LA RESA DEI PONTI: SALVINI È CERTO CHE I LAVORI PER IL PONTE SULLO STRETTO PARTIRANNO A BREVE. MA IL VIA LIBERA AI FINANZIAMENTI NON È ANCORA DEFINITIVO, MANCA L’OK DELLA CORTE DEI CONTI, CHE DEVE PRONUNCIARSI SULLA DELIBERA FAVOREVOLE DEL COMITATO CIPESS
LA DECISIONE DEI GIUDICI CONTABILI NON È SCONTATA. SOPRATTUTTO DOPO CHE L’AMBASCIATORE USA ALLA NATO, MATTHEW WHITAKER, HA STOPPATO IL “TRUCCHETTO CONTABILE” TENTATO DAL GOVERNO MELONI: I FINANZIAMENTI PER L’INFRASTRUTTURA NON POTRANNO RIENTRARE NEL CONTEGGIO DELLE SPESE NATO PER LA DIFESA COME OPERA “DUAL USE”
“Dual use”. È quella la formula che rischia di far crollare le fondamenta burocratiche attorno a cui Matteo Salvini sogna di realizzare il Ponte sullo Stretto di Messina. Perché quel doppio utilizzo è stato previsto dal patto Nato sul 5% del Pil per la corsa al riarmo fino a un massimo pari un punto percentuale e mezzo. La restante parte – è il dettato dell’accordo – va comunque riservata in armamenti.
In tutto, 113 miliardi che l’Italia è chiamata a investire nei prossimi anni. Ma il Ponte non potrà rientrare in quelle spese. Lo spiega Alessandro Marrone, responsabile del programma difesa, sicurezza e spazio dell’Istituto affari internazionali: la soglia dell’1,5% può essere utilizzata per «per infrastrutture critiche e resilienza, dunque anche porti e aeroporti».In linea di principio – è il ragionamento che aveva fatto il governo Meloni, bypassando i pareri ambientali negativi e arrivando all’approvazione della delibera Cipess – anche il Ponte poteva rientrare tra quelle opere strategiche.
Ma adesso la Nato dice che non è così: riguardo all’infrastruttura di collegamento tra Sicilia e Calabria, «le basi principali in Sicilia sono dell’aeronautica a Trapani-Birgi o sono installazioni di sorveglianza come la Ground Surveillance a Sigonella».
Insomma, Giorgia Meloni, insieme al Mef e alla Difesa dovranno trovare un piano B per raggiungere la soglia del 5%: il governo Trump – ha fatto capire l’ambasciatore Usa alla Nato Matthew Whitaker – non intende avallare operazioni di maquillage ragionieristico, per giustificare l’aumento delle spese di difesa.
Per i ministri Crosetto e Giorgetti si apre un percorso a ostacoli per recuperare quelle somme, mentre il ministero delle Infrastrutture fa sapere che «il Ponte è già interamente finanziato con risorse statali e l’eventuale utilizzo di risorse Nato non è
all’ordine del giorno. L’opera non è in discussione».
In questo quadro, il via libera al Ponte non è ancora definitivo: a dover apporre il sigillo sull’operazione è la Corte dei Conti, che deve pronunciarsi sulla delibera Cipess che ha dato l’ok al finanziamento. Alla luce dei malumori che arrivano dagli States e delle nuove somme che il governo sarà chiamato a recuperare, è tutt’altro che scontata la direzione che potrebbero decidere di imboccare i giudici contabili.Non si tratta di un passaggio secondario: i cantieri minori e le opere collaterali non potranno partire prima dell’ok dei giudici alla spesa.
Il segretario confederale della Cgil, Pino Gesmundo, attacca la strategia del governo Meloni e della maggioranza «di tentare di giustificare l’opera attraverso artifici contabili e dichiarazioni propagandistiche». Ma secondo il sindacato «se Salvini ci avesse dato ascolto, il Paese si sarebbe risparmiato uno sberleffo internazionale».
Per il vicepresidente di Italia Viva, Davide Faraone, il governo Meloni ha fatto «l’amico degli americani, convinto che bastasse l’arte dell’arrangiarsi. In Europa restiamo col marchio peggiore: serpi in seno e senza risultati».
(da agenzie)
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