebbe mai avere vent’anni”.
(da La Repubblica)

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DONNE IN NERO DELLE NOSTRE PARTI: LE DONNE VELATE DELLE NOSTRE CAMPAGNE FINO A DUE GENERAZIONI FA

Settembre 5th, 2025 Riccardo Fucile

LA LIBERTA’ DELLE DONNE E’ TUTT’ALTRO CHE UN VALORE TRADIZIONALE

Molto ridere per lo svarione della leghista Ceccardi, che pubblica indignata l’immagine di una processione del nostro Sud credendola una adunata islamica. Ceccardi appartiene all’ala esagitata della Lega, corrente non ufficiale ma ricca di esponenti; non staremo dunque a sindacare su un errore dovuto sicuramente al suo incontenibile entusiasmo politico
Piuttosto, vale a sua parziale scusante la somiglianza tra certi scorci (non tanto remoti) del nostro paesaggio sociale e delle nostre tradizioni religiose, e l’Islam.
Le donne velate, il corpo femminile recluso e sottoposto all’arbitrio del padre, il nero del lutto indossato per anni: non erano mica le Folies Bergère, le nostre campagne, e non solo quelle meridionali, fino a un paio di generazioni fa.
Ci abbiamo messo un bel po’ per uscirne, e se per esempio un partito (per fare nomi: la Lega) fa riferimento alle tradizioni cristiane come chiave identitaria, beh deve fare i conti con ciò che l’Italia tradizionale è stata per secoli: misogina, bigotta, chiusa alle libertà (il divorzio è stato legalizzato mezzo secolo fa, l’interruzione di gravidanza anche meno).
La coscienza dei diritti, la laicità, la secolarizzazione della Chiesa, la lotta di liberazione delle donne, non ultimo il benessere economico, sono stati tra i fattori che hanno lentamente sbullonato la macchina oppressiva della “famiglia tradizionale” idealizzata dalla nuova destra (per altro pullulante di divorziati).
Non si può cianciare ogni due minuti di “valori tradizionali” e poi postare, inorridendo, una processione di donne in nero del
nostro Sud. La libertà delle donne è tutt’altro che un valore tradizionale. Ed è soprattutto l’odiata sinistra, a partire dalle lotte delle mondine, ad avere levato il velo alle italiane. La storia, ammesso si abbia voglia di leggere un libro, a volte aiuta.

(da La Repubblica)

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DALLA RIFORMA ELETTORALE AL RIMPASTO DI GOVERNO, IL FUTURO DELL’ARMATA BRANCA-MELONI È APPESO AL SUO PRIMO TEST CRUCIALE: LE REGIONALI

Settembre 5th, 2025 Riccardo Fucile

SCATENEREBBE UNO SCONQUASSO NELLA LITIGIOSA COALIZIONE DI GOVERNO SE FRATELLI D’ITALIA DOVESSE PERDERE LE MARCHE… A QUEL PUNTO, A NOVEMBRE, LA MELONA VORRÀ ASSOLUTAMENTE IMPORRE UN SUO CANDIDATO NEL VENETO LEGHISTA

Dalla riforma elettorale al rimpasto di governo, il futuro dell’Armata Branca-Meloni è appeso come un caciocavallo al suo primo test cruciale: le elezioni regionali d’autunno, che chiameranno alle urne 17 milioni di elettori
Se in Toscana, Campania, Puglia le analisi di voto attestano la
riconferma della vittoria del centrosinistra, mentre in Veneto, Zaia o non Zaia, resterà alla destra, nelle Marche la riaffermazione alla presidenza della regione del fedelissimo meloniano Francesco Acquaroli sarebbe in bilico: il dem Matteo Ricci già da tempo viene attestato in lieve vantaggio.
Infatti, per annacquare l’effetto “cappotto” di un 4 a 1, Giorgia Meloni ha subito cassato l’ipotesi dell’election day tra le Regioni interessate, anticipando al 28 e 29 settembre il voto nelle Marche pensando di togliere così tempo prezioso e consensi alla campagna elettorale del candidato del riformismo dem.
Invece, la mossa della Ducetta si sta rivelando un boomerang: come ben sapevano i democristiani della Prima Repubblica, chiamare gli italiani alle urne dopo che le vacanze estive o le feste natalizie hanno svuotato quel poco che resta nel portafogli, è veleno puro per chi occupa il primo piano di Palazzo Chigi. “Ci potevano far votare anche a Ferragosto”, ha commentato beffardo Matteo Ricci, ‘questa volta vinciamo noi”.
A pesare eccome sul voto regionale sarà la situazione economica del Paese, dalla produttività calante delle imprese a un potere d’acquisto azzerato da salari da fame. I lidi mai così vuoti in piena estate nelle spiagge italiane sono la cartina di tornasole.In attesa degli effetti sul mercato del dazismo senza limitismo americano, lontana la cuccagna miliardaria del Pnrr che nel 2026 finirà al capolinea, si riparte con 138 scadenze fiscali, dall’Irpef all’Ires, dall’Irap fino alle addizionali, mentre dilagano i rincari che Altroconsumo stima in un +34% rispetto al 2020.
Nonostante la propaganda di fregnacce dei media, in prima fila la grancassa di Rai-Mediaset, perdere il potere nelle Marche potrebbe diventare la prima bruciante sconfitta dell’Armata
Branca-Meloni. Uno smacco che, come un’overdose di Viagra, raddrizzerebbe le speranze dell’opposizione di rispedirla alle politiche del 2027 nelle grotte di Colle Oppio a leggere Tolkien.
La sorpresa della vittoria di Silvia Salis, al comune di Genova, ha finalmente aperto gli occhi e il cervello all’ego espanso dei leader del centrosinistra: le loro divisioni su temi chiave come lavoro, sanità, immigrazione, sicurezza, hanno reso il centrosinistra poco affidabile e persino incomprensibile per i cittadini.
Ci sono voluti ben tre anni per far capire a Schlein, Conte, Renzi, Fratoianni e Bonelli che il mix di autoritarismo e dilettantismo del governo di destra-centro in qualsiasi campo, dalle banche alla magistratura, dalla sanità a pezzi ai salari più miseri d’Europa, è anche frutto della loro incapacità, finora, di presentare una alternativa politica unitaria.
Se il destino cinico e crudele darà la vittoria di Ricci nelle Marche, regione che ha sempre votato a sinistra fino all’arrivo di Acquaroli, sarà curioso vedere come reagirà la “Giorgia dei Due Mondi” al primo flop dopo tre anni di egemonia. Quello che è certo è che, in caso di sconfitta, a quel punto Meloni vorrà assolutamente un candidato alla Fiamma in Veneto.
Del resto, Fratelli d’Italia ha ben ragione di lamentarsi: malgrado il suo 28-29% accreditato dai sondaggi, attualmente governa solo in tre regioni: l’uscente Acquaroli nelle Marche, Marsilio in Abruzzo e Rocca nel Lazio. Via col Veneto!
Profittando del gelo sceso tra Salvini e Luca Zaia, confermato ieri sera alla Mostra di Venezia dove il governatore uscente ha evitato di incrociare il Capitone, la Ducetta deve convincere il ”Doge” (che alle precedenti regionali intascò il 44% dei voti) ad
appoggiare il candidato in quota Fratelli d’Italia (De Carlo o il civico Zoppas), concedendogli la grazia di presentare una propria lista civica.
Nel caso in cui invece Zaia non accetti la proposta meloniana, beh, a quel punto, già tagliato fuori da Salvini, le sue ambizioni di ricoprire un domani una carica a livello nazionale (ministro o la presidenza dell’Eni) le può riporre nel cassetto dei sogni….

(da Dagoreport)

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LA RESA DEI PONTI: SALVINI È CERTO CHE I LAVORI PER IL PONTE SULLO STRETTO PARTIRANNO A BREVE. MA IL VIA LIBERA AI FINANZIAMENTI NON È ANCORA DEFINITIVO, MANCA L’OK DELLA CORTE DEI CONTI, CHE DEVE PRONUNCIARSI SULLA DELIBERA FAVOREVOLE DEL COMITATO CIPESS

Settembre 5th, 2025 Riccardo Fucile

LA DECISIONE DEI GIUDICI CONTABILI NON È SCONTATA. SOPRATTUTTO DOPO CHE L’AMBASCIATORE USA ALLA NATO, MATTHEW WHITAKER, HA STOPPATO IL “TRUCCHETTO CONTABILE” TENTATO DAL GOVERNO MELONI: I FINANZIAMENTI PER L’INFRASTRUTTURA NON POTRANNO RIENTRARE NEL CONTEGGIO DELLE SPESE NATO PER LA DIFESA COME OPERA “DUAL USE”

“Dual use”. È quella la formula che rischia di far crollare le fondamenta burocratiche attorno a cui Matteo Salvini sogna di realizzare il Ponte sullo Stretto di Messina. Perché quel doppio utilizzo è stato previsto dal patto Nato sul 5% del Pil per la corsa al riarmo fino a un massimo pari un punto percentuale e mezzo. La restante parte – è il dettato dell’accordo – va comunque riservata in armamenti.
In tutto, 113 miliardi che l’Italia è chiamata a investire nei prossimi anni. Ma il Ponte non potrà rientrare in quelle spese. Lo spiega Alessandro Marrone, responsabile del programma difesa, sicurezza e spazio dell’Istituto affari internazionali: la soglia dell’1,5% può essere utilizzata per «per infrastrutture critiche e resilienza, dunque anche porti e aeroporti».In linea di principio – è il ragionamento che aveva fatto il governo Meloni, bypassando i pareri ambientali negativi e arrivando all’approvazione della delibera Cipess – anche il Ponte poteva rientrare tra quelle opere strategiche.
Ma adesso la Nato dice che non è così: riguardo all’infrastruttura di collegamento tra Sicilia e Calabria, «le basi principali in Sicilia sono dell’aeronautica a Trapani-Birgi o sono installazioni di sorveglianza come la Ground Surveillance a Sigonella».
Insomma, Giorgia Meloni, insieme al Mef e alla Difesa dovranno trovare un piano B per raggiungere la soglia del 5%: il governo Trump – ha fatto capire l’ambasciatore Usa alla Nato Matthew Whitaker – non intende avallare operazioni di maquillage ragionieristico, per giustificare l’aumento delle spese di difesa.
Per i ministri Crosetto e Giorgetti si apre un percorso a ostacoli per recuperare quelle somme, mentre il ministero delle Infrastrutture fa sapere che «il Ponte è già interamente finanziato con risorse statali e l’eventuale utilizzo di risorse Nato non è
all’ordine del giorno. L’opera non è in discussione».
In questo quadro, il via libera al Ponte non è ancora definitivo: a dover apporre il sigillo sull’operazione è la Corte dei Conti, che deve pronunciarsi sulla delibera Cipess che ha dato l’ok al finanziamento. Alla luce dei malumori che arrivano dagli States e delle nuove somme che il governo sarà chiamato a recuperare, è tutt’altro che scontata la direzione che potrebbero decidere di imboccare i giudici contabili.Non si tratta di un passaggio secondario: i cantieri minori e le opere collaterali non potranno partire prima dell’ok dei giudici alla spesa.
Il segretario confederale della Cgil, Pino Gesmundo, attacca la strategia del governo Meloni e della maggioranza «di tentare di giustificare l’opera attraverso artifici contabili e dichiarazioni propagandistiche». Ma secondo il sindacato «se Salvini ci avesse dato ascolto, il Paese si sarebbe risparmiato uno sberleffo internazionale».
Per il vicepresidente di Italia Viva, Davide Faraone, il governo Meloni ha fatto «l’amico degli americani, convinto che bastasse l’arte dell’arrangiarsi. In Europa restiamo col marchio peggiore: serpi in seno e senza risultati».
(da agenzie)

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BENTORNATI NEL MEDIOEVO: LA FLORIDA VUOLE DIVENTARE IL PRIMO STATO DEGLI USA AD ABOLIRE TUTTI GLI OBBLIGHI DI VACCINO, COMPRESI QUELLI PER I BAMBINI IN ETÀ SCOLASTICA

Settembre 5th, 2025 Riccardo Fucile

JOSEPH A. LADAPO, NOTO NO-VAX E SURGEON GENERAL DELLO STATO, HA DATO L’ANNUNCIO ACCANTO AL GOVERNATORE RON DESANTIS: “STIAMO LAVORANDO PER ABOLIRE TUTTI GLI OBBLIGHI VACCINALI. SONO SBAGLIATI E TRASUDANO DISPREZZO E SCHIAVITÙ”

La Florida intende diventare il primo stato degli Usa ad abolire tutti gli obblighi di vaccino, compresi quelli per i bambini in età scolastica. “Chi sono io per dirvi cosa vostro figlio dovrebbe mettersi in corpo?”, ha detto il surgeon general della Florida, Joseph A. Ladapo, un noto no-vax, dando l’annuncio accanto al governatore repubblicano Ron DeSantis.«Il vostro corpo è un dono di Dio», ha aggiunto Ladapo tra gli applausi del pubblico durante un evento a Valrico, vicino a Tampa, e ha poi aggiunto che l’amministrazione statale sta «lavorando per abolire tutti gli obblighi vaccinali. Sono sbagliati e trasudano disprezzo e schiavitù».
Tutti e 50 gli stati degli Usa hanno almeno qualche obbligo di vaccino per i bambini che entrano a scuola, sebbene tutti
prevedano esenzioni di tipo medico e la maggior parte consenta esenzioni per motivi religiosi o personali. Secondo la Kaiser Foundation, un think tank che si occupa di politiche sanitarie, negli ultimi anni il numero di studenti che ottiene esenzioni è aumentato, mentre i tassi di immunizzazione sono diminuiti
DeSantis, che nel 2021 ha nominato Ladapo come surgeon general, ha anche annunciato la creazione di una commissione per allineare la Florida agli obiettivi delineati dal ministro della salute Robert F. Kennedy Jr., anche lui scettico in materia di vaccini. La commissione sarà guidata da Casey DeSantis, moglie del governatore.

(da agenzie)

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ARMANI AMAVA L’ITALIA NON SOLTANTO A PAROLE, MA NEI FATTI. A DIFFERENZA DI MOLTI ALTRI, NON HA MAI VENDUTO AGLI STRANIERI. A DIFFERENZA DI MOLTI ALTRI, NON HA MAI PORTATO LA RESIDENZA NEI PARADISI FISCALI

Settembre 5th, 2025 Riccardo Fucile

PAGAVA LE TASSE NEL SUO PAESE, PERCHÉ RITENEVA DI DOVER CONTRIBUIRE ALLA SALUTE, ALL’ISTRUZIONE, ALLA SICUREZZA DEI SUOI COMPATRIOTI

Alla domanda — «quale fu il suo primo amore maschile?» — si irrigidì. D’istinto,sbottò: «Chi le ha detto che ho avuto amori maschili?». Rimase a lungo in silenzio. Quindi cominciò a raccontare, come un fiume in piena. All’inizio dell’intervista aveva accennato alla sua prima fidanzatina, che a otto anni era morta travolta da un Tir, e alla sua prima volta, con una compagna di scuola «bruttina, che però mi suggeriva quando ero interrogato».
Poi rivelò il suo primo amore omosessuale: «Non ho mai parlato di questo. Fu sotto un capannone sulla spiaggia di Misano Mare,
alle 5 del pomeriggio, quando tutti i ragazzi della colonia venivano ricoverati sulla spiaggia per rilassarsi. C’era un responsabile, un giovane uomo, che mi ispirò subito un sentimento d’amore. Da lì in avanti la mia vita cominciò, in un altro modo. Era un’attrazione che sentivo, una cosa bellissima: non vedevo l’ora di stargli vicino, di farmi accarezzare… Una grande emozione. Queste cose non le ho mai dette a nessuno. È un ricordo molto emozionante».
E in effetti, nel rievocarlo, era quasi commosso.
Non si sa perché Giorgio Armani avesse atteso novant’anni. Forse perché nessuno quella domanda gliel’aveva mai fatta. Forse perché aveva valutato che fosse il momento giusto per parlarne.
Il racconto proseguì a lungo. L’incontro della vita con Sergio Galeotti e il suo «bel sorriso toscano», avvenuto in Versilia, alla Capannina: da qui la recente decisione di acquistarla, nel ricordo di quell’antico e duraturo amore. La malattia di Sergio, un colpo terribile proprio mentre era arrivato il successo mondiale. La morte dell’uomo amato, una sofferenza fortissima: «Ho avuto una forza di volontà incredibile, per vincere questo dolore crudele. Dicevano: Armani non è più lui, non ce la farà mai da solo… Anche per questo, a chi mi chiedeva una partecipazione nella Giorgio Armani, rispondevo: no grazie, ce la faccio da solo».
Armani, a differenza di molti altri, non ha mai venduto agli stranieri. Armani, a differenza di molti altri, non ha mai portato la residenza nei paradisi fiscali: pagava le tasse nel suo Paese, perché riteneva di dover contribuire alla salute, all’istruzione, alla sicurezza dei suoi compatrioti. Armani amava l’Italia non soltanto a parole, ma nei fatti.
La vita che ci raccontò, in quella mattinata di meno di un anno fa, era nello stesso tempo favolosa e ordinaria. L’infanzia sotto il fascismo, e il ricordo indelebile dell’arroganza del gerarca, del telefono nero, del sussiego con cui trattava suo padre.
L’amicizia con il suo vicino di casa: Enzo Jannacci. Il rapporto distante con i colleghi, la cortesia di Valentino, il ciao con la mano scambiato da lontano con Versace: i due non avrebbero potuto essere più diversi, uno sgargiante l’altro essenziale, uno esplosivo l’altro rarefatto, lo scalpore e il nitore, il calabrese coloratissimo e il padano innamorato del colore del fango del Trebbia.
Meritatamente ricco, Armani era rimasto una persona semplice — «il signor Armani» —, di una gentilezza esigente: rispettava tutti, e da tutti si attendeva rispetto. Ammetteva di aver guardato Chanel, e si seccava di essere stato copiato da Klein e da molti altri. Si divertiva a punzecchiare Dolce&Gabbana e Miuccia Prada, che in fondo gli erano simpatici.
A ricordargli un affondo di Diego Della Valle — «alla sua età mio nonno era davanti al focolare con il plaid sulle ginocchia, lui è sempre in maglietta» —, sorrideva: «Il segreto della longevità è la disciplina». Giorgio Armani era un genio discipinato.
Aldo Cazzullo
per il “Corriere della Sera”

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