Settembre 7th, 2025 Riccardo Fucile
“LA STRADA PER UNA SOVRANITÀ ECONOMICA E POLITICA PASSA PER GLI INVESTIMENTI NELLA DIFESA” … LA BORDATA A URSULA VON DER LEYEN: “CON TRUMP NON SI PUÒ CAPITOLARE. CHI HA RESISTITO, COME LA CINA, HA VISTO IL TYCOON FARE MARCIA INDIETRO. CHI HA CEDUTO, COME HA FATTO L’EUROPA SUI DAZI, DOPO POCHI GIORNI SI È TROVATO DI FRONTE A NUOVE PRETESE. BISOGNA SEMPRE RICORDARE CHE UN ACCORDO CON TRUMP NON VALE LA CARTA SU CUI È SCRITTO: IL SUO È UN MONDO DI FATTO È SENZA LEGGE. TRUMP È IL CAOS”
«L’Europa deve imparare a vivere senza gli Stati Uniti, o almeno a fare sempre meno affidamento su Washington. È la sola strada perché conquisti una vera sovranità economica e politica. Ed è una strada che passa anche da maggiori investimenti sulla difesa».
Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’Economia, non usa giri di parole al Forum Teha di Cernobbio. E a fronte delle preoccupazioni di Sergio Mattarella sul ruolo attuale degli Usa e delle Big Tech propone soluzioni drastiche, anche se assai difficili. Del resto, sostiene, «Trump è il caos».
Professor Stiglitz, come si resiste alla nuova amministrazione Usa?
«La lezione è chiara: non si può capitolare. Chi ha resistito, come la Cina, ha visto Trump fare marcia indietro. Chi ha
ceduto, come ha fatto l’Europa sui dazi, dopo pochi giorni si è trovato di fronte a nuove pretese; ad esempio l’abolizione delle tasse digitali.
Bisogna sempre ricordare che un accordo con Trump non vale la carta su cui è scritto: il suo è un mondo di fatto è senza legge, difficile da comprendere per chi è abituato allo stato di diritto».
Ma chi possono essere gli alleati dell’Europa in questo scenario?
«Trump è riuscito ad alienarsi quasi tutti e quindi, in un certo senso, ogni paese può diventare un alleato commerciale. Penso però soprattutto all’iniziativa “Democrazie per sempre” in America Latina, promossa anche dalla Spagna. Quelli sono partner naturali, perché condividono valori di democrazia e diritti umani. Con la Cina si può avere un rapporto commerciale, ma non certo un’alleanza politica».
Pensare a un’apertura commerciale alla Cina evoca subito scenari di invasione sui nostri mercati.
«Certo, perché non è più la Cina della manodopera a basso costo.
Oggi conta più ingegneri di qualsiasi altro Paese e ha un mercato interno enorme.
Esporta auto elettriche e tecnologia non solo grazie ai sussidi, ma grazie alla combinazione di domanda interna e capitale umano. L’Europa deve aggiornare la sua visione: Pechino non è più una fabbrica di prodotti a basso prezzo, ma un forte concorrente tecnologico».
Lei parla di sovranità economica europea da riconquistare: cosa significa?
«Significa smettere di farsi dettare le politiche economiche dagli Stati Uniti. Questo comporta inevitabilmente una revisione dei rapporti commerciali, delle esportazioni e delle importazioni.
L’obiettivo deve essere un’Europa meno dipendente dagli Usa».
Ma è una dipendenza che nasce prima di tutto da questioni strategiche e militari…
«E infatti, allo stesso modo, sul piano militare non potete più contare sulla protezione americana: serve una capacità industriale e di difesa autonoma. La guerra in Ucraina ha reso tutto più urgente.
L’accordo difensivo con Washington non è mai stato realmente tale. Trump non si muove per Kiev, ma intanto permette che l’Europa spenda miliardi per comprare armi americane. E la sua minaccia è di interrompere questo commercio lucroso per gli Usa».
Come valuta lo stato dell’economia americana?
«Non così solido come appare. Negli ultimi tre mesi le nuove assunzioni sono state nulle. Un’economia sana dovrebbe creare 150-200 mila posti di lavoro al mese. La verità è che l’immigrazione, da sempre un motore, oggi è bloccata: molti immigrati hanno paura perfino di uscire di casa».
Chi saranno i vincitori dell’era Trump, al termine del mandato?
«Paradossalmente l’Europa, se saprà cogliere l’occasion
Puntando sulla difesa, sugli investimenti tecnologici, su una maggiore coesione, può rafforzare la propria economia mentre cala la fiducia negli Stati Uniti. La stabilità del vostro continente,
rispetto al caos americano, diventa un vantaggio competitivo anche per attirare investimenti».
(da Repubblica)
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Settembre 7th, 2025 Riccardo Fucile
UNA DELLE IPOTESI È CHE I DUE FOSSERO NEL CAPOLUOGO DELLA TUSCIA PER UCCIDERE IL BOSS ISMAIL ATIZ
Gli investigatori seguono la pista della faida tra bande rivali turche per spiegare la
presenza a Viterbo di Baris Kaya (22 anni) e Abdullah Atik (25 anni), arrestati la sera del 3 settembre mentre alloggiavano in un b&b del centro e trovati in possesso di una pistola Browning calibro 9 e di una mitraglietta d’assalto Tokarev.
Una delle ipotesi al vaglio è che i due fossero arrivati nel capoluogo della Tuscia per uccidere il boss Ismail Atiz, affiliato ai Casperlar, arrestato il 25 agosto scorso sempre a Viterbo.
L’agguato, secondo questa ricostruzione, avrebbe potuto essere messo in atto durante il trasferimento di Atiz in tribunale per la convalida dell’arresto.
Sul fronte opposto della contesa criminale ci sono i Daltonlar, gruppo rivale al quale era legato anche Baris Boyun, catturato un anno fa a Bagnaia. Gli inquirenti non escludono che la presenza dei due giovani turchi sia collegata a un nuovo capitolo di questa guerra per il controllo dei traffici illeciti.
Kaya e Atik sono in carcere a seguito della convalida, entrambi hanno scelto la via del silenzio.
(da agenzie)
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Settembre 7th, 2025 Riccardo Fucile
PER BONACCINI CON L’AUTUNNO I NODI ECONOMICI ARRIVERANNO AL PETTINE: “LE CONDIZIONI DEGLI ITALIANI PURTROPPO PEGGIORERANNO: IL CARO BOLLETTE E I DAZI SONO UNA MAZZATA. SERVE UN’ALTERNATIVA CREDIBILE”
Ci ha messo parecchio del suo, a convincere Antonio Decaro a candidarsi in Puglia. Ma non è tipo da vantarsi di aver dato una mano «alla Ditta». Perché Stefano Bonaccini, presidente del Pd, leader della corrente riformista ed ex candidato alle primarie – il più votato dagli iscritti, cosa che in qualsiasi altro partito significherebbe che è il segretario – rema «per l’unità del Pd, per l’alleanza di centrosinistra, per il paese e dunque per mandare a casa la destra quanto prima».
Presidente, Decaro è ufficialmente candidato in Puglia. Ma il travaglio per arrivare a questo finale, è sembrato incomprensibile. Perché ci è voluto tanto?
«L’importante è che si sia arrivati alla soluzione migliore: Antonio Decaro è il candidato migliore per unire il centrosinistra e porta di suo un valore aggiunto straordinario di consenso, come sì è visto un anno fa alle europee, quando ha raccolto la cifra stratosferica di 500mila preferenze.
Con tutte le forze politiche e il civismo attorno a lui, rappresenta
davvero un progetto credibile di buongoverno per il futuro della Puglia e del Mezzogiorno, come ha dimostrato da sindaco della sua Bari e come presidente nazionale Anci (l’associazione dei comuni d’Italia, ndr). Faccio presente che la destra è in difficoltà, divisa sulle candidature, non solo in Puglia. Il centrosinistra sta dando invece una grande prova di coesione, come da anni non avveniva».
Stavolta stringere le coalizioni è stato più facile che affrontare i problemi interni del Pd, in Puglia, Campania e Toscana. Perché?
«Non è così. I problemi non mancano mai, ma il gruppo dirigente nazionale del Pd ha dato in questi passaggi prova di compattezza rispetto alle inevitabili contraddizioni che possono sempre esserci sul territorio. Con Elly Schlein abbiamo condiviso i passaggi e questo ha tolto qualsiasi alibi. Questo spirito unitario sta maturando finalmente anche nel centrosinistra: uniti si può provare a vincere ovunque o quasi, divisi si perde».
Alla fine nel Pd hanno vinto i “cacicchi e i capibastone”?
«Sono espressioni che non mi piacciono. E in ogni caso è avvenuto il contrario: guideranno la coalizione di centrosinistra personalità che hanno dimostrato di avere consenso personale, radicamento, e di saper unire la coalizione per vincere».
La destra in molte regioni, tranne Marche e Toscana, non ha ancora scelto i suoi candidati. Le rocambolesche vicende interne al Pd non forniscono l’alibi per oscurare lo stato teso dei rapporti nella destra?
«Oscurare le difficoltà del centrodestra a questo punto è impossibile: sono in stallo su diverse candidature e non mi pare prevalgano i criteri che abbiamo usato noi: consenso, radicamento e capacità di unire.
Quello che fanno loro, piuttosto, è una spartizione a tavolino dei protetti dei leader nazionali. Per carità, ognuno ha il suo metodo e non compete a me entrare nelle loro scelte, ma registro che noi adesso siamo in campo in tutte le regioni con personalità autorevoli, mentre la destra in alcune regioni è ferma al palo. È un dato di fatto».
Dopo questa tornata di regionali, cosa mancherà ancora per cominciare a parlare dell’alleanza di centrosinistra a livello nazionale, in vista delle prossime politiche?
«Dopo le tornate amministrative dello scorso anno, in cui il Pd e il centrosinistra sono cresciuti nei consensi e nelle vittorie sia nei comuni che nelle regioni, le regionali di quest’autunno rappresentano un giro di boa: si vota in sette regioni e, fatte salve le peculiarità e specificità di ogni contesto, nell’insieme sarà un test nazionale, perché coinvolge un terzo degli italiani […]»
Romano Prodi però dice: al centrosinistra basterebbe esistere. Il centrosinistra «non esiste»?
«Stiamo provando a dimostrare il contrario. È evidente che se le regionali andranno bene ci sarà il primo vero campanello d’allarme per la destra. Dire che vogliamo battere la destra è importante, ma non basta. E non basta criticarli: bisogna unirsi su un progetto credibile per offrire agli elettori un’alternativa
migliore della destra. Credo che Prodi ci stia giustamente incalzando su questo».
Nel frattempo però nonostante i dazi, il carovita, le vacanze a cui molti italiani hanno dovuto rinunciare, Giorgia Meloni ha ancora il vento in poppa nei sondaggi. Cosa sperate che cambi di qui al voto politico?
«Anzitutto le condizioni del paese e degli italiani stanno peggiorando e purtroppo peggioreranno ulteriormente: il caro bollette e i dazi sono una mazzata per la crescita dell’economia e per la competitività delle nostre imprese, i servizi si stanno sgretolando, penso alla sanità e ai trasporti; il potere d’acquisto di molte famiglie si sta riducendo e il governo non sta offrendo nessuna soluzione e nessuna protezione.
Perché questo bilancio negativo possa penalizzare Meloni e il governo serve ora un centrosinistra alternativo, unito e credibile, con una ricetta diversa e migliore. Per questo il test delle regionali sarà molto importante»
(da Domani)
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Settembre 7th, 2025 Riccardo Fucile
IL CONTO E’ SALITO A 1,6 MILIARDI… NON SI ERA VOLUTO DARE RETTA AL SUPER-ESPERTO CHE AVEVA PREVISTO CHE IL PUNTELLAMENTO DEI FONDALI ERA INADEGUATO… E ORA PAGANO I CONTRIBUENTI, RINGRAZIATE I SOVRANISTI
Piero Silva aveva ragione: i fondali su cui si sta realizzando la nuova diga foranea del
porto di Genova non tengono e per consolidarli si spenderà molto più del previsto. Dopo la denuncia di tre anni fa dell’ex responsabile del project management dell’opera, ora la conferma arriva dalla recente modifica al contratto da 950 milioni stipulato tra l’Autorità portuale e PerGenova Breakwater, il consorzio costruttore guidato dal colosso Webuild, per la realizzazione della fase A, interamente a carico pubblico con mezzo miliardo di fondi complementari al Pnrr. Il documento, nero su bianco, riporta gli extra-costi ammessi a maggio dal commissario all’opera Marco Bucci: 160 milioni per la prima fase e 142 per la seconda (stimata inizialmente in 350 milioni). Ulteriori stanziamenti che portano l’opera a superare il costo complessivo di 1,6 miliardi. E non solo. Ora si certifica che l’imprevisto era in realtà previsto e si
conferma l’incognita sulla fattibilità dell’intera opera dato che i pochi cassoni fin qui posati si trovano sui fondali meno problematici.
Secondo il nuovo contratto, infatti, il sovraccosto deriva per due terzi dalla “esecuzione delle colonne di sottofondazione” per consolidare i fondali, rivelatasi ben più onerosa del previsto. Proprio come ha rivelato il Fatto nell’aprile 2022, con la testimonianza di Silva, il super esperto di porti che si è dimesso dopo il rifiuto di Bucci e dell’allora presidente del porto, Paolo Signorini, di modificare il progetto per evitare quel che ora si sta verificando.
Eppure, nonostante la denuncia, il progetto è stato portato a gara. Così, anche se si tratta di una delle più imponenti dighe portuali della storia, i colossi internazionali del settore non si sono presentati, spaventati dalla clausola che imputava all’appaltatore la “sorpresa geologica”, cioè l’esigenza a lavori in corso di puntellare il consolidamento di fondali critici per profondità e instabilità. A offrirsi sono stati solo Webuild, associata a Fincosit (consorella del progettista originario, Technital), e la cordata Caltagirone-Gavio, che hanno ottenuto, a procedura chiusa, il ribaltamento di quella clausola: il puntellamento del consolidamento dei fondali è passato in capo all’appaltante pubblico.
Sul caso, la Procura europea ha aperto un’inchiesta, indagando anche Signorini (nel frattempo travolto dal Totigate con l’accusa di corruzione), ma è così che ora Webuild &C. passeranno
all’incasso. Con il rischio che il conto per lo Stato lieviti. Secondo la modifica contrattuale, infatti, i 160 milioni sono “condivisi in via conciliativa dall’appaltatore”, ma solo se i soldi arriveranno entro fine anno. Altrimenti Webuild chiederà di più.
Non solo. Il resto della somma, oltre 56 milioni, è imputato al ritardo accumulato, ascritto evidentemente (i documenti ci sono stati negati) all’Autorità portuale dal Collegio consultivo tecnico, l’organo per le controversie alla cui presidenza Signorini volle Giacomo Aiello, conosciuto 25 anni fa quando entrambi si muovevano fra presidenza del Consiglio, Cipe e ministero delle Infrastrutture. L’accordo stabilisce la fine dei lavori a dicembre 2027, 13 mesi dopo il previsto, ma se i soldi non arriveranno nei prossimi 4 mesi, la data slitterà. Ipotesi smentita dal subcommissario all’opera, Carlo De Simone: “Il reperimento delle fonti finanziarie è clausola di rito perché, per chiedere i soldi, dobbiamo avere un atto che li giustifichi. Siamo certi di averli ancor prima di fine anno. Ed entro il termine per i lavori di fase A contiamo di concludere anche quelli di fase B”, ha dichiarato al Fatto, malgrado in due anni e mezzo di lavori siano stati posati 12 cassoni sui 103 totali e il cronoprogramma di fase B, da aggiudicare, preveda 39 mesi.
A semplificare la procedura ci ha pensato il ministero dell’Ambiente, che pochi giorni fa, sorvolando sul surplus di controlli sulla tenuta dei cassoni (si sono già verificati sgretolamenti) ritenuti “necessari” da Ispra, ha sdoganato il loro riempimento con scarti di altro cantiere genovese, attenzionati
per la significativa presenza di amianto e nichel, come raccontato dal Fatto. A firmare il provvedimento la responsabile della sottocommissione di valutazione impatto ambientale (Via) Paola Brambilla, già firmataria delle pratiche per la cui facilitazione – come emerso dall’indagine sul Totigate – si spesero direttamente Bucci e Signorini (Brambilla è completamente estranea all’indagine).
Nel mentre l’Autorità portuale di La Spezia, sfruttando il decreto con cui il governo a fine 2024 ha dato a Bucci altri poteri speciali per bypassare le criticità ambientali, ha definito il piano di conferimento ai cassoni genovesi dei suoi sedimenti di dragaggio, fortemente indiziati di alti tassi di inquinamento, negandoci però i documenti su volumi e caratteristiche. I fondali potrebbero non esser l’unica cosa scivolosa di questa storia.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Settembre 7th, 2025 Riccardo Fucile
QUALCHE MOMENTO DI TENSIONE, INSULTI A PIANTEDOSI
Una ondata di persone – se ne sono contate circa ventimila – hanno aderito al corteo e manifestazione organizzata a sostegno del Leoncavallo, lo storico centro sociale di Milano che è stato
sgomberato a fine agosto dopo oltre 130 rinvii di sfratti. Il centro è stato per anni un punto di riferimento per la città: aperto nel 1975, trasferito in un’altra sede negli anni Novanta, ha accolto decine e decine di cittadini, stranieri e persone fragili che potevano trovare nel Leonka un luogo in cui poter studiare, ricevere sostegno, aiuto, supporto e svolgere attività che una città sempre più esclusiva rende complesso fare.
Non solo discoteca. Come hanno ricordato nei giorni scorsi a Fanpage.it, alcune persone che hanno frequentato quei luoghi con le loro associazioni e attività. E oggi, proprio per ricordare l’importanza di quelle mura, è stato organizzato un corteo. Una manifestazione a cui hanno aderito centri sociali, ma anche cittadini e volti noti. C’erano personaggi del mondo dello spettacolo come Claudio Bisio, Paolo Rossi e ancora i The Comedian.
Dalle 14 e fino al tardo pomeriggio, una marea di persone ha sfilato per le vie della città raggiungendo poi Piazza Duomo a Milano. Nel corso della giornata non sono mancati però petardi, insulti al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e addirittura presunti lanci di uova. A mezzogiorno, in una manifestazione che anticipava il corteo ufficiale, un gruppo di attivisti hanno fatto irruzione nel cantiere del Pirellino.
La zona è di proprietà di Coima, il cui amministratore delegato Manfredi Catella è finito al centro dell’inchiesta sull’urbanistica della Procura di Milano. E tra i progetti al centro delle indagini, c’è anche il Pirellino. E proprio i manifestanti hanno iniziato a lanciare vernice rosa. Durante poi il corteo, un gruppo di Antagonisti si è staccato e si sarebbe diretto verso la Prefettura e avrebbe lanciato petardi e uova contro le forze dell’ordine, ma sarebbero caduti lontani dai mezzi delle forze dell’ordine.
Ci sarebbero poi stati, durante il corteo, alcuni insulti che sarebbero stati rivolti al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. Il corteo si è poi concluso in Piazza Duomo dove alcuni ragazzi sono saliti sul monumento che si trova al centro della piazza e hanno iniziato a urlare: “Via, via la polizia”
(da Fanpage)
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Settembre 7th, 2025 Riccardo Fucile
“MOMENTO STORICO, APRIRA’ UN NUOVO CAPITOLO”
Erano centinaia i fedeli della comunità Lgbt+ che ieri, sabato 6 settembre, hanno
vissuto un momento storico, quello di un pellegrinaggio giubilare a Roma, nel cuore della cristianità, con il passaggio della Porta Santa a San Pietro.
Dopo la veglia celebrata il venerdì sera, sabato si sono tenute la Messa e il pellegrinaggio giubilare “che è stato il momento centrale”, racconta a Fanpage.it Tiziano Fani Braga, coordinatore del gruppo Mosaiko Cristiani Lgbt+, volontario de La Tenda di Gionata e uno degli organizzatori del Pellegrinaggio.
“Abbiamo avuto una partecipazione straordinaria, non ce l’aspettavamo, le iscrizioni sono state più di 1400. Abbiamo avuto alcune disdette di fratelli che non sono potuti venire, ma alla Messa eravamo sicuramente più di mille”, aggiunge.
La Chiesa del Gesù, dove i fedeli Lgbt+ si sono raccolti in preghiera, era piena, i posti a sedere tutti occupati e tanti hanno seguito la Messa in piedi o seduti per terra. Tiziano ci descrive la celebrazione come “un momento di grande comunione”.
All’organizzazione del pellegrinaggio hanno partecipato organizzazioni nazionali e internazionali. “C’è stata una grande
collaborazione dei giovani. Un gruppo ha portato la croce arcobaleno da Terracina a Roma. Ci siamo sentiti veramente in comunione, è stato un momento storico”
Tiziano non è l’unico a definire “storico” il pellegrinaggio giubilare che si è tenuto ieri. Si tratta infatti del primo organizzato da associazioni Lgbt+ e calendarizzato tra gli eventi per il Giubileo.
“C’è stato un grande supporto da parte della Chiesa che ci ha accolto, durante la Messa e il pellegrinaggio a San Pietro. Non ci sono state contestazioni, cosa che un po’ temevamo”, prosegue il volontario de La Tenda di Gionata.
La Messa è stata celebrata da monsignor Francesco Savino, vicepresidente della Cei. Occorre “liberarsi dai pregiudizi” e “nessuno deve più sentirsi escluso”, ha detto il vescovo di Cassano all’Ionio nell’omelia. “Il Giubileo deve essere un tempo di giustizia riparativa” ed “è l’ora di restituire dignità a tutti, soprattutto a chi è stata negata”, ha aggiunto.
“È chiaro non si cancella il passato, non si strappano i capitoli dolorosi dalla vita ma Dio salva”, ha aggiunto. “Durante l’omelia ci sono stati 3 minuti di applausi, tutti si sono alzati in piedi”, ha ricordato Tiziano.
Che commenta: “Le sue parole ci hanno sorpreso tantissimo, essendo il vicepresidente della Cei immaginavamo un’apertura moderata, invece abbiamo sentito un’accoglienza piena”. Insieme ai fedeli Lgbt+ c’erano anche tanti sacerdoti
Tra loro, don Andrea Conocchia, parroco di Torvaianica accompagnato da alcune donne trans che accoglie da anni. E suor Genevieve, la religiosa amica di Papa Francesco che ha rotto il protocollo scoppiando in lacrime davanti alla sua bara.
Papa Leone XIV non era presente alla giornata odierna ma, come ci spiega ancora Tiziano, la sua partecipazione ai pellegrinaggi giubilari non è obbligatoria. Anche se in molti si aspettavano una sua apparizione, soprattutto dopo l’incontro, avvenuto qualche giorno fa, tra padre James Martin, gesuita da sempre vicino ai cattolici Lgbt+, e il Pontefice.
“Il Papa durante l’incontro ha garantito la stessa apertura di Francesco e così facendo ha messo un po’ a tacere le voci che erano circolate dopo la sua elezione”, osserva Tiziano.
Anche la partecipazione di alcuni rappresentanti del movimento internazionale progressista “Noi siamo Chiesa” al Giubileo delle équipe sinodali in Vaticano a ottobre, annunciata alcune settimane fa, è stata considerata un’altra piccola apertura. In quest’occasione sembra sia previsto un incontro con Papa Leone. “Il Sinodo non si è ancora chiuso perché il documento presentato dai vescovi è stato ritenuto incompleto ed è stato rimandato indietro, quindi speriamo che in quello che verrà approvato ci siano cambiamenti e aggiunte strutturali. Che non siano solo parole”, commenta Tiziano.
“Il punto cruciale su cui si basa la nostra pastorale è che siamo tutti battezzati e siamo tutti cristiani, facciamo parte della stessa Chiesa, siamo anche noi Chiesa. La nostra voce sicuramente sarà giunta al Papa e speriamo ci sia un’apertura strutturata in tal
senso. – aggiunge – Noi ci siamo, siamo nella Storia e questo evento storico aprirà un nuovo capitolo”.
“Continueremo con i nostri incontri e le nostre pastorali. Le cose si cambiano dal basso e noi continueremo su questa strada. Ora c’è una visibilità maggiore e la possibilità di arrivare a tutti, a quelle persone che non hanno spazio per potersi esprimere e conoscere un altro percorso di fede all’interno della Chiesa”.
“Speriamo che questo messaggio possa arrivare, che sia possibile dire: ‘Ci siamo anche noi, possiamo vivere la nostra fede‘. Al pellegrinaggio hanno partecipato anche tanti giovani, cosa che non accade sempre in queste occasioni, – conclude Tiziano – ma è bello sapere che saranno loro a portare avanti questa pastorale e per noi è molto importante”.
(da agenzie)
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Settembre 7th, 2025 Riccardo Fucile
SECONDO IL RAPPORTO DI “SAVE THE CHILDREN”, CIRCA MILLE AVEVANO MENO DI UN ANNO
In quasi due anni di conflitto a Gaza, la guerra ha strappato la vita a un bambino palestinese ogni ora, con un bilancio che ha
ormai superato le 20mila vittime. A diffondere i dati è Save the Children, che si riferisce alle statistiche pubblicate dall’ufficio stampa del governo di Gaza.
Tra queste piccole vittime, circa 1.000 avevano meno di un anno: quasi la metà di loro è nata durante il conflitto e ha perso la vita a causa della guerra stessa. Oltre 42mila bambini sono rimasti feriti, e secondo l’Onu più di 21mila rischiano di restare invalidi per tutta la vita. Migliaia di altri bambini, precisa la Ong, sono dispersi o probabilmente sepolti sotto le macerie.
Oltre 132mila bambini sotto i cinque anni rischiano di morire a causa della malnutrizione acuta, mentre almeno 135 minori hanno già perso la vita per fame, 20 dei quali dall’inizio della carestia dichiarata il 22 agosto, secondo il ministero della Salute della Striscia di Gaza.
Nel frattempo, le forze israeliane hanno intensificato i bombardamenti sulla Striscia, provocando danni devastanti: il 97% delle scuole e il 94% degli ospedali sono stati colpiti. I bambini, per la loro corporatura più piccola e fragile, hanno sette volte più probabilità di morire per ferite da esplosione rispetto agli adulti e necessitano di cure mediche specifiche e adeguate alla loro età, spesso difficili da garantire in un contesto di conflitto e distruzione.
(da Open)
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Settembre 7th, 2025 Riccardo Fucile
UNA RISPOSTA TUTT’ALTRO CHE CONCILIANTE AD ATTILIO FONTANA CHE ERA SBOTTATO: “COL CAZZO CHE VANNACCIZZANO LA LEGA” … VANNACCI CHE PARLA DI IDEALI FA RIDERE
Più lo invitano a stare nei ranghi e più il generale avanza. Nemmeno l’uscita sopra le
righe del solitamente mansueto presidente della Lombardia Attilio Fontana («Col c… che vannaccizzano la Lega») ammorbidisce Roberto Vannacci che, anzi, rivendica di avere il diritto sia di portare i suoi valori dentro il partito di cui è diventato da pochi mesi vicesegretario, sia di fare proselitismo per la sua associazione (che definisce culturale ma che si muove a tutti gli effetti come un soggetto politico).«Vannacci — spiega parlando di sé — porta la propria esperienza, i propri ideali, i propri principi all’interno di un partito politico e cerca più adepti possibile. Non vedo perché non si debba parlare di vannaccizzazione o di vannaccismo».
L’ex comandante della Folgore, eletto a Bruxelles nel giugno di un anno fa con una valanga di preferenze (oltre 500 mila, il più votato in Italia dopo Giorgia Meloni), conferma quindi che le sue iniziative sul territorio hanno lo scopo di arruolare nuove reclute. Anzitutto, per Mondo al contrario, la sua associazione; se anche per la Lega è tutto da vedere.
E poco importa se pure il presidente del Veneto Luca Zaia pochi giorni fa lo abbia invitato a «fare il leghista». «Ogni persona che entra all’interno di una istituzione, di una società, porta quanto di meglio può portare — sostiene il deputato europeo —. Porta la propria esperienza, i propri ideali, i propri principi e tenta di diffonderli all’interno dell’organizzazione alla quale appartiene. Lo fanno gli ingegneri, lo fanno gli architetti, lo fanno gli economisti. E perché non lo dovrebbe fare anche Vannacci?».
In Toscana, la collega deputata europea Susanna Ceccardi, nei giorni scorsi ha lamentato un eccesso di interventismo di Vannacci nel lavoro di predisposizione delle liste che dovranno essere presentate a breve per le elezioni regionali.
«Qui ci sono militanti, non truppe» l’uscita ad hoc, con linguaggio militare, dell’ex candidata governatrice. Ma il generale ha tirato dritto, forte anche del fatto che è stato proprio Salvini a nominarlo responsabile della campagna elettorale della Lega in Toscana.
In Lombardia, invece, contestano a Vannacci di aver promosso diversi incontri, soprattutto nella provincia di Varese (la terra di Attilio Fontana, guarda caso), senza informare le strutture locali del partito di cui è vicesegretario.
Era scritto fin dall’inizio di questa storia che l’ingresso dell’ex-generale Vannacci, non nella Lega, ma ai vertici del partito con l’incarico di vicesegretario, sarebbe stato dirompente.
E adesso che, avvicinandosi la scadenza delle regionali, ha presentato il conto, l’autore de “Il mondo al contrario”, il libro
autostampato che mette insieme razzismo, nostalgie fasciste e luoghi comuni, con cui ha raggiunto la notorietà e che gli ha fruttato il boom di preferenze alle europee del 2024, rischia di diventare il motivo di una frattura interna insanabile.
Chi, come il governatore della Lombardia Fontana ha fatto deflagrare la contraddizione, adopera argomenti da leghista tradizionale simili a quelli usati da Bossi, finché ne ha avuto le forze, contro Salvini.
Non è detto che un progetto del genere aiuti a crescere, ma almeno, secondo chi lo ripropone, servirà ad evitare il crollo definitivo. I numeri, infatti, sono impietosi: privata del contributo di Vannacci, candidato a sorpresa da Salvini alla sua maniera, di testa propria, senza sentire nessuno, la Lega alle elezioni dell’anno scorso, primo test nazionale dopo le politiche della vittoria del centrodestra in cui Fratelli d’Italia da solo contava più della somma dei suoi alleati, si sarebbe ridotta a un partitino del 5-6 per cento.
Lì l’aveva portata l’estremismo salviniano e l’illusione di costruire il consenso, non sul lavoro sul territorio, ma sui social e con una comunicazione fatta di colpi a sorpresa. Non ultimo quello di associare il controverso ex-generale, candidato come indipendente, ma poi entrato nel partito come vicesegretario in cambio della promessa – per ora – di non farsene uno suo.
Il guaio è che Vannacci ora chiede di far eleggere i suoi adepti, non dotati del suo carisma, nei listini dei candidati governatori in cui non dovranno cercare preferenze. Ha imparato presto.
(da Corriere della Sera)
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Settembre 7th, 2025 Riccardo Fucile
“L’OPPOSIZIONE DI TRUMP? IL SINDACO DI NEW YORK LO ELEGGONO I CITTADINI, NON LO NOMINA IL PRESIDENTE. LA CLASSE PRIVILEGIATA VEDE L’ACCESSIBILITÀ ECONOMICA DELLA CITTÀ COME UNA MINACCIA”
La promessa di Zohran Mamdani agli italiani è questa: «Siete una comunità che rende New York bella e speciale. Mi impegno a garantire che il costo della vita sia sostenibile, affinché possiate continuare a dare il vostro straordinario contributo, senza essere espulsi da un’economia favorevole solo ai più ricchi».
Sono le dieci del mattino di sabato e il ragazzo prodigio della politica americana, almeno lato progressista, arriva all’incrocio tra Fifth Avenue e 42esima strada per la Labor Day Parade.
La particolarità della giornata sta nel sostegno del senatore Bernie Sanders, venuto a dare l’appoggio della corrente liberal del Partito democratico, ormai quasi sparito dall’orizzonte politico americano. Con questa motivazione: «In un momento crescente disuguaglianza, stiamo costruendo un forte movimento per affrontare la classe dei miliardari e l’avidità delle multinazionali. Gli oligarchi sono pronti a minare la democrazia e spendere milioni per comprare le elezioni.
Ma i candidati schierati coraggiosamente con la classe operaia possono batterli, e lo faranno. Restando uniti possiamo
sconfiggere l’autoritarismo e creare un’economia che funzioni per tutti, non solo pochi privilegiati». Prima di avviarsi nella marcia lungo la Fifth Avenue, Mamdani accetta di rispondere alle domande di Repubblica.
Come traduce questo messaggio sul piano politico concreto?
«Il nostro obiettivo è rendere la città accessibile. Far capire a tutti che la sostenibilità economica non è solo un problema dei giovani, o di una coppia che aspira a formare una famiglia. È un’emergenza anche per la popolazione anziana di New York, dove vediamo così tante persone con un reddito fisso, che non hanno soldi extra per l’affitto, per gli eventuali aumenti della bolletta dell’acqua o dell’elettricità. Dobbiamo garantire che possano restare nelle loro case, questo è il nostro obiettivo».
Vale anche per gli italiani che vengono ad investire a New York?
«Vale per tutti, perché se la città non è sostenibile sul piano economico, ciò danneggia anche il business e l’imprenditoria».
Perché Trump è così determinato a fermarla?
«Come prima cosa bisogna ricordare che il sindaco di New York lo eleggono i cittadini, non lo nomina il presidente. È un principio basilare della democrazia, che si applica a tutte le città del mondo. Quanto all’opposizione di Trump, si spieghi da sola: la classe privilegiata vede l’accessibilità economica della città come una minaccia, un pericolo, invece di un’opportunità».
È possibile che il suo unico avversario alle elezioni sia Cuomo: pensa di poterlo battere anche fra gli italiani?
«Posso solo dirvi che sono orgoglioso del supporto che abbiamo già ricevuto dai newyorkesi italiani in tutta la nostra città. Francamente, c’è stata anche una persona che mi ha detto di volermi votare perché pensava che fossi italiano. Io credo che gli indiani siano gli italiani dell’Asia. Non sono italiano, ma vorrei esserlo, perché amo moltissimo la vostra comunità”
(da La Repubblica)
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