I SOVRANISTI LE TENTANO TUTTE PER SALVARE IL “SOLDATO BARTOLOZZI”: LA MAGGIORANZA SOLLEVA DAVANTI ALLA CONSULTA UN CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE PER L’INDAGINE SUL CAPO DI GABINETTO DI CARLO NORDIO, GIUSI BARTOLOZZI, ACCUSATA DI “FALSE AFFERMAZIONI” SUL CASO ALMASRI
UNA MOSSA PER ESTENDERE ALLA “ZARINA DI VIA ARENA” L’IMMUNITÀ PARLAMENTARE DI CUI GODONO GLI ALTRI TRE INDAGATI PER IL PASTICCIO SUL TORTURATORE LIBICO (NORDIO, PIANTEDOSI E MANTOVANO) E QUINDI EVITARE CHE VADA A PROCESSO
Nell’ultimo anno «si era rafforzata la relazione» dell’Italia con la milizia libica Rada del generale Osama Almasri, strategica per tenere sotto controllo l’immigrazione clandestina. Anche se Almasri era un personaggio orrendo, a cui la Corte penale internazionale, che aveva spiccato un mandato di cattura nei suoi riguardi, contestava «34 omicidi accertati e 22 violenze sessuali documentate».
Ecco, nelle 36 pagine della sua relazione introduttiva, alcuni dei nuovi particolari forniti ieri sul caso Almasri dal deputato Federico Gianassi (Pd), vicepresidente della giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera che dovrà pronunciarsi sulla richiesta del Tribunale dei ministri nei confronti del sottosegretario Alfredo Mantovano, del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e di quello della Giustizia Carlo Nordio (archiviata invece la posizione di Giorgia Meloni).
Camera che ieri si è divisa, perché la maggioranza sembra intenzionata a mandare gli atti alla Consulta sulla posizione della capo di Gabinetto di Nordio Giusi Bartolozzi.
Gianassi ha dunque ricostruito i tre giorni caldissimi, dal 19 al 21 gennaio 2025, che videro l’arresto a Torino del generale libico e poi la repentina liberazione e il suo rimpatrio a Tripoli su un volo di Stato. Il governo, a leggere la relazione, era nelle mani dei libici: «Nell’arco dei tre giorni — scrive Gianassi — si tennero riunioni di emergenza sul caso a cui parteciparono vertici del governo, dei Servizi e delle forze di polizia per valutare le conseguenze dell’arresto, le possibili ritorsioni contro il governo italiano e la gestione della cooperazione con la Cpi».
Secondo l’istruttoria svolta dal Tribunale dei ministri, citata da Gianassi, «nel corso delle riunioni l’Aise (il servizio segreto italiano per l’estero, diretto da Giovanni Caravelli, ndr ) avrebbe sottolineato il rischio di tensioni a Tripoli che avrebbero potuto sfociare in azioni ostili».
Secondo Gianassi, dalla lettura dell’istruttoria, emerge chiarissima «la strategia condivisa dai membri del governo nelle riunioni del 19 e 20 gennaio sul mancato intervento del ministero della Giustizia». E proprio su questo punto, il caso ora si complica ulteriormente dopo che la Procura di Roma ha indagato anche la capo di Gabinetto di Nordio.
Per fare scudo intorno a lei (la maggioranza della Camera non darà mai l’autorizzazione a procedere) il centrodestra parrebbe orientato a sollevare un conflitto di attribuzione davanti alla Corte costituzionale.
I componenti della maggioranza della Giunta per le autorizzazioni, attraverso il capogruppo FdI, Dario Iaia, ieri hanno chiesto infatti di verificare la possibilità che anche nei confronti di Bartolozzi, come per Nordio, Piantedosi e Mantovano, possa arrivare la richiesta di autorizzazione alla Giunta come «imputata laica»: se il reato contestato fosse «in concorso» e non solo «connesso» con quelli relativi ai ministri, è la tesi, anche Bartolozzi potrebbe essere giudicata dal Tribunale dei ministri.
Ma il presidente della Giunta, Devis Dori (Avs) è stato
tranchant: «Un caso Bartolozzi al momento non c’è — ha detto — Se il reato per cui è indagata è esclusivamente il 371 bis c.p., le false informazioni ai pm, sarebbe autonomo rispetto a quelli che riguardano i ministri, quindi non sussisterebbe concorso».
(da Il Corriere della Sera)
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