Settembre 27th, 2025 Riccardo Fucile
“QUELLE SONO ACQUE TERRITORIALI PALESTINESI, NON ISRAELIANE, LA CORTE DI GIUSTIZIA INTERNAZIONALE CON IL PARERE DEL LUGLIO 2024 LO HA STABILITO”
La professoressa Francesca De Vittor, docente del corso di Diritti dell’uomo presso
l’Università Cattolica, spiega a La Stampa che «se ragioniamo in termini di diritto internazionale, la Flotilla non commetterebbe nessun illecito nel portare gli aiuti a Gaza perché è il blocco navale a essere illegittimo. Poi va considerata la risposta di Israele che come sappiamo può essere molto pericolosa, ma guardando alle convenzioni internazionali la Flotilla non sta violando nessuna norma».
E questo perché «quelli non sono i confini di Israele né le acque territoriali israeliane, ma palestinesi. Indipendentemente dal riconoscimento o meno dello Stato di Palestina, non sono acque israeliane. Il diritto internazionale impone che non si possano riconoscere effetti giuridici ad annessioni territoriali illecite. E dunque non si può attribuire quel mare, antistante Gaza, a Israele. Su questo è intervenuta anche la Corte internazionale di giustizia nel parere del 19 luglio 2024, e poi nella risoluzione dell’Assemblea Generale Onu che chiede a Israele di cessare l’occupazione di tutti i territori palestinesi, tra cui Gaza».
Il blocco navale
Secondo De Vittor il blocco navale è illegittimo nella misura in cui concerne l’ingresso di aiuti umanitari. Un blocco navale, benché sia un istituto previsto dal diritto di guerra, non può mai essere funzionale ad affamare una popolazione civile, in questo caso costituisce violazione del diritto internazionale umanitario. Anche qualora questa non ne fosse la finalità, un blocco navale
non può mai essere impiegato per impedire l’arrivo di aiuti umanitari quando i civili non sono sufficientemente approvvigionati. La starvation è un crimine di guerra e può essere inteso come uno strumento per realizzare il genocidio, come appare chiaro nelle ordinanze della Corte internazionale di giustizia che impongono a Israele di permettere gli aiuti come conseguenza dell’obbligo di prevenire il genocidio. E sono vincolanti».
Se Israele attacca una nave italiana
Se l’esercito di Israele attacca una nave italiana «sono possibili tutte le contromisure pacifiche contro lo Stato come le sanzioni economiche. Inoltre è lecito l’uso della forza a protezione dei propri cittadini per fermare un attacco in corso, una nave della Marina militare potrebbe lecitamente abbattere i droni che attaccano la Flotilla perché così difenderebbe gli italiani. Saremmo nel campo della protezione della vita delle persone: una reazione non solo giustificata ma doverosa. L’Italia ha un obbligo di tutela derivante dai trattati sui diritti umani».
Il caso peggiore sarebbe «l’attacco o l’abbordaggio della nave, con l’arresto delle persone. Sarebbero un illecito internazionale, anche in questo caso quindi il nostro paese sarebbe legittimato a rispondere con contromisure pacifiche».
No a biscotti, miele e marmellata
In ultimo l’ong Music For Peace denuncia che dai pacchi umanitari destinati alla popolazione di Gaza vanno tolti gli alimenti «ad alto contenuto energetico per donne e bambini». Lo impone il Cogat, l’agenzia governativa israeliana che gestisce l’ingresso degli aiuti nella Striscia. L’ong avrebbe dovuto partire la prossima settimana con 300 tonnellate di beni di prima necessità diretta a Gaza dalla Giordania. Ma le è stato chiesto di smembrare e lasciare fuori dai pacchi famiglia alimenti a base di «amido e zucchero», conferma una nota della Jhco, responsabile dei passaggi dei convogli in Giordania.
(da Open)
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Settembre 27th, 2025 Riccardo Fucile
I DISPOSTI ALLA MEDIAZIONE, L’IPOTESI DI SBARCO A CIPRO E QUELLA DELLA “ZONA CUSCINETTO”
La Global Sumud Flotilla perde pezzi. Venti persone, di cui la metà italiane, hanno abbandonato la missione. Qualcuno per stanchezza o impegni, qualcun altro per paura. Qualcuno anche in disaccordo con il direttivo e le sue decisioni. Come l’ultima, quella di rifiutare la proposta del presidente della Repubblica Sergio Mattarella sugli aiuti da consegnare al patriarca di Gerusalemme Pierbattista Pizzaballa. Intanto le Ong fanno sapere che dai pacchi umanitari per Gaza Israele impone di togliere i prodotti «ad alto contenuto energetico per donne e bambini».
Le liti sulla Flotilla
Nelle ultime missioni della Flotilla forzare il blocco navale israeliano era interpretata politicamente. Ovvero l’idea era di arrivare a ridosso delle acque internazionali e poi arrendersi all’esercito di Israele. Ora, spiega La Stampa, qualcuno vuole andare oltre. Rischiando una risposta violenta. C’è anche da considerare che ogni capitano della Flotilla ha la responsabilità della sua barca. E quindi il singolo potrebbe decidere di staccarsi lungo il percorso. Per un motivo o per un altro. Mancano cinque giorni all’arrivo davanti alla Striscia. Una dei due portavoce della delegazione italiana della Flotilla, Maria Elena Delia, oggi
torna in Italia. Proprio per cercare un punto di mediazione con le autorità. Si parla di un incontro alla Farnesina e di interlocuzioni con la Cei.
I parlamentari sulle navi
Arturo Scotto, Annalisa Corrado, Marco Croatti e Benedetta Scuderi, parlamentari di Pd, M5s e Avs, cercano una soluzione diplomatica. Voglio evitare lo scontro finale, con la sfida alle navi militari israeliane. Anche se dai leader dei partiti arrivano segnali contrastanti. E, sempre secondo il quotidiano, ci sarebbe per loro un piano B. Anche se nessuno lo ammette esplicitamente, potrebbero fermarsi all’ultima tappa prima del traguardo. Ovvero a Cipro. Anche se «ad oggi non c’è intenzione di sbarcare», dice Scuderi. Il rischio di disimpegno da una missione che ormai ha una dimensione mediatica superiore alle aspettative è alto.
Il governo e la Gsf
Intanto il governo valuta l’opzione estrema. Ovvero una zona cuscinetto in acque internazionali. Un intervento preventivo e non bellico che l’Italia potrebbe condividere con la Spagna e la Grecia. Per evitare che la Global Sumud Flotilla provi a sfondare il blocco di Gaza. Nella memoria c’è il 2010, quando dieci attivisti vennero uccisi durante l’assalto israeliano alla Freedom Flotilla. Giorgia Meloni e Antonio Tajani cercano un gesto anche simbolico per convincere gli attivisti a fermarsi. L’esecutivo ha anche paura delle possibili manifestazioni. Il Viminale è pronto a riunire il comitato di sicurezza. «C’è l’intenzione, da parte di alcuni, di trasformare questa causa in qualcosa che potrà riflettersi nelle nostre piazze», ha detto il
ministro dell’Interno Matteo Piantedosi.
Il canale umanitario permanente
La posizione della Flotilla è sempre la stessa: gli attivisti chiedono la fine del blocco navale e l’apertura di un canale umanitario permanente. «È curioso che si chieda a noi di fare un passo indietro e si tratti con uno Stato genocida, che da anni viola ogni norma e convenzione. Noi sappiamo di avere dalla nostra il diritto internazionale», dice a Repubblica David Adler, ebreo americano, in passato consulente di Bernie Sanders e oggi coordinatore di Progressive international dal ponte della Alma.
Delia, docente di professione, era agli sgoccioli della sua aspettativa. Quindi dalle navi sarebbe dovuta scendere lo stesso. Ma secondo gli attivisti il suo arrivo in Italia vuole dire che una soluzione per la mediazione ancora c’è. Per esempio la strada egiziana. Che prevederebbe lo sbarco dei carichi di aiuti a Port Said e il trasferimento via terra a Rafah. Intanto nelle chat collettive iniziano ad arrivare messaggi sui droni: «Eccone un altro».
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Settembre 27th, 2025 Riccardo Fucile
I VELIVOLI NON SONO STATI ABBATTUTI
Nuovo episodio di allarme in Danimarca. Nella serata di ieri, intorno alle 20:15, uno o due
droni non identificati sono stati avvistati sopra e attorno alla base aerea di Karup, la più grande installazione militare del Paese. L’episodio, durato alcune ore, è stato confermato oggi dalla polizia locale. «Non possiamo rilasciare informazioni sulla provenienza dei droni», ha dichiarato l’ufficiale di servizio Simon Skelsjaer, precisando che i velivoli non sono stati abbattuti.
I precedenti
Si tratta solo dell’ultimo caso in una serie di episodi simili che, negli ultimi giorni, hanno messo in allerta le autorità danesi. Già la scorsa settimana, altri avvistamenti erano stati segnalati nei pressi di infrastrutture critiche e basi militari, spingendo
Copenaghen a parlare apertamente di “attacchi ibridi”: azioni sotto la soglia del conflitto armato, pensate per destabilizzare o testare la capacità di reazione del Paese.
La forte esposizione strategica della Danimarca
L’attenzione resta alta soprattutto perché la Danimarca, come altri Paesi scandinavi, è parte della Nato e si trova in una fase di forte esposizione strategica, anche a causa del sostegno a Kiev e del ruolo di hub energetico nel Nord Europa. Per ora non ci sono conferme ufficiali su chi ci sia dietro queste incursioni, ma l’episodio di Karup ha riacceso il dibattito sulla sicurezza dello spazio aereo danese. «La priorità è proteggere le infrastrutture vitali e rafforzare la cooperazione con gli alleati», hanno ribadito fonti del governo.
(da agenzie)
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Settembre 27th, 2025 Riccardo Fucile
IL “RESTYLING” VALE 14 MILIARDI DI EURO, CIRCA IL 7% DEL TOTALE. SLITTANO PROGETTI SU STUDENTATI, BANDA LARGA E LOTTA AL DISSESTO IDROGEOLOGICO… DELUSO IL SETTORE EDILIZIO: NIENTE FONDI PER LA CASA
Tagliare, rinviare e spostare. Il governo prende in mano forbici e colla per confezionare la revisione del Pnrr. La sesta da quando il Piano nazionale di ripresa e resilienza ha visto la luce. L’ultima possibile a undici mesi dalla scadenza. La più delicata perché il riassetto punta a evitare tagli e multe che scatterebbero in caso di ritardi non più recuperabili.
Il restyling vale 14 miliardi, circa il 7% del totale. Ma l’ambizione complessiva non cambia. «La dotazione originaria resta immutata, manterremo il primato europeo nell’attuazione», scandisce la premier Giorgia Meloni ai ministri riuniti a Palazzo Chigi per la riunione della cabina di regia chiamata a esaminare la proposta di revisione che la settimana prossima passerà dalle Camere prima di essere inviata a Bruxelles.
L’Italia, quindi, punta a ottenere in tutto 194,4 miliardi: oltre 140 sono già in cassa, altri 12,8 sono agganciati all’ottava rata sotto esame della Ue, i restanti 41 miliardi fanno riferimento alle ultime due tranche. Ma c’è comunque chi pagherà il conto.
Come il piano Gol per il reinserimento nel mondo del lavoro di donne, giovani Neet e disoccupati di lungo periodo. Perderà un miliardo e taglierà fuori 200 mila beneficiari. Altri investimenti saranno ultimati solo dopo la deadline del 31 agosto 2026: i progetti confluiranno in veicoli finanziari affidati a nuovi
soggetti attuatori. Di fatto una proroga dato che ci sarà più tempo per ultimare le misure e spendere i soldi.
Nei veicoli finiranno 30 mila dei 60 mila posti letto per gli universitari che il Pnrr aveva promesso di realizzare entro l’estate dell’anno prossimo.
La consegna dei nuovi studentati potrà essere ultimata entro il 2027, con gli incentivi ai privati che scenderanno da 20 mila a 17 mila euro. Novità anche per la gestione delle strutture: il veicolo tirerà dentro anche i proprietari, oggi esclusi, mantenendo il contributo a 20 mila euro. Più soldi per le borse di studio: la dotazione aumenterà di 150 milioni per coprire l’anno accademico 2025-2026.
L’allungamento riguarderà anche la lotta al dissesto idrogeologico. Nonostante la rimodulazione del 2023, anche i progetti per la tutela del territorio andranno ai tempi supplementari. Lo stesso vale per il piano Italia 1 giga per le connessioni ultraveloci.
Spazio anche ai premi. Due miliardi in più al ministero dell’Agricoltura per i contratti di filiera: una nuova spinta alla modernizzazione delle aziende. Tra i delusi c’è il settore edilizio: niente fondi per la casa. E neppure un euro alle imprese per fronteggiare i dazi.
(da “la Repubblica”)
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Settembre 27th, 2025 Riccardo Fucile
“A LUI NON IMPORTA NULLA DI CHI RESTA INDIETRO, MA SOLO DI SE STESSO E DEI MULTIMILIARDARI CHE LO HANNO SOSTENUTO”… LA BORDATA AI DEMOCRATICI: “ABBIAMO UN BISOGNO DISPERATO DI UN PARTITO ALTERNATIVO CHE SIA EFFICACE, OPPURE CHE I DEM TROVINO QUALCUNO IN GRADO DI PARLARE ALLA NAZIONE”
A Bruce Springsteen quello che pensa di lui il presidente Donald Trump interessa meno di
zero. «È la personificazione dello scopo del 25° emendamento e dell’ impeachment e se il Congresso avesse un minimo di coraggio, lo butterebbe nel bidone della spazzatura della storia».
Il Boss non usa giri di parole nell’intervista al «Time», che gli ha dedicato la prestigiosa copertina, per esprimere il suo pensiero nei confronti di Trump
«Molti hanno creduto alle sue bugie, a lui non importa nulla di chi resta indietro, ma solo di se stesso e dei multimiliardari che lo hanno sostenuto all’insediamento».
Anche i Democratici hanno però le loro responsabilità. «Abbiamo un bisogno disperato di un partito alternativo che sia efficace — dice Springsteen, che ha appena pubblicato sui propri social la nuova versione dal vivo di “Open All Night” — oppure che i Democratici trovino qualcuno in grado di parlare alla nazione»..
(da “Corriere della Sera”)
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Settembre 27th, 2025 Riccardo Fucile
VA ANCORA PEGGIO AI TG VISTO CHE L’INFORMAZIONE ORMAI SEMPRE PIÙ SPOSTATA SULLA RETE … MA A FRONTE DI UN CROLLO DEI TELESPETTATORI DELLA TV GENERALISTA, LE PIATTAFORME A PAGAMENTO GUADAGNANO POCHI SPETTATORI
C’è chi vede la tv ormai definitivamente condannata a un declino e chi aspetta un futuro luminoso. Alla fine, però, i dati elaborati dallo Studio Frasi, che confrontano il 2025 e il 2024, rivelano un’incompatibilità tra domanda e offerta: il calo del 7,7 per cento degli ascolti nel giorno medio e del 7 per cento in prima serata, con una ferita particolarmente dolorosa per l’informazione, sono un indicatore da non ignorare. Anche perché coinvolge tanto la Rai quanto le emittenti private
La ragione dell’allontanamento di oltre un milione di spettatori dalla tv “lineare”, secondo Francesco Siliato dello Studio Frasi, dipende dal fatto che la televisione non rappresenta più il sentiment degli italiani. […] Un allontanamento che non viene compensato dallo streaming: «Per ogni milione di spettatori persi dalla tv, le piattaforme guadagnano qualcosa come 20mila ascolti non abbonati. Decisamente troppo pochi».
Sulla tv lineare, quindi, si finisce per rimbalzare tra programmi nuovi sviluppati senza tenere conto dei bisogni del pubblico («è come vendere pannolini per l’incontinenza ai diciottenni», dice Siliato) e programmi “antichi” che fanno leva sulla tranquillità che genera l’abitudine. Vedi alla voce Giovanni Floris o Fabio Fazio che, con formule consolidate ma abbastanza immodificabili, continuano a raccogliere buoni risultati di share.
«Ma oltre ai grandi classici deve esserci spazio per l’innovazione», dice Giovanni Benincasa, autore storico della Rai, che ha firmato sia successi nazionalpopolari come Carramba! Che Sorpresa che programmi “di nicchia” come Una pezza di Lundini. «Oggi non è così facile proporre programmi nuovi, spesso il mercato offre quasi solo la possibilità di far “adattare” i format stranieri alla tv italiana». Insomma, a fronte di chi ha l’idea deve esserci chi la vuole realizzare e chi la conduce.
Ma quale idea Che poi non c’è nemmeno sempre bisogno di un’idea nuova.
Basta guardare al caso televisivo dell’anno, La ruota della fortuna, un format degli anni Ottanta. Insomma, non c’è niente di più inedito dell’edito. E poi l’intrattenimento fa ancora la parte del leone davanti alla torta (sempre più piccola) degli ascolti. Gerry Scotti e Stefano De Martino si portano a casa ogni sera qualcosa intorno al 40 per cento di share, pari a quasi 9 milioni di spettatori.
L’informazione, o meglio la «controinformazione», si è spostata sulla rete, dove «gli utenti convinti dell’inattendibilità dei media mainstream» si riuniscono intorno a “divulgatori”.
Resta il tema della sperimentazione, che anche uno che in Rai ci è stato a lungo come Andrea Vianello vorrebbe rivedere, non solo su Raiplay: «La tv generalista ormai si regge soprattutto sui grandi eventi. Lo sport, Sanremo e così via. I format che ci sono in circolazione non sempre sono all’altezza della prima serata. Ma a volte anche le scommesse pagano anche in prime time».
Ma c’è da capire dove pescare le idee, e qui qualcuno tira in ballo la differenza degli autori di una volta. Le altre piattaforme e i social sono contemporaneamente concorrenti per quanto
riguarda l’attenzione del pubblico e bacini di utenti a cui attingere. Chi oggi fa i conti con una tv lineare spera nel multipiattaforma.
Queste trasmissioni potrebbero approdare su Rai 2, bacino in cui far confluire trasmissioni «a utilità ripetuta», cioè non in diretta, che possano rimanere “fresche” anche a lungo termine. L’esempio che viene fatto è quello di Belve, che funziona anche sui social e ha una vita che va ben oltre la messa in onda il martedì sera.
Il bicchiere è mezzo pieno.
(da agenzie)
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Settembre 27th, 2025 Riccardo Fucile
A FRATELLI D’ITALIA NON VA GIÙ CHE LA SANATORIA FISCALE SIA VALIDA ANCHE PER I RECIDIVI. E IL PARTITO DELLA MELONI VUOLE CONCENTRARE LE SCARSE RISORSE NEL TAGLIO DELL’IRPEF AL CETO MEDIO
Fratelli d’Italia frena sulla rottamazione delle cartelle chiesta dalla Lega. Nel corso di una
riunione sul cantiere della manovra a cui hanno partecipato i parlamentari meloniani, presieduta qualche giorno fa dal viceministro dell’Economia Maurizio Leo, è emerso il malumore del partito sulla sanatoria fiscale pretesa da Matteo Salvini.
L’idea di inserire nella legge di bilancio una rottamazione da 120 rate per tutti, compresi i recidivi seriali che sono decaduti dalle definizioni agevolate precedenti, non convince diversi esponenti
di Fratelli d’Italia che hanno partecipato al tavolo.
La priorità per il partito della premier, così come per Forza Italia, è la riduzione dell’Irpef al ceto medio, con un taglio di due punti dell’aliquota del 35% sui redditi tra 28 mila e 50 mila euro. Dai ragionamenti che si sono fatti alla riunione, difficilmente si riuscirà ad allargare la base fino a 60 mila euro, perché le coperture crescerebbero da due miliardi e mezzo a quattro miliardi.
La rottamazione, invece, riferisce una fonte, dovrà essere molto selettiva, con una platea ristretta e costare uno o due miliardi al massimo. E non è detto che il disegno di legge all’esame della commissione Finanze del Senato finisca davvero nella legge di bilancio, che potrebbe contenere solo i fondi necessari, mentre il provvedimento sulla pace fiscale correrebbe su un canale differente.
Negli ultimi giorni il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha parlato della rottamazione, anzi, ha preferito chiamarla pace fiscale, come di un obiettivo «in vista» e di un risultato «ragionevole che si può raggiungere» per aiutare quei contribuenti in difficoltà. Secondo alcuni rumors, un’intesa si potrebbe trovare con una sanatoria più corta, non più decennale, e con un anticipo da versare subito nelle prime rate – pari al 5% del debito complessivo – per scongiurare i furbetti che aderiscono e poi non pagano solo per avere uno scudo sui pignoramenti.
Tuttavia il Carroccio pare non voler cedere. Alberto Luigi Gusmeroli, presidente della commissione Attività produttive della Camera e responsabile fiscale della Lega, rilancia: «Non
vogliamo trattamenti asimmetrici: dovranno poter accedere anche i debitori decaduti dalle precedenti edizioni».
Gusmeroli inoltre conferma la rottamazione lunga: «La nostra proposta si esprime su un arco temporale sostenibile e non contempla pesanti acconti in ingresso, aiuterà l’erario a incassare somme altrimenti non recuperabili».
Le coperture, insiste Salvini, dovrebbero arrivare dalle banche. Il presidente dell’Abi Antonio Patuelli invita la politica a «non fare demagogia» visto che il sistema bancario e i suoi azionisti pagano complessivamente il 55% di tasse. Patuelli ricorda l’intesa già fatta con il governo sui crediti fiscali per il 2025 e 2026, però lascia una porta aperta: «Siamo interlocutori disponibili al confronto e all’approfondimento dell’accordo biennale e al prosieguo, se qualcuno ci chiama».
(da agenzie)
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Settembre 27th, 2025 Riccardo Fucile
“PUTIN ERA MOLTO AFFATICATO, AVEVA AL SUO FIANCO DUE PERSONE CHE LO SOSTENEVANO. SEMBRAVA DI VEDERE SILVIO BERLUSCONI NELL’ULTIMO PERIODO”
«Sono rimasto impressionato dalle condizioni di Vladimir Putin». Ciclicamente si sono sparse le voci più disparate sullo stato di salute del presidente russo, tutte smentite dal Cremlino. Visto da vicino però il dittatore comunista deve aver dato a Massimo D’Alema la sensazione che non fosse per nulla in forma. E un paio di settimane fa l’ex premier lo ha confidato ad alcuni amici: «Putin mi è parso molto affaticato».
D’Alema era da poco rientrato dalla Cina, dove era stato ospite del governo di Pechino per le celebrazioni degli ottanta anni dalla fine della Seconda guerra mondiale. Un viaggio che gli aveva procurato polemiche in patria.Non solo per la foto che l’aveva ritratto insieme al gotha dei regimi autoritari come il leader della Corea del Nord Kim Jong-un, il presidente della Bielorussia Aleksandr Lukashenko e il presidente iraniano Masoud Pezeshkian.
Ma anche perché — dopo che Xi Jinping aveva mostrato al mondo la sua potenza militare — aveva rilasciato a una tv locale un’intervista zeppa di frasi dal sapore antico e di interpretazioni storiche spericolate: «Confido che da qui venga un messaggio per la pace, la cooperazione e il ritorno a uno spirito di amicizia tra i popoli»
Proprio a Pechino D’Alema aveva incrociato Putin. E lui non è certo tipo che millanta. Perciò i suoi interlocutori a Roma sono rimasti colpiti dalla descrizione del presidente russo. Per quanto le immagini ufficiali trasmesse in occasione dell’evento non avessero fatto intuire una simile situazione, D’Alema ha aggiunto un particolare rilevante: «Putin aveva al suo fianco due persone che lo sostenevano».
Non è dato sapere quando e dove avesse visto la scena, di sicuro chi lo ha ascoltato gli ha dato credito. Così riaffiora il giallo sulla salute di Putin, tema che annovera una pubblicistica lunga quanto le malattie che nel tempo gli sono state diagnosticate: da una serie di tumori al sangue e al pancreas, fino al Parkinson e alla sindrome di Cushing.
I servizi di tutto il mondo cercano di mettere le mani sul
la sua cartella clinica e il presidente russo — che viene dal Kgb — ha elevato la difesa della privacy. Un’autentica ossessione.Da anni, durante i suoi viaggi all’estero, gli agenti del Servizio di sicurezza federale russo raccolgono le feci e le urine del loro capo per non lasciare tracce genetiche e impedire la profilazione dei dati biometrici. In un filmato del 2019, registrato a Parigi, si nota Putin uscire da un bagno seguito da sei guardie del corpo munite di valigetta. Per evitare che dalle analisi delle scorie si possa risalire all’uso di eventuali farmaci, si è dotato di un bagno portatile.
Il «rituale» si ripete a ogni occasione, compresa la recente visita in Alaska dove ha incontrato Donald Trump. Ma Putin non è l’unico a comportarsi così. D’altronde, come scrissero sul Corriere Guido Olimpio e Paolo Valentino, i dati clinici di un leader «sono diventati merce preziosa e le tracce genetiche sono sicuramente quelle più sensibili e personali. Per i servizi segreti una vera miniera d’oro».
Sia l’intelligence americana sia quella britannica ancora poco tempo addietro hanno smentito di avere «prove» su «gravi malattie» di Putin. Vero o falso, è segno che comunque sono a caccia e studiano ogni indizio.
Sia chiaro, durante il racconto D’Alema si è ben guardato dall’azzardare una diagnosi. Si è limitato a una rappresentazione dell’episodio. Aggiungendo un’annotazione personale di non poco conto. Perché il Putin «molto affaticato» e «sostenuto da due persone» gli aveva fatto tornare alla mente il Cavaliere: «Sembrava di vedere Silvio Berlusconi nell’ultimo periodo».
(da agenzie)
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Settembre 27th, 2025 Riccardo Fucile
ESPLODE LA PROTESTA DEI DIPENDENTI DEL TEATRO LA FENICE CONTRO LA NOMINA IMPOSTA DALL’ALTO DEL NUOVO DIRETTORE D’ORCHESTRA
I lavoratori del Teatro La Fenice di Venezia hanno dichiarato guerra contro la nomina di
Beatrice Venezi come direttore musicale. Gli orchestrali hanno proclamato lo stato di agitazione permanente e minacciano scioperi, manifestazioni e sit-in finché la decisione non verrà revocata. Secondo la Rsu dei lavoratori, la nomina di Venezi è avvenuta «con modalità e tempistiche che hanno calpestato ogni principio di confronto e trasparenza». L’assemblea generale, riunitasi il 26 settembre, ha espresso «unanime solidarietà alla presa di posizione chiara e coraggiosa resa pubblica il 25 settembre dai professori d’orchestra».
Il punto più controverso riguarderebbe le competenze della direttrice: «È doveroso sottolineare che il curriculum di Venezi non è comparabile con quello dei direttori musicali stabili che negli anni si sono succeduti sul podio della Fenice», affermano i lavoratori, che considerano la musicista vicina al governo Meloni non all’altezza del prestigioso incarico.
I sindacati parlano di «deriva autoritaria»
La Slc Cgil è scesa in campo con parole durissime. La segretaria nazionale per la Produzione Culturale, Sabina Di Marco, ha parlato di «deriva autoritaria che andrebbe evitata», criticando non tanto la qualità del direttore quanto «l’assenza di un percorso di condivisione con l’orchestra nella procedura di
nomina di una figura così importante». Anche perché, spiega il sindacalista: «Interventi di questo rilievo e così delicati hanno sempre seguito un percorso di condivisione, una consuetudine che questa volta è stata completamente ignorata preferendo un atto di autorità», ha aggiunto Di Marco, evidenziando come questa procedura rappresenti una rottura con le tradizioni del teatro lirico.
(da agenzie)
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