Destra di Popolo.net

MARINA BERLUSCONI NON NE PUÒ PIÙ DI TAJANI , NELL’ENNESIMO INCONTRO TRA I DUE, A MILANO, LA CAVALIERA HA SFERZATO IL MINISTRO DEGLI ESTERI CHIEDENDO UNA SVOLTA “PIÙ LIBERALE” DI FORZA ITALIA, OVVERO UN RITORNO ALLE BATTAGLIE DI BABBO SILVIO SU ECONOMIA E FISCO

Settembre 10th, 2025 Riccardo Fucile

“IL FOGLIO”: “TAJANI CONTINUA A RIPETERE CHE HA BISOGNO DI FIGURE DI FIDUCIA PER GESTIRE L’AULA, LA COPPIA, BARELLI E GASPARRI, MA LA FAMIGLIA LA PENSA IN ALTRO MODO: DESIDERA LE PROMOZIONI DI DEBORA BERGAMINI, CRISTINA ROSSELLO, ALESSANDRO CATTANEO E STEFANIA CRAXI”

Più Silvio, più Silvio, più Silvio. Si confronta con Tajani e chiede più Silvio Berlusconi. Marina Berlusconi ha incontrato Antonio Tajani, a Milano, lunedì. Il senso dell’incontro: né un assegno in bianco né uno scontro con Tajani. […] La definiscono così: dialettica virtuosa. La notizia che rimbalza a Roma: “Sì, è vero. Si sono visti a pranzo, a casa di Marina”. Tajani era ospite ad Assolombarda
I cavalieri della Cavaliera: “Confermiamo. L’incontro c’è stato a
Corso Venezia”. Tranquilli, Marina, al contrario del fratello Pier (è gasatissimo per aver battuto la Rai) sa benissimo cosa vuole. Non vuole fare politica, lei (e neppure il fratello, garantisce, al momento) ma vuole vedere brillare il nome del papà, le battaglie del papà, l’intuizione del papà. Insomma, “la famiglia non fa mancare la sua vicinanza e attenzione” (anche economica) verso il partito, ma serve il rinnovamento di Forza Italia. Ancora. Di più. Tradotto: quanto fatto da Tajani non basta.
Il povero Tajani, Tonio, (che si è battuto come poteva per fare ponte fra Piersilvio e i popolari tedeschi, il cancelliere Merz; e lo rivendica) dice ai suoi: “Più di così cosa dovrei fare? Se Pier Silvio ha scalato la tv tedesca è anche merito del lavoro indefesso condotto in Europa e ai rapporti che abbiamo con il Ppe”. Detto tra le righe, ma neppure troppo: i rapporti con il Ppe li ha lui. Marina Berlusconi gli spiega che serve essere più “marcatamente liberali”. Forza Italia deve prendersi lo spazio del centro e lo può fare solo se si ritorna e guarda all’eredità del fondatore.
Più liberali, “a partire dalle questioni economiche, e fiscali”. E poi ci sono i volti. Tajani continua a ripetere che ha bisogno di figure di fiducia per gestire l’Aula, la coppia, Barelli e Gasparri, ma la famiglia la pensa in altro modo. In Forza Italia si scatena l’indiscrezione e raccontano: “La famiglia Berlusconi desidera le promozioni di Debora Bergamini, Cristina Rossello, Alessandro Cattaneo e Stefania Craxi”.
Da Milano, dalla parte della Cavaliera, si continua a ripetere che il problema non è la geografia, non è nord contro sud o centro, ma la “qualità” e la “novità”. La Cavaliera apprezzerebbe un arricchimento e un’evoluzione della classe dirigente di Forza Italia.
Tajani e Marina? Lui ringrazia lei, lei ringrazia lui e tutti e due pensano: ah, se solo ci fosse ancora Silvio!
(da il Foglio)

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NON C’È FINE AI DELIRI DI TRUMP: D’ORA IN POI, CHI PARLA SPAGNOLO, HA TRATTI ISPANICI O CHI SI RIUNISCE IN LUOGHI DOVE SPESSO SI RADUNANO I LAVORATORI PRECARI, POTRA’ ESSERE FERMATO E INTERROGATO DALL’”ICE”

Settembre 10th, 2025 Riccardo Fucile

LA FURIA DEI LIBERAL: “NON DOVREMMO VIVERE IN UN PAESE IN CUI IL GOVERNO PUÒ FERMARE CHIUNQUE SEMBRI ISPANICO, PARLI SPAGNOLO E APPAIA SVOLGERE UN LAVORO MAL RETRIBUITO”

La Corte Suprema degli Stati Uniti ha revocato le restrizioni che impedivano all’amministrazione Trump di effettuare retate anti-immigrati nell’area di Los Angeles sulla base di criteri generici come parlare spagnolo, avere la pelle scura, i tratti ispanici o riunirsi in luoghi dove spesso si radunano i lavoratori a giornata. I giudici, con una votazione di 6 a 3, hanno sospeso l’ordinanza di un giudice federale di primo grado che aveva ritenuto incostituzionale fermare persone sulla base di tratti somatici e stereotipi.
«Non dovremmo vivere in un Paese in cui il governo può fermare chiunque sembri ispanico, parli spagnolo e appaia svolgere un lavoro mal retribuito», ha invece scritto la giudice liberal Sonia Sotomayor, con l’adesione delle giudici Elena Kagan e Ketanji Brown Jackson.
(da agenzie)

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“IL DIVO” GIULI, UN EGO CON IL NULLA INTORNO : A UN ANNO DAL SUO INSEDIAMENTO, DOPO LE DIMISSIONI DI SANGIULIANO, ALESSANDRO GIULI PUBBLICA UN VIDEO AUTOCELEBRATIVO CHE NON AVREBBERO CONFEZIONATO NEANCHE ALL’ISTITUTO LUCE

Settembre 10th, 2025 Riccardo Fucile

TRA LE TANTE IMMAGINI MESSE IN FILA NEL FILMATO, SI VEDE IL DANDY CHE STRINGE MANI, CHE ACCOGLIE A ROMA RE CARLO E QUEL BURINO RIPULITO DI JD VANCE … SUI SOCIAL L’EGOMANE GIULI VIENE SBERTUCCIATO: “CHE DIVA!”… “PIÙ CHE UN VIDEO AUTOCELEBRATIVO ALLA KIM JONG-UN, I TRE MINUTI E MEZZO PUBBLICATI DA ALESSANDRO GIULI SONO PIÙ SIMILI ALLE DIAPOSITIVE DELLE VACANZE. QUELLE CHE GLI AMICI TI COSTRINGEVANO A GUARDARE…”

Più che un video autocelebrativo alla Kim Jong-un, i tre minuti e mezzo pubblicati da Alessandro Giuli per festeggiare il suo primo anno da ministro della Cultura sono più simili alle diapositive delle vacanze. Quelle che gli amici ti costringevano a guardare mentre tu non ne potevi più e cercavi solo un modo di squagliartela in fretta.
Perché sì l’egocentrismo, sì il dandysmo degli abiti, sì il trionfalismo del neofita: «Approvato il decreto Cultura!», ma a dispetto della musica hard rock di sottofondo, l’elenco è piuttosto
noioso. Giuli che stringe mani di sconosciuti – suoi omologhi – al G7 della Cultura.
Giuli in visita in Egitto. Giuli che va a vedere le “nuove scoperte”: i bronzi di San Casciano ai Bagni. Poi a Pompei, in missione in Algeria, al Colosseo con i reali d’Inghilterra, Carlo e Camilla […] E ancora il vicepresidente americano J. D. Vance accolto a Castel Sant’Angelo.
Insieme a Mattarella, a partire dal giorno del giuramento. Due volte le foibe, Basovizza e la giornata del ricordo. Niente per il 25 aprile, ça va sans dire. Il calendario segnava 80 anni dalla Liberazione del Paese dal nazifascismo, certo, ma che vuoi che sia. Vuoi mettere una bella mostra sul futurismo in cui una voce fuori campo recita il Manifesto di Marinetti: «Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie di ogni specie», e un’altra le risponde: «Distruggere i musei è un’idea passata. A morte il passato. Viva il futurismo».
C’è da chiedersi dove sia finito il giornalista-scrittore che prometteva di essere ministro di tutti all’inizio del mandato e che dopo pochi mesi ha cominciato a dimostrare il contrario, declassando teatri come La Pergola di Firenze diretto da Stefano Massini, e chiosando solo qualche settimana fa alla Versiliana: «L’egemonia culturale di sinistra non c’è più nel Paese: è rimasta una riserva di rendite senza idee, ora è arrivato il momento della destra».
A un controllo accurato, almeno una cosa non c’è. Manca Giuli che davanti a un tramonto commemora la battaglia di Canne il 2 agosto scorso. In quello scontro delle guerre puniche, i Romani subirono una delle peggiori sconfitte della storia. Il fascismo la volle ricordare con un monumento nel 1938. Giuli ci è andato
quest’anno, a mani giunte, mentre Bologna piangeva le vittime della strage neofascista di 45 anni fa.
(da La Repubblica)

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I PAESI DELL’UE HANNO RAGGIUNTO GLI STATI UNITI PER SPESE MILITARI A FAVORE DELL’UCRAINA: QUASI 65 MILIARDI DI EURO DALL’INIZIO DELLA GUERRA, A CUI SI AGGIUNGONO 18 MILIARDI DI REGNO UNITO E NORVEGIA

Settembre 10th, 2025 Riccardo Fucile

L’ALTO RAPPRESENTANTE PER LA POLITICA ESTERA UE, KAJA KALLAS, SPEDISCE UN MESSAGGIO A “THE DONALD”, CHE INVITA GLI ALLEATI AD APRIRE IL PORTAFOGLIO PER ZELENSKY: “SOLTANTO QUEST’ANNO FORNIREMO AIUTI PER 25 MILIARDI” … MA TRA I PAESI DELL’UNIONE, L’ITALIA È IN FONDO ALLA CLASSIFICA CON 1,7 MILIARDI (LA GERMANIA HA SGANCIATO 16,5 MILIARDI)

Da qualche mese ormai, i Paesi europei hanno superato gli Stati Uniti nel livello di assistenza militare all’Ucraina. E a breve ci sarà un altro sorpasso: il contribuito dei soli Stati membri dell’Unione europea, senza dunque contare il significativo contributo del Regno Unito (13,8 miliardi di euro) e della Norvegia (quasi 4 miliardi), ha in questi giorni raggiunto quota 63,2 miliardi, circa un miliardo e mezzo in meno rispetto al sostegno militare americano.
«Soltanto quest’anno – ha rivelato ieri davanti all’Europarlamento l’Alto Rappresentante per la politica estera Ue, Kaja Kallas – gli Stati Ue forniranno aiuti per 25 miliardi, il valore più alto» dall’inizio del conflitto.
Ma tra i Paesi dell’Unione esistono significative differenze e l’Italia non brilla certo per generosità e nemmeno per trasparenza. Il governo guidato da Giorgia Meloni sta lavorando al dodicesimo pacchetto di aiuti militari, dopo quello adottato lo scorso maggio, ma il volume del sostegno negli undici precedenti sfiora appena quota 1,7 miliardi, secondo il monitoraggio del Kiel Institute sui contributi di 41 Paesi.
In termini assoluti, l’Italia risulta essere il tredicesimo Paese per sostegno militare a Kiev, alle spalle di Stati ben più piccoli come Belgio (2,76 miliardi) e Paesi Bassi (7,5 miliardi).
Ancor più magra la performance se si valuta l’importo del sostegno militare in rapporto al Pil: in questo caso, gli aiuti militari che l’Italia ha destinato all’Ucraina valgono lo 0,14% del Prodotto interno lordo, ventesimo Paese nella speciale graduatoria.
Altri centri di ricerca forniscono stime leggermente più alte perché includono anche il contributo italiano alla European Peace Facility (Epf), lo strumento extra bilancio-Ue che ha sin qui finanziato aiuti militari all’Ucraina per circa 6 miliardi di euro: la quota a carico dell’Italia è di circa 700 milioni di euro, che però non andrebbero sommati.
Si tratta di dati non ufficiali, visto che il governo non rivela l’entità del supporto e nemmeno rende noto l’elenco del materiale fornito. Un’opacità che assegna all’Italia un punteggio di 2,9 (su una scala di 5) nell’indice di trasparenza realizzato dal Kiel Institute.
Secondo il centro di ricerca tedesco, tra le forniture di Roma la parte del leone la fanno i tre sistemi di difesa aerea Samp/T che da soli valgono quasi un miliardo di euro. Nel calcolo dei contributi pesano poi i 76 obici da 152 e da 155 millimetri, che valgono quasi 170 milioni.
Anche se non ci sono conferme ufficiali, nell’elenco realizzato dal Kiel figurano anche due sistemi lanciarazzi M270, per un valore totale di 23 milioni di euro.
Per sostenere l’esercito di Kiev, l’Italia potrà utilizzare anche i fondi del piano europeo Safe: il programma mette a disposizione degli Stati membri 150 miliardi di prestiti a un tasso agevolat
Diciannove Paesi hanno fatto richiesta alla Commissione, che ieri ha reso nota la ripartizione delle risorse: all’Italia andranno 14,9 miliardi di euro. È il quinto beneficiario dietro Polonia (43,7 miliardi), Romania (16,7), Francia e Ungheria (entrambe a 16,2). Si tratta di prestiti che andranno restituiti e che dunque impatteranno sul debito, anche se il governo risparmierà sui tassi d’interesse.
Le risorse, però, non potranno essere utilizzate liberamente: dovranno finanziare appalti congiunti e il materiale bellico dovrà essere per almeno il 65% “made in Eu” (o in Ucraina).
Entro il 30 novembre, il governo dovrà inviare a Bruxelles il piano nazionale con gli investimenti nella Difesa che intende realizzare e l’erogazione dei primi fondi è prevista per l’inizio del 2026.
Il contributo italiano all’Ucraina in campo militare è molto distante da quello della Germania – primo tra i Paesi Ue per sostegno all’esercito di Kiev, con un valore totale di 16,5 miliardi –, ma anche della Danimarca (9,2 miliardi), della Svezia (6,7 miliardi) o della Francia (quasi 6 miliardi). Tra i big, solo la Spagna ha un apporto inferiore (800 milioni).
Roma ha offerto anche 410 milioni (di cui soltanto 320 sborsati) di aiuti finanziari e mezzo miliardo in aiuti umanitari, il che porta il totale del contributo bilaterale italiano a quota 2,6 miliardi
A questi vanno poi aggiunte le risorse stanziate nel quadro delle iniziative dell’Unione europea per la quota parte di Roma: l’impatto sui conti è di oltre 8 miliardi, ma si tratta in buona parte di prestiti o garanzie, non soltanto di sovvenzioni a fondo perduto.
(da agenzie)

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BOLSONARO È A UN PASSO DALLA CONDANNA PER IL TENTATO COLPO DI STATO MESSO IN PIEDI PER IMPEDIRE L’INSEDIAMENTO DEL SUO SUCCESSORE, LULA, NEL 2023

Settembre 10th, 2025 Riccardo Fucile

IL SOVRANISTA, ATTUALMENTE AI DOMICILIARI, RISCHIA FINO A 43 ANNI DI CARCERE … IL GIUDICE DELLA CORTE SUPREMA DI BRASILIA ALEZANDRE DE MORAES HA PARLATO DI “RISCHIO DI RITORNO ALLA DITTATURA”

L’ex presidente brasiliano Jair Bolsonaro si avvicina alla condanna nel processo per tentato colpo di Stato. Lo rendono noto i principali media del Paese sudamericano, precisando che oggi i giudici della Corte suprema verdeoro Alexandre de Moraes e Flávio Dino hanno votato a favore della condanna di Bolsonaro e di altri sette coimputati, tra cui ex ministri e generali.
Il caso riguarda l’organizzazione criminale guidata da Bolsonaro che, dopo la sconfitta elettorale del 2022 contro Luiz Inácio Lula da Silva, avrebbe tentato di rimanere al potere. Le accuse includono anche la pianificazione di attacchi contro Lula, il vicepresidente Geraldo Alckmin e lo stesso Moraes, oltre all’assalto violento del Parlamento, del palazzo presidenziale e della Corte suprema da parte dei bolsonaristi l’8 gennaio del 2023.
Moraes ha parlato di rischio di ritorno alla dittatura e ha sottolineato che il processo non subirà pressioni interne o esterne, in riferimento all’amministrazione del presidente statunitense, Donald Trump.
Domani è previsto il voto di Luiz Fux, seguito da altri due giudici. Visto che a giudicare Bolsonaro non è la plenaria della Corte composta da 11 membri ma la prima sezione del massimo tribunale, formata da cinque, basterà un altro voto per la condanna definitiva per l’ex presidente.
Bolsonaro, ai domiciliari a Brasilia, rischia fino a 43 anni di carcere e potrà fare appello solo se due giudici su cinque voteranno contro la sua condanna mentre, in caso di quattro a uno o cinque a zero la sentenza sarà passata in giudicato.
In tal caso la difesa dell’ex presidente potrà appellarsi solo alle corti internazionali, a cominciare dalla Corte interamericana dei diritti umani dell’Organizzazione degli stati americani (Osa).
(da agenzie)

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PANICO A PALAZZO CHIGI, “SALVARE LA “LA ZARINA DI VIA ARENULA, DIFENDIAMOLA A OLTRANZA”: GIUSI BARTOLOZZI, CAPO DI GABINETTO DI CARLO NORDIO, IERI È STATA RICEVUTA DALLA MELONI A PALAZZO CHIGI, DOPO CHE LA DIRIGENTE È STATA INDAGATA PER IL CASO ALMASRI (COSÌ COME IL GUARDASIGILLI, PIANTEDOSI E MANTOVANO) CON L’ACCUSA DI “DICHIARAZIONI MENDACI” AL TRIBUNALE DEI MINISTRI

Settembre 10th, 2025 Riccardo Fucile

NORDIO “PRETENDE” CHE LA GIUNTA PER LE AUTORIZZAZIONI ESTENDA AL SUO CAPO DI GABINETTO L’IMMUNITÀ DI CUI GODE UN MINISTRO, PER EVITARE IL PROCESSO… SE “CADESSE” LA BORTOLOZZI SAREBBERO GUAI PER IL GOVERNO, SE PARLA SONO CAZZI PER TUTTI

Ieri mattina, prima di pranzo. Giusi Bartolozzi entra a Palazzo Chigi, senza farsi notare. Sale a piano nobile. Il colloquio non ha altri testimoni, ma fonti di via Arenula riferiscono: è lì per incontrare Giorgia Meloni. È la seconda volta in meno di 24 ore, perché lunedì pomeriggio è stata ricevuta dalla presidente del Consiglio e da Alfredo Mantovano.
Non deve bussare, né farsi annunciare: da qualche settimana è l’anello debole – e dunque più sensibile – del governo. È la ragione per cui la premier, alla fine e senza nascondere qualche dubbio, dovrà dare ordine di difenderla. Almeno fin quando sarà possibile. Almeno finché non sarà troppo dannoso sul fronte del consenso insistere per estendere a un capo di gabinetto l’immunità di cui gode un ministro.
Qualche ora dopo, sempre a Palazzo Chigi. Stavolta dietro i vetri oscurati dell’auto blindata c’è Carlo Nordio. Non si vede, ma vuole farsi sentire. Il Guardasigilli ha urgente bisogno di confrontarsi con Mantovano. Vuole assicurarsi che il sottosegretario alla Presidenza – e ovviamente Meloni – facciano di tutto per difendere la magistrata.
E d’altra parte, Bartolozzi è il suo braccio destro e sinistro. Talmente fidata (e dunque potente) da essere soprannominata “la ministra”. Ecco perché Nordio ripete, e poi ripete ancora a tutti in queste ore: è stata leale e corretta, non può pagare per tutti.
C’è infatti un problema che assilla il ministro, nel giorno in cui diventa ufficiale lo status di indagata di Bartolozzi: fino a metà pomeriggio, i membri della destra in giunta per le autorizzazioni non hanno ancora ricevuto l’ordine di andare allo scontro con le toghe pur di “scudarla” con l’immunità.
Che nessuno pensi di combattere una battaglia che sia solo di facciata, è dunque il messaggio. Che nessuno pensi di potersi sfilare dalla lotta. Giusi non può cadere. Da giorni, a palazzo tutti attendevano solo l’ufficialità dell’indagine a carico della magistrata. Nessuna sorpresa, dunque. Neanche per Meloni.
La premier, come sempre in queste circostanze, sceglie di mostrarsi cauta. Considera l’indagine su Almasri un atto ostile contro il suo esecutivo, dunque sa che alla fine dovrà difendere anche Bartolozzi. Semmai, riferiscono fonti a lei vicine, teme di far passare un messaggio che potrebbe rivelarsi pericoloso sul fronte del consenso: quello di un esecutivo che protegge i suoi a colpi di voti parlamentari.
Anche perché nelle prossime settimane si vota, partendo dalle Marche in cui corre un candidato di Fratelli d’Italia: non è il momento di rischiare boomerang.
Eppure, come detto, Bartolozzi è talmente al centro delle scelte strategiche di questo esecutivo che la destra non potrà che difenderla. Con un obiettivo: allontanare il problema, spingendo in avanti il momento della verità. Pesa anche un elemento psicologico, in queste ore. E risponde al nome di Matteo Renzi. È, paradossalmente, lo scudo più efficace per la magistrata: quanto più l’ex premier la attacca, tanto più a Palazzo Chigi cresce la voglia di difenderla.
Nemici comuni, alleanze di necessità. Buone a superare dubbi, resistenze, screzi. Perché Bartolozzi, di avversari interni, ne ha parecchi. E non solo a Palazzo Chigi, dove da tempo si discute delle sbavature attribuite alla magistrata nella gestione della vicenda (e dove Mantovano ha deciso di spostare la regia per gestire eventuali nuovi casi internazionali simili a quelli di Almasri).
C’è pure la macchina di via Arenula, che da mesi vive con fastidio gli avvicendamenti interni decretati dalla capo di gabinetto. E poi ancora il risentimento dei colleghi che lavorano negli altri ministeri, con cui Bartolozzi si interfaccia per la stesura dei provvedimenti. Eppure, alla fine dovranno difenderla. Tutti. Anche a costo di forzare la mano.
(da Il Foglio)

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CASO ALMASRI, TRA CAVILLI, ISTRUTTORIE E PRECEDENTI IL GOVERNO CERCA UNA SCAPPATOIA PER SALVARE LA ZARINA

Settembre 10th, 2025 Riccardo Fucile

SE LA BARTOLOZZI VENISSE RINVIATA A GIUDIZIO DOVREBBE SFILARE IN AULA MEZZO GOVERNO

«Li stavamo aspettando». A Palazzo Chigi e a via Arenula lo ripetono con un mezzo sorriso, per ostentare calma. Ma il caso Giusi Bartolozzi, capo di Gabinetto di Carlo Nordio, agita i corridoi governativi più di quanto trapeli.
Le accuse di «dichiarazioni mendaci» davanti al Tribunale dei ministri per l’inchiesta Almasri – ora oggetto di un’indagine della Procura di Roma – rischiano infatti di trasformarsi in un detonatore capace di investire il cuore dell’esecutivo.
La sequenza delle ultime ore racconta bene lo stato d’animo del governo. Lunedì, quando con ogni probabilità Bartolozzi era già a conoscenza dell’inchiesta, l’ex deputata FI ha bussato al portone di piazza Colonna. Lì avrebbe incontrato i due sottosegretari della premier – Giovanbattista Fazzolari e Alfredo Mantovano – o forse la stessa Giorgia Meloni.
Raccontano che l’incontro sia stato teso ma non drammatico.
Alla fine, l’ex deputata di Forza Italia avrebbe incassato rassicurazioni legate più al garantismo ostentato da questo governo che all’amore che lega i vertici e Bartolozzi. Forse è meno di quanto si aspettasse la Capo di Gabinetto, ma senza dubbio è abbastanza per restare al proprio posto.
Almeno per chi si è guadagnata il soprannome di “zarina” di via Arenula per il potere accumulato negli ultimi anni. O anche di “scatola nera” del ministro Nordio, per il ruolo di ombra recitato fin qui. Eppure la solidarietà dei vertici del governo resta solo privata. Il sostegno politico solo sussurrato. La strategia di difesa, infine, tutta da verificare.
Non è un caso che il filo rosso tra Chigi e il Guardasigilli continui a srotolarsi per tutta la giornata di ieri. A via Arenula c’è anche chi teme il peggio, che Meloni possa «recidere il cordone». Nordio lascia quindi trapelare di aver incontrato la Bartolozzi in mattinata confermandole la propria fiducia. La blinda.
Il sostegno della premier e del suo cerchio magico c’è, ma viene definito «a tempo», legato cioè a un «punto critico» che nessuno vuole nominare ma che tutti intuiscono: l’eventuale rinvio a giudizio. Perché se Bartolozzi finisse davvero a processo, con il rischio di vedere Nordio, Mantovano e Matteo Piantedosi sfilare come testimoni, l’abbraccio politico rischierebbe di trasformarsi in zavorra.
È questo lo scenario che Meloni vuole evitare. I tempi della giustizia sarebbero probabilmente lunghi, oltre la legislatura, ma la premier teme accelerazioni della magistratura.
Non a caso, nelle ultime ore i tecnici della maggioranza hanno setacciato cavilli e precedenti utili a tutelare la posizione della
capo di Gabinetto. Con un obiettivo preciso: agganciare il destino di Bartolozzi al procedimento davanti al Tribunale dei ministri che riguarda Nordio, Mantovano e Piantedosi.
Se è vero che non sarà lo scudo ministeriale a “salvare” Bartolozzi, lo è pure che può limitare i danni. Un’operazione giuridica complicata – perché lo scudo copre solo i reati concorrenti e non quelli connessi – ma politicamente preziosa.
A sera la tempesta si placa, ma la partita non è chiusa. Sottotraccia prosegue la giostra di incontri e contatti che oltre a Palazzo Chigi, Bartolozzi, Nordio e gli altri protagonisti della vicenda, coinvolgono Giulia Bongiorno e la prima linea di FdI, chiamata a gestire la patata bollente a Montecitorio.
Il primo banco di prova è già fissato. Oggi la Giunta per le autorizzazioni della Camera inizierà l’esame della richiesta a procedere, con l’intenzione di portare in Aula il parere entro la fine del mese.
Il voto è scontato, ma il centrodestra userà ogni passaggio per rafforzare la difesa della funzionaria. Perché in questo gioco di specchi, ogni mossa su Bartolozzi rischia di riflettersi sulla stessa premier. Si ragiona sulla richiesta di un accesso agli atti alla Procura, ma anche di un’istruttoria.
A sera una ricetta vincente non pare ancora essere stata individuata. La certezza è una sola. Il governo non vuole lasciare il pallino dell’iniziativa nelle mani dei magistrati. A meno di sorprese, alla ripresa dei lavori sulla separazione delle carriere di oggi in Commissione, il centrodestra dirà no a eventuali richieste di nuove audizioni.
(da Corriere della Sera)

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FACT-CHECKING INDIPENDENTE SU I DUE ATTACCHI ALLE IMBARCAZIONI DELLA GLOBAL SUMUD FLOTILLA

Settembre 10th, 2025 Riccardo Fucile

LE IMMAGINI RAFFORZANO LA TEORIA DELL’ORDIGNO LANCIATO DA UN DRONE

A distanza di circa 24 ore, un’altra imbarcazione della Global Sumud Flotilla, l’Alma, è stata colpita in acque tunisine. Anche questa volta il video mostra un oggetto infuocato cadere dall’alto, che non risulta compatibile con un razzo segnalatore. Questa volta, l’equipaggio è riuscito a domare l’incendio, rinvenendo un oggetto sul punto dell’impatto compatibile con un ordigno incendiario lanciato da un drone.
Per chi ha fretta
Il video mostra un oggetto infuocato cadere dall’alto, con caratteristiche non compatibili con un razzo segnalatore
L’equipaggio è riuscito a domare l’incendio e ha recuperato un corpo cilindrico compatibile con una granata incendiaria avvolta in materiale plastico.
Nelle immagini dell’oggetto si nota anche una sostanza giallognola, compatibile con un gel infiammabile.
Granate di questo tipo e colore sono utilizzate in vari Paesi.
Analisi
Una delle telecamere a bordo ha ripreso la scena, mostrando un oggetto infuocato scende dall’alto. Le immagini sono sovrapponibili a quelle dell’attacco precedente.
A differenza del primo episodio, non sono stati colpiti materiali facilmente infiammabili, permettendo all’equipaggio di limitare i danni.
Perché non risulta compatibile con un razzo segnalatore
Il video ripreso dalla telecamera a bordo mostra un oggetto in caduta che non risulta compatibile con un razzo di segnalazione, il quale si accende ad alta quota per poi bruciare a lungo, scendendo lentamente, mentre nelle immagini, simili a quelli dell’altro episodio, l’accensione avviene a breve distanza dalla nave scendo a una velocità maggiore in assenza di un paracadute.
L’oggetto recuperato compatibile con una granata incendiaria
L’oggetto estraneo rinvenuto sul posto risulta avere un corpo cilindrico simile a una bomboletta spray, avvolto in materiale plastico ormai bruciato dalle fiamme.
L’oggetto cilindrico risulta compatibile con una granata incendiaria (sotto un esempio con una granata simile, ma non esattamente lo stesso identico modello).
Parliamo di un ordigno che, una volta tolta la sicura e dopo averla lanciata, sprigiona una fiamma dalla parte superiore.
I tempi di accensione e il materiale viscoso
Nel video è possibile comprende quanto tempo passa dal momento della rimozione della sicura a quello del rilascio delle prime scintille. Ecco perché, se lanciato da un drone, l’ordigno si accende solo a una certa distanza, senza danneggiare il velivolo.
Nelle foto e nei video diffusi dall’equipaggio si nota non solo una cinghia di plastica attorno alla granata, ma anche un materiale viscoso di colore giallognolo. Non si esclude che possa trattarsi di una sostanza infiammabile simile a quella mostrata nel video d’esempio citato in precedenza.
Le accuse di una granata israeliana
Come nel caso precedente, sui social sono circolate accuse secondo cui la granata sarebbe di fabbricazione israeliana
Granate incendiarie di questo tipo sono in uso in diversi Paesi e teatri di conflitto, rendendo impossibile attribuire con certezza la provenienza sulla base delle sole immagini, soprattutto se l’oggetto risulta danneggiato dall’incendio (come in questo caso).
Al momento, però, non ci sono prove che colleghino direttamente l’episodio all’esercito israeliano.
Conclusioni
In questo secondo episodio riscontriamo elementi più concreti rispetto al primo. I video confermano la caduta di un oggetto infuocato dall’alto, come nell’altro caso, mentre il ritrovamento a bordo indica la presenza di un oggetto compatibile con una granata incendiaria legata a un altro oggetto contenente del materiale infiammabile. L’ipotesi di un ordigno sganciato da un drone resta quella più coerente con le evidenze raccolte.
(da Open)

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LA GLOBAL SUMUD FLOTILLA DI NUOVO PRESA DI MIRA CON UN DRONE A TUNISI: “ATTACCO DELIBERATO, MA LA MISSIONE CONTINUA”

Settembre 10th, 2025 Riccardo Fucile

SUL PONTILE UN RESTO CARBONIZZATO DELL’ARMA

Alle 17 di oggi (ora italiana) ripartirà da Tunisi, in direzione Striscia di Gaza, la Global Sumud Flotilla dopo aver subito il secondo attacco con un drone in due giorni.
Secondo gli organizzatori della spedizione umaitaria, una delle imbarcazioni è stata approcciata da un drone in un porto tunisino. La Alma, che batte bandiera britannica, sarebbe stata colpita nelle acque al largo di Sidi Bou Said, nella periferia nord di Tunisi. «Ha subito danni causati da un incendio sul ponte superiore. L’incendio è stato successivamente spento e tutti i passeggeri e l’equipaggio sono al sicuro», si legge nel comunicato. Su Instagram c’è un video del secondo attacco: secondo la GSF sul pontile sarebbero rimasto un dispositivo elettronico carbonizzato del drone.
Il secondo attacco in due giorni
I giornalisti dell’Afp presenti sul posto hanno visto un’imbarcazione circondata da quelle delle forze dell’ordine tunisine. Si sentivano sirene e decine di attivisti hanno manifestato sulla spiaggia per protestare contro il presunto attacco. «Seconda notte, secondo attacco con drone», ha
dichiarato all’Afp Melanie Schweizer, una delle coordinatrici della flottiglia. «Questi ripetuti attacchi si verificano nel contesto dell’intensificarsi dell’aggressione israeliana contro i palestinesi a Gaza e costituiscono un tentativo orchestrato di distrarre e far deragliare la nostra missione», ha denunciato la GSF nel suo comunicato.
L’accusa a Israele
Nessuno dei passeggeri e dell’equipaggio è stato ferito nell’attacco. Uno degli organizzatori della flottiglia ha accusato Israele di aver compiuto l’attacco. «Israele continua a violare il diritto internazionale e a terrorizzarci. Navigheremo per rompere il blocco su Gaza, qualunque cosa facciano», ha dichiarato a Reuters Saif Abukeshek, membro del comitato direttivo della GSF. «La Global Sumud Flotilla rimane risoluta e imperterrita. Ci stiamo preparando a partire da Tunisi, in attesa degli ultimi controlli meccanici, delle valutazioni meteorologiche e della preparazione dei partecipanti», ha fatto sapere in un comunicato ufficiale. «Partiamo per questa missione. Nessun atto di aggressione ci fermerà. Nei prossimi giorni la flottiglia sarà unita in mare nella nostra missione per rompere l’assedio, porre fine al genocidio e stare al fianco del popolo palestinese nella sua giusta lotta per la libertà».
Il precedente
L’Alma ha subito danni da incendio al ponte superiore ed è in corso un’indagine. Ieri, martedì 9 settembre, la GSF ha denunciato un attacco da parte di un drone all’imbarcazione principale della flotta. La Guardia Nazionale tunisina ha affermato che si è trattato di un semplice incendio a bordo. Un filmato di GSF mostra l’attacco: i video mostrano un oggetto che
cade dall’alto, si accende a breve distanza e provoca un incendio a bordo. L’audio registrato riporta un rumore compatibile con un drone, che pian piano scompare durante dalla caduta dell’oggetto al momento dell’impatto. Non ci sono prove dirette che colleghino l’attacco a Israele.
La Global Sumud Flotilla
La Global Sumud Flotilla è supportata da delegazioni provenienti da 44 paesi, tra cui l’attivista svedese Greta Thunberg e la politica portoghese Mariana Mortagua. Israele ha mantenuto il blocco sull’enclave costiera da quando Hamas ha preso il controllo di Gaza nel 2007, sostenendo che è necessario per prevenire il contrabbando di armi. Il blocco è rimasto in vigore durante l’attuale guerra, iniziata quando Hamas ha attaccato il sud di Israele nell’ottobre 2023, uccidendo 1.200 persone e prendendo circa 250 ostaggi, secondo i conteggi israeliani. Il successivo attacco militare di Israele contro Hamas ha ucciso oltre 64 mila palestinesi, secondo il ministero della salute di Gaza controllato da Hamas. L’Onu ha affermato che parte dell’enclave sta soffrendo la carestia.
La missione di giugno
Israele ha isolato Gaza via terra all’inizio di marzo, non consentendo l’ingresso di rifornimenti per tre mesi, causando una diffusa carenza di cibo. Israele ha affermato che Hamas stava dirottando gli aiuti. Diversi esperti e studiosi dei diritti umani affermano che l’attacco militare di Israele a Gaza equivale a un genocidio. A giugno, le forze navali israeliane sono salite a bordo e hanno sequestrato uno yacht battente bandiera britannica che trasportava, tra gli altri, Thunberg. Israele ha liquidato la nave di aiuti come una trovata propagandistica a sostegno di
Hamas.
(da agenzie)

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