LIMITI ALL’USO DEL CONTANTE: SONO VERAMENTE EFFICACI NEL COMBATTERE L’EVASIONE FISCALE?
SECONDO GLI STUDI DEGLI ESPERTI HA PIU’ UN VALORE SIMBOLICO CHE REALE UTILITA’
In questi giorni stiamo assistendo ad un acceso dibattito circa l’abbassamento a 1.000 euro del limite per i pagamenti in contanti.
Il dibattito vede sostanzialmente due correnti contrapposte: coloro che sostengono l’efficacia di queste limitazioni, sulla base del fatto che tali misure, incentivando i pagamenti tracciabili, ridurrebbero l’area dell’evasione e del sommerso; e coloro che invece negano qualsiasi tipo di efficacia anti-evasione a simili provvedimenti.
Come sempre, nelle questioni di politica fiscale è difficile dire in modo netto chi ha ragione e chi ha torto. Ciò che si può affermare è che effettivamente in sede internazionale vi sono forti dubbi sul fatto che i limiti ai pagamenti in contanti siano efficaci nel contrastare l’evasione fiscale, nonchè sul fatto che provvedimenti del genere siano proporzionati alla luce del fine che si prefiggono.
Sembra utile partire da quanto affermato dalla Commissione Europea nel 2018 (Relazione al Parlamento Europeo e al Consiglio sulle restrizioni ai pagamenti in contanti), che ha esaminato il tema anche per mezzo di uno studio molto dettagliato (Study on an EU initiative for a restriction on payments in cash, di Centre for European Policy Studies – Ecorys).
Anticipiamone le conclusioni sin d’ora: la Commissione ha deciso di non intraprendere alcuna iniziativa legislativa, anche perchè le restrizioni ai pagamenti in contanti presentano significative problematiche e la loro efficacia è tutta da dimostrare.
Nel febbraio 2018, infatti, lo studio sopra citato ha evidenziato che le restrizioni ai pagamenti in contanti, pur utili in ambito antiriciclaggio, darebbero uno scarso contributo al contrasto del finanziamento del terrorismo o della frode fiscale, sostanzialmente per due motivi.
Il primo motivo riguarda i costi degli attentati terroristici, i quali attualmente (al contrario degli attentati del tutto eccezionali dell’11 settembre 2001) sono molto spesso di costo inferiore ai 10.000 euro, e le singole operazioni sono spesso di importo addirittura inferiore.
Di conseguenza, i limiti al trasferimento di contante inciderebbero poco sulla capacità di preparare tali attentati.
Del resto, la Commissione, in maniera piuttosto lapalissiana, giudica improbabile “che i criminali, che già intenzionalmente violano la legge, saranno dissuasi da un ulteriore divieto concernente il pagamento dell’operazione, soprattutto se le sanzioni associate a tale ulteriore divieto sono irrilevanti rispetto alle sanzioni associate all’attività criminale principale”.
Il secondo motivo, più significativo ai nostri fini, riguarda il fatto che le frodi fiscali davvero rilevanti non sono perpetrate tramite l’uso di contanti, ma mediante operazioni e strutture giuridiche complesse, che spesso coinvolgono più Stati.
Tant’è vero che in Austria, ad esempio, il livello di frode fiscale è basso, ma vi è un elevato utilizzo di contante.
Laddove invece frode ed evasione fiscale sono basate sui contanti, esse riguardano generalmente operazioni in contanti di importo contenuto (ad esempio, le fatture di ristoranti), e quindi non sarebbero interessate ai limiti, che, anche laddove contenuti, sono comunque più alti – a meno che, ovviamente, la soglia sia fissata a un livello molto basso.
Rimane tuttavia il fatto che i limiti ai pagamenti in contanti potrebbero comunque rivelarsi utili contro il riciclaggio di denaro; ciò nonostante, lo studio sopra citato fa presente che il riciclaggio tramite l’utilizzo del contante avviene spesso attraverso l’acquisto di beni di valore elevato, per cui secondo la stessa Commissione potrebbe essere utile esaminare anche alcune misure alternative, quale la previsione di un obbligo di raccolta di dati e di dichiarazione in capo a rivenditori (misura sulla cui efficacia, rileva la Commissione, si potrebbe comunque discutere).
Un aspetto molto rilevante da considerare è inoltre che, come evidenzia chiaramente la Commissione Europea, l’esistenza di restrizioni divergenti a livello nazionale ha un considerevole impatto negativo sul mercato interno, distorcendo la concorrenza e creando condizioni di disparità tra alcune imprese.
Sembra infatti che la presenza di limiti nazionali ai pagamenti in contanti, diversi da Stato a Stato, incida sullo spostamento del fatturato da un Paese ad un altro, il che ha conseguenze negative sia sull’integrità del mercato interno, sia “sull’efficienza della misura nazionale nel raggiungere gli obiettivi di politica pubblica”. In altri termini, quindi, si rischiano di favorire i sistemi economici dei Paesi limitrofi a discapito di quello nazionale, senza grandi benefici in termini di recupero di gettito.
A quanto affermato dalla Commissione Europea si aggiungono inoltre i (non molto favorevoli) pareri della Banca Centrale Europea sulle restrizioni ai pagamenti in contanti.
La BCE negli ultimi anni si è infatti espressa sulle proposte presentate da alcuni Stati (tra cui Spagna nel 2018, Bulgaria e Portogallo nel 2017) di inserire un limite quantitativo per i pagamenti in contanti, o di ridurne significativamente l’importo. Particolarmente significativo è il caso della Spagna, perchè la proposta spagnola fissava proprio a 1.000 euro il limite per i pagamenti cash, seppur solo per alcune tipologie di contribuenti.
La Banca Centrale afferma che il contrasto all’evasione fiscale può effettivamente essere una ragione per inserire limitazioni all’uso del contante, ma anche che queste limitazioni devono essere proporzionate e non andare oltre quello che è necessario per raggiungere tali obiettivi, perchè esse devono comunque essere compatibili con il corso legale di monete e banconote in Euro.
Ebbene, la BCE sottolinea due elementi, tra gli altri, che sembrano particolarmente importanti: il fatto che vi sono larghe fasce di popolazione per le quali la possibilità di pagare in contanti rimane importante, per diverse (e del tutto lecite) ragioni, e il fatto che i pagamenti cash favoriscono l’accesso al sistema economico dell’intera popolazione.
Proprio per tali ragioni, la Banca Centrale ha ritenuto “sproporzionato” (disproportionate) il limite di 1.000 euro proposto dalla Spagna, perchè da un lato rischiava di compromettere il corso legale delle banconote e delle monete in Euro (e l’intero sistema dei pagamenti), e dall’altro lato perchè i pagamenti mediante mezzi elettronici dipendono da infrastrutture tecniche che possono guastarsi o essere momentaneamente non disponibili.
Insomma, si può affermare che, sia in base a quanto evidenziato dalla Commissione Europea, sia alla luce dei pareri della BCE, i limiti ai pagamenti in contanti rischiano di essere la risposta sbagliata ad un problema reale (l’evasione fiscale), e del resto diversi autorevoli commentatori italiani ne hanno già da tempo evidenziato la loro funzione “simbolica” nonchè la scarsa attitudine a contrastare l’evasione.
Se si intende incidere sul sistema dei pagamenti per combattere l’evasione fiscale, sembra più efficace introdurre incentivi all’utilizzo dei pagamenti elettronici, anche perchè “demonizzare” il contante rischia di non portare apprezzabili benefici in termini di gettito e di deprimere i consumi, e francamente un ulteriore calo dei consumi non sembra una cosa che il sistema economico italiano si possa permettere.
Alberto Franco
Professore di Diritto Tributario presso l’Università di Torino
(da “La Repubblica”)
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