BUSTA PAGA: STESSA ETA’, STESSO LAVORO
COME E’ CAMBIATO LO STIPENDIO IN 20 ANNI?
Quanto vale oggi la nostra busta paga rispetto a chi, alla nostra stessa età, lavorava dieci o vent’anni fa? Per rispondere a questa domanda abbiamo ricostruito l’andamento degli stipendi medi lordi per fasce d’età dal 2004 al 2024 di chi lavora in azienda. L’abbiamo fatto tenendo conto del reale potere d’acquisto, cioè al netto dell’inflazione. Il confronto mette in luce quanto è cambiata la capacità di spesa reale: cosa ci si poteva permettere allora e cosa oggi alla medesima età. L’obiettivo è misurare l’impatto concreto sulla nostra vita, generazione per generazione. Particolare attenzione sarà rivolta ai giovani, definiti una «risorsa strategica chiave per la competitività del Paese» (vedi rapporto Istat 2025 qui), ma da anni penalizzati da un sistema che tende a pagarli meno e a offrire meno prospettive. L’analisi si basa sui dati elaborati per Dataroom da ODM Consulting, società specializzata in indagini retributive. Nell’articolo prendiamo in considerazione il 2004, il 2014 e il 2024. I grafici in pagina raccontano l’intera evoluzione della busta paga degli ultimi vent’anni di tutte le fasce d’età.
Partiamo dei lavoratori nella fascia 41-50 anni. Nel 2004, lo stipendio reale medio lordo è pari a 29.813 euro all’anno, con un minimo ritocco all’insù a 30.009 euro nel 2014. Tuttavia, nel 2024 si registra un calo a 29.665 euro, con una riduzione dello 0,5% rispetto ai coetanei di vent’anni fa. Dal 2021 a oggi, la perdita di potere d’acquisto per questa fascia d’età sale al 4,8%.
Per i lavoratori tra i 51 e i 60 anni invece nel 2004 la retribuzione real media si attesta a 31.999 euro, a 32.375 euro nel 2014 e a 30.848 euro nel
2024. La diminuzione rispetto a chi aveva la stessa età vent’anni fa è del 3,6%. Dal 2021 ad oggi questa fascia d’età ha subito una perdita di potere d’acquisto del 7,7%.
Arriviamo ai giovani lavoratori nella fascia 25-30 anni. Nel 2004 la retribuzione reale media è di 22.530 euro, con un leggero aumento a 22.616 euro nel 2014. Nel 2024, si registra un calo a 22.426 euro, con una diminuzione dello 0,5% rispetto ai coetanei del 2004 e dello 0,8% rispetto a quelli del 2014. Dal 2021, la perdita è del 3,5%, percentuale inferiore rispetto alle fasce d’età più mature, ma questo dato va interpretato considerando che gli stipendi di partenza dei giovani italiani sono bassi che più bassi non si può. In Germania, i giovani lavoratori percepiscono retribuzioni superiori del 27,3% rispetto ai loro coetanei italiani.
La Generazione Z
Cosa vuol dire? Che in Italia chi fa parte della Generazione Z — cioè i nati tra il 1995-97 e il 2012 — entra nel mondo del lavoro ancora più svantaggiato rispetto ai giovani che l’hanno preceduto. Il contesto in cui questi trend vanno letti sono la crisi finanziaria del 2008, che ha determinato un lungo periodo di stagnazione salariale; la ripresa parziale del 2014-2019; la pandemia del 2020-2021 con i suoi effetti dirompenti sul mercato del lavoro; e l’inflazione che si è accumulata nel 2022, 2023 e 2024 con un aumento percentuale dei prezzi del 17%. Le misure fiscali adottate finora non sono state sufficienti a compensarla (qui Dataroom del 12 dicembre 2024).
Il tipo di laurea
Ovviamente, lo stipendio cambia anche in base al tipo di laurea. Vediamo la retribuzione media annua lorda d’ingresso per i neolaureati al 2024. Chi si laurea in discipline umanistiche inizia con 24.400 euro, che dopo tre anni di esperienza lavorativa aumentano a 27.300 euro. I laureati in discipline economiche partono da una base più alta, 27.342 euro, che dopo tre anni raggiunge i 31.900 euro. Infine, i laureati in discipline STEM (Scienze, Tecnologia, Ingegneria, Matematica) godono di migliori prospettive retributive, con uno stipendio iniziale di 31.812 euro che dopo tre anni sale a 35.870 euro.
La fuga all’estero
In ogni caso c’è poco da essere contenti, e lo dimostrano i dati sulla fuga all’estero di chi ha tra i 18 e i 39 anni. Nel 2004 lasciano l’Italia 19.720 giovani, nel 2014 il numero è più che raddoppiato raggiungendo i 45.074 unità, e nel 2024 si tocca il record storico di 93.410 giovani che se ne vanno. Questi numeri riflettono la percezione diffusa di un contesto lavorativo italiano poco attrattivo, scarsamente meritocratico e con limitate opportunità di crescita professionale e retributiva. La combinazione di stipendi bassi e prospettive di carriera incerte rappresenta un potente incentivo all’emigrazione per molti giovani qualificati.
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Ma cosa vogliono i Gen Z dal posto di lavoro? Decine di indagini raccontano tutte la stessa cosa, e cioè: voglio far parte del progetto e poter dire la mia; pretendo tecnologia adeguata, flessibilità, smart working e un buon equilibrio tra vita privata e lavoro; voglio sapere cosa mi aspetta, con chiarezza sul percorso di carriera e le opportunità di crescita.
Se queste condizioni mancano, i Gen Z hanno una maggiore propensione rispetto alle generazioni precedenti a cambiare lavoro. È il motivo per cui le aziende sono davanti a una nuova sfida. I baby boomer (nati tra il 1946 e il 1964) ancora in età lavorativa oggi sono circa 6,6 milioni (60-67 anni), mentre i membri della Generazione Z maggiorenni, già entrati o pronti a entrare nel mercato del lavoro, sono 7,4 milioni (18-29 anni).
Significa che se le aziende non si attrezzano, faranno i conti con un turnover mai visto prima, con gravi costi in termini di produttività, know-how e clima interno. I cambiamenti frequenti nel personale rendono più difficile costruire e mantenere un’identità aziendale coerente nel tempo. La sostituzione dei dipendenti comporta spese per il reclutamento, investimenti in formazione e tempo dedicato all’inserimento dei nuovi assunti. E quando ad abbandonare l’azienda sono i lavoratori più giovani, l’organizzazione rischia di perdere quella spinta all’innovazione e al cambiamento che caratterizza le nuove generazioni.
Milena Gabanelli e Simona Ravizza
(da corriere.it)
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