LA FLOTILLA E’ IL RISCATTO DELLA SOCIETA’ CIVILE
E’ LA REAZIONE A UNA DERIVA CHE CALPESTA I DIRITTI UMANI
Ci sono momenti nella storia che squarciano il tempo, segnando una rottura netta tra un prima e un dopo. Non sono semplici incidenti, ma catalizzatori in cui le azioni, anche le più estreme, assumono un significato più grande, facendosi eco di un malessere profondo e di una richiesta di giustizia. Questi sono i momenti nei quali la società civile si fa avanti, supplendo alle croniche mancanze dei governi e riempiendo un vuoto che ha un peso politico e simbolico insostenibile. È la reazione, il segnale di una deriva che calpesta i diritti umani
Sono gli anticorpi democratici di uno o più Paesi, formazioni che esistono da sempre ma che spesso rimangono invisibili, finché non se ne sente disperatamente il bisogno.
L’Ombra del Passato e la Flotta della Dignità
Pochi giorni fa, non a caso, ho paragonato la Global Sumud Flotilla alla marcia dei 500 che ruppe l’assedio di Sarajevo. Ieri, la mente correva alla tragica ricorrenza del 3 ottobre 2013, quando 368 persone morirono al largo di Lampedusa. In quei giorni, ministri italiani e commissari europei pronunciarono il solenne giuramento: “mai più”.
Ma quel “mai più”, purtroppo, è stato tradito. Quattro anni dopo, chi era ai posti di comando ha deciso che la promessa non valeva per i morti, ma per le persone: mai più in Europa, mai più in Italia. Hanno chiuso le rotte, trasformando il Mediterraneo Centrale in quello che oggi è il più grande cimitero del mondo. Oltre 30.000 persone sono morte mentre cercavano dignità e salvezza.
Di fronte a questo vuoto etico e politico lasciato dagli Stati, la società civile ha risposto con i fatti. È il lavoro delle ONG, la flotta civile che si è fatta carico del soccorso in mare. Ed è la stessa logica di dignità che ora spinge la Global Sumud Flotilla con la prua rivolta a Est, verso Gaza.
La Pressione Globale non si Ferma
L’azione è in corso. Un’azione illegittima, lo ricordiamo, perché le acque dove è iniziata l’operazione sono internazionali e vige la libera circolazione, e perché le acque davanti a Gaza sono palestinesi, non israeliane.
Ma la Flotilla non è solo un convoglio di 43 barche. Rappresenta la rabbia e la frustrazione incanalata di un movimento più grande, fatto di persone che magari mai si erano interessate alla Palestina prima d’ora, ma che hanno deciso di non rimanere in silenzio davanti al genocidio al quale stiamo assistendo da due anni.
Dopo l’inizio dell’operazione israeliana, migliaia di persone sono scese in piazza in tutta Italia: da Roma a Milano, da Napoli a Palermo. E la dimensione è globale: Spagna, Francia, e perfino l’Argentina – dove a Buenos Aires migliaia di persone hanno manifestato – sono in agitazione
Questo “equipaggio di terra” va ben oltre le 43 barche. E nonostante i tentativi della destra internazionale di screditarlo, è riuscito a mettere una
pressione palpabile sui governi nazionali, mantenendo costantemente alta l’attenzione sul massacro in atto.
Il fastidio che trapela dalle dichiarazioni della premier Meloni ne è la conferma: la pressione c’è e aumenterà nelle prossime ore, in concomitanza con lo sciopero generale che vedrà uniti sindacati di base e CGIL. La mobilitazione è destinata a espandersi ad altri Paesi, e le prime reazioni a sostegno, anche a livello governativo, stanno già arrivando.
Queste ore segnano una di quelle crepe nella storia che, una volta formata, si allarga fino al punto in cui non è più possibile ignorarla. È troppo grande la distanza tra le due sponde, impossibile saltare e tornare indietro.
Chiudo con le parole di un gigante della storia, non solo palestinese, Mahmud Darwish: “Non avendo potuto trovare il mio posto sulla terra, ho tentato di trovarlo nella Storia.”
(da Fanpage)
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