L’OBIETTIVO DI TRUMP E PUTIN: DARE LA COLPA A ZELENSKY SE NON SI FA LA PACE: L’ACCORDO MANCATO IN ALASKA SI È TRADOTTO NEL RIMPALLO DI RESPONSABILITÀ A ZELENSKY E AGLI STATI UE
PUTIN HA CHIESTO CHE L’EUROPA NON “METTA IL BASTONE TRA LE RUOTE”; IL TYCOON HA DETTO: “ADESSO TOCCA A ZELENSKY, FACCIA UN ACCORDO, LA RUSSIA È POTENTE” … GLI EUROPEI TEMEVANO DI UN’INTESA SULLA PELLE DEGLI UCRAINI, POI IMPOSTA A KIEV.NON È DIPLOMAZIA, È UN RICATTO MAFIOSO
Si è visto subito. Dall’espressione vagamente corrucciata di Donald Trump all’inizio dei colloqui, dopo i sorrisi di pochi minuti prima accogliendo Vladimir Putin sul tarmac di Anchorage, in sincronizzata coreografia: il maestro dell’arte del “deal” si rendeva conto che il “deal” sarebbe stato difficile. Infatti, non c’è stato.
Il “deal” richiedeva una sola cosa: un accordo per il cessate il fuoco in Ucraina. Tutto il resto poteva accodarsi. Su questo punto Donald Trump sembra essere stato fermo. Magra consolazione per Kiev – e per gli europei che due giorni prima avevano, a tappeto, ripetuto al Presidente americano che la tregua sul campo era la condizione sine qua non per un accordo.
Per il resto, ad Anchorage, Vladimir Putin ha fatto il pieno. Ha detto di essere interessato a far finire la guerra in Ucraina –
sottinteso: alle sue condizioni. Non ha spostato di un millimetro la posizione sulle “cause di fondo” da risolvere prima del cessate il fuoco – non ha mai specificato quali siano, ma sono adombrate nella nozione degli ucraini come “popolo fratello” (sulla pelle di più di un milione di caduti in tre anni fra i due popoli), cioè sottomesso. Sergei Lavrov, signore della diplomazia, non è arrivato in Alaska esibendo tuta con la scritta URSS, in cirillico, per povertà di guardaroba. Messaggio chiarissimo.
Il Presidente russo ha ottenuto molto di più della continuazione della guerra, o “operazione speciale” come continua a chiamarla – certo, molto speciale per i caduti al fronte e i civili bombardati. Innanzitutto, la normalizzazione dei rapporti con gli Stati Uniti, per la Russia da sempre l’unico interlocutore che conta, cui si aggiunge oggi Pechino, di sicuro non l’Europa
Il punto principale segnato da Vladimir Putin a suo favore sta tuttavia proprio nella guerra ucraina. Vero, non c’è stato accordo sul cessate il fuoco e Trump ha riconosciuto “no deal”, ma entrambi i leader hanno convenuto nel rilanciare la palla nel campo di Volodymir Zelensky e degli europei.
«Che non mettano il bastone fra le ruote», ha detto Putin. Trump non è stato così duro ma molto esplicito “adesso tocca a Zelensky” negoziare e agli europei prendere le responsabilità. Di cosa? Di convincere il Presidente ucraino ad accettare un patto leonino con Mosca?
L’esito del vertice più temuto da Kiev e dall’Europa era un accordo concordato ad Anchorage sulla pelle ucraina, poi imposto dagli Usa a Zelensky. Donald Trump l’ha abilmente evitato, gli avrebbe creato difficoltà anche con il pubblico americano e il Congresso.
Ma non è molto diverso dire: adesso tocca a Zelensky mettersi d’accordo – con un Putin che continua a non concedere niente. Unico spiraglio: un “ci sarò anch’io” se mi volete, in un incontro trilaterale Putin-Zelensky-Trump. Quando e come lasciati nel vago. E soprattutto senza una parola in proposito del Presidente russo.
Rispetto chi vorrà dare una lettura positiva del vertice come inizio di un percorso diplomatico-negoziale. Può darsi […]. Ma dopo tre anni e mezzo di guerra, ci vorrebbe qualcosa in più di un percorso. Le parole conclusive di Donald Trump, e di Vladimir Putin, lasciano gli europei, oltre che Zelensky, nella pressoché totale incertezza sullo stato della guerra e sui passi che ci si aspettano da loro.
Gli ambasciatori Ue hanno sul tavolo un mezzo buco nell’acqua americano, un quasi en plein russo e un intricato pasticcio fra guerra oggi e, forse, pace domani o dopodomani. Ma, pur a Ferragosto, meglio un vertice enigmatico che una nuova guerra. Accontentiamoci.
(da agenzie)
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