“EUROPA, ALZATI IN PIEDI UNA BUONA VOLTA, PRIMA CHE SIA TROPPO TARDI”: BILL EMMOTT SUONA LA SVEGLIA AL VECCHIO CONTINENTE IN DRAMMATICA CARENZA DI LEADER
“L’EUROPA DEVE DIMOSTRARE DI VOLER DANNEGGIARE LA RUSSIA. IL MODO MIGLIORE SAREBBE CONFISCARE I 200 MILIARDI DI EURO DI RISERVE DELLA BANCA CENTRALE RUSSA, CONGELATI NEI CONTI BANCARI DELL’UE, E CONSEGNARLI ALL’UCRAINA”… LA GERMANIA POTREBBE RIFORNIRE L’UCRAINA CON I MISSILI TAURUS A LUNGA GITTATA, SUBENTRANDO ALL’AMERICA CHE NON INVIA PIÙ ARMI. TUTTI QUANTI POTREBBERO MANDARE MISSILI A CORTO RAGGIO”
Il vertice in Alaska è stato un enorme successo per Vladimir Putin e per l’amore per la teatralità di Donald Trump, ma un potenziale disastro per l’Ucraina e l’Europa. La conseguenza più ovvia è che la Russia non ha preso l’impegno di un cessate il fuoco
Quella più importante è che l’America non ha esercitato alcuna pressione sulla Russia per porre fine alla guerra, malgrado Trump avesse promesso all’Europa che l’avrebbe fatto.
È vero, sono emersi pochi dettagli su quello che è stato discusso, tanto meno concordato, tra il dittatore russo e il presidente americano. Senza dubbio, domani emergeranno ulteriori informazioni, quando il presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky volerà a Washington per incontrare Trump e si saprà di più delle conversazioni che entrambi avranno avuto con i leader europei.
Nel frattempo, tuttavia, dovremmo riflettere attentamente e con serietà su due episodi rivelatori e preoccupanti del summit.
Il primo è stato l’arrivo su suolo americano del ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, che indossava una felpa sulla quale spiccava la scritta in cirillico “Cccp”, la sigla dell’Unione Sovietica.
Si è trattato di uno spudorato espediente televisivo per affermare che la Russia intende ricostruire l’impero andato perduto quando l’Unione Sovietica collassò nel 1991. La Russia è imperturbabile, compatta e imbaldanzita da questo simbolico momento di trionfo in Alaska, l’ex territorio imperiale russo.
Il secondo si è verificato nel corso di un’intervista che Trump ha rilasciato dopo il summit a Sean Hannity, suo amico leccapiedi di Fox News. In quell’intervista, Trump ha fatto ricadere sull’Ucraina l’onere della ricerca di una via per la pace e ha esposto la sua opinione sincera sul conflitto, sottolineando una volta di più che l’Ucraina è un Paese piccolo alle prese con
quella che ha definito la «macchina da guerra» russa.
Il sottinteso è che Zelensky farebbe bene ad arrendersi adesso, e che l’America non farà niente di concreto per aiutarlo.
Questi episodi rivelano anche che Putin e Trump condividono una medesima visione del mondo, secondo loro costituito da molti Paesi deboli e tre superpotenze per le quali valgono leggi diverse.
È il mondo descritto oltre duemila anni fa dallo storico greco Tucidide, il mondo nel quale «i forti fanno quello che possono, i deboli subiscono quello che devono».
Se questo tipo di realpolitik non è mai scomparso, il punto fondamentale della Carta delle Nazioni Unite del 1945, il corpus del diritto internazionale che ne è nato con gli sforzi collettivi dell’Occidente, è impedire il ricorso alla forza militare e proteggere i Paesi più piccoli da quelli più grandi. Per Trump, l’Occidente è morto.
L’Ucraina, come altri Paesi agli avamposti dell’Europa come la Polonia, gli Stati baltici e la Finlandia, era già consapevole delle ambizioni imperiali russe e della sprezzante visione di Trump riguardo ai Paesi più piccoli.
In ogni caso, per gli altri due gruppi ancora in grado di esercitare pressioni su Trump e sulla guerra in Ucraina, il vertice in Alaska potrebbe rivelarsi un efficace campanello d’allarme.
I due gruppi a cui mi riferisco sono i sostenitori repubblicani di Trump al Congresso degli Stati Uniti e i leader dei Paesi europei più potenti, Germania, Francia, Italia e Gran Bretagna.
Per un misto di lealtà e paura, i repubblicani al Congresso interessati alle sorti dell’Ucraina finora hanno concesso a Trump il beneficio del dubbio. Adesso dovranno scegliere se alzare la voce o restare in silenzio.
A Washington, la reazione iniziale dei repubblicani alla notizie provenienti dall’Alaska è stata abbastanza negativa.
Tuttavia, il deprimente comportamento che hanno tenuto finora nei sette mesi alla presidenza di Trump fa capire che ben presto si azzittiranno.
Le più grandi speranze sono riposte, come sempre, nell’Europa. Da mesi, ormai, la strategia principale degli europei è consistita nel cercare di persuadere Trump a esercitare pressioni su Putin, mentre i militari pianificavano in che modo dare all’Ucraina garanzie per la sicurezza per rafforzare il cessate il fuoco una volta concordato.
Hanno adottato questa strategia per la loro debolezza militare e hanno pagato un prezzo assai salato accettando docilmente i dazi doganali imposti da Trump all’Unione europea e al Regno Unito, invece di cercare di reagire minacciando ritorsioni commerciali.
Adesso, però, gli europei dovranno decidere se questa strategia è definitivamente fallita. L’opzione codarda, ma politicamente più allettante, sarebbe quella di dire che è indispensabile concedere più tempo alla loro strategia.
È arrivato davvero il momento per gli europei di assumere un ruolo di primo piano nel rafforzare la posizione contrattuale dell’Ucraina e costringere la Russia a porre fine a questa guerra. Farlo sarà davvero difficile, perché la debolezza degli europei purtroppo è reale. Gli europei, comunque, hanno a disposizion
gli strumenti per farlo, se solo trovassero il coraggio politico di usarli.
Prima di ogni altra cosa, l’Europa deve dimostrare di voler danneggiare la Russia. Il modo migliore per riuscirci sarebbe procedere alla confisca dei 200 miliardi di euro di riserve della Banca centrale russa, che si stimano essere congelati da tre anni nei conti bancari dell’Ue, e nel consegnare quei fondi all’Ucraina. Questo sì che attirerebbe l’attenzione di Putin e potrebbe perfino fare colpo su Trump, che tanto ama le transazioni.
Contemporaneamente, la Germania potrebbe iniziare a rifornire l’Ucraina con il suo vasto arsenale di missili Taurus a lunga gittata, subentrando così di fatto all’America che non invia più armi. Tutti quanti, inoltre, potrebbero mandare più sistemi missilistici difensivi e missili a corto raggio, anche a costo di restarne privi loro stessi sul breve periodo.
La volontà di assumersi tali rischi e di mettere in luce il bluff degli avversari è una delle cose che contraddistinguono un Paese forte da uno debole, e un leader politico che ha valori da uno che non ne ha. Per l’amor del cielo, Europa, alzati in piedi una buona volta, prima che sia troppo tardi
Bill Emmott
per “La Stampa”
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