“ARRIVANO A TORSO NUDO SENZA MAGLIONE E CHIEDONO PROSCIUTTO E MELONE E DOCCIA CALDA”
LE RICHIESTE ASSURDE DEI TURISTI IN MONTAGNA: MOLTI IMBECILLI SI AVVENTURANO SENZA EQUIPAGGIAMENTO E CONOSCENZA DEI LUOGHI E POI SI PERDONO
Puoi conoscere ogni sentiero a memoria, aver passato la vita tra creste e vallate, e poi perdere la vita per un inciampo o una pietra caduta dall’alto. Allo stesso tempo, c’è chi sale a un rifugio in
pantaloncini chiedendo “prosciutto e melone” o chi, a metà strada e senza fiato, telefona per farsi riportare a valle in elicottero.
La montagna non fa sconti, e può scegliere le sue vittime tra alpinisti navigati e visitatori inesperti. Negli ultimi anni, sulle cime è arrivata una folla nuova, attratta dal fascino dell’alta quota ma non sempre consapevole dei rischi. «Da allora la quantità di gente se non è raddoppiata poco ci manca — racconta Paolo Valoti, past president del Cai di Bergamo, al Corriere della Sera —. Durante il Covid si cercavano spazi aperti e distanze, così tanti si sono avvicinati alla montagna, giovani ma non solo. Oggi arrivano turisti, escursionisti, skyrunner. Domenica sul sentiero delle Orobie ho incontrato persone che per la prima volta erano a 2.500 metri».
I turisti impreparati
Molti, però, si avventurano senza equipaggiamento o conoscenza adeguata, a volte solo attratti dal fatto di aver visto una foto di un tal posto sui social. «L’altro giorno nella Valle del Salto c’era un ponte di neve alto tre metri. Sapevo che non andava attraversato. Poco distante c’era gente vestita in modo tale che capivi subito che non era esperta: e se ci fossero passati sopra?», aggiunge Valoti. «La scoperta è bella, ma va fatta con consapevolezza». Per il Soccorso alpino, la disinformazione è un problema crescente. «C’è gente che non pianifica né il percorso né l’attrezzatura — spiega Damiano Carrara, delegato provinciale —. Vede una foto sui social, crede che arrivarci sia facile e parte, senza sapere quanta preparazione serva per chi quella foto l’ha
scattata». Il risultato, spesso, è un intervento di salvataggio: «Abbiamo soccorso 40 persone nella Valle dei Mulini che non avevano idea delle difficoltà del tragitto, tra torrenti da guadare e dislivelli. Una si è ferita, ma abbiamo dovuto riaccompagnare anche gli altri».
Il rischio di sottovalutare difficoltà e condizioni
Scarpe inadatte, abbigliamento leggero, nessuna protezione contro freddo e pioggia. «Segui le suggestioni dei social e pensi sia solo una passeggiata al fresco — osserva Dario Nisoli, presidente del Cai —. Ma basta una storta o un temporale e i problemi iniziano. Molti chiedono aiuto e non sanno nemmeno dove si trovano». I consigli? «Scarpe da trekking, acqua, protezione da pioggia e freddo, sentieri alla propria portata, imparando gradualmente. E usare app con mappe e geolocalizzazione».
Le richieste assurde ai rifugi
Chi lavora in quota ha visto di tutto. «Domenica mi hanno chiesto prosciutto e melone, credevano di essere al lago — racconta al Corriere della Sera Fabrizio Gonella, da 16 anni al rifugio Coca —. In agosto c’è tanta gente, e qualcuno pretende la doccia calda, ma qui il boiler serve per lavare piatti e vestiti». Stesso copione al rifugio Nani: «Arrivano a torso nudo e senza maglione, poi capiscono che a 2.300 metri fa freddo. A uno ho chiesto: dove hai i pantaloni lunghi? “A casa”, mi ha risposto», racconta il gestore Francesco Tagliaferri, 79 anni. «Non posso fare prediche, ma certa gente non so cosa abbia in testa».
(da agenzie)
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