IL SEME DI NASIRIYAH: LA STORIA DI UN EROE ITALIANO CHE AIUTAVA I BAMBINI IRACHENI
CINQUE ANNI FA, 19 EROI RITORNAVANO IN ITALIA IN UNA BARA AVVOLTA NEL TRICOLORE… TRA LORO GIUSEPPE COLETTA, “IL VICEBRIGADIERE DEI BAMBINI” CHE DOPO IL TURNO DI LAVORO ANDAVA AD AIUTARE I MEDICI ALL’OSPEDALE PEDIATRICO DI NASIRIYAH… LA MOGLIE MARGHERITA HA DONATO IL RISARCIMENTO DELLO STATO PER AIUTARE I BAMBINI IRACHENI, HA CREATO UNA ASSOCIAZIONE E SCRITTO UN LIBRO… DAL PROFONDO SUD DUE ESEMPI STUPENDI DI QUANTO E’ GRANDE IL CUORE DEL NOSTRO POPOLO
E’ una storia lunga, triste e meravigliosa quella che Lucia Bellaspiga, giornalista de L’Avvenire e Margherita Coletta, vedova di Giuseppe, il “vicebrigadiere dei bambini”, ucciso a Nasiriyah insieme a 18 commilitoni del contingente italiano cinque anni fa, raccontano nel libro “Il seme di Nasiriyah” ( Ediz. Ancona, 12 euro).
Una splendida storia d’amore, il dramma della guerra, le attese di una moglie fino a quel 12 novembre quando la casa di San Vitaliano, vicino a Napoli, si affolla di gente perchè Giuseppe non sarebbe più tornato.
E quella frase che Margherita, stringendo la figlia Maria di due anni, dirà : “Se amate quelli che vi amano che merito avete? Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori”.
Giuseppe con i suoi 18 compagni atterra a Ciampino chiuso in una bara, avvolto dal tricolore. Funerali di Stato per diciannove eroi da celebrare solennemente e dimenticare velocemente. Giuseppe Coletta lo chiamavano “il vicebrigadiere dei bambini” perchè la sua missione di pace era anche quella di andare all’ospedale pediatrico di Nasiriyah dopo il turno di lavoro, ad aiutare i medici e portare caramelle e giocattoli ai bimbi a cui la guerra aveva tolto il sorriso.
Lui si inventava di tutto per far ridere i piccoli storpiati dalle bombe, accanto a sè c’era sempre Paolo, il bimbo di quasi sei anni, suo figlio, al quale anni prima era stato diagnosticato un tumore. Paolo se ne andò dopo sei mesi di sofferenza.
Giuseppe dopo i funerali prende i giochi e i vestiti di Paolo e li porta in un orfanotrofio a Napoli, ma il suo pensiero non lascerà mai il reparto di “oncologia pediatrica” dove il suo bimbo e tanti altri hanno lottato contro un male troppo grande per loro.
Aveva un bisogno estremo di portare aiuto a quei piccoli innocenti che pagano le conseguenze di conflitti inutili. Comincerà dall’Albania, poi la Bosnia e il Kossovo.
Infine Nasiriyah: era partito nel luglio del 2003, sarebbe dovuto rientrare l’otto novembre, quattro giorni prima della strage, per ritirare un premio. Ma Giuseppe rimane in Iraq perchè non vuole lasciare i bambini nell’ultima settimana di missione.
Quando telefonava a casa, si sfogava con la moglie ” Non è accettabile che bambini sani mi muoiano tra le braccia solo perchè qui gli ospedali sono così poveri, perchè manca un’incubatrice o il cibo per nutrirli”.
La moglie lo ascoltava e poi si dava da fare per spedire quello che poteva, soluzioni fisiologiche, latte in polvere, giocattoli. Dirà Margherita: “Credevo di aver già dato abbastanza al Signore. Pensavo non mi avrebbe più chiesto altro dopo la morte di Paolo, ma non funziona così… “. Margherita accetta anche la morte del marito senza sprofondare nella disperazione, sorretta da una fede più dirompente dei 300 chili di tritolo: ” Non ci siamo divisi. Giuseppe è salito in cielo da Paolo e io sono rimasta qui con Maria, ma un giorno saremo di nuovo tutti insieme”.
Dopo la morte di Giuseppe, all’ospedale pediatrico di Nasiriyah arrivano tre incubatrici spediti dall’associazione ” Margherita e Giuseppe Coletta”. E’ nell’associazione che la vedova ha investito il risarcimento concesso dallo Stato per l’uccisione di Giuseppe ed è all’associazione che andrà l’incasso delle vendita del libro “Il seme di Nasiriyah”.
In fondo Margherita sta solo continuando l’opera che aveva iniziato il marito. Grazie a loro, tanti bambini oggi sono vivi e possono sorridere, tanti malati sono stati curati, tante sofferenze lenite. Ogni tanto qualcuno ci chiede perchè mettiamo tanta “passione” nella critica alla Casta dei politici, tanta “rabbia” nel denunciare lo squallore di tanti meschini egoismi.
La risposta sta in queste due stupende e umili figure che rappresentano il nostro popolo migliore, una coppia unita, oltre la morte, nel fare del bene.
C’e’ chi rinuncia all’indennizzo per aiutare i bambini iracheni, c’e’ chi pretende privilegi, c’e’ chi pensa agli altri pur nella sofferenza, chi solo a se stesso nel lusso, c’e’ qualche infame che urla “10,100,1000 Nasiriyah” e vive la sua putrida vita di odio e chi ama il proprio popolo fino al sacrificio estremo, chi disprezza i meridionali e chi ama l’Italia unita dal cuore e dal sacrificio della vita.
Noi sappiamo da che parte stare e non ci spostiamo di un millimetro.