E TI PAREVA: PER LA DIGA FORANEA DI GENOVA ESCONO FUORI EXTRACOSTI PER 300 MILIONI
IL CONTO E’ SALITO A 1,6 MILIARDI… NON SI ERA VOLUTO DARE RETTA AL SUPER-ESPERTO CHE AVEVA PREVISTO CHE IL PUNTELLAMENTO DEI FONDALI ERA INADEGUATO… E ORA PAGANO I CONTRIBUENTI, RINGRAZIATE I SOVRANISTI
Piero Silva aveva ragione: i fondali su cui si sta realizzando la nuova diga foranea del porto di Genova non tengono e per consolidarli si spenderà molto più del previsto. Dopo la denuncia di tre anni fa dell’ex responsabile del project management dell’opera, ora la conferma arriva dalla recente modifica al contratto da 950 milioni stipulato tra l’Autorità portuale e PerGenova Breakwater, il consorzio costruttore guidato dal colosso Webuild, per la realizzazione della fase A, interamente a carico pubblico con mezzo miliardo di fondi complementari al Pnrr. Il documento, nero su bianco, riporta gli extra-costi ammessi a maggio dal commissario all’opera Marco Bucci: 160 milioni per la prima fase e 142 per la seconda (stimata inizialmente in 350 milioni). Ulteriori stanziamenti che portano l’opera a superare il costo complessivo di 1,6 miliardi. E non solo. Ora si certifica che l’imprevisto era in realtà previsto e si
conferma l’incognita sulla fattibilità dell’intera opera dato che i pochi cassoni fin qui posati si trovano sui fondali meno problematici.
Secondo il nuovo contratto, infatti, il sovraccosto deriva per due terzi dalla “esecuzione delle colonne di sottofondazione” per consolidare i fondali, rivelatasi ben più onerosa del previsto. Proprio come ha rivelato il Fatto nell’aprile 2022, con la testimonianza di Silva, il super esperto di porti che si è dimesso dopo il rifiuto di Bucci e dell’allora presidente del porto, Paolo Signorini, di modificare il progetto per evitare quel che ora si sta verificando.
Eppure, nonostante la denuncia, il progetto è stato portato a gara. Così, anche se si tratta di una delle più imponenti dighe portuali della storia, i colossi internazionali del settore non si sono presentati, spaventati dalla clausola che imputava all’appaltatore la “sorpresa geologica”, cioè l’esigenza a lavori in corso di puntellare il consolidamento di fondali critici per profondità e instabilità. A offrirsi sono stati solo Webuild, associata a Fincosit (consorella del progettista originario, Technital), e la cordata Caltagirone-Gavio, che hanno ottenuto, a procedura chiusa, il ribaltamento di quella clausola: il puntellamento del consolidamento dei fondali è passato in capo all’appaltante pubblico.
Sul caso, la Procura europea ha aperto un’inchiesta, indagando anche Signorini (nel frattempo travolto dal Totigate con l’accusa di corruzione), ma è così che ora Webuild &C. passeranno
all’incasso. Con il rischio che il conto per lo Stato lieviti. Secondo la modifica contrattuale, infatti, i 160 milioni sono “condivisi in via conciliativa dall’appaltatore”, ma solo se i soldi arriveranno entro fine anno. Altrimenti Webuild chiederà di più.
Non solo. Il resto della somma, oltre 56 milioni, è imputato al ritardo accumulato, ascritto evidentemente (i documenti ci sono stati negati) all’Autorità portuale dal Collegio consultivo tecnico, l’organo per le controversie alla cui presidenza Signorini volle Giacomo Aiello, conosciuto 25 anni fa quando entrambi si muovevano fra presidenza del Consiglio, Cipe e ministero delle Infrastrutture. L’accordo stabilisce la fine dei lavori a dicembre 2027, 13 mesi dopo il previsto, ma se i soldi non arriveranno nei prossimi 4 mesi, la data slitterà. Ipotesi smentita dal subcommissario all’opera, Carlo De Simone: “Il reperimento delle fonti finanziarie è clausola di rito perché, per chiedere i soldi, dobbiamo avere un atto che li giustifichi. Siamo certi di averli ancor prima di fine anno. Ed entro il termine per i lavori di fase A contiamo di concludere anche quelli di fase B”, ha dichiarato al Fatto, malgrado in due anni e mezzo di lavori siano stati posati 12 cassoni sui 103 totali e il cronoprogramma di fase B, da aggiudicare, preveda 39 mesi.
A semplificare la procedura ci ha pensato il ministero dell’Ambiente, che pochi giorni fa, sorvolando sul surplus di controlli sulla tenuta dei cassoni (si sono già verificati sgretolamenti) ritenuti “necessari” da Ispra, ha sdoganato il loro riempimento con scarti di altro cantiere genovese, attenzionati
per la significativa presenza di amianto e nichel, come raccontato dal Fatto. A firmare il provvedimento la responsabile della sottocommissione di valutazione impatto ambientale (Via) Paola Brambilla, già firmataria delle pratiche per la cui facilitazione – come emerso dall’indagine sul Totigate – si spesero direttamente Bucci e Signorini (Brambilla è completamente estranea all’indagine).
Nel mentre l’Autorità portuale di La Spezia, sfruttando il decreto con cui il governo a fine 2024 ha dato a Bucci altri poteri speciali per bypassare le criticità ambientali, ha definito il piano di conferimento ai cassoni genovesi dei suoi sedimenti di dragaggio, fortemente indiziati di alti tassi di inquinamento, negandoci però i documenti su volumi e caratteristiche. I fondali potrebbero non esser l’unica cosa scivolosa di questa storia.
(da Il Fatto Quotidiano)
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