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VIOLENZE E MIGRANTI, IL FACT CHECKING: SONO PIU’ I REATI COMMESSI DAGLI ITALIANI, MA NON SONO DENUNCIATI

I DATI SMENTISCONO LE BALLE DEI SOVRANISTI: IL PROBLEMA PRINCIPALE RIMANE FRA LE MURE DOMESTICHE

“C’è un’incidenza maggiore, purtroppo, nei casi di violenza sessuale da parte di persone immigrate”. Non un passo indietro. Nella giornata dedicata al contrasto alla violenza sulle donne – mentre a Milano veniva condannato all’ergastolo Alessandro Impagnatiello, la stessa pena veniva chiesta per Filippo Turetta a Venezia e dalla Sicilia arrivava la storia del medagliato olimpico Antonino Pizzolato a processo per stupro di gruppo – la premier Giorgia Meloni, dopo aver chiesto a tutte le forze politiche unità di intenti e sforzi, ha riproposto la tesi che lega l’aumento dei casi di violenza alla presenza di migranti sul territorio italiano. Il primo a avanzarla era stato il ministro dell’Istruzione Valditara, seguito da Matteo Salvini, mentre l’opposizione insorgeva ricordando: “Il femminicida e lo stupratore spesso hanno le chiavi di casa”. E i numeri lo confermano.
I numeri della violenza sulle donne in Italia
Secondo i dati che lo stesso Viminale ha fornito sono 97 i femminicidi commessi durante l’ultimo anno (100 secondo le associazioni), con un decremento pari al 9 per cento.
Nel 75 per cento dei casi gli autori sono italiani e per lo più – 84 per cento dei casi – a uccidere è il partner o l’ex. Ed è una percentuale in crescita: se nel 2022 le donne uccise dai propri compagni, presenti o passati, erano il 58 per cento delle vittime di omicidio, un anno dopo sono il 67 per cento. E’ vero, nei primi sei mesi del 2024 c’è stata una lieve flessione, ma il dato non è consolidato.
Situazione simile si registra per i cosiddetti “reati spia”, come stalking o molestie in famiglia, per altro aumentati nel corso dell’ultimo anno rispettivamente del 6 e del 15 per cento.
Anche in questo caso a commetterli sono per lo più italiani adulti, 82 per cento dei casi di stalking, 71 per cento nel caso di maltrattamenti familiari.
Unico dato anomalo, quello relativo alle violenze sessuali, reato dall’ombrello ampio che punisce dal contatto non richiesto allo stupro. Stando ai dati ministeriali, nel 56 per cento dei casi a commetterli sarebbero italiani e nel 44 per cento stranieri.
Questione di platea
“Giova precisare – si preoccupa di sottolineare il Viminale nella sua nota – che la popolazione residente in Italia è costituita per il 9% da cittadini stranieri”.
Quello che non si precisa però è quanti degli autori stranieri accusati di violenza sessuale siano regolarmente residenti in Italia, dunque se la platea da considerare sia effettivamente quel 9 per cento.
E poi, sottolinea Patrizio Gonella di Antigone, “ridurre il tema della violenza sessuale o dei femminicidi a questione di nazionalità non tiene conto della complessità di un fenomeno dalle radici antiche. In ogni caso i detenuti stranieri sono in calo rispetto a quindici anni fa, sia in termini relativi che assoluti. E sono tendenzialmente condannati per reati meno gravi rispetto agli autoctoni ma non per questo diremmo mai che gli italiani sono tutti tendenzialmente potenziali criminali”.
Stando all’ultimo rapporto sulla popolazione carceraria, i detenuti stranieri non sono la maggioranza, in generale sono condannati a reati meno gravi e negli anni si è registrato un calo verticale della presenza in detenzione di quelle comunità straniere che più hanno avuto accesso a ricongiungimenti familiari.
“Rumeni, filippini e albanesi sono in forte calo nelle carceri. Questa sarebbe una politica criminale saggia: non separare le famiglie – sottolinea Gonella – Tutto il resto è indimostrato anche perché la raccolta dei dati statistici non è adeguata alla complessità del fenomeno”
Lo iato fra violenze e denunce
Non è l’unico dato che rischia di deformare la rappresentazione della realtà affidata solo ai numeri. “Solo una parte minima delle violenze sessuali emerge dall’invisibilità – si legge nell’ultimo rapporto Eidos – giacché molte, consumate nel nascosto delle mura domestiche, perpetrate da partner in gran parte italiani, restano appunto sommerse”.
L’ultima indagine statistica al riguardo risale al 2014, è stata messa insieme dall’Istat, ma secondo operatori e psicologi dei centri antiviolenza non è poi molto distante dalla realtà attuale. All’epoca l’Istituto aveva rilevato che in Italia solo il 16 per cento delle donne che ha subito una violenza sessuale l’ha denunciata.
Paura di non essere creduta o di ritorsioni da parte dell’autore della violenza, vergogna, voglia di dimenticare, impossibilità economica di affrontare un processo, mancanza o mancata conoscenza di reti di supporto: sono tante le ragioni che spesso convincono le donne a sopportare e dimenticare. Il risultato è lo stesso: il silenzio. E l’aumento delle chiamate al numero di emergenza 1522 non può far cantare vittoria.
I numeri delle (poche) donne che chiedono aiuto
A confermarlo è stato non più tardi di un anno fa il Viminale. Secondo la ricerca “La criminalità fra realtà e percezione” in caso di violenze il 31,6% delle vittime si è difesa da sola; il 24,2% delle vittime non ha fatto nulla; il 19,5% ha chiesto aiuto a parenti, amici o colleghi. L’8,2% ha sporto denuncia presso un ufficio di Polizia o Carabinieri, il 6,1% ha contattato il numero di pubblica utilità 1522, il 5,6% si è rivolto invece a un centro antiviolenza, mentre il 4,8% delle vittime ha richiesto un intervento tramite il 112.
Traduzione, fra l’episodio e la sua formalizzazione che lo trasforma in dato statistico ci sono diversi passaggi intermedi e solo l’8,2 per cento dei casi approda certamente a denuncia. Un dato sconfortante confermato anche dai numeri messi in fila dall’Istat – questi sì aggiornati – sul percorso di emersione dalla violenza: il 40% delle donne si è rivolta ai parenti, il 30% alle forze dell’ordine, il 19,3% ha fatto ricorso al pronto soccorso e all’ospedale. Solo il 28,6 per cento ha chiesto autonomamente aiuto ad un Centro antiviolenza.
Più facile puntare il dito contro gli stranieri
E se le denunce restituiscono un quadro di certo sottodimensionato rispetto al reale, non è assolutamente detto che non sia distorto. Al contrario.
In caso di violenze fuori dalla coppia – afferma l’Istat – è molto più facile che si punti il dito verso gli stranieri. “La quota di vittime di stupro da un autore straniero che dichiara di aver sporto denuncia è infatti oltre 6 volte più alta rispetto al caso in cui l’autore è italiano – ha spiegato nel 2017 alla commissione bicamerale sul femminicidio l’allora direttore Giorgio Alleva – Per il tentato stupro, la differenza è ancora più marcata: la quota di donne che denunciano, nel caso di un autore straniero, è 10 volte più alta
Se dunque le violenze – confermano gli stessi dati del Viminale – avvengono per lo più in contesto familiare, da partner o ex spesso italiani, diversa è la percezione diffusa.
E al ministero dell’Interno se è vero che in un report del maggio 2023 si legge: “un’ampia fetta del campione (47%) ritiene che i crimini siano commessi in egual misura da italiani e stranieri; circa un rispondente su cinque pensa che gli autori siano principalmente stranieri (20,7%) e solo il 6,1% attribuisce le colpe prevalentemente agli italiani”. E paradossalmente secondo la maggior parte degli intervistati il reato commesso in misura inferiore principalmente da italiani sarebbe la violenza sessuale (5,2%), seguito dalle lesioni (5,8%).
“I valori occidentali”
Secondo il ministro Salvini l’aumento delle violenze sarebbe legato “all’immigrazione incontrollata da Paesi che non condividono i valori occidentali”. Secondo un’indagine Istat condotta tra i giovani fra i 18 e i 29 anni, il 16,1% ritiene accettabile che “un uomo controlli abitualmente il cellulare o l’attività sui social network della propria moglie o compagna”, quasi il 4% sostiene che un ragazzo possa schiaffeggiare la sua fidanzata perché “ha civettato o flirtato con un altro uomo” e circa il 5% crede sia normale che “in una coppia ci scappi uno schiaffo ogni tanto”. Dati simili sono emersi anche dall’indagine condotta da Fondazione Libellula nel 2023, secondo cui circa un giovane su tre non riconosce gli atteggiamenti di controllo come una forma di violenza, considerandoli piuttosto sfaccettature di una relazione amorosa.
(da La Repubblica)

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